Sabato, 22 Marzo, 2025

Familiaris consortio

ESORTAZIONE APOSTOLICA
FAMILIARIS CONSORTIO
DI SUA SANTITA'
GIOVANNI PAOLO II
ALL'EPISCOPATO
AL CLERO ED AI FEDELI
DI TUTTA LA CHIESA CATTOLICA
CIRCA I COMPITI
DELLA FAMIGLIA CRISTIANA
NEL MONDO DI OGGI

INTRODUZIONE

La Chiesa al servizio della famiglia

1. La famiglia nei tempi odierni è stata, come e forse più di altre istituzioni, investita dalle ampie, profonde e rapide trasformazioni della società e della cultura. Molte famiglie vivono questa situazione nella fedeltà a quei valori che costituiscono il fondamento dell'istituto familiare. Altre sono divenute incerte e smarrite di fronte ai loro compiti o, addirittura, dubbiose e quasi ignare del significato ultimo e della verità della vita coniugale e familiare. Altre, infine, sono impedite da svariate situazioni di ingiustizia nella realizzazione dei loro fondamentali diritti.

Consapevole che il matrimonio e la famiglia costituiscono uno dei beni più preziosi dell'umanità, la Chiesa vuole far giungere la sua voce ed offrire il suo aiuto a chi, già conoscendo il valore del matrimonio e della famiglia, cerca di viverlo fedelmente a chi, incerto ed ansioso, è alla ricerca della verità ed a chi è ingiustamente impedito di vivere liberamente il proprio progetto familiare. Sostenendo i primi, illuminando i secondi ed aiutando gli altri, la Chiesa offre il suo servizio ad ogni uomo pensoso dei destini del matrimonio e della famiglia («Gaudium et Spes», 52).

In modo particolare essa si rivolge ai giovani, che stanno per iniziare il loro cammino verso il matrimonio e la famiglia, al fine di aprire loro nuovi orizzonti, aiutandoli a scoprire la bellezza e la grandezza della vocazione all'amore e al servizio della vita.

Il Sinodo del 1980 in continuità con i Sinodi precedenti

2. Un segno di questo profondo interessamento della Chiesa per la famiglia è stato l'ultimo Sinodo dei Vescovi, celebratosi a Roma dal 26 settembre al 25 ottobre 1980. Esso è stato la naturale continuazione dei due precedenti (cfr. Giovanni Paolo PP. II, Omelia per l'apertura del VI Sinodo dei Vescovi, 2 (26 Settembre 1980): la famiglia cristiana, infatti, è la prima comunità chiamata ad annunciare il Vangelo alla persona umana in crescita e a portarla, attraverso una progressiva educazione e catechesi, alla piena maturità umana e cristiana.

Non solo, ma il precedente Sinodo si collega idealmente in qualche modo anche a quello sul sacerdozio ministeriale e sulla giustizia nel mondo contemporaneo. Infatti, in quanto comunità educativa, la famiglia deve aiutare l'uomo a discernere la propria vocazione e ad assumersi il necessario impegno per una più grande giustizia, formandolo fin dall'inizio a relazioni interpersonali, ricche di giustizia e di amore.

I Padri Sinodali, concludendo la loro assemblea, mi hanno presentato un ampio elenco di proposte, in cui avevano raccolto i frutti delle riflessioni sviluppate nel corso delle loro intense giornate di lavoro, e mi hanno chiesto con voto unanime di farmi interprete davanti all'umanità della viva sollecitudine della Chiesa per la famiglia, e di dare le indicazioni opportune per un rinnovato impegno pastorale in questo fondamentale settore della vita umana ed ecclesiale.

Nell'adempiere tale compito con la presente esortazione, come una peculiare attuazione del ministero apostolico affidatomi, desidero esprimere la mia gratitudine a tutti i componenti del Sinodo per il prezioso contributo di dottrina e di esperienza, che hanno offerto soprattutto mediante le «Propositiones», il cui testo affido al Pontificio Consiglio per la Famiglia, disponendo che ne approfondisca lo studio al fine di valorizzare ogni aspetto delle ricchezze in esso contenute.

Il prezioso bene del matrimonio e della famiglia

3. La Chiesa, illuminata dalla fede, che le fa conoscere tutta la verità sul prezioso bene del matrimonio e della famiglia e sui loro significati più profondi, ancora una volta sente l'urgenza di annunciare il Vangelo, cioè la «buona novella» a tutti indistintamente, in particolare a tutti coloro che sono chiamati al matrimonio e vi si preparano, a tutti gli sposi e genitori del mondo.

Essa è profondamente convinta che solo con l'accoglienza del Vangelo trova piena realizzazione ogni speranza, che l'uomo legittimamente pone nel matrimonio e nella famiglia.

Voluti da Dio con la stessa creazione (cfr. Gen 1-2), il matrimonio e la famiglia sono interiormente ordinati a compiersi in Cristo (cfr. Ef 5) ed hanno bisogno della sua grazia per essere guariti dalle ferite del peccato (cfr. «Gaudium et Spes», 47; «Insegnamenti di Giovanni Paolo II», III, 2 [1980] 388s) e riportati al loro «principio» (cfr. Mt 19,4), cioè alla conoscenza piena e alla realizzazione integrale del disegno di Dio.

In un momento storico nel quale la famiglia è oggetto di numerose forze che cercano di distruggerla o comunque di deformarla, la Chiesa, consapevole che il bene della società e di se stessa è profondamente legato al bene della famiglia (cfr. «Gaudium et Spes», 47), sente in modo più vivo e stringente la sua missione di proclamare a tutti il disegno di Dio sul matrimonio e sulla famiglia, assicurandone la piena vitalità e promozione umana e cristiana, e contribuendo così al rinnovamento della società e dello stesso Popolo di Dio.

PARTE PRIMA

LUCI E OMBRE DELLA FAMIGLIA, OGGI

Necessità di conoscere la situazione

4. Poiché il disegno di Dio sul matrimonio e sulla famiglia riguarda l'uomo e la donna nella concretezza della loro esistenza quotidiana in determinate situazioni sociali e culturali, la Chiesa, per compiere il suo servizio, deve applicarsi a conoscere le situazioni entro le quali il matrimonio e la famiglia oggi si realizzano (cfr. «Insegnamenti di Giovanni Paolo II», III, 1 [1980] 472-476).

Questa conoscenza è, dunque, una imprescindibile esigenza dell'opera evangelizzatrice. E', infatti, alle famiglie del nostro tempo che la Chiesa deve portare l'immutabile e sempre nuovo Vangelo di Gesù Cristo, così come sono le famiglie implicate nelle presenti condizioni del mondo che sono chiamate ad accogliere e a vivere il progetto di Dio che le riguarda. Non solo, ma le richieste e gli appelli dello Spirito risuonano anche negli stessi avvenimenti della storia, e pertanto la Chiesa può essere guidata ad una intelligenza più profonda dell'inesauribile mistero del matrimonio e della famiglia anche dalle situazioni, domande, ansie e speranze dei giovani, degli sposi e dei genitori di oggi (cfr. «Gaudium et Spes», 4).

A ciò si deve aggiungere poi una ulteriore riflessione di particolare importanza nel tempo presente. Non raramente all'uomo e alla donna di oggi, in sincera e profonda ricerca di una risposta ai quotidiani e gravi problemi della loro vita matrimoniale e familiare, vengono offerte visioni e proposte anche seducenti, ma che compromettono in diversa misura la verità e la dignità della persona umana. E' un'offerta sostenuta spesso dalla potente e capillare organizzazione dei mezzi di comunicazione sociale, che mettono sottilmente in pericolo la libertà e la capacità di giudicare con obiettività.

Molti sono già consapevoli di questo pericolo in cui versa la persona umana ed operano per la verità. La Chiesa, col suo discernimento evangelico, si unisce ad essi, offrendo il proprio servizio alla verità, alla libertà e alla dignità di ogni uomo e di ogni donna.

Il discernimento evangelico

5. Il discernimento operato dalla Chiesa diventa l'offerta di un orientamento perché sia salvata e realizzata l'intera verità e la piena dignità del matrimonio e della famiglia.

Esso è compiuto dal senso della fede (cfr. «Lumen Gentium», 12), che è un dono che lo Spirito partecipa a tutti i fedeli (cfr. Gv 2,20), ed è, pertanto, opera di tutta la Chiesa, secondo le diversità dei vari doni e carismi che, insieme e secondo la responsabilità propria di ciascuno, cooperano per una più profonda intelligenza ed attuazione della Parola di Dio. La Chiesa, dunque, non compie il proprio discernimento evangelico solo per mezzo dei Pastori, i quali insegnano in nome e col potere di Cristo, ma anche per mezzo dei laici: Cristo «li costituisce suoi testimoni e li provvede del senso della fede e della grazia della parola (cfr. At 2,17-18; Ap 19,10) perché la forza del Vangelo risplenda nella vita quotidiana, familiare e sociale» («Lumen Gentium», 35). I laici, anzi, in ragione della loro particolare vocazione, hanno il compito specifico di interpretare alla luce di Cristo la storia di questo mondo, in quanto sono chiamati ad illuminare ed ordinare le realtà temporali secondo il disegno di Dio Creatore e Redentore.

Il «soprannaturale senso della fede» (cfr. «Lumen Gentium», 12; Sacra Congregazione della Fede, «Mysterium Ecclesiae», 2: AAS 65 [1973] 398-400) non consiste però solamente o necessariamente nel consenso dei fedeli. La Chiesa, seguendo Cristo, cerca la verità, che non sempre coincide con l'opinione della maggioranza. Ascolta la coscienza e non il potere ed in questo difende i poveri e i disprezzati. La Chiesa può apprezzare anche la ricerca sociologica e statistica, quando si rivela utile per cogliere il contesto storico nel quale l'azione pastorale deve svolgersi e per conoscere meglio la verità; tale ricerca sola, però, non è da ritenersi senz'altro espressione del senso della fede.

Perché è compito del ministero apostolico di assicurare la permanenza della Chiesa nella verità di Cristo e di introdurvela più profondamente, i Pastori devono promuovere il senso della fede in tutti i fedeli, vagliare e giudicare autorevolmente la genuinità delle sue espressioni, educare i credenti a un discernimento evangelico sempre più maturo (cfr. «Lumen Gentium», 12 «Dei Verbum», 10).

Per l'elaborazione di un autentico discernimento evangelico nelle varie situazioni e culture in cui l'uomo e la donna vivono il loro matrimonio e la loro vita familiare, gli sposi e i genitori cristiani possono e devono offrire un loro proprio e insostituibile contributo. A questo li abilita il loro carisma o dono proprio, il dono del sacramento del matrimonio (cfr. «Insegnamenti di Giovanni Paolo II», III, 2 [1980] 735s).

La situazione della famiglia nel mondo di oggi

6. La situazione, in cui versa la famiglia, presenta aspetti positivi ed aspetti negativi: segno, gli uni, della salvezza di Cristo operante nel mondo; segno, gli altri, del rifiuto che l'uomo oppone all'amore di Dio.

Da una parte, infatti, vi è una coscienza più viva della libertà personale, e una maggiore attenzione alla qualità delle relazioni interpersonali nel matrimonio, alla promozione della dignità della donna, alla procreazione responsabile, alla educazione dei figli; vi è inoltre la coscienza della necessità che si sviluppino relazioni tra le famiglie per un reciproco aiuto spirituale e materiale, la riscoperta della missione ecclesiale propria della famiglia e della sua responsabilità per la costruzione di una società più giusta. Dall'altra parte, tuttavia non mancano segni di preoccupante degradazione di alcuni valori fondamentali: una errata concezione teorica e pratica dell'indipendenza dei coniugi fra di loro; le gravi ambiguità circa il rapporto di autorità fra genitori e figli; le difficoltà concrete, che la famiglia spesso sperimenta nella trasmissione dei valori; il numero crescente dei divorzi; la piaga dell'aborto; il ricorso sempre più frequente alla sterilizzazione; l'instaurarsi di una vera e propria mentalità contraccettiva.

Alla radice di questi fenomeni negativi sta spesso una corruzione dell'idea e dell'esperienza della libertà, concepita non come la capacità di realizzare la verità del progetto di Dio sul matrimonio e la famiglia, ma come autonoma forza di affermazione, non di rado contro gli altri, per il proprio egoistico benessere.

Merita la nostra attenzione anche il fatto che, nei Paesi del così detto Terzo Mondo, vengono spesso a mancare alle famiglie sia i fondamentali mezzi per la sopravvivenza, quali sono il cibo, il lavoro, l'abitazione, le medicine, sia le più elementari libertà. Nei Paesi più ricchi, invece, l'eccessivo benessere e la mentalità consumistica, paradossalmente unita ad una certa angoscia e incertezza per il futuro, tolgono agli sposi la generosità e il coraggio di suscitare nuove vite umane: così la vita è spesso percepita non come una benedizione, ma come un pericolo da cui difendersi.

La situazione storica in cui vive la famiglia si presenta, dunque, come un insieme di luci e di ombre.

Questo rivela che la storia non è semplicemente un progresso necessario verso il meglio, bensì un evento di libertà, ed anzi un combattimento fra libertà che si oppongono fra loro, cioè, secondo la nota espressione di san Agostino, un conflitto, fra due amori: l'amore di Dio spinto fino al disprezzo di sé, e l'amore di sé spinto fino al disprezzo di Dio (cfr. S. Agostino «De civitate Dei», XIV, 28: CSEL 40, II, 25s).

Ne consegue che solo l'educazione all'amore radicato nella fede può portare ad acquistare la capacità di interpretare «i segni dei tempi», che sono l'espressione storica di questo duplice amore.

L'influsso della situazione sulla coscienza dei fedeli

7. Vivendo in un mondo siffatto, sotto le pressioni derivanti soprattutto dai mass-media, non sempre i fedeli hanno saputo e sanno mantenersi immuni dall'oscurarsi dei valori fondamentali e porsi come coscienza critica di questa cultura familiare e come soggetti attivi della costruzione di un autentico umanesimo familiare.

Fra i segni più preoccupanti di questo fenomeno, i Padri Sinodali hanno sottolineato, in particolare, il diffondersi del divorzio e del ricorso ad una nuova unione da parte degli stessi fedeli, l'accettazione del matrimonio puramente civile, in contraddizione con la vocazione dei battezzati a «sposarsi nel Signore»; la celebrazione del matrimonio sacramento senza una fede viva, ma per altri motivi; il rifiuto delle norme morali che guidano e promuovono l'esercizio umano e cristiano della sessualità nel matrimonio.

La nostra epoca ha bisogno di sapienza

8. Si pone così a tutta la Chiesa il compito di una riflessione e di un impegno assai profondi, perché la nuova cultura emergente sia intimamente evangelizzata, siano riconosciuti i veri valori, siano difesi i diritti dell'uomo e della donna e sia promossa la giustizia nelle strutture stesse della società. In tal modo il «nuovo umanesimo» non distoglierà gli uomini dal loro rapporto con Dio, ma ve li condurrà più pienamente.

Nella costruzione di tale umanesimo, la scienza e le sue applicazioni tecniche offrono nuove ed immense possibilità. Tuttavia, la scienza, in conseguenza di scelte politiche che ne decidono la direzione di ricerca e le applicazioni, viene spesso usata contro il suo significato originario, la promozione della persona umana.

Si rende, pertanto, necessario ricuperare da parte di tutti la coscienza del primato dei valori morali, che sono i valori della persona umana come tale. La ricomprensione del senso ultimo della vita e dei suoi valori fondamentali è il grande compito che si impone oggi per il rinnovamento della società. Solo la consapevolezza del primato di questi valori consente un uso delle immense possibilità, messe nelle mani dell'uomo dalla scienza, che sia veramente finalizzato alla promozione della persona umana nella sua intera verità, nella sua libertà e dignità. La scienza è chiamata ad allearsi con la sapienza.

Si possono pertanto applicare anche ai problemi della famiglia le parole del Concilio Vaticano II: «L'epoca nostra, più ancora che i secoli passati, ha bisogno di questa sapienza, perché diventino più umane tutte le sue nuove scoperte. E' in pericolo, di fatto, il futuro del mondo, a meno che non vengano suscitati uomini più saggi» («Gaudium et Spes», 15).

L'educazione della coscienza morale, che rende ogni uomo capace di giudicare e di discernere i modi adeguati per realizzarsi secondo la sua verità originaria, diviene così una esigenza prioritaria ed irrinunciabile.

E' l'alleanza con la Sapienza divina che deve essere più profondamente ricostituita nella cultura odierna. Di tale Sapienza ogni uomo è reso partecipe dallo stesso gesto creatore di Dio. Ed è solo nella fedeltà a questa alleanza che le famiglie di oggi saranno in grado di influire positivamente nella costruzione di un mondo più giusto e fraterno.

Gradualità e conversione

9. Alla ingiustizia originata dal peccato - profondamente penetrato anche nelle strutture del mondo di oggi - e che spesso ostacola la famiglia nella piena realizzazione di se stessa e dei suoi diritti fondamentali, dobbiamo tutti opporci con una conversione della mente e del cuore, seguendo Cristo Crocifisso nel rinnegamento del proprio egoismo: una simile conversione non potrà non avere influenza benefica e rinnovatrice anche sulle strutture della società.

E' richiesta una conversione continua, permanente, che, pur esigendo l'interiore distacco da ogni male e l'adesione al bene nella sua pienezza, si attua però concretamente in passi che conducono sempre oltre. Si sviluppa così un processo dinamico, che avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio e delle esigenze del suo amore definitivo ed assoluto nell'intera vita personale e sociale dell'uomo. E' perciò necessario un cammino pedagogico di crescita affinché i singoli fedeli, le famiglie ed i popoli, anzi la stessa civiltà, da ciò che hanno già accolto del Mistero di Cristo siano pazientemente condotti oltre, giungendo ad una conoscenza più ricca e ad una integrazione più piena di questo Mistero nella loro vita.

Inculturazione

10. E' conforme alla costante tradizione della Chiesa accogliere dalle culture dei popoli tutto ciò che è in grado di meglio esprimere le inesauribili ricchezze di Cristo (cfr. Ef 3,8; «Gaudium et Spes», 15 e 22). Solo col concorso di tutte le culture, tali ricchezze potranno manifestarsi sempre più chiaramente e la Chiesa potrà camminare verso una conoscenza ogni giorno più completa e profonda della verità, che già le è stata donata interamente dal suo Signore.

Tenendo fisso il duplice principio della compatibilità col Vangelo delle varie culture da assumere e della comunione con la Chiesa universale, si dovrà proseguire nello studio, particolarmente da parte delle Conferenze Episcopali e dei Dicasteri competenti della Curia Romana, e nell'impegno pastorale perché questa «inculturazione» della fede cristiana avvenga sempre più ampiamente, anche nell'ambito del matrimonio e della famiglia.

E' mediante l'«inculturazione» che si cammina verso la ricostituzione piena dell'alleanza con la Sapienza di Dio, che è Cristo stesso. La Chiesa intera sarà arricchita anche da quelle culture che, pur essendo prive di tecnologia, sono cariche di saggezza umana e vivificate da profondi valori morali.

Perché sia chiara la meta di questo cammino, e di conseguenza, sicuramente indicata la strada, il Sinodo ha, in primo luogo, giustamente considerato a fondo il progetto originario di Dio circa il matrimonio e la famiglia: ha voluto «ritornare al principio», in ossequio all'insegnamento di Cristo (cfr. Mt 19,4ss).

PARTE SECONDA

IL DISEGNO DI DIO SUL MATRIMONIO E SULLA FAMIGLIA

L'uomo immagine di Dio Amore

11. Dio ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza (cfr. Gen 1,26s): chiamandolo all'esistenza per amore, l'ha chiamato nello stesso tempo all'amore.

Dio è amore (1Gv 4,8) e vive in se stesso un mistero di comunione personale d'amore. Creandola a sua immagine e continuamente conservandola nell'essere, Dio iscrive nell'umanità dell'uomo e della donna la vocazione, e quindi la capacità e la responsabilità dell'amore e della comunione (cfr. «Gaudium et Spes», 12). L'amore è, pertanto, la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano.

In quanto spirito incarnato, cioè anima che si esprime nel corpo e corpo informato da uno spirito immortale, l'uomo è chiamato all'amore in questa sua totalità unificata. L'amore abbraccia anche il corpo umano e il corpo è reso partecipe dell'amore spirituale.

La Rivelazione cristiana conosce due modi specifici di realizzare la vocazione della persona umana, nella sua interezza, all'amore: il Matrimonio e la Verginità. Sia l'uno che l'altra nella forma loro propria, sono una concretizzazione della verità più profonda dell'uomo, del suo «essere ad immagine di Dio».

Di conseguenza la sessualità, mediante la quale l'uomo e la donna si donano l'uno all'altra con gli atti propri ed esclusivi degli sposi, non è affatto qualcosa di puramente biologico, ma riguarda l'intimo nucleo della persona umana come tale. Essa si realizza in modo veramente umano, solo se è parte integrale dell'amore con cui l'uomo e la donna si impegnano totalmente l'uno verso l'altra fino alla morte. La donazione fisica totale sarebbe menzogna se non fosse segno e frutto della donazione personale totale, nella quale tutta la persona, anche nella sua dimensione temporale, è presente: se la persona si riservasse qualcosa o la possibilità di decidere altrimenti per il futuro, già per questo essa non si donerebbe totalmente.

Questa totalità, richiesta dall'amore coniugale, corrisponde anche alle esigenze di una fecondità responsabile, la quale, volta come è a generare un essere umano, supera per sua natura l'ordine puramente biologico, ed investe un insieme di valori personali, per la cui armoniosa crescita è necessario il perdurante e concorde contributo di entrambi i genitori.

Il «luogo» unico, che rende possibile questa donazione secondo l'intera sua verità, è il matrimonio, ossia il patto di amore coniugale o scelta cosciente e libera, con la quale l'uomo e la donna accolgono l'intima comunità di vita e d'amore, voluta da Dio stesso (cfr. «Gaudium et Spes», 48), che solo in questa luce manifesta il suo vero significato. L'istituzione matrimoniale non è una indebita ingerenza della società o dell'autorità, ne l'imposizione estrinseca di una forma, ma esigenza interiore del patto d'amore coniugale che pubblicamente si afferma come unico ed esclusivo perché sia vissuta così la piena fedeltà al disegno di Dio Creatore. Questa fedeltà, lungi dal mortificare la libertà della persona, la pone al sicuro da ogni soggettivismo e relativismo, la fa partecipe della Sapienza creatrice.

Il matrimonio e la comunione tra Dio e gli uomini

12. La comunione d'amore tra Dio e gli uomini, contenuto fondamentale della Rivelazione e dell'esperienza di fede di Israele, trova una significativa espressione nell'alleanza sponsale, che si instaura tra l'uomo e la donna.

E' per questo che la parola centrale della Rivelazione, «(Dio ama il suo popolo», viene pronunciata anche attraverso le parole vive e concrete con cui l'uomo e la donna si dicono il loro amore coniugale. Il loro vincolo di amore diventa l'immagine e il simbolo dell'Alleanza che unisce Dio e il suo popolo (cfr. ad es. Os 2,21; Ger 3,6-13; Is 54). E lo stesso peccato, che può ferire il patto coniugale diventa immagine dell'infedeltà del popolo al suo Dio: l'idolatria e prostituzione (cfr. Ez 16,25), l'infedeltà è adulterio, la disobbedienza alla legge e abbandono dell'amore sponsale del Signore. Ma l'infedeltà di Israele non distrugge la fedeltà eterna del Signore e, pertanto, l'amore sempre fedele di Dio si pone come esemplare delle relazioni di amore fedele che devono esistere tra gli sposi (cfr. Os 3).

Gesù Cristo, sposo della Chiesa, e il Sacramento del matrimonio

13. La comunione tra Dio e gli uomini trova il suo compimento definitivo in Gesù Cristo, lo Sposo che ama e si dona come Salvatore dell'umanità, unendola a Sé come suo corpo.

Egli rivela la verità originaria del matrimonio, la verità del «principio» (cfr. Gen 2,24; Mt 19,5) e, liberando l'uomo dalla durezza del cuore, lo rende capace di realizzarla interamente.

Questa rivelazione raggiunge la sua pienezza definitiva nel dono d'amore che il Verbo di Dio fa all'umanità assumendo la natura umana, e nel sacrificio che Gesù Cristo fa di se stesso sulla Croce per la sua Sposa, la Chiesa. In questo sacrificio si svela interamente quel disegno che Dio ha impresso nell'umanità dell'uomo e della donna, fin dalla loro creazione (cfr. Ef 5,32s); il matrimonio dei battezzati diviene così il simbolo reale della nuova ed eterna Alleanza, sancita nel sangue di Cristo. Lo Spirito, che il Signore effonde, dona il cuore nuovo e rende l'uomo e la donna capaci di amarsi, come Cristo ci ha amati. L'amore coniugale raggiunge quella pienezza a cui è interiormente ordinato, la carità coniugale, che è il modo proprio e specifico con cui gli sposi partecipano e sono chiamati a vivere la carità stessa di Cristo che si dona sulla Croce.

In una pagina meritatamente famosa, Tertulliano ha ben espresso la grandezza di questa vita coniugale in Cristo e la sua bellezza: «Come sarò capace di esporre la felicità di quel matrimonio che la Chiesa unisce, l'offerta eucaristica conferma, la benedizione suggella, gli angeli annunciano e il Padre ratifica?... Quale giogo quello di due fedeli uniti in un'unica speranza, in un'unica osservanza, in un'unica servitù! Sono tutt'e due fratelli e tutt'e due servono insieme; non vi è nessuna divisione quanto allo spirito e quanto alla carne. Anzi sono veramente due in una sola carne e dove la carne è unica, unico è lo spirito» (Tertulliano «Ad uxorem», II; VIII, 6-8: CCL I, 393).

Accogliendo e meditando fedelmente la Parola di Dio, la Chiesa ha solennemente insegnato ed insegna che il matrimonio dei battezzati è uno dei sette sacramenti della Nuova Alleanza (cfr. Conc. Ecum. Trident., Sessio XXIV, can. 1: I. D. Mansi, «Sacrorum Conciliorum Nova et Amplissima Collectio», 33, 149s).

Infatti, mediante il battesimo, l'uomo e la donna sono definitivamente inseriti nella Nuova ed Eterna Alleanza, nell'Alleanza sponsale di Cristo con la Chiesa. Ed è in ragione di questo indistruttibile inserimento che l'intima comunità di vita e di amore coniugale fondata dal Creatore (cfr. «Gaudium et Spes», 48), viene elevata ed assunta nella carità sponsale del Cristo, sostenuta ed arricchita dalla sua forza redentrice.

In virtù della sacramentalità del loro matrimonio, gli sposi sono vincolati l'uno all'altra nella maniera più profondamente indissolubile. La loro reciproca appartenenza è la rappresentazione reale, per il tramite del segno sacramentale, del rapporto stesso di Cristo con la Chiesa.

Gli sposi sono pertanto il richiamo permanente per la Chiesa di ciò che è accaduto sulla Croce; sono l'uno per l'altra e per i figli, testimoni della salvezza, di cui il sacramento li rende partecipi. Di questo evento di salvezza il matrimonio, come ogni sacramento è memoriale, attualizzazione e profezia: «in quanto memoriale, il sacramento dà loro la grazia e il dovere di fare memoria delle grandi opere di Dio e di darne testimonianza presso i loro figli; in quanto attualizzazione, dà loro la grazia e il dovere di mettere in opera nel presente, l'uno verso l'altra e verso i figli, le esigenze di un amore che perdona e che redime; in quanto profezia, dà loro la grazia e il dovere di vivere e di testimoniare la speranza del futuro incontro con Cristo» (Giovanni Paolo PP. II, Discorso ai Delegati del «Centre de Liaison des Equipes de Recherche», 3 [3 Novembre 1979]: «Insegnamenti di Giovanni Paolo II», II, 2 [1979] 1032).

Come ciascuno dei sette sacramenti, anche il matrimonio è un simbolo reale dell'evento della salvezza, ma a modo proprio. «Gli sposi vi partecipano in quanto sposi, in due, come coppia, a tal punto che l'effetto primo ed immediato del matrimonio (res et sacramentum) non è la grazia soprannaturale stessa, ma il legame coniugale cristiano, una comunione a due tipicamente cristiana perché rappresenta il mistero dell'Incarnazione del Cristo e il suo mistero di Alleanza. E il contenuto della partecipazione alla vita del Cristo è anch'esso specifico: l'amore coniugale comporta una totalità in cui entrano tutte le componenti della persona - richiamo del corpo e dell'istinto, forza del sentimento e dell'affettività, aspirazione dello spirito e della volontà -; esso mira ad una unità profondamente personale, quella che, al di là dell'unione in una sola carne, conduce a non fare che un cuor solo e un'anima sola: esso esige l'indissolubilità e la fedeltà della donazione reciproca definitiva e si apre sulla fecondità (cfr. Paolo PP. VI «Humanae Vitae», 9). In una parola, si tratta di caratteristiche normali di ogni amore coniugale naturale, ma con un significato nuovo che non solo le purifica e le consolida, ma le eleva al punto di farne l'espressione di valori propriamente cristiani» (Giovanni Paolo PP. II, Discorso ai Delegati del «Centre de Liaison des Equipes de Recherche», 4 [3 Novembre 1979]: «Insegnamenti di Giovanni Paolo II», II, 2 [1979] 1032).

I figli, preziosissimo dono del matrimonio

14. Secondo il disegno di Dio, il matrimonio è il fondamento della più ampia comunità della famiglia, poiché l'istituto stesso del matrimonio e l'amore coniugale sono ordinati alla procreazione ed educazione della prole, in cui trovano il loro coronamento (cfr. «Gaudium et Spes», 50).

Nella sua realtà più profonda, l'amore è essenzialmente dono e l'amore coniugale, mentre conduce gli sposi alla reciproca «conoscenza» che li fa «una carne sola» (cfr. Gen 2,24), non si esaurisce all'interno della coppia, poiché li rende capaci della massima donazione possibile, per la quale diventano cooperatori con Dio per il dono della vita ad una nuova persona umana. Così i coniugi, mentre si donano tra loro, donano al di là di se stessi la realtà del figlio, riflesso vivente del loro amore, segno permanente della unità coniugale e sintesi viva ed indissociabile del loro essere padre e madre.

Divenendo genitori, gli sposi ricevono da Dio il dono di una nuova responsabilità. Il loro amore parentale è chiamato a divenire per i figli il segno visibile dello stesso amore di Dio, «dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome» (Ef 3,15).

Non si deve, tuttavia, dimenticare che anche quando la procreazione non è possibile, non per questo la vita coniugale perde il suo valore. La sterilità fisica infatti può essere occasione per gli sposi di altri servizi importanti alla vita della persona umana, quali ad esempio l'adozione, le varie forme di opere educative, l'aiuto ad altre famiglie, ai bambini poveri o handicappati.

La famiglia, comunione di persone

15. Nel matrimonio e nella famiglia si costituisce un complesso di relazioni interpersonali - nuzialità, paternità-maternità, filiazione, fraternità -, mediante le quali ogni persona umana è introdotta nella «famiglia umana» e nella «famiglia di Dio», che è la Chiesa.

Il matrimonio e la famiglia cristiani edificano la Chiesa: nella famiglia, infatti, la persona umana non solo viene generata e progressivamente introdotta, mediante l'educazione, nella comunità umana, ma mediante la rigenerazione del battesimo e l'educazione alla fede, essa viene introdotta anche nella famiglia di Dio, che è la Chiesa.

La famiglia umana, disgregata dal peccato, è ricostituita nella sua unità dalla forza redentrice della morte e risurrezione di Cristo (cfr. «Gaudium et Spes», 78). Il matrimonio cristiano, partecipe dell'efficacia salvifica di questo avvenimento, costituisce il luogo naturale nel quale si compie l'inserimento della persona umana nella grande famiglia della Chiesa.

Il mandato di crescere e moltiplicarsi, rivolto in principio all'uomo e alla donna, raggiunge in questo modo la sua intera verità e la sua piena realizzazione.

La Chiesa trova così nella famiglia, nata dal sacramento, la sua culla e il luogo nel quale essa può attuare il proprio inserimento nelle generazioni umane, e queste, reciprocamente, nella Chiesa.

Matrimonio e verginità

16. La verginità e il celibato per il Regno di Dio non solo non contraddicono alla dignità del matrimonio, ma la presuppongono e la confermano. Il matrimonio e la verginità sono i due modi di esprimere e di vivere l'unico Mistero dell'Alleanza di Dio con il suo popolo. Quando non si ha stima del matrimonio, non può esistere neppure la verginità consacrata; quando la sessualità umana non è ritenuta un grande valore donato dal Creatore, perde significato il rinunciarvi per il Regno dei Cieli.

Dice infatti assai giustamente san Giovanni Crisostomo: «Chi condanna il matrimonio priva anche la verginità della gloria: chi invece lo loda, rende la verginità più ammirabile, e splendente. Ciò che appare un bene soltanto a paragone di un male, non è poi un grande bene; ma ciò che è ancora migliore di beni universalmente riconosciuti tali, è certamente un bene al massimo grado» (San Giovanni Crisostomo, «La Verginità», X: PG 48,540).

Nella verginità l'uomo è in attesa, anche corporalmente, delle nozze escatologiche di Cristo con la Chiesa, donandosi integralmente alla Chiesa nella speranza che Cristo si doni a questa nella piena verità della vita eterna. La persona vergine anticipa così nella sua carne il mondo nuovo della risurrezione futura (cfr. Mt 22,30).

In forza di questa testimonianza, la verginità tiene viva nella Chiesa la coscienza del mistero del matrimonio e lo difende da ogni riduzione e da ogni impoverimento.

Rendendo libero in modo speciale il cuore dell'uomo (cfr. 1Cor 7,32-35), «così da accenderlo maggiormente di carità verso Dio e verso tutti gli uomini» («Perfectae Caritatis», 12), la verginità testimonia che il Regno di Dio e la sua giustizia sono quella perla preziosa che va preferita ad ogni altro valore sia pure grande, e va anzi cercato come l'unico valore definitivo. E' per questo che la Chiesa, durante tutta la sua storia, ha sempre difeso la superiorità di questo carisma nei confronti di quello del matrimonio, in ragione del legame del tutto singolare che esso ha con il Regno di Dio (cfr. Pio XII, «Sacra Virginitas», II: AAS 46 [1954] 174ss).

Pur avendo rinunciato alla fecondità fisica, la persona vergine diviene spiritualmente feconda, padre e madre di molti, cooperando alla realizzazione della famiglia secondo il disegno di Dio.

Gli sposi cristiani hanno perciò il diritto di aspettarsi dalle persone vergini il buon esempio e la testimonianza della fedeltà alla loro vocazione fino alla morte. Come per gli sposi la fedeltà diventa talvolta difficile ed esige sacrificio, mortificazione e rinnegamento di sé, così può avvenire anche per le persone vergini. La fedeltà di queste, anche nella prova eventuale, deve edificare la fedeltà di quelli (cfr. Giovanni Paolo PP. II, «Novo Incipiente», 9 [8 Aprile 1979]: AAS 71 [1979], 410s).

Queste riflessioni sulla verginità possono illuminare ed aiutare coloro che, per motivi indipendenti dalla loro volontà, non hanno potuto sposarsi ed hanno poi accettato la loro situazione in spirito di servizio.

PARTE TERZA

I COMPITI DELLA FAMIGLIA CRISTIANA

Famiglia diventa ciò che sei!

17. Nel disegno di Dio Creatore e Redentore la famiglia scopre non solo la sua «identità», ciò che essa «è», ma anche la sua «missione)», ciò che essa può e deve «fare». I compiti, che la famiglia è chiamata da Dio a svolgere nella storia, scaturiscono dal suo stesso essere e ne rappresentano lo sviluppo dinamico ed esistenziale. Ogni famiglia scopre e trova in se stessa l'appello insopprimibile, che definisce ad un tempo la sua dignità e la sua responsabilità: famiglia, «diventa» ciò che «sei»!

Risalire al «principio» del gesto creativo di Dio è allora una necessità per la famiglia, se vuole conoscersi e realizzarsi secondo l'interiore verità non solo del suo essere ma anche del suo agire storico. E poiché, secondo il disegno divino, è costituita quale «intima comunità di vita e di amore («Gaudium et Spes», 48), la famiglia ha la missione di diventare sempre più quello che è, ossia comunità di vita e di amore, in una tensione che, come per ogni realtà creata e redenta troverà il suo componimento nel Regno di Dio. In una prospettiva poi che giunge alle radici stesse della realtà, si deve dire che l'essenza e i compiti della famiglia sono ultimamente definiti dall'amore. Per questo la famiglia riceve la missione di custodire, rivelare e comunicare l'amore, quale riflesso vivo e reale partecipazione dell'amore di Dio per l'umanità e dell'amore di Cristo Signore per la Chiesa sua sposa.

Ogni compito particolare della famiglia è l'espressione e l'attuazione concreta di tale missione fondamentale. E' necessario pertanto penetrare più a fondo nella singolare ricchezza della missione della famiglia e scandagliarne i molteplici ed unitari contenuti.

In tal senso, partendo dall'amore e in costante riferimento ad esso, il recente Sinodo ha messo in luce quattro compiti generali della famiglia:

1) la formazione di una comunità di persone;

2) il servizio alla vita;

3) la partecipazione allo sviluppo della società;

4) la partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa.

I. La formazione di una comunità di persone

L'amore, principio e forza della comunione

18. La famiglia fondata e vivificata dall'amore, è una comunità di persone: dell'uomo e della donna sposi, dei genitori e dei figli, dei parenti. Suo primo compito è di vivere fedelmente la realtà della comunione nell'impegno costante di sviluppare un'autentica comunità di persone.

Il principio interiore, la forza permanente e la meta ultima di tale compito è l'amore: come, senza l'amore, la famiglia non è una comunità di persone, così senza l'amore, la famiglia non può vivere, crescere e perfezionarsi come comunità di persone. Quanto ho scritto nell'enciclica «Redemptor Hominis» trova la sua originaria e privilegiata applicazione proprio nella famiglia come tale: «L'uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l'amore, se non si incontra con l'amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente» (num. 10).

L'amore tra l'uomo e la donna nel matrimonio e, in forma derivata ed allargata, l'amore tra i membri della stessa famiglia - tra genitori e figli tra fratelli e sorelle, tra parenti e familiari - è animato e sospinto da un interiore e incessante dinamismo, che conduce la famiglia ad una comunione sempre più profonda ed intensa, fondamento e anima della comunità coniugale e familiare.

L'indivisibile unità della comunione coniugale

19. La prima comunione è quella che si instaura e si sviluppa tra i coniugi: in forza del patto d'amore coniugale, l'uomo e la donna «non sono più due, ma una carne sola» (Mt 19,6; cfr. Gen 2,24) e sono chiamati a crescere continuamente nella loro comunione attraverso la fedeltà quotidiana alla promessa matrimoniale del reciproco dono totale.

Questa comunione coniugale affonda le sue radici nella naturale complementarietà che esiste tra l'uomo e la donna, e si alimenta mediante la volontà personale degli sposi di condividere l'intero progetto di vita, ciò che hanno e ciò che sono: perciò tale comunione è il frutto e il segno di una esigenza profondamente umana. Ma in Cristo Signore, Dio assume questa esigenza umana, la conferma, la purifica e la eleva, conducendola a perfezione col sacramento del matrimonio: lo Spirito Santo effuso nella celebrazione sacramentale offre agli sposi cristiani il dono di una comunione nuova d'amore che è immagine viva e reale di quella singolarissima unità, che fa della Chiesa l'indivisibile Corpo mistico del Signore Gesù.

Il dono dello Spirito è comandamento di vita per gli sposi cristiani, ed insieme stimolante impulso affinché ogni giorno progrediscano verso una sempre più ricca unione tra loro a tutti i livelli - dei corpi dei caratteri, dei cuori, delle intelligenze, e delle volontà, delle anime (cfr. Giovanni Paolo PP. II, Discorso agli Sposi, 4 [Kinshasa, 3 maggio 1980]: AAS 72 [1980], 426s), - rivelando così alla Chiesa e al mondo la nuova comunione d'amore, donata dalla grazia di Cristo.

Una simile comunione viene radicalmente contraddetta dalla poligamia: questa, infatti, nega in modo diretto il disegno di Dio quale ci viene rivelato alle origini, perché è contraria alla pari dignità personale dell'uomo e della donna, che nel matrimonio si donano con un amore totale e perciò stesso unico ed esclusivo. Come scrive il Concilio Vaticano II: «L'unità del matrimonio confermata dal Signore appare in maniera lampante anche dalla uguale dignità personale sia dell'uomo che della donna, che deve essere riconosciuta nel mutuo e pieno amore» («Gaudium et Spes», 49; cfr. Giovanni Paolo PP. II, Discorso agli Sposi, 4 [Kinshasa, 3 maggio 1980]; l. c.).

Una comunione indissolubile

20. La comunione coniugale si caratterizza non solo per la sua unità, ma anche per la sua indissolubilità: «Questa intima unione, in quanto mutua donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l'indissolubile unità» («Gaudium et Spes», 48).

E' dovere fondamentale della Chiesa riaffermare con forza - come hanno fatto i Padri del Sinodo - la dottrina dell'indissolubilità del matrimonio: a quanti, ai nostri giorni, ritengono difficile o addirittura impossibile legarsi ad una persona per tutta la vita e a quanti sono travolti da una cultura che rifiuta l'indissolubilità matrimoniale e che deride apertamente l'impegno degli sposi alla fedeltà, è necessario ribadire il lieto annuncio della definitività di quell'amore coniugale, che ha in Gesù Cristo il suo fondamento e la sua forza (cfr. Ef 5,25).

Radicata nella personale e totale donazione dei coniugi e richiesta dal bene dei figli, l'indissolubilità del matrimonio trova la sua verità ultima nel disegno che Dio ha manifestato nella sua Rivelazione. Egli vuole e dona l'indissolubilità matrimoniale come frutto, segno ed esigenza dell'amore assolutamente fedele che Dio ha per l'uomo e che il Signore Gesù vive verso la sua Chiesa.

Cristo rinnova il primitivo disegno che il Creatore ha iscritto nel cuore dell'uomo e della donna, e nella celebrazione del sacramento del matrimonio offre un «cuore nuovo»: così i coniugi non solo possono superare la «durezza del cuore» (Mt 19,8), ma anche e soprattutto possono condividere l'amore pieno e definitivo di Cristo, nuova ed eterna Alleanza fatta carne. Come il Signore Gesù è il «testimone fedele» (Ap 3,14), è il «sì» delle promesse di Dio (cfr. 2Cor 1,20) e quindi la realizzazione suprema dell'incondizionata fedeltà con cui Dio ama il suo popolo, così i coniugi cristiani sono chiamati a partecipare realmente all'indissolubilità irrevocabile, che lega Cristo alla Chiesa sua sposa, da Lui amata sino alla fine (cfr. Gc 13,1).

Il dono del sacramento è nello stesso tempo vocazione e comandamento per gli sposi cristiani, perché rimangano tra loro fedeli per sempre, al di là di ogni prova e difficoltà, in generosa obbedienza alla santa volontà del Signore: «Quello che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi» (Mt 19,6).

Testimoniare l'inestimabile valore dell'indissolubilità e della fedeltà matrimoniale è uno dei doveri più preziosi e più urgenti delle coppie cristiane del nostro tempo. Per questo, insieme con tutti i confratelli che hanno preso parte al Sinodo dei Vescovi, lodo e incoraggio tutte quelle numerose coppie che, pur incontrando non lievi difficoltà, conservano e sviluppano il bene dell'indissolubilità: assolvono così, in modo umile e coraggioso, il compito loro affidato di essere nel mondo un «segno» - un piccolo e prezioso segno, talvolta sottoposto anche a tentazione, ma sempre rinnovato - dell'instancabile fedeltà con cui Dio e Gesù Cristo amano tutti gli uomini ed ogni uomo. Ma è doveroso anche riconoscere il valore della testimonianza di quei coniugi che, pur essendo stati abbandonati dal partner, con la forza della fede e della speranza cristiana non sono passati ad una nuova unione: anche questi coniugi danno un'autentica testimonianza di fedeltà, di cui il mondo oggi ha grande bisogno. Per tale motivo devono essere incoraggiati e aiutati dai pastori e dai fedeli della Chiesa.

La più ampia comunione della famiglia

21. La comunione coniugale costituisce il fondamento sul quale si viene edificando la più ampia comunione della famiglia, dei genitori e dei figli, dei fratelli e delle sorelle tra loro, dei parenti e di altri familiari.

Tale comunione si radica nei legami naturali della carne e del sangue, e si sviluppa trovando il suo perfezionamento propriamente umano nell'instaurarsi e nel maturare dei legami ancora più profondi e ricchi dello spirito: l'amore, che anima i rapporti interpersonali dei diversi membri della famiglia, costituisce la forza interiore che plasma e vivifica la comunione e la comunità familiare.

La famiglia cristiana è poi chiamata a fare l'esperienza di una nuova e originale comunione, che conferma e perfeziona quella naturale e umana. In realtà, la grazia di Gesù Cristo, «il Primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29), è per sua natura e interiore dinamismo una «grazia di fraternità», come la chiama san Tommaso d'Aquino («Summa Theologiae», II· II··, 14, 2, ad 4). Lo Spirito Santo, effuso nella celebrazione dei sacramenti, è la radice viva e l'alimento inesauribile della soprannaturale comunione che raccoglie e vincola i credenti con Cristo e tra loro nell'unità della Chiesa di Dio. Una rivelazione e attuazione specifica della comunione ecclesiale è costituita dalla famiglia cristiana, che anche per questo può e deve dirsi «Chiesa domestica» («Lumen Gentium», 11; cfr. «Apostolicam Actuositatem», 11).

Tutti i membri della famiglia, ognuno secondo il proprio dono, hanno la grazia e la responsabilità di costruire, giorno per giorno, la comunione delle persone, facendo della famiglia una «scuola di umanità più completa e più ricca»: («Gaudium et Spes», 52) è quanto avviene con la cura e l'amore verso i piccoli, gli ammalati e gli anziani; col servizio reciproco di tutti i giorni; con la condivisione dei beni, delle gioie e delle sofferenze.

Un momento fondamentale per costruire una simile comunione è costituito dallo scambio educativo tra genitori e figli (cfr. Ef 6,1-4; Col 3,20s), nel quale ciascuno dà e riceve. Mediante l'amore, il rispetto, l'obbedienza verso i genitori, i figli portano il loro specifico e insostituibile contributo all'edificazione di una famiglia autenticamente umana e cristiana («Gaudium et Spes», 48). In questo saranno facilitati, se i genitori eserciteranno la loro irrinunciabile autorità come un vero e proprio «ministero», ossia come un servizio ordinato al bene umano e cristiano dei figli, e in particolare ordinato a far loro acquistare una libertà veramente responsabile, e se i genitori manterranno viva la coscienza del «dono», che continuamente ricevono dai figli.

La comunione familiare può essere conservata e perfezionata solo con un grande spirito di sacrificio. Esige, infatti, una pronta e generosa disponibilità di tutti e di ciascuno alla comprensione, alla tolleranza, al perdono, alla riconciliazione. Nessuna famiglia ignora come l'egoismo, il disaccordo, le tensioni, i conflitti aggrediscano violentemente e a volte colpiscano mortalmente la propria comunione: di qui le molteplici e varie forme di divisione nella vita familiare. Ma, nello stesso tempo, ogni famiglia è sempre chiamata dal Dio della pace a fare l'esperienza gioiosa e rinnovatrice della «riconciliazione» cioè della comunione ricostruita, dell'unità ritrovata. In particolare la partecipazione al sacramento della riconciliazione e al banchetto dell'unico Corpo di Cristo offre alla famiglia cristiana la grazia e la responsabilità di superare ogni divisione e di camminare verso la piena verità della comunione voluta da Dio, rispondendo così al vivissimo desiderio del Signore: che «tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21).

Diritti e compiti della donna

22. In quanto è, e deve sempre diventare, comunione e comunità di persone, la famiglia trova nell'amore la sorgente e la spinta incessante per accogliere, rispettare e promuovere ciascuno dei suo membri nell'altissima dignità di persone, e cioè di immagini viventi di Dio. Come hanno giustamente affermato i Padri Sinodali, il criterio morale dell'autenticità delle relazioni coniugali e familiari consiste nella promozione della dignità e vocazione delle singole persone, le quali si ritrovano nella loro pienezza mediante il dono sincero di se stesse (cfr. «Gaudium et Spes», 24).

In questa prospettiva, il Sinodo ha voluto riservare una privilegiata attenzione alla donna, ai suoi diritti e compiti nella famiglia e nella società. Nella stessa prospettiva vanno considerati anche l'uomo come sposo e padre, il bambino e gli anziani.

Della donna è da rilevare, anzitutto, l'eguale dignità e responsabilità rispetto all'uomo: tale uguaglianza trova una singolare forma di realizzazione nella reciproca donazione di sé all'altro e di ambedue ai figli, propria del matrimonio e della famiglia. Quanto la stessa ragione umana intuisce e riconosce, viene rivelato in pienezza dalla Parola di Dio: la storia della salvezza, infatti, è una continua e luminosa testimonianza della dignità della donna.

Creando l'uomo «maschio e femmina (Gen 1,27), Dio dona la dignità personale in eguale modo all'uomo e alla donna, arricchendoli dei diritti inalienabili e delle responsabilità che sono proprie della persona umana. Dio poi manifesta nella forma più alta possibile la dignità della donna assumendo Egli stesso la carne umana da Maria Vergine che la Chiesa onora come Maria Madre di Dio, chiamandola nuova Eva e proponendola come modello della donna redenta. Il delicato rispetto di Gesù verso le donne che ha chiamato alla sua sequela ed alla sua amicizia, la sua apparizione il mattino di Pasqua ad una donna prima che agli altri discepoli, la missione affidata alle donne di portare la buona novella della Resurrezione agli apostoli, sono tutti segni che confermano la stima speciale del Signore Gesù verso la donna. Dirà l'apostolo Paolo: «Tutti voi siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù... Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo ne donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù)» (Gal 3,26.28).

Donna e società

23. Senza entrare ora a trattare nei suoi vari aspetti l'ampio e complesso tema dei rapporti donna-società, ma limitando il discorso ad alcuni rilievi essenziali, non si può non osservare come nel campo più specificamente familiare un'ampia e diffusa tradizione sociale e culturale abbia voluto riservare alla donna solo il compito di sposa e madre, senza aprirla adeguatamente ai compiti pubblici, in genere riservati all'uomo.

Non c'è dubbio che l'uguale dignità e responsabilità dell'uomo e della donna giustifichino pienamente l'accesso della donna ai compiti pubblici. D'altra parte la vera promozione della donna esige pure che sia chiaramente riconosciuto il valore del suo compito materno e familiare nei confronti di tutti gli altri compiti pubblici e di tutte le altre professioni. Del resto, tali compiti e professioni devono tra loro integrarsi se si vuole che l'evoluzione sociale e culturale sia veramente e pienamente umana.

Ciò risulterà più facile se, come il Sinodo ha auspicato, una rinnovata «teologia del lavoro» porrà in luce e approfondirà il significato del lavoro nella vita cristiana e determinerà il fondamentale legame che esiste tra il lavoro e la famiglia, e, di conseguenza, il significato originale ed insostituibile del lavoro della casa e dell'educazione dei figli («Laborem Exercens», 19). Pertanto la Chiesa può e deve aiutare la società attuale, chiedendo instancabilmente che sia da tutti riconosciuto e onorato nel suo valore insostituibile il lavoro della donna in casa. Ciò è di particolare importanza nell'opera educativa: viene eliminata, infatti, la radice stessa della possibile discriminazione tra i diversi lavori e professioni, una volta che risulti chiaramente come tutti, in ogni campo, si impegnino con identico diritto e con identica responsabilità. Apparirà così più splendida l'immagine di Dio nell'uomo e nella donna.

Se dev'essere riconosciuto anche alle donne, come agli uomini, il diritto di accedere ai diversi compiti pubblici, la società deve però strutturarsi in maniera tale che le spose e le madri non siano difatto costrette a lavorare fuori casa e che le loro famiglie possano dignitosamente vivere e prosperare, anche se esse si dedicano totalmente alla propria famiglia.

Si deve inoltre superare la mentalità secondo la quale l'onore della donna deriva più dal lavoro esterno che dall'attività familiare. Ma ciò esige che gli uomini stimino ed amino veramente la donna con ogni rispetto della sua dignità personale, e che la società crei e sviluppi le condizioni adatte per il lavoro domestico.

La Chiesa, col dovuto rispetto per la diversa vocazione dell'uomo e della donna, deve promuovere nella misura del possibile nella sua stessa vita la loro uguaglianza di diritti e di dignità: e questo per il bene di tutti, della famiglia, della società e della Chiesa.

E' evidente però che tutto questo significa per la donna non la rinuncia alla sua femminilità né l'imitazione del carattere maschile, ma la pienezza della vera umanità femminile quale deve esprimersi nel suo agire, sia in famiglia sia al di fuori di essa, senza peraltro dimenticare in questo campo la varietà dei costumi e delle culture.

Offese alla dignità della donna

24. Purtroppo il messaggio cristiano sulla dignità della donna viene contraddetto da quella persistente mentalità che considera l'essere umano non come persona, ma come cosa, come oggetto di compravendita, al servizio dell'interesse egoistico e del solo piacere: e prima vittima di tale mentalità è la donna.

Questa mentalità produce frutti assai amari, come il disprezzo dell'uomo e della donna, la schiavitù, l'oppressione dei deboli, la pornografia, la prostituzione - tanto più quando viene organizzata - e tutte quelle varie discriminazioni che si incontrano nell'ambito dell'educazione, della professione, della retribuzione del lavoro, ecc.

Inoltre, ancora oggi, in gran parte della nostra società, permangono molte forme di avvilente discriminazione che colpiscono ed offendono gravemente alcune categorie particolari di donne, come ad esempio, le spose che non hanno figli, le vedove, le separate, le divorziate, le madri-nubili.

Queste ed altre discriminazioni sono state deplorate dai Padri Sinodali con tutta la forza possibile: chiedo pertanto che da parte di tutti si svolga un'azione pastorale specifica più vigorosa ed incisiva, affinché esse siano definitivamente vinte, così da giungere alla stima piena dell'immagine di Dio che risplende in tutti gli essere umani, nessuno escluso.

L'uomo sposo e padre

25. Entro la comunione-comunità coniugale e familiare, l'uomo è chiamato a vivere il suo dono e compito di sposo e di padre.

Egli vede nella sposa il compiersi del disegno di Dio: «Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile» (Gen 2,18), e fa sua l'esclamazione di Adamo, il primo sposo: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa» (Ibid. 2,23).

L'autentico amore coniugale suppone ed esige che l'uomo porti profondo rispetto per l'eguale dignità della donna: «Non sei il suo padrone - scrive san Ambrogio - bensì il suo marito; non ti è stata data schiava, ma in moglie... Ricambia a lei le sue attenzioni verso di te e sii ad essa grato del suo amore» («Exameron», V,7,19: CSEL 32,I,154). Con la sposa l'uomo deve vivere «una forma tutta speciale di amicizia personale» (Paolo PP. VI, «Humanae Vitae», 9). Il cristiano poi è chiamato a sviluppare un atteggiamento di amore nuovo, manifestando verso la propria sposa la carità delicata e forte che Cristo ha per la Chiesa (cfr. Ef 5,25).

L'amore alla sposa diventata madre e l'amore ai figli sono per l'uomo la strada naturale per la comprensione e la realizzazione della sua paternità. Soprattutto là dove le condizioni sociali e culturali spingono facilmente il padre ad un certo disimpegno rispetto alla famiglia o comunque ad una sua minor presenza nell'opera educativa, è necessario adoperarsi perché si recuperi socialmente la convinzione che il posto e il compito del padre nella e per la famiglia sono di un'importanza unica e insostituibile (cfr. Giovanni Paolo PP. II, Omelia ai fedeli di Terni, 3-5 [19 Marzo 1981]: ASS 73 [1981], 268-271). Come l'esperienza insegna, l'assenza del padre provoca squilibri psicologici e morali e difficoltà notevoli nelle relazioni familiari, come pure, in circostanze opposte, la presenza oppressiva del padre, specialmente là dove e ancora in atto il fenomeno del «machismo», ossia della superiorità abusiva delle prerogative maschili che umiliano la donna e inibiscono lo sviluppo di sane relazioni familiari.

Rivelando e rivivendo in terra la stessa paternità di Dio (cfr. Ef 3,15), l'uomo è chiamato a garantire lo sviluppo unitario di tutti i membri della famiglia: assolverà a tale compito mediante una generosa responsabilità per la vita concepita sotto il cuore della madre, un impegno educativo più sollecito e condiviso con la propria sposa (cfr. «Gaudium et Spes», 52), un lavoro che non disgreghi mai la famiglia ma la promuova nella sua compattezza e stabilità, una testimonianza di vita cristiana adulta, che introduca più evidentemente i figli nell'esperienza viva di Cristo e della Chiesa.

I diritti del bambino

26. Nella famiglia, comunità di persone, deve essere riservata una specialissima attenzione al bambino, sviluppando una profonda stima per la sua dignità personale, come pure un grande rispetto ed un generoso servizio per i suoi diritti. Ciò vale di ogni bambino, ma acquista una singolare urgenza quanto più il bambino è piccolo e bisognoso di tutto, malato, sofferente o handicappato.

Sollecitando e vivendo una premura tenera e forte per ogni bambino che viene in questo mondo, la Chiesa adempie una sua fondamentale missione: è chiamata, infatti, a rivelare e a riproporre nella storia l'esempio e il comandamento di Cristo Signore, che ha voluto porre il bambino al centro del Regno di Dio: «Lasciate che i bambini vengano a me... perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio» (Lc 18,16; cfr. Mt 19,14; Mc 10,14).

Ripeto nuovamente quanto ho detto all'assemblea generale delle Nazioni Unite il 2 ottobre 1979: «Desidero... esprimere la gioia che per ognuno di noi costituiscono i bambini, primavera della vita, anticipo della storia futura di ognuna delle presenti patrie terrene. Nessun paese del mondo, nessun sistema politico può pensare al proprio avvenire se non attraverso l'immagine di queste nuove generazioni che dai loro genitori assumeranno il molteplice patrimonio dei valori, dei doveri e delle aspirazioni della nazione alla quale appartengono e di tutta la famiglia umana. La sollecitudine per il bambino ancora prima della sua nascita, dal primo momento della concezione e, in seguito, negli anni dell'infanzia e della giovinezza, è la primaria e fondamentale verifica della relazione dell'uomo all'uomo. E perciò, che cosa di più si potrebbe augurare a ogni nazione e a tutta l'umanità, a tutti i bambini del mondo se non quel migliore futuro in cui il rispetto dei diritti dell'uomo diventi piena realtà nelle dimensioni del duemila che si avvicina?» (2 Ottobre 1979).

L'accoglienza, l'amore, la stima, il servizio molteplice ed unitario - materiale, affettivo, educativo, spirituale - per ogni bambino che viene in questo mondo dovranno costituire sempre una nota distintiva irrinunciabile dei cristiani, in particolare delle famiglie cristiane: così i bambini, mentre potranno crescere «in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52), porteranno il loro prezioso contributo all'edificazione della comunità familiare e alla stessa santificazione dei genitori (cfr. «Gaudium et Spes», 48).

Gli anziani in famiglia

27. Ci sono culture che manifestano una singolare venerazione ed un grande amore per l'anziano: lungi dall'essere estromesso dalla famiglia o dall'essere sopportato come un peso inutile, l'anziano ridervi parte attiva e responsabile - pur dovendo rispettare l'autonomia della nuova famiglia - e soprattutto svolge la preziosa missione di testimone del passato e di ispiratore di saggezza per i giovani e per l'avvenire.

Altre culture, invece, specialmente in seguito ad un disordinato sviluppo industriale ed urbanistico, hanno condotto e continuano a condurre gli anziani a forme inaccettabili di emarginazione, che sono fonte ad un tempo di acute sofferenze per loro stessi e di impoverimento spirituale per tante famiglie.

E' necessario che l'azione pastorale della Chiesa stimoli tutti a scoprire e a valorizzare i compiti degli anziani nella comunità civile ed ecclesiale, e in particolare nella famiglia. In realtà, «la vita degli anziani ci aiuta a far luce sulla scala dei valori umani; fa vedere la continuità delle generazioni e meravigliosamente dimostra l'interdipendenza del Popolo di Dio. Gli anziani inoltre hanno il carisma di oltrepassare le barriere fra le generazioni, prima che queste insorgano. Quanti bambini hanno trovato comprensione e amore negli occhi, nelle parole e nelle carezze degli anziani! E quante persone anziane hanno volentieri sottoscritto le ispirate parole bibliche che «corona dei vecchi sono i figli dei figli» (Pr 17,6) (Giovanni Paolo PP. II Discorso ai partecipanti all'«International Forum on Active Aging» 5 [5 Settembre 1980]: «Insegnamenti di Giovanni Paolo II», III, 2 [1980] 539).

II. Il servizio della vita

1) La trasmissione della vita

Cooperatori dell'amore di Dio Creatore

28. Con la creazione dell'uomo e della donna a sua immagine e somiglianza, Dio corona e porta a perfezione l'opera delle sue mani: Egli li chiama ad una speciale partecipazione del suo amore ed insieme del suo potere di Creatore e di Padre, mediante la loro libera e responsabile cooperazione a trasmettere il dono della vita umana: «Dio li benedisse e disse loro: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela"» (Gen 1,28).

Così il compito fondamentale della famiglia è il servizio alla vita, il realizzare lungo la storia la benedizione originaria del Creatore, trasmettendo nella generazione l'immagine divina da uomo a uomo (cfr. ibid. 5,1ss).

La fecondità è il frutto e il segno dell'amore coniugale, la testimonianza viva della piena donazione reciproca degli sposi «II vero culto dell'amore coniugale e tutta la struttura familiare che ne nasce senza trascurare gli altri fini del matrimonio, a questo tendono, che i coniugi, con fortezza d'animo siano disposti a cooperare con l'amore del Creatore e del Salvatore, che attraverso di loro continuamente dilata e arricchisce la sua famiglia» («Gaudium et Spes», 50).

La fecondità dell'amore coniugale non si restringe però alla sola procreazione dei figli, sia pure intesa nella sua dimensione specificamente umana: si allarga e si arricchisce di tutti quei frutti di vita morale, spirituale e soprannaturale che il padre e la madre sono chiamati a donare ai figli e, mediante i figli, alla Chiesa e al mondo.

La dottrina e la norma sempre antiche e sempre nuove della Chiesa

29. Proprio perché l'amore dei coniugi è una singolare partecipazione al mistero della vita e dell'amore di Dio stesso, la Chiesa sa di aver ricevuto la missione speciale di custodire e di proteggere l'altissima dignità del matrimonio e la gravissima responsabilità della trasmissione della vita umana.

Così, in continuità con la tradizione viva della comunità ecclesiale lungo la storia, il recente Concilio Vaticano II e il magistero del mio predecessore Paolo VI, espresso soprattutto nell'enciclica «Humanae Vitae», hanno trasmesso ai nostri tempi un annuncio veramente profetico, che riafferma e ripropone con chiarezza la dottrina e la norma sempre antiche e sempre nuove della Chiesa sul matrimonio e sulla trasmissione della vita umana.

Per questo, nella loro ultima assemblea, i Padri Sinodali hanno testualmente dichiarato: «Questo Sacro Sinodo, riunito nell'unità della fede col successore di Pietro, fermamente mantiene ciò che nel Concilio Vaticano II (cfr. «Gaudium et Spes», 50) e, in seguito, nell'enciclica «Humanae Vitae» viene proposto, e in particolare che l'amore coniugale deve essere pienamente umano, esclusivo e aperto alla nuova vita (Propositio 22. La conclusione del n. 11 dell'enciclica «Humanae Vitae» così afferma: «Richiamando gli uomini all'osservanza delle norme della legge naturale interpreta dalla sua costante dottrina, la Chiesa insegna che qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita» AAS 60 [1968] 488).

La Chiesa sta dalla parte della vita

30. La dottrina della Chiesa si colloca oggi in una situazione sociale e culturale, che la rende ad un tempo più difficile da comprendere e più urgente ed insostituibile per promuovere il vero bene dell'uomo e della donna.

Infatti, il progresso scientifico-tecnico, che l'uomo contemporaneo accresce di continuo nel suo dominio sulla natura, non sviluppa solo la speranza di creare una nuova e migliore umanità, ma anche un'angoscia sempre più profonda circa il futuro. Alcuni si domandano se sia bene vivere o se non sia meglio neppure essere nati; dubitano, se sia lecito chiamare altri alla vita, i quali forse malediranno la propria esistenza in un mondo crudele, i cui terrori non sono neppure prevedibili. Altri pensano di essere gli unici destinatari dei vantaggi della tecnica ed escludono gli altri, ai quali vengono imposti mezzi contraccettivi o metodi ancor peggiori. Altri ancora, imprigionati come sono dalla mentalità consumistica e con l'unica preoccupazione di un continuo aumento di beni materiali, finiscono per non comprendere più e quindi per rifiutare la ricchezza spirituale di una nuova vita umana. La ragione ultima di queste mentalità è l'assenza, nel cuore degli uomini di Dio, il cui amore soltanto è più forte di tutte le possibile paure del mondo e le può vincere.

E' nata così una mentalità contro la vita (anti-life mentality), come emerge in molte questioni attuali: si pensi, ad esempio, a un certo panico derivato dagli studi degli ecologi e dei futurologi sulla demografia, che a volte esagerano il pericolo dell'incremento demografico per la qualità della vita.

Ma la Chiesa fermamente crede che la vita umana, anche se debole e sofferente, è sempre uno splendido dono del Dio della bontà. Contro il pessimismo e l'egoismo, che oscurano il mondo, la Chiesa sta dalla parte della vita: e in ciascuna vita umana sa scoprire lo splendore di quel «Sì», di quell'«Amen», che è Cristo stesso (cfr. 2Cor 1,19; Ap 3,14). Al «no» che invade ed affligge il mondo, contrappone questo vivente «Sì», difendendo in tal modo l'uomo e il mondo da quanti insidiano e mortificano la vita.

La Chiesa è chiamata a manifestare nuovamente a tutti, con un più chiaro e fermo convincimento, la sua volontà di promuovere con ogni mezzo e di difendere contro ogni insidia la vita umana, in qualsiasi condizione e stadio di sviluppo si trovi.

Per questo la Chiesa condanna come grave offesa della dignità umana e della giustizia tutte quelle attività dei governi o di altre autorità pubbliche, che tentano di limitare in qualsiasi modo la libertà dei coniugi nel decidere dei figli. Di conseguenza qualsiasi violenza esercitata da tali autorità in favore della contraccezione e persino della sterilizzazione e dell'aborto procurato e del tutto da condannare e da respingere con forza. Allo stesso modo è da esecrare come gravemente ingiusto il fatto che nelle relazioni internazionali l'aiuto economico concesso per la promozione dei popoli venga condizionato a programmi di contraccezione, sterilizzazione e aborto procurato (cfr. Messaggio del VI Sinodo dei Vescovi alle Famiglie cristiane nel mondo contemporaneo, 5 [24 Ottobre 1980]).

Perché il progetto divino sia sempre più pienamente attuato

31. La Chiesa è certamente consapevole anche dei molteplici e complessi problemi, che oggi in molti Paesi coinvolgono i coniugi nel loro compito di trasmettere responsabilmente la vita. Riconosce pure il grave problema dell'incremento demografico, come si configura in varie parti del mondo, con le implicazioni morali che esso comporta.

Essa ritiene, tuttavia, che una approfondita considerazione di tutti gli aspetti di tali problemi offra una nuova e più forte conferma dell'importanza della dottrina autentica circa la regolazione della natalità, riproposta nel Concilio Vaticano II e nell'enciclica «Humanae Vitae».

Per questo, insieme con i Padri del Sinodo, sento il dovere di rivolgere un pressante invito ai teologi, affinché, unendo le loro forze per collaborare col Magistero gerarchico, si impegnino a porre sempre meglio in luce i fondamenti biblici, le motivazioni etiche e le ragioni personalistiche di questa dottrina. Sarà così possibile, nel contesto di un'esposizione organica, rendere la dottrina della Chiesa su questo importante capitolo veramente accessibile a tutti gli uomini di buona volontà, favorendone la comprensione ogni giorno più luminosa e profonda in tal modo il progetto divino potrà essere sempre più pienamente attuato per la salvezza dell'uomo e per la gloria del Creatore.

A questo riguardo, il concorde impegno dei teologi, ispirato da convinta adesione al Magistero, che è l'unica guida autentica del Popolo di Dio, presenta particolare urgenza anche in ragione dell'intimo legame che esiste tra la dottrina cattolica su questo punto e la visione dell'uomo che la Chiesa propone: dubbi o errori nel campo matrimoniale o familiare comportano un grave oscurarsi della verità integrale sull'uomo in una situazione culturale già così spesso confusa e contraddittoria. Il contributo di illuminazione e di approfondimento, che i teologi sono chiamati ad offrire in adempimento del loro compito specifico, ha un valore incomparabile e rappresenta un servizio singolare, altamente meritorio, alla famiglia e all'umanità.

Nella visione integrale dell'uomo e della sua vocazione

32. Nel contesto di una cultura che gravemente deforma o addirittura smarrisce il vero significato della sessualità umana, perché la sradica dal suo essenziale riferimento alla persona, la Chiesa sente più urgente e insostituibile la sua missione di presentare la sessualità come valore e compito di tutta la persona creata, maschio e femmina, ad immagine di Dio.

In questa prospettiva il Concilio Vaticano II ha chiaramente affermato che «quando si tratta di comporre l'amore coniugale con la trasmissione responsabile della vita, il carattere morale del comportamento non dipende solo dalla sincera intenzione e dalla valutazione dei motivi, ma va determinato da criteri oggettivi, che hanno il loro fondamento nella natura stessa della persona umana e dei suoi atti e sono destinati a mantenere in un contesto di vero amore l'integro senso della mutua donazione e della procreazione umana; e tutto ciò non sarà possibile se non venga coltivata con sincero animo la virtù della castità coniugale» («Gaudium et Spes», 51).

E' proprio movendo dalla «visione integrale dell'uomo e della sua vocazione, non solo naturale e terrena, ma anche soprannaturale ed eterna» (Paolo PP. VI, «Humanae Vitae», 7), che Paolo VI ha affermato che la dottrina della Chiesa «è fondata sulla connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l'uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell'atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo» (Ibid. 12). Ed ha concluso ribadendo che è da escludere come intrinsecamente disonesta «ogni azione che, o in previsione dell'atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di rendere impossibile la procreazione» (Ibid. 14).

Quando i coniugi, mediante il ricorso alla contraccezione, scindono questi due significati che Dio Creatore ha inscritti nell'essere dell'uomo e della donna e nel dinamismo della loro comunione sessuale, si comportano come «arbitri» del disegno divino e «manipolano» e avviliscono la sessualità umana, e con essa la persona propria e del coniuge, alterandone il valore di donazione «totale». Così, al linguaggio nativo che esprime la reciproca donazione totale dei coniugi, la contraccezione impone un linguaggio oggettivamente contraddittorio, quello cioè del non donarsi all'altro in totalità: ne deriva, non soltanto il positivo rifiuto all'apertura alla vita, ma anche una falsificazione dell'interiore verità del personale.

Quando invece i coniugi, mediante il ricorso a periodi di infecondità, rispettano la connessione inscindibile dei significati unitivo e procreativo della sessualità umana, si comportano come «ministri» del disegno di Dio ed «usufruiscono» della sessualità secondo l'originario dinamismo della donazione «totale», senza manipolazioni ed alterazioni (Ibid 13).

Alla luce della stessa esperienza di tante coppie di sposi e dei dati delle diverse scienze umane, la riflessione teologica può cogliere ed è chiamata ad approfondire la differenza antropologica e al tempo stesso morale, che esiste tra la contraccezione e il ricorso ai ritmi temporali: si tratta di una differenza assai più vasta e profonda di quanto abitualmente non si pensi e che coinvolge in ultima analisi due concezioni della persona e della sessualità umana tra loro irriducibili. La scelta dei ritmi naturali comporta l'accettazione del tempo della persona, cioè della donna, e con ciò l'accettazione anche del dialogo, del rispetto reciproco, della comune responsabilità, del dominio di sé. Accogliere poi il tempo e il dialogo significa riconoscere il carattere insieme spirituale e corporeo della comunione coniugale, come pure vivere l'amore personale nella sua esigenza di fedeltà. In questo contesto la coppia fa l'esperienza che la comunione coniugale viene arricchita di quei valori di tenerezza e di affettività, i quali costituiscono l'anima profonda della sessualità umana, anche nella sua dimensione fisica. In tal modo la sessualità viene rispettata e promossa nella sua dimensione veramente e pienamente umana, non mai invece «usata» come un «oggetto» che, dissolvendo l'unità personale di anima e corpo, colpisce la stessa creazione di Dio nell'intreccio più intimo tra natura e persona.

La Chiesa Maestra e Madre per i coniugi in difficoltà

33. Anche nel campo della morale coniugale la Chiesa è ed agisce come Maestra e Madre.

Come Maestra, essa non si stanca di proclamare la norma morale che deve guidare la trasmissione responsabile della vita. Di tale norma la Chiesa non è affatto né l'autrice né l'arbitra. In obbedienza alla verità, che è Cristo, la cui immagine si riflette nella natura e nella dignità della persona umana, la Chiesa interpreta la norma morale e la propone a tutti gli uomini di buona volontà, senza nasconderne le esigenze di radicalità e di perfezione.

Come Madre, la Chiesa si fa vicina alle molte coppie di sposi che si trovano in difficoltà su questo importante punto della vita morale: conosce bene la loro situazione, spesso molto ardua e a volte veramente tormentata da difficoltà di ogni genere, non solo individuali ma anche sociali; sa che tanti coniugi incontrano difficoltà non solo per la realizzazione concreta, ma anche per la stessa comprensione dei valori insiti nella norma morale.

Ma è la stessa ed unica Chiesa ad essere insieme Maestra e Madre. Per questo la Chiesa non cessa mai di invitare e di incoraggiare, perché le eventuali difficoltà coniugali siano risolte senza mai falsificare e compromettere la verità: è infatti convinta che non può esserci vera contraddizione tra la legge divina del trasmettere la vita e quella di favorire l'autentico amore coniugale (cfr. «Gaudium et Spes«, 51). Per questo, la pedagogia concreta della Chiesa deve sempre essere connessa e non mai separata dalla sua dottrina. Ripeto, pertanto, con la medesima persuasione del mio predecessore: «Non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo è eminente forma di carità verso le anime» (Paolo PP. VI «Humanae Vitae», 29).

D'altra parte l'autentica pedagogia ecclesiale rivela il suo realismo e la sua sapienza solo sviluppando un impegno tenace e coraggioso nel creare e sostenere tutte quelle condizioni umane - psicologiche, morali e spirituali - che sono indispensabili per comprendere e vivere il valore e la norma morale.

Non c'è dubbio che tra queste condizioni si debbano annoverare la costanza e la pazienza, l'umiltà e la fortezza d'animo, la filiale fiducia in Dio e nella sua grazia, il ricorso frequente alla preghiera e ai sacramenti dell'Eucaristia e della riconciliazione (cfr. ibid. 25). Così corroborati, i coniugi cristiani potranno mantenere viva la coscienza del singolare influsso che la grazia del sacramento del matrimonio esercita su tutte le realtà della vita coniugale, e quindi anche sulla loro sessualità: il dono dello Spirito, accolto e corrisposto dai coniugi, li aiuta a vivere la sessualità umana secondo il piano di Dio e come segno dell'amore unitivo e fecondo di Cristo per la sua Chiesa.

Ma tra le condizioni necessarie rientra anche la conoscenza della corporeità e dei suoi ritmi di fertilità. In tal senso bisogna far di tutto perché una simile conoscenza sia resa accessibile a tutti i coniugi, e prima ancora alle persone giovani, mediante un'informazione ed una educazione chiare, tempestive e serie, ad opera di coppie, di medici e di esperti. La conoscenza poi deve sfociare nell'educazione all'autocontrollo: di qui l'assoluta necessità della virtù della castità e della permanente educazione ad essa. Secondo la visione cristiana, la castità non significa affatto né rifiuto né disistima della sessualità umana: significa piuttosto energia spirituale, che sa difendere l'amore dai pericoli dell'egoismo e dell'aggressività e sa promuoverlo verso la sua piena realizzazione.

Paolo VI, con profondo intuito di sapienza e di amore, altro non ha fatto che dare voce all'esperienza di tante coppie di sposi quando ha scritto nella sua enciclica: «il dominio dell'istinto mediante la ragione e la libera volontà, impone indubbiamente una ascesi, affinché le manifestazioni affettive della vita coniugale siano secondo il retto ordine e in particolare per l'osservanza della continenza periodica. Ma questa disciplina, propria della purezza degli sposi, ben lungi dal nuocere all'amore coniugale, gli conferisce invece un più alto valore umano. Esige un continuo sforzo, ma grazie al suo benefico influsso i coniugi sviluppano integralmente la loro personalità arricchendosi di valori spirituali: essa apporta alla vita familiare frutti di serenità e di pace e agevola la soluzione di altri problemi; favorisce l'attenzione verso l'altro coniuge, aiuta gli sposi a bandire l'egoismo, nemico del vero amore, ed approfondisce il loro senso di responsabilità nel compimento dei loro doveri. I genitori acquistano con essa la capacità di un influsso più profondo ed efficace per l'educazione dei figli» («Humanae Vitae», 21).

L'itinerario morale degli sposi

34. E' sempre di grande importanza possedere una retta concezione dell'ordine morale, dei suoi valori e delle sue norme: l'importanza cresce, quando più numerose e gravi si fanno le difficoltà a rispettarli.

Proprio perché rivela e propone il disegno di Dio Creatore, l'ordine morale non può essere qualcosa di mortificante per l'uomo e di impersonale; al contrario, rispondendo alle esigenze più profonde dell'uomo creato da Dio, si pone al servizio della sua piena umanità, con l'amore delicato e vincolante con cui Dio stesso ispira, sostiene e guida ogni creatura verso la sua felicità.

Ma l'uomo, chiamato a vivere responsabilmente il disegno sapiente e amoroso di Dio, è un essere storico, che si costruisce giorno per giorno, con le sue numerose libere scelte: per questo egli conosce ama e compie il bene morale secondo tappe di crescita.

Anche i coniugi, nell'ambito della loro vita morale, sono chiamati ad un incessante cammino, sostenuti dal desiderio sincero e operoso di conoscere sempre meglio i valori che la legge divina custodisce e promuove, e dalla volontà retta e generosa di incarnarli nelle loro scelte concrete. Essi, tuttavia, non possono guardare alla legge solo come ad un puro ideale da raggiungere in futuro, ma debbono considerarla come un comando di Cristo Signore a superare con impegno le difficoltà. «Perciò la cosiddetta "legge della gradualità", o cammino graduale, non può identificarsi con la "gradualità della legge", come se ci fossero vari gradi e varie forme di precetto nella legge divina per uomini e situazioni diverse. Tutti i coniugi, secondo il disegno divino, sono chiamati alla santità nel matrimonio e questa alta vocazione si realizza in quanto la persona umana è in grado di rispondere al comando divino con animo sereno, confidando nella grazia divina e nella propria volontà» (Giovanni Paolo PP. II, Omelia per la conclusione del VI Sinodo dei Vescovi, 8 [25 Ottobre 1980]: ASS 72 [1980] 1083). In questa stessa linea, rientra nella pedagogia della Chiesa che i coniugi anzitutto riconoscano chiaramente la dottrina della «Humanae Vitae» come normativa per l'esercizio della loro sessualità, e sinceramente si impegnino a porre le condizioni necessarie per osservare questa norma.

Questa pedagogia, come ha rilevato il Sinodo, comprende tutta la vita coniugale. Per questo il compito di trasmettere la vita deve essere integrato nella missione globale dell'intera vita cristiana, la quale senza la croce non può giungere alla risurrezione. In simile contesto si comprende come non si possa togliere il sacrificio dalla vita familiare, anzi si debba accettare di cuore, perché l'amore coniugale si approfondisca e diventi fonte di intima gioia.

Questo comune cammino esige riflessione, informazione, idonea educazione dei sacerdoti, dei religiosi e dei laici, che sono impegnati nella pastorale familiare: tutti costoro potranno aiutare i coniugi nel loro itinerario umano e spirituale, che comporta la coscienza del peccato, il sincero impegno di osservare la legge morale, il ministero della riconciliazione. E' pure da tenere presente come nell'intimità coniugale siano implicate le volontà di due persone, chiamate però ad una armonia di mentalità e di comportamento: ciò esige non poca pazienza, simpatia e tempo. Di singolare importanza in questo campo è l'unità dei giudizi morali e pastorali dei sacerdoti: tale unità dev'essere accuratamente ricercata ed assicurata, perché i fedeli non abbiano a soffrire ansietà di coscienza (cfr. Paolo PP. VI «Humanae Vitae», 28).

Il cammino dei coniugi sarà dunque facilitato se, nella stima della dottrina della Chiesa e nella fiducia verso la grazia di Cristo, aiutati ed accompagnati dai pastori d'anime e dall'intera comunità ecclesiale, essi sapranno scoprire e sperimentare il valore di liberazione e di promozione dell'amore autentico, che il Vangelo offre ed il comandamento del Signore propone.

Suscitare convinzioni e offrire aiuti concreti

35. Di fronte al problema di un'onesta regolazione della natalità, la comunità ecclesiale, nel tempo presente, deve assumersi il compito di suscitare convinzioni e di offrire aiuti concreti per quanti vogliono vivere la paternità e la maternità in modo veramente responsabile.

In questo campo, mentre si compiace dei risultati raggiunti dalle ricerche scientifiche per una conoscenza più precisa dei ritmi di fertilità femminile e stimola una più decisiva ed ampia estensione di tali studi, la Chiesa non può non sollecitare con rinnovato vigore la responsabilità di quanti - medici, esperti, consulenti coniugali, educatori, coppie - possono aiutare effettivamente i coniugi a vivere il loro amore nel rispetto della struttura e delle finalità dell'atto coniugale che lo esprime. Ciò significa un impegno più vasto, decisivo e sistematico per far conoscere, stimare e applicare i metodi naturali di regolazione della fertilità (cfr. Giovanni Paolo PP. II, Discorso ai Delegati del «Centre de Liaison des Equipes de Recherche», 9 [3 Novembre 1979]: «Insegnamenti di Giovanni Paolo II», II 2 [1979] 1035; cfr. anche Discorso ai Partecipanti al primo Congresso per la Famiglia d'Africa e d'Europa (15 Gennaio 1981): «L'Osservatore Romano» (16 Gennaio 1981).

Una preziosa testimonianza può e deve essere data da quegli sposi che, mediante l'impegno comune della continenza periodica, sono giunti ad una più matura responsabilità personale di fronte all'amore ed alla vita. Come scriveva Paolo VI, «ad essi il Signore affida il compito di rendere visibile agli uomini la santità e la soavità della legge che unisce l'amore vicendevole degli sposi con la loro cooperazione all'amore di Dio autore della vita umana» («Humanae Vitae», 25).

2) L'educazione

Il diritto-dovere educativo dei genitori

36. Il compito dell'educazione affonda le radici nella primordiale vocazione dei coniugi a partecipare all'opera creatrice di Dio: generando nell'amore e per amore una nuova persona, che in sé ha la vocazione alla crescita ed allo sviluppo, i genitori si assumono perciò stesso il compito di aiutarla efficacemente a vivere una vita pienamente umana. Come ha ricordato il Concilio Vaticano II: «I genitori, poiché hanno trasmesso la vita ai figli, hanno l'obbligo gravissimo di educare la prole: vanno pertanto considerati come i primi e principali educatori di essa. Questa loro funzione educativa è tanto importante che, se manca, può appena essere supplita. Tocca infatti ai genitori creare in seno alla famiglia quell'atmosfera vivificata dall'amore e dalla pietà verso Dio e verso gli uomini, che favorisce l'educazione completa dei figli in senso personale e sociale. La famiglia è dunque la prima scuola di virtù sociali di cui appunto han bisogno tutte le società» («Gravissimum Educationis», 3).

Il diritto-dovere educativo dei genitori si qualifica come essenziale, connesso com'è con la trasmissione della vita umana; come originale e primario, rispetto al compito educativo di altri, per l'unicità del rapporto d'amore che sussiste tra genitori e figli; come insostituibile ed inalienabile, e che pertanto non può essere totalmente delegato ad altri, né da altri usurpato.

Al di là di queste caratteristiche, non si può dimenticare che l'elemento più radicale, tale da qualificare il compito educativo dei genitori, è l'amore paterno e materno, il quale trova nell'opera educativa il suo compimento nel rendere pieno e perfetto il servizio alla vita: l'amore dei genitori da sorgente diventa anima e pertanto norma, che ispira e guida tutta l'azione educativa concreta, arricchendola di quei valori di dolcezza, costanza, bontà, servizio, disinteresse, spirito di sacrificio, che sono il più prezioso frutto dell'amore.

Educare ai valori essenziali della vita umana

37. Pur in mezzo alle difficoltà dell'opera educativa, oggi spesso aggravate, i genitori devono con fiducia e coraggio formare i figli ai valori essenziali della vita umana. I figli devono crescere in una giusta libertà di fronte ai beni materiali, adottando uno stile di vita semplice ed austero, ben convinti che «l'uomo vale più per quello che è che per quello che ha» («Gaudium et Spes», 35)

In una società scossa e disgregata da tensioni e conflitti per il violento scontro tra i diversi individualismi ed egoismi, i figli devono arricchirsi non soltanto del senso della vera giustizia, che sola conduce al rispetto della dignità personale di ciascuno, ma anche e ancora più del senso del vero amore, come sollecitudine sincera e servizio disinteressato verso gli altri, in particolare i più poveri e bisognosi. La famiglia è la prima e fondamentale scuola di socialità: in quanto comunità di amore, essa trova nel dono di sé la legge che la guida e la fa crescere. Il dono di sé, che ispira l'amore dei coniugi tra di loro, si pone come modello e norma del dono di sé quale deve attuarsi nei rapporti tra fratelli e sorelle e tra le diverse generazioni che convivono nella famiglia. E la comunione e la partecipazione quotidianamente vissuta nella casa, nei momenti di gioia e di difficoltà, rappresenta la più concreta ed efficace pedagogia dei figli nel più ampio orizzonte della società.

L'educazione all'amore come dono di sé costituisce anche la premessa indispensabile per i genitori chiamati ad offrire ai figli una chiara e delicata educazione sessuale. Di fronte ad una cultura che «banalizza» in larga parte la sessualità umana, perché la interpreta e la vive in modo riduttivo e impoverito, collegandola unicamente al corpo e al piacere egoistico, il servizio educativo dei genitori deve puntare fermamente su di una cultura sessuale che sia veramente e pienamente personale: la sessualità, infatti, è una ricchezza di tutta la persona - corpo, sentimento e anima - e manifesta il suo intimo significato nel portare la persona al dono di sé nell'amore.

L'educazione sessuale, diritto e dovere fondamentale dei genitori, deve attuarsi sempre sotto la loro guida sollecita, sia in casa sia nei centri educativi da essi scelti e controllati. In questo senso la Chiesa ribadisce la legge della sussidiarietà, che la scuola è tenuta ad osservare quando coopera all'educazione sessuale, collocandosi nello spirito stesso che anima i genitori.

In questo contesto è del tutto irrinunciabile l'educazione alla castità, come virtù che sviluppa l'autentica maturità della persona e la rende capace di rispettare e promuovere il «significato sponsale» del corpo. Anzi, i genitori cristiani riserveranno una particolare attenzione e cura, discernendo i segni della chiamata di Dio, per l'educazione alla verginità, come forma suprema di quel dono di sé che costituisce il senso stesso della sessualità umana.

Per gli stretti legami che intercorrono tra la dimensione sessuale della persona e i suoi valori etici, il compito educativo deve condurre i figli a conoscere e a stimare le norme morali come necessaria e preziosa garanzia per una responsabile crescita personale nella sessualità umana.

Per questo la Chiesa si oppone fermamente a una certa forma di informazione sessuale, avulsa dai principi morali, così spesso diffusa, la quale altro non sarebbe che un'introduzione all'esperienza del piacere e uno stimolo che porta a perdere la serenità - ancora negli anni dell'innocenza - aprendo la strada al vizio.

La missione educativa e il sacramento del matrimonio

38. Per i genitori cristiani la missione educativa, radicata come si è detto nella loro partecipazione all'opera creatrice di Dio, ha una nuova e specifica sorgente nel sacramento del matrimonio, che li consacra all'educazione propriamente cristiana dei figli, li chiama cioè a partecipare alla stessa autorità e allo stesso amore di Dio Padre e di Cristo Pastore, come pure all'amore materno della Chiesa, e li arricchisce di sapienza, consiglio, fortezza e di ogni altro dono dello Spirito Santo per aiutare i figli nella loro crescita umana e cristiana.

Dal sacramento del matrimonio il compito educativo riceve la dignità e la vocazione di essere un vero e proprio «ministero» della Chiesa al servizio della edificazione dei suoi membri. Tale è la grandezza e lo splendore del ministero educativo dei genitori cristiani, che san Tommaso non esita a paragonare al ministero dei sacerdoti: «Alcuni propagano e conservano la vita spirituale con un ministero unicamente spirituale, e questo spetta al sacramento dell'ordine; altri lo fanno quanto alla vita ad un tempo corporale e spirituale e ciò avviene col sacramento del matrimonio, nel quale l'uomo e la donna si uniscono per generare la prole ed educarla al culto di Dio («Summa contra Gentiles», IV, 58).

La coscienza viva e vigile della missione ricevuta col sacramento del matrimonio aiuterà i genitori cristiani a porsi con grande serenità e fiducia al servizio educativo dei figli e, nello stesso tempo, con senso di responsabilità di fronte a Dio che li chiama e li manda ad edificare la Chiesa nei figli. Così la famiglia dei battezzati, convocata quale chiesa domestica dalla Parola e dal Sacramento, diventa insieme, come la grande Chiesa, maestra e madre.

La prima esperienza di Chiesa

39. La missione dell'educazione esige che i genitori cristiani propongano ai figli tutti quei contenuti che sono necessari per la graduale maturazione della loro responsabilità da un punto di vista cristiano ed ecclesiale. Riprenderanno allora le linee educative sopra ricordate, con la cura di mostrare ai figli a quale profondità di significati la fede e la carità di Gesù Cristo sanno condurre. Inoltre la consapevolezza che il Signore affida loro la crescita di un figlio di Dio, di un fratello di Cristo, di un tempio dello Spirito Santo, di un membro della Chiesa, sorreggerà i genitori cristiani nel loro compito di rafforzare nell'anima dei figli il dono della grazia divina.

Il Concilio Vaticano II così precisa il contenuto dell'educazione cristiana: «Essa non comporta solo la maturità propria dell'umana persona... ma tende soprattutto a far sì che i battezzati, iniziati gradualmente alla conoscenza del mistero della salvezza, prendano sempre maggiore coscienza del dono della fede, che hanno ricevuto: imparino ad adorare Dio in spirito e verità (cfr. Gv 4,23), specialmente attraverso l'azione liturgica, si preparino a vivere la propria vita secondo l'uomo nuovo della giustizia e nella santità della verità (Ef 4,22-24), così raggiungano l'uomo perfetto, la statura della pienezza di Cristo (cfr. Ef 4,13) e diano il loro apporto all'aumento del corpo mistico. Essi inoltre, consapevoli della loro vocazione, devono addestrarsi sia a testimoniare quella speranza che è in loro (cfr. 1Pt 3,14), sia a promuovere la elevazione in senso cristiano del mondo» («Gravissimum Educationis», 2).

Anche il Sinodo, riprendendo e sviluppando le linee conciliari, ha presentato la missione educativa della famiglia cristiana come un vero ministero, per mezzo del quale viene trasmesso e irradiato il Vangelo, al punto che la stessa vita di famiglia diventa itinerario di fede e in qualche modo iniziazione cristiana e scuola della sequela di Cristo. Nella famiglia cosciente di tale dono, come ha scritto Paolo VI, «tutti i membri evangelizzano e sono evangelizzati» («Evangelii Nuntiandi», 71).

In forza del mistero dell'educazione i genitori mediante la testimonianza della vita, sono i primi araldi del Vangelo presso i figli. Di più, pregando con i figli, dedicandosi con essi alla lettura della Parola di Dio ed inserendoli nell'intimo del Corpo - eucaristico ed ecclesiale - di Cristo mediante l'iniziazione cristiana, diventano pienamente genitori generatori cioè non solo della vita carnale, ma anche di quella che, mediante la rinnovazione dello Spirito, scaturisce dalla Croce e risurrezione di Cristo.

Perché i genitori cristiani possano compiere degnamente il loro ministero educativo, i Padri Sinodali hanno auspicato che sia preparato un adeguato testo di catechismo per le famiglie, chiaro, breve e tale da poter essere facilmente assimilato da tutti. Le conferenze episcopali sono state caldamente invitate ad impegnarsi per la realizzazione di questo catechismo.

Rapporti con altre forze educative

40. La famiglia è la prima, ma non l'unica ed esclusiva comunità educante: la stessa dimensione comunitaria, civile ed ecclesiale, dell'uomo esige e conduce ad un'opera più ampia ed articolata, che sia il frutto della collaborazione ordinata delle diverse forze educative. Queste forze sono tutte necessarie, anche se ciascuna può e deve intervenire con una sua competenza e con un suo contributo propri (cfr. «Gravissimum Educationis», 3).

Il compito educativo della famiglia cristiana ha perciò un posto assai importante nella pastorale organica: ciò implica una nuova forma di collaborazione tra i genitori e le comunità cristiane, tra i diversi gruppi educativi e i pastori. In questo senso il rinnovamento della scuola cattolica deve riservare una speciale attenzione sia ai genitori degli alunni sia alla formazione di una perfetta comunità educante.

Dev'essere assolutamente assicurato il diritto dei genitori alla scelta di un'educazione conforme alla loro fede religiosa.

Lo Stato e la Chiesa hanno l'obbligo di dare alle famiglie tutti gli aiuti possibili, affinché possano adeguatamente esercitare i loro compiti educativi. Per questo sia la Chiesa sia lo Stato devono creare e promuovere quelle istituzioni ed attività, che le famiglie giustamente richiedono: e l'aiuto dovrà essere proporzionato alle insufficienze delle famiglie. Pertanto, tutti coloro che nella società sono alla guida delle scuole non devono mai dimenticare che i genitori sono stati costituiti da Dio stesso come primi e principali educatori dei figli, e che il loro diritto è del tutto inalienabile.

Ma complementare al diritto, si pone il grave dovere dei genitori di impegnarsi a fondo in un rapporto cordiale e fattivo con gli insegnanti ed i dirigenti delle scuole.

Se nelle scuole si insegnano ideologie contrarie alla fede cristiana, la famiglia insieme ad altre famiglie, possibilmente mediante forme associative familiari, deve con tutte le forze e con sapienza aiutare i giovani a non allontanarsi dalla fede. In questo caso la famiglia ha bisogno di aiuti speciali da parte dei pastori d'anime, i quali non dovranno dimenticare che i genitori hanno l'inviolabile diritto di affidare i loro figli alla comunità ecclesiale.

Un servizio molteplice alla vita

41. Il fecondo amore coniugale si esprime in un servizio alla vita dalle forme molteplici, delle quali la generazione e l'educazione sono quelle più immediate, proprie ed insostituibili. In realtà, ogni atto di vero amore verso l'uomo testimonia e perfeziona la fecondità spirituale della famiglia perché è obbedienza al dinamismo interiore profondo dell'amore come donazione di sé agli altri.

A questa prospettiva, per tutti ricca di valore e di impegno, sapranno ispirarsi in particolare quei coniugi che fanno l'esperienza della sterilità fisica.

Le famiglie cristiane che nella fede riconoscono tutti gli uomini come figli del comune Padre dei cieli, verranno generosamente incontro ai figli delle altre famiglie, sostenendoli ed amandoli non come estranei, ma come membri dell'unica famiglia dei figli di Dio. I genitori cristiani potranno così allargare il loro amore al di là dei vincoli della carne e del sangue, alimentando i legami che si radicano nello spirito e che si sviluppano nel servizio concreto ai figli di altre famiglie, spesso bisognosi delle cose più necessarie.

Le famiglie cristiane sapranno vivere una maggiore disponibilità verso l'adozione e l'affidamento di quei figli che sono privati dei genitori o da essi abbandonati: mentre questi bambini, ritrovando il valore affettivo di una famiglia, possono fare esperienza dell'amorevole e provvida paternità di Dio, testimoniata dai genitori cristiani, e così crescere con serenità e fiducia nella vita, la famiglia intera sarà arricchita dai valori spirituali di una più ampia fraternità.

La fecondità delle famiglie deve conoscere una sua incessante «creatività», frutto meraviglioso dello Spirito di Dio che spalanca gli occhi del cuore per scoprire le nuove necessità e sofferenze della nostra società, e che infonde coraggio per assumerle e darvi risposta. In questo quadro si presenta alle famiglie un vastissimo campo d'azione: infatti, ancor più preoccupante dell'abbandono dei bambini è oggi il fenomeno dell'emarginazione sociale e culturale, che duramente colpisce anziani, ammalati, handicappati, tossicodipendenti, ex carcerati, ecc.

In tal modo si dilata enormemente l'orizzonte della paternità e della maternità delle famiglie cristiane: il loro amore spiritualmente fecondo è sfidato da queste e da tante altre urgenze del nostro tempo. Con le famiglie e per mezzo loro, il Signore Gesù continua ad avere «compassione» delle folle.

III. La partecipazione allo sviluppo della società

La famiglia prima e vitale cellula della società

42. «Poiché il Creatore di tutte le cose ha costituito il matrimonio quale principio e fondamento dell'umana società», la famiglia e divenuta la «prima e vitale cellula della società» («Apostolicam Actuositatem», 11).

La famiglia possiede vincoli vitali e organici con la società, perché ne costituisce il fondamento e l'alimento continuo mediante il suo compito di servizio alla vita: dalla famiglia infatti nascono i cittadini e nella famiglia essi trovano la prima scuola di quelle virtù sociali, che sono l'anima della vita e dello sviluppo della società stessa.

Così in forza della sua natura e vocazione, lungi dal rinchiudersi in se stessa, la famiglia si apre alle altre famiglie e alla società, assumendo il suo compito sociale.

La vita familiare come esperienza di comunione e di partecipazione

43. La stessa esperienza di comunione e di partecipazione, che deve caratterizzare la vita quotidiana della famiglia, rappresenta il suo primo e fondamentale contributo alla società.

Le relazioni tra i membri della comunità familiare sono ispirate e guidate dalla legge della «gratuità» che, rispettando e favorendo in tutti e in ciascuno la dignità personale come unico titolo di valore, diventa accoglienza cordiale, incontro e dialogo, disponibilità disinteressata, servizio generoso, solidarietà profonda.

Così la promozione di un'autentica e matura comunione di persone nella famiglia diventa prima e insostituibile scuola di socialità, esempio e stimolo per i più ampi rapporti comunitari all'insegna del rispetto, della giustizia, del dialogo, dell'amore.

In tal modo, come hanno ricordato i Padri Sinodali, la famiglia costituisce il luogo nativo e lo strumento più efficace di umanizzazione e di personalizzazione della società: essa collabora in un modo originale e profondo alla costruzione del mondo, rendendo possibile una vita propriamente umana, in particolare custodendo e trasmettendo le virtù e i «valori». Come scrive il Concilio Vaticano II, nella famiglia «le diverse generazioni si incontrano e si aiutano vicendevolmente a raggiungere una saggezza umana più completa e a comporre i diritti delle persone con le altre esigenze della vita sociale («Gaudium et Spes», 52)

Di conseguenza, di fronte ad una società che rischia di essere sempre più spersonalizzata e massificata, e quindi disumana e disumanizzante, con le risultanze negative di tante forme di «evasione» - come sono, ad esempio, l'alcoolismo, la droga e lo stesso terrorismo -, la famiglia possiede e sprigiona ancora oggi energie formidabili capaci di strappare l'uomo dall'anonimato, di mantenerlo cosciente della sua dignità personale, di arricchirlo di profonda umanità e di inserirlo, attivamente con la sua unicità e irripetibilità nel tessuto della società.

Compito sociale e politico

44. Il compito sociale della famiglia non può certo fermarsi all'opera procreativa ed educativa, anche se trova in essa la sua prima ed insostituibile forma di espressione.

Le famiglie, sia singole che associate, possono e devono pertanto dedicarsi a molteplici opere di servizio sociale, specialmente a vantaggio dei poveri, e comunque di tutte quelle persone e situazioni che l'organizzazione previdenziale ed assistenziale delle pubbliche autorità non riesce a raggiungere.

Il contributo sociale della famiglia ha una sua originalità, che domanda di essere meglio conosciuta e più decisamente favorita, soprattutto man mano che i figli crescono, coinvolgendo di fatto il più possibile tutti i membri (cfr. «Apostolicam Actuositatem», 11).

In particolare è da rilevare l'importanza sempre più grande che nella nostra società assume l'ospitalità, in tutte le sue forme, dall'aprire la porta della propria casa e ancor più del proprio cuore alle richieste dei fratelli, all'impegno concreto di assicurare ad ogni famiglia la sua casa, come ambiente naturale che la conserva e la fa crescere. Soprattutto la famiglia cristiana è chiamata ad ascoltare la raccomandazione dell'apostolo: «Siate... premurosi nell'ospitalità» (Rm 12,13), e quindi ad attuare, imitando l'esempio e condividendo la carità di Cristo, l'accoglienza del fratello bisognoso: «Chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca ad uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa» (Mt 10,42).

Il compito sociale delle famiglie è chiamato ad esprimersi anche in forma di intervento politico: le famiglie, cioè, devono per prime adoperarsi affinché le leggi e le istituzioni dello Stato non solo non offendano, ma sostengano e difendano positivamente i diritti e i doveri della famiglia. In tal senso le famiglie devono crescere nella coscienza di essere «protagoniste» della cosiddetta «politica familiare» ed assumersi la responsabilità di trasformare la società: diversamente le famiglie saranno le prime vittime di quei mali, che si sono limitate ad osservare con indifferenza. L'appello del Concilio Vaticano II a superare l'etica individualistica ha perciò valore anche per la famiglia come tale (cfr. «Gaudium et Spes», 30).

La società al servizio della famiglia

45. L'intima connessione tra la famiglia e la società, come esige l'apertura e la partecipazione della famiglia alla società e al suo sviluppo, così impone che la società non venga mai meno al suo fondamentale compito di rispettare e di promuovere la famiglia stessa.

Certamente la famiglia e la società hanno una funzione complementare nella difesa e nella promozione del bene di tutti gli uomini e di ogni uomo. Ma la società, e più specificamente lo Stato, devono riconoscere che la famiglia è «una società che gode di un diritto proprio e primordiale» («Dignitatis Humanae», 5), e quindi nelle loro relazioni con la famiglia sono gravemente obbligati ad attenersi al principio di sussidiarietà.

In forza di tale principio lo Stato non può né deve sottrarre alle famiglie quei compiti che esse possono ugualmente svolgere bene da sole o liberamente associate, ma positivamente favorire e sollecitare al massimo l'iniziativa responsabile delle famiglie. Convinte che il bene della famiglia costituisce un valore indispensabile e irrinunciabile della comunità civile, le autorità pubbliche devono fare il possibile per assicurare alle famiglie tutti quegli aiuti - economici, sociali, educativi, politici, culturali - di cui hanno bisogno per far fronte in modo umano a tutte le loro responsabilità.

La carta dei diritti della famiglia

46. L'ideale di una reciproca azione di sostegno e di sviluppo tra la famiglia e la società si scontra spesso, e in termini assai gravi, con la realtà di una loro separazione, anzi di una loro contrapposizione.

In effetti, come ha continuamente denunciato il Sinodo, la situazione che tantissime famiglie di diversi Paesi incontrano è molto problematica, se non addirittura decisamente negativa: istituzioni e leggi misconoscono ingiustamente i diritti inviolabili della famiglia e della stessa persona umana, e la società, lungi dal porsi al servizio della famiglia, la aggredisce con violenza nei suoi valori e nelle sue esigenze fondamentali. E così la famiglia che, secondo il disegno di Dio, è cellula base della società, soggetto di diritti e doveri prima dello Stato e di qualunque altra comunità, si trova ad essere vittima della società, dei ritardi e delle lentezze dei suoi interventi e ancor più delle sue palesi ingiustizie.

Per questo la Chiesa difende apertamente e fortemente i diritti della famiglia dalle intollerabili usurpazioni della società e dello Stato. In particolare, i Padri Sinodali hanno ricordato, tra gli altri, i seguenti diritti della famiglia:

  • di esistere e di progredire come famiglia, cioè il diritto di ogni uomo, specialmente anche se povero, a fondare una famiglia e ad avere i mezzi adeguati per sostenerla;
  • di esercitare la propria responsabilità nell'ambito della trasmissione della vita e di educare i figli;
  • dell'intimità della vita coniugale e familiare;
  • della stabilità del vincolo e dell'istituto matrimoniale;
  • di credere e di professare la propria fede, e di diffonderla;
  • di educare i figli secondo le proprie tradizioni e valori religiosi e culturali, con gli strumenti, i mezzi e le istituzioni necessarie;
  • di ottenere la sicurezza fisica, sociale, politica, economica, specialmente dei poveri e degli infermi;
  • il diritto all'abitazione adatta a condurre convenientemente la vita familiare;
  • di espressione e di rappresentanza davanti alle pubbliche autorità economiche, sociali e culturali e a quelle inferiori, sia direttamente sia attraverso associazioni
  • di creare associazioni con altre famiglie e istituzioni, per svolgere in modo adatto e sollecito il proprio compito;
  • di proteggere i minorenni mediante adeguate istituzioni e legislazioni da medicinali dannosi, dalla pornografia, dall'alcoolismo, ecc.;
  • di un onesto svago che favorisca anche i valori della famiglia;
  • il diritto degli anziani ad una vita degna e ad una morte dignitosa;
  • il diritto di emigrare come famiglie per cercare una vita migliore (Propositio 42).

La Santa Sede, accogliendo l'esplicita richiesta del Sinodo, avrà cura di approfondire tali suggerimenti, elaborando una «carta dei diritti della famiglia» da proporre agli ambienti e alle Autorità interessate.

Grazia e responsabilità della famiglia cristiana

47. Il compito sociale proprio di ogni famiglia compete, ad un titolo nuovo ed originale alla famiglia cristiana, fondata sul sacramento del matrimonio. Assumendo la realtà umana dell'amore coniugale in tutte le implicazioni, il sacramento abilita e impegna i coniugi e i genitori cristiani a vivere la loro vocazione di laici, e pertanto a «cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio» («Lumen Gentium», 31).

Il compito sociale e politico rientra in quella missione regale o di servizio, alla quale gli sposi cristiani partecipano in forza del sacramento del matrimonio, ricevendo ad un tempo un comandamento al quale non possono sottrarsi ed una grazia che li sostiene e li stimola.

In tal modo la famiglia cristiana è chiamata ad offrire a tutti la testimonianza di una dedizione generosa e disinteressata ai problemi sociali, mediante la «scelta preferenziale» dei poveri e degli emarginati. Perciò essa, progredendo nella sequela del Signore mediante una speciale dilezione verso tutti i poveri, deve avere a cuore specialmente gli affamati, gli indigenti, gli anziani, gli ammalati, i drogati, i senza famiglia.

Per un nuovo ordine internazionale

48. Di fronte alla dimensione mondiale che oggi caratterizza i vari problemi sociali, la famiglia vede allargarsi in modo del tutto nuovo il suo compito verso lo sviluppo della società: si tratta di cooperare anche ad un nuovo ordine internazionale, perché solo nella solidarietà mondiale si possono affrontare e risolvere gli enormi e drammatici problemi della giustizia nel mondo, della libertà dei popoli, della pace dell'umanità.

La comunione spirituale delle famiglie cristiane, radicate nella fede e speranza comuni e vivificate dalla carità, costituisce un'interiore energia che origina, diffonde e sviluppa giustizia, riconciliazione, fraternità e pace tra gli uomini. In quanto «piccola Chiesa», la famiglia cristiana è chiamata, a somiglianza della «grande Chiesa», ad essere segno di unità per il mondo e ad esercitare in tal modo il suo ruolo profetico testimoniando il Regno e la pace di Cristo, verso cui il mondo intero è in cammino.

Le famiglie cristiane potranno far questo sia mediante la loro opera educativa, offrendo cioè ai figli un modello di vita fondato sui valori della verità, della libertà, della giustizia e dell'amore, sia con un attivo e responsabile impegno per la crescita autenticamente umana della società e delle sue istituzioni, sia col sostenere in vario modo le associazioni specificamente dedicate ai problemi dell'ordine internazionale.

IV. La partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa

La famiglia nel mistero della Chiesa

49. Tra i compiti fondamentali della famiglia cristiana si pone il compito ecclesiale: essa, cioè, è posta al servizio dell'edificazione del Regno di Dio nella storia, mediante la partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa.

Per meglio comprendere i fondamenti, i contenuti e le caratteristiche di tale partecipazione, occorre approfondire i molteplici e profondi vincoli che legano tra loro la Chiesa e la famiglia cristiana, e costituiscono quest'ultima come «una Chiesa in miniatura» (Ecclesia domestica) (cfr. «Lumen Gentium», 11; «Apostolicam Actuositatem», 11; Giovanni Paolo PP II, Omelia per l'apertura del VI Sinodo dei Vescovi, 3 [26 Settembre 1980]: AAS 72 [1980] 1008), facendo sì che questa, a suo modo, sia viva immagine e storica ripresentazione del mistero stesso della Chiesa.

E' anzitutto la Chiesa Madre che genera, educa, edifica la famiglia cristiana, mettendo in opera nei suoi riguardi la missione di salvezza che ha ricevuto dal suo Signore. Con l'annuncio della Parola di Dio, la Chiesa rivela alla famiglia cristiana la sua vera identità, ciò che essa è e deve essere secondo il disegno del Signore; con la celebrazione dei sacramenti, la Chiesa arricchisce e corrobora la famiglia cristiana con la grazia di Cristo in ordine alla sua santificazione per la gloria del Padre; con la rinnovata proclamazione del comandamento nuovo della carità, la Chiesa anima e guida la famiglia cristiana al servizio dell'amore, affinché imiti e riviva lo stesso amore di donazione e di sacrificio, che il Signore Gesù nutre per l'umanità intera.

A sua volta la famiglia cristiana è inserita a tal punto nel mistero della Chiesa da diventare partecipe, a suo modo, della missione di salvezza propria di questa: i coniugi e i genitori cristiani, in virtù del sacramento, «hanno nel loro stato di vita e nella loro funzione, il proprio dono in mezzo al Popolo di Dio» («Lumen Gentium», 11). Perciò non solo «ricevono» l'amore di Cristo diventando comunità «salvata», ma sono anche chiamati a «trasmettere» ai fratelli il medesimo amore di Cristo, diventando così comunità «salvante». In tal modo, mentre è frutto e segno della fecondità soprannaturale della Chiesa, la famiglia cristiana è resa simbolo, testimonianza, partecipazione della maternità della Chiesa (cfr. ibid. 41).

Un compito ecclesiale proprio e originale

50. La famiglia cristiana è chiamata a prendere parte viva e responsabile alla missione della Chiesa in modo proprio e originale, ponendo cioè al servizio della Chiesa e della società se stessa nel suo essere ed agire, in quanto intima comunità di vita e di amore.

Se la famiglia cristiana è comunità, i cui vincoli sono rinnovati da Cristo mediante la fede e i sacramenti, la sua partecipazione alla missione della Chiesa deve avvenire secondo una modalità comunitaria: insieme, dunque, i coniugi in quanto coppia, i genitori e i figli in quanto famiglia, devono vivere il loro servizio alla Chiesa e al mondo. Devono essere nella fede «un cuore solo e un'anima sola» (cfr. At 4,32), mediante il comune spirito apostolico che li anima e la collaborazione che li impegna nelle opere di servizio alla comunità ecclesiale e civile.

La famiglia cristiana, poi, edifica il Regno di Dio nella storia mediante quelle stesse realtà quotidiane che riguardano e contraddistinguono la sua condizione di vita; è allora nell'amore coniugale e familiare - vissuto nella sua straordinaria ricchezza di valori ed esigenze di totalità, unicità, fedeltà e fecondità (cfr. Paolo PP. VI «Humanae Vitae», 9) - che si esprime e si realizza la partecipazione della famiglia cristiana alla missione profetica, sacerdotale e regale di Gesù Cristo e della sua Chiesa: l'amore e la vita costituiscono pertanto il nucleo della missione salvifica della famiglia cristiana nella Chiesa e per la Chiesa.

Lo ricorda il Concilio Vaticano II quando scrive: «La famiglia metterà con generosità in comune con le altre famiglie le proprie ricchezze spirituali. Perciò la famiglia cristiana che nasce dal matrimonio, come immagine e partecipazione del patto di amore del Cristo e della Chiesa, renderà manifesta a tutti la viva presenza del Salvatore del mondo e la genuina natura della Chiesa, sia con l'amore, la fecondità generosa, l'unità e la fedeltà degli sposi che con l'amorevole cooperazione di tutti i suoi membri» («Gaudium et Spes», 48)

Posto così il fondamento della partecipazione della famiglia cristiana alla missione ecclesiale, è ora da illustrare il suo contenuto nel triplice e unitario riferimento a Gesù Cristo Profeta, Sacerdote e Re, presentando perciò la famiglia cristiana come 1) comunità credente ed evangelizzante, 2) comunità in dialogo con Dio, 3) comunità al servizio dell'uomo.

1) La famiglia cristiana comunità credente ed evangelizzante

La fede scoperta e ammirazione del disegno di Dio sulla famiglia

51. Partecipe della vita e della missione della Chiesa, la quale sta in religioso ascolto della Parola di Dio e la proclama con ferma fiducia (cfr. «Dei Verbum», 1), la famiglia cristiana vive il suo compito profetico accogliendo e annunciando la Parola di Dio: diventa così, ogni giorno di più, comunità credente ed evangelizzante.

Anche agli sposi e ai genitori cristiani è chiesta l'obbedienza della fede (cfr. Rm 16,26): sono chiamati ad accogliere la Parola del Signore, che ad essi rivela la stupenda novità - la Buona Novella - della loro vita coniugale e familiare, resa da Cristo santa e santificante. Infatti, soltanto nella fede essi possono scoprire e ammirare in gioiosa gratitudine a quale dignità Dio abbia voluto elevare il matrimonio e la famiglia, costituendoli segno e luogo dell'alleanza d'amore tra Dio e gli uomini, tra Gesù Cristo e la Chiesa sua sposa.

Già la stessa preparazione al matrimonio cristiano si qualifica come itinerario di fede: si pone, infatti, come privilegiata occasione perché i fidanzati riscoprano e approfondiscano la fede ricevuta col Battesimo e nutrita con l'educazione cristiana. In tal modo riconoscono e liberamente accolgono la vocazione a vivere la sequela di Cristo e il servizio del Regno di Dio nello stato matrimoniale.

Il momento fondamentale della fede degli sposi è dato dalla celebrazione del sacramento del matrimonio, che nella sua profonda natura è la proclamazione, nella Chiesa, della Buona Novella sull'amore coniugale: esso è Parola di Dio che «rivela» e «compie» il progetto sapiente e amoroso che Dio ha sugli sposi, introdotti nella misteriosa e reale partecipazione all'amore stesso di Dio per l'umanità. Se in se stessa la celebrazione sacramentale del matrimonio è proclamazione della Parola di Dio, in quanti sono a vario titolo protagonisti e celebranti deve essere una «professione di fede» fatta entro e con la Chiesa, comunità di credenti.

Questa professione di fede richiede di essere prolungata nel corso della vita vissuta degli sposi e della famiglia: Dio, infatti, che ha chiamato gli sposi «al» matrimonio, continua a chiamarli «nel» matrimonio (cfr. Paolo PP. VI «Humanae Vitae», 25). Dentro e attraverso i fatti, i problemi, le difficoltà, gli avvenimenti dell'esistenza di tutti i giorni, Dio viene ad essi rivelando e proponendo le «esigenze» concrete della loro partecipazione all'amore di Cristo per la Chiesa in rapporto alla particolare situazione - familiare, sociale ed ecclesiale - nella quale si trovano.

La scoperta e l'obbedienza al disegno di Dio devono farsi «insieme» dalla comunità coniugale e familiare, attraverso la stessa esperienza umana dell'amore vissuto nello Spirito di Cristo tra gli sposi, tra i genitori e i figli.

Per questo, come la grande Chiesa, così anche la piccola Chiesa domestica ha bisogno di essere continuamente e intensamente evangelizzata: da qui il suo dovere di educazione permanente nella fede.

Il ministero di evangelizzazione della famiglia cristiana

52. Nella misura in cui la famiglia cristiana accoglie il Vangelo e matura nella fede diventa comunità evangelizzante. Riascoltiamo Paolo VI: «La famiglia, come la Chiesa, deve essere uno spazio in cui il Vangelo è trasmesso e da cui il Vangelo si irradia. Dunque nell'intimo di una famiglia cosciente di questa missione tutti i componenti evangelizzano e sono evangelizzati. I genitori non soltanto comunicano ai figli il Vangelo, ma possono ricevere da loro lo stesso Vangelo profondamente vissuto. E una simile famiglia diventa evangelizzatrice di molte altre famiglie e dell'ambiente nel quale è inserita» («Evangelii Nuntiandi», 71).

Come ha ripetuto il Sinodo, riprendendo il mio appello lanciato a Puebla, la futura evangelizzazione dipende in gran parte dalla Chiesa domestica (cfr. Discorso alla III Assemblea Generale dei Vescovi dell'America Latina, IV, a [28 Gennaio 1979]: AAS 71 [1979] 204). Questa missione apostolica della famiglia è radicata nel battesimo e riceve dalla grazia sacramentale del matrimonio una nuova forza per trasmettere la fede. per santificare e trasformare l'attuale società secondo il disegno di Dio.

La famiglia cristiana, soprattutto oggi, ha una speciale vocazione ad essere testimone dell'alleanza pasquale di Cristo, mediante la costante irradiazione della gioia dell'amore e della sicurezza della speranza, della quale deve rendere ragione: «La famiglia cristiana proclama ad alta voce e le virtù presenti del Regno di Dio e la speranza della vita beata» («Lumen Gentium», 35).

L'assoluta necessità della catechesi familiare emerge con singolare forza in determinate situazioni, che la Chiesa purtroppo registra in diversi luoghi: «Laddove una legislazione antireligiosa pretende persino di impedire l'educazione alla fede, laddove una diffusa miscredenza o un invadente secolarismo rendono praticamente impossibile una vera crescita religiosa, questa che si potrebbe chiamare "Chiesa domestica" resta l'unico ambiente, in cui fanciulli e giovani possono ricevere una autentica catechesi» (Giovanni Paolo PP. II «Catechesi Tradendae», 68).

Un servizio ecclesiale

53. Il ministero di evangelizzazione dei genitori cristiani è originale e insostituibile: assume le connotazioni tipiche della vita familiare, intessuta come dovrebbe essere d'amore, di semplicità, di concretezza e di testimonianza quotidiana (cfr. ibid. 36).

La famiglia deve formare i figli alla vita, in modo che ciascuno adempia in pienezza il suo compito secondo la vocazione ricevuta da Dio. Infatti, la famiglia che è aperta ai valori trascendenti, che serve i fratelli nella gioia, che adempie con generosa fedeltà i suoi compiti ed è consapevole della sua quotidiana partecipazione al mistero della Croce gloriosa di Cristo, diventa il primo e il miglior seminario della vocazione alla vita di consacrazione al Regno di Dio.

Il ministero di evangelizzazione e di catechesi dei genitori deve accompagnare la vita dei figli anche negli anni della loro adolescenza e giovinezza, quando questi, come spesso avviene, contestano o addirittura rifiutano la fede cristiana ricevuta nei primi anni della loro vita. Come nella Chiesa l'opera di evangelizzazione non va mai disgiunta dalla sofferenza dell'apostolo, così nella famiglia cristiana i genitori devono affrontare con coraggio e con grande serenità d'animo le difficoltà, che il loro ministero di evangelizzazione alcune volte incontra negli stessi figli.

Non si dovrà dimenticare che il servizio svolto dai coniugi e dai genitori cristiani in favore del Vangelo è essenzialmente un servizio ecclesiale, rientra cioè nel contesto dell'intera Chiesa quale comunità evangelizzata ed evangelizzante. In quanto radicato e derivato dall'unica missione della Chiesa ed in quanto ordinato all'edificazione dell'unico Corpo di Cristo (cfr. 1Cor 12,4ss; Ef 4,12s), il ministero di evangelizzazione e di catechesi della Chiesa domestica deve restare in intima comunione e deve responsabilmente armonizzarsi con tutti gli altri servizi di evangelizzazione e di catechesi, presenti e operanti nella comunità ecclesiale, sia diocesana sia parrocchiale.

Predicare il Vangelo ad ogni creatura

54. L'universalità senza frontiere è l'orizzonte proprio dell'evangelizzazione, interiormente animata dallo slancio missionario: è infatti la risposta alla esplicita ed inequivocabile consegna di Cristo: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15).

Anche la fede e la missione evangelizzatrice della famiglia cristiana posseggono questo respiro missionario cattolico. Il sacramento del matrimonio, che riprende e ripropone il compito, radicato nel battesimo e nella cresima, di difendere e diffondere la fede (cfr. «Lumen Gentium», 11), costituisce i coniugi e i genitori cristiani testimoni di Cristo «fino agli estremi confini della terra» (At 1,8), veri e propri «missionari» dell'amore e della vita.

Una certa forma di attività missionaria può essere svolta già all'interno della famiglia. Ciò avviene quando qualche componente di essa non ha la fede o non la pratica con coerenza. In tale caso i congiunti devono offrirgli una testimonianza vissuta della loro fede, che lo stimoli e lo sostenga nel cammino verso la piena adesione a Cristo Salvatore (cfr. 1Pt 3,1s).

Animata dallo spirito missionario già al proprio interno, la Chiesa domestica è chiamata ad essere un segno luminoso della presenza di Cristo e del suo amore anche per i «lontani», per le famiglie che non credono ancora e per le stesse famiglie cristiane che non vivono più in coerenza con la fede ricevuta: è chiamata «col suo esempio e con la sua testimonianza» a illuminare «quelli che cercano la verità» (cfr. «Lumen Gentium», 35; «Apostolicam Actuositatem», 11).

Come già agli albori del cristianesimo Aquila e Priscilla si presentavano come coppia missionaria (cfr. At 18; Rm 16,3s), così oggi la Chiesa testimonia la sua incessante novità e fioritura con la presenza di coniugi e di famiglie cristiane che, almeno per un certo periodo di tempo, vanno nelle terre di missione ad annunciare il Vangelo, servendo l'uomo con l'amore di Gesù Cristo.

Le famiglie cristiane portano un particolare contributo alla causa missionaria della Chiesa coltivando le vocazioni missionarie in mezzo ai loro figli e figlie (cfr. «Ad Gentes», 39) e, più generalmente, con un'opera educativa che fa «disporre i loro figli, fin dalla giovinezza, a riconoscere l'amore di Dio verso tutti gli uomini» («Apostolicam Actuositatem», 30).

2) La famiglia cristiana comunità in dialogo con Dio

Il santuario domestico della Chiesa

55. L'annuncio del Vangelo e la sua accoglienza nella fede raggiungono la loro pienezza nella celebrazione sacramentale. La Chiesa, comunità credente ed evangelizzante, e anche popolo sacerdotale, rivestito cioè della dignità e partecipe della potestà di Cristo Sacerdote Sommo della Nuova ed Eterna Alleanza. (cfr. «Lumen Gentium», 10).

Anche la famiglia cristiana è inserita nella Chiesa, popolo sacerdotale: mediante il sacramento del matrimonio, nel quale è radicata e da cui trae alimento, essa viene continuamente vivificata dal Signore Gesù, e da Lui chiamata e impegnata al dialogo con Dio mediante la vita sacramentale, l'offerta della propria esistenza e la preghiera.

E' questo il compito sacerdotale che la famiglia cristiana può e deve esercitare in intima comunione con tutta la Chiesa, attraverso le realtà quotidiane della vita coniugale e familiare: in tal modo la famiglia cristiana è chiamata a santificarsi ed a santificare la comunità ecclesiale e il mondo.

Il matrimonio sacramento di mutua santificazione e atto di culto

56. Fonte propria e mezzo originale di santificazione per i coniugi e per la famiglia cristiana è il sacramento del matrimonio, che riprende e specifica la grazia santificante del battesimo. In virtù del mistero della morte e risurrezione di Cristo, entro cui il matrimonio cristiano nuovamente inserisce, l'amore coniugale viene purificato e santificato: «il Signore si è degnato di sanare ed elevare questo amore con uno speciale dono di grazia e di carità» («Gaudium et Spes», 49).

Il dono di Gesù Cristo non si esaurisce nella celebrazione del sacramento del matrimonio, ma accompagna i coniugi lungo tutta la loro esistenza. Lo ricorda esplicitamente il Concilio Vaticano II, quando dice che Gesù Cristo «rimane con loro perché, come Egli stesso ha amato la Chiesa e si è dato per lei, così anche i coniugi possano amarsi l'un l'altro fedelmente, per sempre, con mutua dedizione... Per questo motivo i coniugi cristiani sono corroborati e sono consacrati da uno speciale sacramento per i doveri e la dignità del loro stato. Ed essi, compiendo in forza di tale sacramento il loro dovere coniugale e familiare, penetrati dallo Spirito di Cristo, per mezzo del quale tutta la loro vita è pervasa di fede, speranza e carità, tendono a raggiungere sempre più la propria perfezione e la mutua santificazione, e perciò partecipano alla glorificazione di Dio («Gaudium et Spes», 48).

La vocazione universale alla santità è rivolta anche ai coniugi e ai genitori cristiani: viene per essi specificata dal sacramento celebrato e tradotta concretamente nelle realtà proprie della esistenza coniugale e familiare («Lumen Gentium», 41). Nascono di qui la grazia e l'esigenza di una autentica e profonda spiritualità coniugale e familiare, che si ispiri ai motivi della creazione, dell'alleanza, della Croce, della risurrezione e del segno, sui quali più volte si è soffermato il Sinodo.

Il matrimonio cristiano, come tutti i sacramenti che «sono ordinati alla santificazione degli uomini, alla edificazione del Corpo di Cristo, e, infine a rendere culto a Dio» («Sacrosantum Concilium», 59), è in se stesso un atto liturgico di glorificazione di Dio in Gesù Cristo e nella Chiesa: celebrandolo, i coniugi cristiani professano la loro gratitudine a Dio per il sublime dono ad essi elargito di poter rivivere nella loro esistenza coniugale e familiare l'amore stesso di Dio per gli uomini e del Signore Gesù per la Chiesa sua sposa.

E come dal sacramento derivano ai coniugi il dono dell'obbligo di vivere quotidianamente la santificazione ricevuta, così dallo stesso sacramento discendono la grazia e l'impegno morale di trasformare tutta la loro vita in un continuo «sacrificio spirituale» (cfr. 1Pt 2,5; «Lumen Gentium», 34). Anche agli sposi e ai genitori cristiani, in particolare per quelle realtà terrene e temporali che li caratterizzano, si applicano le parole del Concilio: «Così anche i laici, in quanto adoratori dappertutto santamente operanti, consacrano a Dio il mondo stesso» («Lumen Gentium», 34).

Matrimonio ed Eucaristia

57. II compito di santificazione della famiglia cristiana ha la sua prima radice nel battesimo e la sua massima espressione nell'Eucaristia, alla quale è intimamente legato il matrimonio cristiano. Il Concilio Vaticano II ha voluto richiamare la speciale relazione che esiste tra l'Eucaristia e il matrimonio, chiedendo che questo «in via ordinaria si celebri nella Messa» («Sacrosantum Concilum», 78): riscoprire e approfondire tale relazione è del tutto necessario, se si vogliono comprendere e vivere con maggior intensità le grazie e le responsabilità del matrimonio e della famiglia cristiana.

L'Eucaristia è la fonte stessa del matrimonio cristiano. Il sacrificio eucaristico, infatti, ripresenta l'alleanza di amore di Cristo con la Chiesa, in quanto sigillata con il sangue della sua Croce (cfr. Gv 19,34). E' in questo sacrificio della Nuova ed Eterna Alleanza che i coniugi cristiani trovano la radice dalla quale scaturisce, è interiormente plasmata e continuamente vivificata la loro alleanza coniugale. In quanto ripresentazione del sacrificio d'amore di Cristo per la Chiesa, l'Eucaristia è sorgente di carità. E nel dono eucaristico della carità la famiglia cristiana trova il fondamento e l'anima della sua «comunione» e della sua «missione»: il Pane eucaristico fa dei diversi membri della comunità familiare un unico corpo, rivelazione e partecipazione della più ampia unità della Chiesa; la partecipazione poi al Corpo «dato» e al Sangue «versato» di Cristo diventa inesauribile sorgente del dinamismo missionario ed apostolico della famiglia cristiana.

Il Sacramento della conversione e della riconciliazione

58. Parte essenziale e permanente del compito di santificazione della famiglia cristiana è l'accoglienza dell'appello evangelico alla conversione rivolto a tutti i cristiani, che non sempre rimangono fedeli alla «novità» di quel battesimo, che li ha costituiti «santi». Anche la famiglia cristiana non è sempre coerente con la legge della grazia e della santità battesimale, proclamata nuovamente dal sacramento del matrimonio.

Il pentimento e il perdono vicendevole in seno alla famiglia cristiana, che tanta parte hanno nella vita quotidiana, trovano il momento sacramentale specifico nella penitenza cristiana. A riguardo dei coniugi così scriveva Paolo VI nell'enciclica «Humanae vitae»: «Se il peccato facesse ancora presa su di loro, non si scoraggino, ma ricorrano con umile perseveranza alla misericordia di Dio, che viene elargita con abbondanza nel sacramento della penitenza» (num. 25).

La celebrazione di questo sacramento acquista un significato particolare per la vita familiare: mentre nella fede scoprono come il peccato contraddice non solo all'alleanza con Dio ma anche all'alleanza dei coniugi e alla comunione della famiglia, gli sposi e tutti i membri della famiglia sono condotti all'incontro con Dio «ricco di misericordia» (Ef 2,4), il quale, elargendo il suo amore che è più potente del peccato (cfr. Giovanni Paolo PP: II «Dives in Misericordia», 13), ricostruisce e perfeziona l'alleanza coniugale e la comunione familiare.

La preghiera familiare

59. La Chiesa prega per la famiglia cristiana e la educa a vivere in generosa coerenza con il dono e il compito sacerdotale, ricevuti da Cristo Sommo Sacerdote. In realtà, il sacerdozio battesimale dei fedeli, vissuto nel matrimonio-sacramento, costituisce per i coniugi e per la famiglia il fondamento di una vocazione e di una missione sacerdotale, per la quale le loro esistenze quotidiane si trasformano in «sacrifici spirituali graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo» (cfr. 1Pt 2,5): è quanto avviene, non solo con la celebrazione dell'Eucaristia e degli altri sacramenti e con l'offerta di se stessi alla gloria di Dio, ma anche con la vita di preghiera, con il dialogo orante col Padre per Gesù Cristo nello Spirito Santo.

La preghiera familiare ha sue caratteristiche. E' una preghiera fatta in comune, marito e moglie insieme, genitori e figli insieme. La comunione nella preghiera è, ad un tempo, frutto ed esigenza di quella comunione che viene donata dai sacramenti del battesimo e del matrimonio. Ai membri della famiglia cristiana si possono applicare in modo particolare le parole con le quali il Signore Gesù promette la sua presenza: «In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18,19s).

Tale preghiera ha come contenuto originale la stessa vita di famiglia, che in tutte le sue diverse circostanze viene interpretata come vocazione di Dio e attuata come risposta filiale al suo appello: gioie e dolori, speranze e tristezze, nascite e compleanni, anniversari delle nozze dei genitori, partenze, lontananze e ritorni, scelte importanti e decisive, la morte di persone care, ecc. segnano l'intervento dell'amore di Dio nella storia della famiglia, così come devono segnare il momento favorevole per il rendimento di grazie, per l'implorazione, per l'abbandono fiducioso della famiglia al comune Padre che sta nei cieli. La dignità, poi, e la responsabilità della famiglia cristiana come Chiesa domestica possono essere vissute solo con l'aiuto incessante di Dio, che immancabilmente sarà concesso, se sarà implorato con umiltà e fiducia nella preghiera.

Educatori di preghiera

60. In forza della loro dignità e missione, i genitori cristiani hanno il compito specifico di educare i figli alla preghiera, di introdurli nella progressiva scoperta del mistero di Dio e nel colloquio con lui: «Soprattutto nella famiglia cristiana, arricchita della grazia e della missione del matrimonio-sacramento, i figli fin dalla più tenera età devono imparare a percepire il senso di Dio e a venerarlo e ad amare il prossimo secondo la fede che hanno ricevuto nel battesimo» («Gravissimum Educationis», 5; cfr. Giovanni Paolo PP. II «Catechesi Tradendae», 36).

Elemento fondamentale e insostituibile dell'educazione alla preghiera è l'esempio concreto, la testimonianza viva dei genitori: solo pregando insieme con i figli, il padre e la madre, mentre portano a compimento il proprio sacerdozio regale, scendono in profondità nel cuore dei figli, lasciando tracce che i successivi eventi della vita non riusciranno a cancellare. Riascoltiamo l'appello che Paolo VI ha rivolto ai genitori: «Mamme, le insegnate ai vostri bambini le preghiere del cristiano? Li preparate, in consonanza con i sacerdoti, i vostri figli ai sacramenti della prima età: confessione, comunione, cresima? Li abituate, se ammalati, a pensare a Cristo sofferente? A invocare l'aiuto della Madonna e dei santi? Lo dite il Rosario in famiglia? E voi, papà, sapete pregare con i vostri figliuoli, con tutta la comunità domestica, almeno qualche volta? L'esempio vostro, nella rettitudine del pensiero e dell'azione, suffragato da qualche preghiera comune, vale una lezione di vita, vale un atto di culto di singolare merito; portate così la pace nelle pareti domestiche: "Pax huic domui!" Ricordate: così costruite la Chiesa!» (Discorso all'Udienza generale [11 agosto 1976]: «Insegnamenti di Paolo VI», XIV [1976] 640).

Preghiera liturgica e privata

61. Tra la preghiera della Chiesa e quella dei singoli fedeli vi è un profondo e vitale rapporto, come ha chiaramente riaffermato il Concilio Vaticano II (cfr. «Sacrosantum Concilium», 12). Ora una finalità importante della preghiera della Chiesa domestica è di costituire, per i figli, la naturale introduzione alla preghiera liturgica propria dell'intera Chiesa, nel senso sia di preparare ad essa, sia di estenderla nell'ambito della vita personale, familiare e sociale. Di qui la necessità di una progressiva partecipazione di tutti i membri della famiglia cristiana all'Eucaristia, soprattutto domenicale e festiva, e agli altri sacramenti, in particolare quelli dell'iniziazione cristiana dei figli. Le direttive conciliari hanno aperto una nuova possibilità alla famiglia cristiana, che è stata annoverata tra i gruppi ai quali si raccomanda la celebrazione comunitaria dell'Ufficio divino (cfr. «Institutio Generalis de Liturgia Horarum» 27). Così pure sarà cura della famiglia cristiana celebrare, anche nella casa e in forma adatta ai suoi membri, i tempi e le festività dell'anno liturgico.

Per preparare e prolungare nella casa il culto celebrato nella Chiesa, la famiglia cristiana ricorre alla preghiera privata, che presenta una grande varietà, di forme: questa varietà mentre testimonia la straordinaria ricchezza secondo cui lo Spirito anima la preghiera cristiana, viene incontro alle diverse esigenze e situazioni di vita di chi si rivolge al Signore. Oltre alla preghiera del mattino e della sera, sono espressamente da consigliare, seguendo anche le indicazioni dei Padri Sinodali: la lettura e la meditazione della Parola di Dio, la preparazione ai sacramenti, la devozione e consacrazione al Cuore di Gesù, le varie forme di culto alla Vergine Santissima, la benedizione della mensa, l'osservanza della pietà popolare.

Nel rispetto della libertà dei figli di Dio, la Chiesa ha proposto e continua a proporre ai fedeli alcune pratiche di pietà con una particolare sollecitudine ed insistenza. Tra queste è da ricordare la recita del Rosario: «Vogliamo ora, in continuità con i nostri predecessori, raccomandare vivamente la recita del santo Rosario in famiglia... Non v'è dubbio che la Corona della beata Vergine Maria sia da ritenere come una delle più eccellenti ed efficaci preghiere in comune, che la famiglia cristiana è invitata a recitare. Noi amiamo, infatti, pensare e vivamente auspichiamo che, quando l'incontro familiare diventa tempo di preghiera. il Rosario ne sia espressione frequente e gradita» (Paolo PP. VI «Marialis Cultus», 52-54). Così l'autentica devozione mariana, che si esprime nel vincolo sincero e nella generosa sequela degli atteggiamenti spirituali della Vergine Santissima, costituisce uno strumento privilegiato per alimentare la comunione d'amore della famiglia e per sviluppare la spiritualità coniugale e familiare. Lei, la Madre di Cristo e della Chiesa, è infatti in maniera speciale anche la Madre delle famiglie cristiane delle Chiese domestiche.

Preghiera e vita

62. Non si dovrà mai dimenticare che la preghiera è parte costitutiva essenziale della vita cristiana, colta nella sua integralità e centralità, anzi appartiene alla nostra stessa «umanità»: è «la prima espressione della verità interiore dell'uomo, la prima condizione dell'autentica libertà dello spirito» (Giovanni Paolo PP. II, Discorso al Santuario della Mentorella [29 Ottobre 1978]: «Insegnamenti di Giovanni Paolo II, I [1978] 78 s.).

Per questo la preghiera non rappresenta affatto un'evasione dall'impegno quotidiano, ma costituisce la spinta più forte perché la famiglia cristiana assuma ed assolva in pienezza tutte le sue responsabilità di cellula prima e fondamentale della società umana. In tal senso, l'effettiva partecipazione alla vita e missione della Chiesa nel mondo è proporzionale alla fedeltà e all'intensità della preghiera con la quale la famiglia cristiana si unisce alla Vite feconda, che è Cristo Signore (cfr. «Apostolicam Actuositatem», 4).

Dall'unione vitale con Cristo, alimentata dalla liturgia, dall'offerta di sé e dalla preghiera, deriva pure la fecondità della famiglia cristiana nel suo specifico servizio di promozione umana, che di per se non può non portare alla trasformazione del mondo (cfr. Giovanni Paolo PP. II, Discorso ai Vescovi della XII Regione Pastorale degli Stati Uniti d'America [21 Settembre 1978]: ASS 70 [1978] 767).

3) La famiglia cristiana comunità al servizio dell'uomo

Il comandamento nuovo dell'amore

63. La Chiesa, popolo profetico-sacerdotale-regale, ha la missione di portare tutti gli uomini ad accogliere nella fede la Parola di Dio, e celebrarla e professarla nei sacramenti e nella preghiera, ed infine a manifestarla nella concretezza della vita secondo il dono e il comandamento nuovo dell'amore.

La vita cristiana trova la sua legge non in un codice scritto, ma nell'azione personale dello Spirito Santo che anima e guida il cristiano, cioè nella «legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù» (Rm 8,2): «L'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Ibid. 5,5).

Ciò ha valore anche per la coppia e per la famiglia cristiana: loro guida e norma è lo Spirito di Gesù, diffuso nei cuori con la celebrazione del sacramento del matrimonio. In continuità col battesimo nell'acqua e nello Spirito il matrimonio ripropone la legge evangelica dell'amore e col dono dello Spirito la incide più a fondo nel cuore dei coniugi cristiani: il loro amore, purificato e salvato, è frutto dello Spirito, che agisce nel cuore dei credenti, e si pone, nello stesso tempo, come il comandamento fondamentale della vita morale richiesta alla loro libertà responsabile.

La famiglia cristiana viene così animata e guidata con la legge nuova dello Spirito ed in intima comunione con la Chiesa, popolo regale, è chiamata a vivere il suo «servizio» d'amore a Dio e ai fratelli. Come Cristo esercita la sua potestà regale ponendosi al servizio degli uomini (Mc 10,45), così il cristiano trova il senso autentico della sua partecipazione alla regalità del suo Signore nel condividerne lo spirito e il comportamento di servizio nei confronti dell'uomo: «Questa potestà Egli (Cristo) l'ha comunicata ai discepoli, perché anch'essi siano costituiti nella libertà regale e con l'abnegazione di sé e la vita santa vincano in se stessi il regno del peccato (cfr. Rm 6,12), anzi, servendo a Cristo anche negli altri, con umiltà e pazienza conducano i loro fratelli al Re, servire al quale è regnare. Il Signore infatti desidera dilatare il suo regno anche per mezzo dei fedeli laici, il regno cioè "della verità e della vita, il regno della santità e della grazia, il regno della giustizia, dell'amore e della pace"; e in questo regno anche le stesse creature saranno liberate dalla schiavitù della corruzione per partecipare alla gloriosa libertà dei figli di Dio (cfr. Rm 8,21)» («Lumen Gentium», 36).

Scoprire in ogni fratello l'immagine di Dio

64. Animata e sostenuta dal comandamento nuovo dell'amore, la famiglia cristiana vive l'accoglienza, il rispetto, il servizio verso ogni uomo, considerato sempre nella sua dignità di persona e di figlio di Dio.

Ciò deve avvenire, anzitutto, all'interno e a favore della coppia e della famiglia, mediante il quotidiano impegno a promuovere un'autentica comunità di persone, fondata e alimentata dall'interiore comunione di amore. Ciò deve poi svilupparsi entro la più vasta cerchia della comunità ecclesiale, entro cui la famiglia cristiana è inserita: grazie alla carità della famiglia, la Chiesa può e deve assumere una dimensione più domestica, cioè più familiare, adottando uno stile più umano e fraterno di rapporti.

La carità va oltre i propri fratelli di fede, perché «ogni uomo è mio fratello»; in ciascuno, soprattutto se povero, debole, sofferente e ingiustamente trattato, la carità sa scoprire il volto di Cristo e un fratello da amare e da servire.

Perché il servizio dell'uomo sia vissuto dalla famiglia secondo lo stile evangelico, occorrerà attuare con premura quanto scrive il Concilio Vaticano II: «Affinché tale esercizio di carità possa essere al di sopra di ogni sospetto e manifestarsi tale, si consideri nel prossimo l'immagine di Dio secondo cui è stato creato, e Cristo Signore al quale veramente è donato quanto si dà al bisognoso» («Apostolicam Actuositatem», 8)

La famiglia cristiana, mentre nella carità edifica la Chiesa, si pone al servizio dell'uomo e del mondo, attuando veramente quella «promozione umana», il cui contenuto è stato sintetizzato nel Messaggio del Sinodo alle famiglie: «Un altro compito della famiglia è quello di formare gli uomini all'amore e di praticare l'amore in ogni rapporto con gli altri, cosicché essa non si chiuda in se stessa, bensì rimanga aperta alla comunità, essendo mossa dal senso della giustizia e dalla sollecitudine verso gli altri, nonché dal dovere della propria responsabilità verso la società intera» (Messaggio del VI Sinodo dei Vescovi alle Famiglie cristiane nel mondo contemporaneo, 12 [24 Ottobre 1980]).

PARTE QUARTA

LA PASTORALE FAMILIARE: TEMPI, STRUTTURE, OPERATORI E SITUAZIONI

I. I tempi della pastorale familiare

La Chiesa accompagna la famiglia cristiana nel suo cammino

65. Come ogni realtà vivente, anche la famiglia è chiamata a svilupparsi e a crescere. Dopo la preparazione del fidanzamento e la celebrazione sacramentale del matrimonio, la coppia inizia il cammino quotidiano verso la progressiva attuazione dei valori e dei doveri del matrimonio stesso.

Alla luce della fede e in virtù della speranza, anche la famiglia cristiana partecipa, in comunione con la Chiesa, all'esperienza del pellegrinaggio terreno verso la piena rivelazione e realizzazione del Regno di Dio.

Perciò è da sottolineare una volta di più l'urgenza dell'intervento pastorale della Chiesa a sostegno della famiglia. Bisogna fare ogni sforzo perché la pastorale della famiglia si affermi e si sviluppi, dedicandosi a un settore veramente prioritario, con la certezza che l'evangelizzazione, in futuro, dipende in gran parte dalla Chiesa domestica (cfr. Giovanni Paolo PP. II, Discorso alla III Assemblea Generale dei Vescovi dell'America Latina, IV, a [28 Gennaio 1979]: AAS 71 [1979] 204).

La sollecitudine pastorale della Chiesa non si limiterà soltanto alle famiglie cristiane più vicine, ma, allargando i propri orizzonti sulla misura del Cuore di Cristo, si mostrerà ancor più viva per l'insieme delle famiglie in genere, e per quelle, in particolare, che si trovano in situazioni difficili o irregolari. Per tutte la Chiesa avrà una parola di verità, di bontà, di comprensione, di speranza, di viva partecipazione alle loro difficoltà a volte drammatiche; a tutte offrirà il suo aiuto disinteressato affinché possano avvicinarsi al modello di famiglia, che il Creatore ha voluto fin dal «principio» e che Cristo ha rinnovato con la sua grazia redentrice.

L'azione pastorale della Chiesa deve essere progressiva, anche nel senso che deve seguire la famiglia, accompagnandola passo a passo nelle diverse tappe della sua formazione e del suo sviluppo.

La preparazione

66. Più che mai necessaria ai nostri giorni è la preparazione dei giovani al matrimonio e alla vita familiare. In alcuni Paesi sono ancora le famiglie stesse che, secondo antiche usanze, si riservano di trasmettere ai giovani i valori riguardanti la vita matrimoniale e familiare, mediante una progressiva opera di educazione o iniziazione. Ma i mutamenti sopravvenuti in seno a quasi tutte le società moderne esigono che non solo la famiglia, ma anche la società e la Chiesa siano impegnate nello sforzo di preparare adeguatamente i giovani alle responsabilità del loro domani. Molti fenomeni negativi che oggi si lamentano nella vita familiare derivano dal fatto che, nelle nuove situazioni, i giovani non solo perdono di vista la giusta gerarchia dei valori, ma, non possedendo più criteri sicuri di comportamento, non sanno come affrontare e risolvere le nuove difficoltà. L'esperienza però insegna che i giovani ben preparati alla vita familiare in genere riescono meglio degli altri.

Ciò vale ancor più per il matrimonio cristiano, il cui influsso si estende sulla santità di tanti uomini e donne. Per questo la Chiesa deve promuovere migliori e più intensi programmi di preparazione al matrimonio, per eliminare, il più possibile, le difficoltà in cui si dibattono tante coppie a ancor più per favorire positivamente il sorgere e il maturare dei matrimoni riusciti.

La preparazione al matrimonio va vista e attuata come un processo graduale e continuo. Essa, infatti, comporta tre principali momenti: una preparazione remota, una prossima e una immediata.

La preparazione remota ha inizio fin dall'infanzia, in quella saggia pedagogia familiare, orientata a condurre i fanciulli a scoprire se stessi come esseri dotati di una ricca e complessa psicologia e di una personalità particolare con le proprie forze e debolezze. E' il periodo in cui va istillata la stima per ogni autentico valore umano, sia nei rapporti interpersonali, sia in quelli sociali, con quel che ciò significa per la formazione del carattere, per il dominio ed il retto uso delle proprie inclinazioni, per il modo di considerare e incontrare le persone dell'altro sesso, e così via. E' richiesta, inoltre, specialmente per i cristiani, una solida formazione spirituale e catechetica, che sappia mostrare nel matrimonio una vera vocazione e missione, senza escludere la possibilità del dono totale di sé a Dio nella vocazione alla vita sacerdotale o religiosa.

Su questa base in seguito si imposterà, a largo respiro, la preparazione prossima, la quale - dall'età opportuna e con un'adeguata catechesi, come in un cammino catecumenale - comporta una più specifica preparazione ai sacramenti, quasi una loro riscoperta. Questa rinnovata catechesi di quanti si preparano al matrimonio cristiano è del tutto necessaria, affinché il sacramento sia celebrato e vissuto con le dovute disposizioni morali e spirituali. La formazione religiosa dei giovani dovrà essere integrata, al momento conveniente e secondo le varie esigenze concrete, da una preparazione alla vita a due che, presentando il matrimonio come un rapporto interpersonale dell'uomo e della donna da svilupparsi continuamente, stimoli ad approfondire i problemi della sessualità coniugale e della paternità responsabile, con le conoscenze medico-biologiche essenziali che vi sono connesse, ed avvii alla familiarità con retti metodi di educazione dei figli, favorendo l'acquisizione degli elementi di base per un'ordinata conduzione della famiglia (lavoro stabile, sufficiente disponibilità finanziaria, saggia amministrazione, nozioni di economia domestica, ecc.).

lnfine non si dovrà tralasciare la preparazione all'apostolato familiare, alla fraternità e collaborazione con le altre famiglie, all'inserimento attivo in gruppi, associazioni, movimenti e iniziative che hanno per finalità il bene umano e cristiano della famiglia.

La preparazione immediata a celebrare il sacramento del matrimonio deve aver luogo negli ultimi mesi e settimane che precedono le nozze quasi a dare un nuovo significato, nuovo contenuto e forma nuova al cosiddetto esame prematrimoniale richiesto dal diritto canonico. Sempre necessaria in ogni caso, tale preparazione si impone con maggiore urgenza per quei fidanzati che ancora presentassero carenze e difficoltà nella dottrina e nella pratica cristiana.

Tra gli elementi da comunicare in questo cammino di fede, analogo al catecumenato, ci deve essere anche una conoscenza approfondita del mistero di Cristo e della Chiesa, dei significati di grazia e di responsabilità del matrimonio cristiano, nonché la preparazione a prendere parte attiva e consapevole ai riti della liturgia nuziale.

Alle diverse fasi della preparazione al matrimonio - che abbiamo descritto solo a grandi linee indicative - devono sentirsi impegnate la famiglia cristiana e tutta la comunità ecclesiale. E' auspicabile che le conferenze episcopali, come sono interessate ad opportune iniziative per aiutare i futuri sposi ad essere più consapevoli della serietà della loro scelta e i pastori d'anime ad accertarsi delle loro convenienti disposizioni, così curino che sia emanato un Direttorio per la pastorale della famiglia. In esso si dovranno stabilire, anzitutto, gli elementi minimi di contenuto, di durata e di metodo dei «Corsi di preparazione», equilibrando fra loro i diversi aspetti - dottrinali, pedagogici, legali e medici - che interessano il matrimonio, e strutturandoli in modo che quanti si preparano al matrimonio, al di là di un approfondimento intellettuale, si sentano spinti ad inserirsi vitalmente nella comunità ecclesiale.

Benché il carattere di necessità e di obbligatorietà della preparazione immediata al matrimonio non sia da sottovalutare - ciò che succederebbe qualora se ne concedesse facilmente la dispensa - tuttavia, tale preparazione, deve essere sempre proposta e attuata in modo che la sua eventuale omissione non sia di impedimento per la celebrazione delle nozze.

La celebrazione

67. Il matrimonio cristiano richiede di norma una celebrazione liturgica, che esprima in forma sociale e comunitaria la natura essenzialmente ecclesiale e sacramentale del patto coniugale fra i battezzati.

In quanto gesto sacramentale di santificazione, la celebrazione del matrimonio - inserita nella liturgia, culmine di tutta l'azione della Chiesa e fonte della sua forza santificatrice (cfr. «Sacrosantum Concilium» 10) - deve essere per sé valida, degna e fruttuosa. Si apre qui un vasto campo alla sollecitudine pastorale, affinché siano pienamente assolte le esigenze derivanti dalla natura del patto coniugale elevato a sacramento, e sia altresì fedelmente osservata la disciplina della Chiesa per quanto riguarda il libero consenso, gli impedimenti, la forma canonica e il rito stesso della celebrazione. Quest'ultimo dev'essere semplice e dignitoso, secondo le norme delle competenti autorità della Chiesa, alle quali spetta pure - secondo le concrete circostanze di tempo e di luogo e in conformità con le norme impartite dalla Sede Apostolica (cfr. «Ordo celebrandi Matrimonium», 17) - di assumere eventualmente nella celebrazione liturgica quegli elementi propri di ciascuna cultura, che meglio valgono ad esprimere il profondo significato umano e religioso del patto coniugale purché nulla contengano di meno confacente con la fede e la morale cristiana.

In quanto segno, la celebrazione liturgica deve svolgersi in modo da costituire, anche nella sua realtà esteriore, una proclamazione della Parola di Dio e una professione di fede della comunità dei credenti. L'impegno pastorale si esprimerà qui con la cura intelligente e diligente della «liturgia della Parola» e con l'educazione alla fede dei partecipanti alla celebrazione e, in primo luogo, dei nubendi.

In quanto gesto sacramentale della Chiesa, la celebrazione liturgica del matrimonio deve coinvolgere la comunità cristiana, con la partecipazione piena, attiva e responsabile di tutti i presenti, secondo il posto e il compito di ciascuno: gli sposi, il sacerdote, i testimoni, i parenti, gli amici, gli altri fedeli, tutti membri di un'assemblea che manifesta e vive il mistero di Cristo e della sua Chiesa.

Per la celebrazione del matrimonio cristiano nell'ambito delle culture o tradizioni ancestrali, si seguano i principi qui sopra enunziati.

Celebrazione del matrimonio ed evangelizzazione dei battezzati non credenti

68. Proprio perché nella celebrazione del sacramento una attenzione tutta speciale va riservata alle disposizioni morali e spirituali dei nubendi, in particolare alla loro fede, va qui affrontata una difficoltà non infrequente, nella quale possono trovarsi i pastori della Chiesa nel contesto della nostra società secolarizzata.

La fede, infatti, di chi domanda alla Chiesa di sposarsi può esistere in gradi diversi ed è dovere primario dei pastori di farla riscoprire, di nutrirla e di renderla matura. Ma essi devono anche comprendere le ragioni che consigliano alla Chiesa di ammettere alla celebrazione anche chi è imperfettamente disposto.

Il sacramento del matrimonio ha questo di specifico fra tutti gli altri: di essere il sacramento di una realtà che già esiste nell'economia della creazione, di essere lo stesso patto coniugale istituito dal Creatore «al principio». La decisione dunque dell'uomo e della donna di sposarsi secondo questo progetto divino, la decisione cioè di impegnare nel loro irrevocabile consenso coniugale tutta la loro vita in un amore indissolubile ed in una fedeltà incondizionata, implica realmente, anche se non in modo pienamente consapevole, un atteggiamento di profonda obbedienza alla volontà di Dio, che non può darsi senza la sua grazia. Essi sono già, pertanto, inseriti in un vero e proprio cammino di salvezza, che la celebrazione del sacramento e l'immediata preparazione alla medesima possono completare e portare a termine, data la rettitudine della loro intenzione.

E' vero, d'altra parte, che in alcuni territori motivi di carattere più sociale che non autenticamente religioso spingono i fidanzati a chiedere di sposarsi in chiesa. La cosa non desta meraviglia. Il matrimonio, infatti, non è un avvenimento che riguarda solo chi si sposa. Esso è per sua stessa natura un fatto anche sociale, che impegna gli sposi davanti alla società. E da sempre la sua celebrazione è stata una festa, che unisce famiglie ed amici. Va da sé, dunque, che motivi sociali entrino, assieme a quelli personali, nella richiesta di sposarsi in chiesa.

Tuttavia, non si deve dimenticare che questi fidanzati, in forza del loro battesimo, sono realmente già inseriti nell'Alleanza sponsale di Cristo, con la Chiesa e che, per la loro retta intenzione, hanno accolto il progetto di Dio sul matrimonio e, quindi, almeno implicitamente, acconsentono a ciò che la Chiesa intende fare quando celebra il matrimonio. E, dunque, il solo fatto che in questa richiesta entrino anche motivi di carattere sociale non giustifica un eventuale rifiuto da parte dei pastori. Del resto, come ha insegnato il Concilio Vaticano II, i sacramenti con le parole e gli elementi rituali nutrono ed irrobustiscono la fede (cfr. «Sacrosantum Concilium», 59): quella fede verso cui i fidanzati già sono incamminati in forza della rettitudine della loro intenzione, che la grazia di Cristo non manca certo di favorire e di sostenere.

Voler stabilire ulteriori criteri di ammissione alla celebrazione ecclesiale del matrimonio, che dovrebbero riguardare il grado di fede dei nubendi, comporta oltre tutto gravi rischi. Quello, anzitutto, di pronunciare giudizi infondati e discriminatori; il rischio, poi, di sollevare dubbi sulla validità di matrimoni già celebrati, con grave danno per le comunità cristiane, e di nuove ingiustificate inquietudini per la coscienza degli sposi; si cadrebbe nel pericolo di contestare o di mettere in dubbio la sacramentalità di molti matrimoni di fratelli separati dalla piena comunione con la Chiesa cattolica, contraddicendo così la tradizione ecclesiale.

Quando, al contrario, nonostante ogni tentativo fatto, i nubendi mostrano di rifiutare in modo esplicito e formale ciò che la Chiesa intende compiere quando si celebra il matrimonio dei battezzati, il pastore d'anime non può ammetterli alla celebrazione. Anche se a malincuore, egli ha il dovere di prendere atto della situazione e di far comprendere agli interessati che, stando così le cose, non è la Chiesa ma sono essi stessi ad impedire quella celebrazione che pure domandano.

Ancora una volta appare in tutta la sua urgenza la necessità di una evangelizzazione e catechesi pre e post-matrimoniale, messe in atto da tutta la comunità cristiana, perché ogni uomo ed ogni donna che si sposano, celebrino il sacramento del matrimonio non solo validamente ma anche fruttuosamente.

Pastorale post-matrimoniale

69. La cura pastorale della famiglia regolarmente costituita significa, in concreto, l'impegno di tutte le componenti della comunità ecclesiale locale nell'aiutare la coppia a scoprire e a vivere la sua nuova vocazione e missione. Perché la famiglia divenga sempre più una vera comunità di amore, è necessario che tutti i suoi membri siano aiutati e formati alle loro responsabilità di fronte ai nuovi problemi che si presentano, al servizio reciproco, alla compartecipazione attiva alla vita di famiglia.

Ciò vale soprattutto per le giovani famiglie, le quali, trovandosi in un contesto di nuovi valori e di nuove responsabilità, sono più esposte, specialmente nei primi anni di matrimonio, ad eventuali difficoltà, come quelle create dall'adattamento alla vita in comune o dalla nascita di figli. I giovani coniugi sappiano accogliere cordialmente e valorizzare intelligentemente l'aiuto discreto, delicato e generoso di altre coppie, che già da tempo vanno facendo l'esperienza del matrimonio e della famiglia. Così in seno alla comunità ecclesiale - grande famiglia formata da famiglie cristiane - si attuerà un mutuo scambio di presenza e di aiuto fra tutte le famiglie, ciascuna mettendo a servizio delle altre la propria esperienza umana, come pure i doni di fede e di grazia. Animato da vero spirito apostolico, questo aiuto da famiglia a famiglia costituirà uno dei modi più semplici, più efficaci e alla portata di tutti per trasfondere capillarmente quei valori cristiani, che sono il punto di partenza e di arrivo di ogni cura pastorale. In tal modo le giovani famiglie non si limiteranno solo a ricevere, ma a loro volta, così aiutate, diverranno fonte di arricchimento per le altre famiglie, già da tempo costituite, con la loro testimonianza di vita e il loro contributo fattivo.

Nell'azione pastorale verso le giovani famiglie, poi, la Chiesa dovrà riservare una specifica attenzione per educarle a vivere responsabilmente l'amore coniugale in rapporto alle sue esigenze di comunione e di servizio alla vita, come pure a conciliare l'intimità della vita di casa con la comune e generosa opera per edificare la Chiesa e la società umana. Quando, con l'avvento dei figli, la coppia diventa in senso pieno e specifico una famiglia, la Chiesa sarà ancora vicina ai genitori perché accolgano i loro figli e li amino come dono ricevuto dal Signore della vita, assumendo con gioia la fatica di servirli nella loro crescita umana e cristiana.

II. Strutture della pastorale familiare

L'azione pastorale è sempre espressione dinamica della realtà della Chiesa, impegnata nella sua missione di salvezza. Anche la pastorale familiare - forma particolare e specifica della pastorale - ha come suo principio operativo e come protagonista responsabile la Chiesa stessa, attraverso le sue strutture e i suoi operatori.

La comunità ecclesiale e in particolare la parrocchia

70. Comunità al tempo stesso salvata e salvante, la Chiesa deve essere qui considerata nella sua duplice dimensione universale e particolare: questa si esprime e si attua nella comunità diocesana, pastoralmente divisa in comunità minori fra cui si distingue, per la sua peculiare importanza, la parrocchia.

La comunione con la Chiesa universale non mortifica, ma garantisce e promuove la consistenza e l'originalità delle diverse Chiese particolari; queste ultime restano il soggetto operativo più immediato e più efficace per l'attuazione della pastorale familiare. In tal senso ogni Chiesa locale e, in termini più particolari, ogni comunità parrocchiale deve prendere più viva coscienza della grazia e della responsabilità che riceve dal Signore in ordine a promuovere la pastorale della famiglia. Ogni piano di pastorale organica, ad ogni livello, non deve mai prescindere dal prendere in considerazione la pastorale della famiglia.

Alla luce di tale responsabilità va compresa anche l'importanza di un'adeguata preparazione da parte di quanti verranno più specificamente impegnati in questo genere di apostolato. I sacerdoti, i religiosi e le religiose, fin dal tempo della loro formazione, vengano orientati e formati in maniera progressiva e adeguata ai rispettivi compiti. Fra le altre iniziative mi compiaccio di sottolineare la recente creazione in Roma, presso la Pontificia Università Lateranense, di un Istituto Superiore consacrato allo studio dei problemi della famiglia. Anche in alcune diocesi sono stati fondati Istituti di questo genere; i Vescovi s'impegnino affinché il più gran numero possibile di sacerdoti, prima di assumere responsabilità parrocchiali, vi frequentino corsi specializzati. Altrove corsi di formazione vengono periodicamente tenuti presso Istituti Superiori di studi teologici e pastorali. Tali iniziative vanno incoraggiate, sostenute, moltiplicate ed aperte, ovviamente, anche ai laici che presteranno la loro opera professionale (medica, legale, psicologica, sociale, educativa) in aiuto della famiglia.

La famiglia

71. Ma soprattutto dev'essere riconosciuto il posto singolare che, in questo campo, spetta alla missione dei coniugi e delle famiglie cristiane, in forza della grazia ricevuta nel sacramento. Tale missione dev'essere posta a servizio dell'edificazione della Chiesa, della costruzione del Regno di Dio nella storia. Ciò è richiesto come atto di docile obbedienza a Cristo Signore. Egli, infatti, in forza del matrimonio dei battezzati elevato a sacramento, conferisce agli sposi cristiani una peculiare missione di apostoli, inviandoli come operai nella sua vigna, e, in modo tutto speciale, in questo campo della famiglia.

In questa attività essi operano in comunione e collaborazione con gli altri membri della Chiesa, che pure s'impegnano a favore della famiglia, mettendo a frutto i loro doni e ministeri. Tale apostolato si svolgerà anzitutto in seno alla propria famiglia, con la testimonianza della vita vissuta in conformità della legge divina in tutti i suoi aspetti, con la formazione cristiana dei figli, con l'aiuto dato alla loro maturazione nella fede, con l'educazione alla castità, con la preparazione alla vita, con la vigilanza per preservarli dai pericoli ideologici e morali da cui spesso sono minacciati, col loro graduale e responsabile inserimento nella comunità ecclesiale e in quella civile, con l'assistenza e il consiglio nella scelta della vocazione, col mutuo aiuto tra i membri della famiglia per la comune crescita umana e cristiana, e così via. L'apostolato della famiglia, poi, si irradierà con opere di carità spirituale e materiale verso le altre famiglie, specialmente quelle più bisognose di aiuto e di sostegno, verso i poveri, i malati, gli anziani, gli handicappati, gli orfani, le vedove, i coniugi abbandonati, le madri nubili e quelle che, in situazioni difficili, sono tentate di disfarsi del frutto del loro seno, ecc.

Le associazioni di famiglie per le famiglie

72. Sempre nell'ambito della Chiesa, soggetto responsabile della pastorale familiare, sono da ricordare i diversi raggruppamenti di fedeli, nei quali si manifesta e si vive in qualche misura il mistero della Chiesa di Cristo. Sono perciò da riconoscere e valorizzare - ciascuna in rapporto alle caratteristiche, finalità, incidenze e metodi propri - le diverse comunità ecclesiali, i vari gruppi e i numerosi movimenti impegnati in vario modo, a diverso titolo e a diverso livello, nella pastorale familiare.

Per tale motivo il Sinodo ha espressamente riconosciuto l'utile apporto di tali associazioni di spiritualità, di formazione e di apostolato. Sarà loro compito suscitare nei fedeli un vivo senso di solidarietà, favorire una condotta di vita ispirata al Vangelo e alla fede della Chiesa, formare le coscienze secondo i valori cristiani e non sui parametri della pubblica opinione, stimolare alle opere di carità vicendevole e verso gli altri con uno spirito di apertura, che faccia delle famiglie cristiane una vera sorgente di luce e un sano fermento per le altre.

Similmente e desiderabile, che, con vivo senso del bene comune, le famiglie cristiane si impegnino attivamente a ogni livello anche in altre associazioni non ecclesiali. Alcune di tali associazioni si propongono la preservazione, trasmissione e tutela dei sani valori etici e culturali dei rispettivi popoli, lo sviluppo della persona umana, la protezione medica, giuridica e sociale della maternità e dell'infanzia, la giusta promozione della donna e la lotta a quanto mortifica la sua dignità, l'incremento della mutua solidarietà, la conoscenza dei problemi connessi con la responsabile regolazione della fecondità secondo i metodi naturali conformi alla dignità umana e alla dottrina della Chiesa. Altre mirano alla costruzione di un mondo più giusto e più umano, alla promozione di leggi giuste che favoriscano il retto ordine sociale nel pieno rispetto della dignità e di ogni legittima libertà dell'individuo e della famiglia, a livello sia nazionale sia internazionale, alla collaborazione con la scuola e con le altre istituzioni, che completano l'educazione dei figli, e così via

III. Operatori della pastorale familiare

Oltre che la famiglia - oggetto, ma anzitutto soggetto essa stessa della pastorale familiare - vanno ricordati anche gli altri principali operatori in questo particolare settore.

I vescovi ed i presbiteri

73. Il primo responsabile della pastorale familiare nella diocesi è il vescovo. Come Padre e Pastore egli dev'essere particolarmente sollecito di questo settore, senza dubbio prioritario, della pastorale. Ad esso deve consacrare interessamento, sollecitudine, tempo, personale, risorse; soprattutto, però, appoggio personale alle famiglie ed a quanti, nelle diverse strutture diocesane, lo aiutano nella pastorale della famiglia. Avrà particolarmente a cuore il proposito di far sì che la propria diocesi sia sempre più una vera «famiglia diocesana», modello e sorgente di speranza per tante famiglie che vi appartengono. La creazione del Pontificio Consiglio per la Famiglia va vista in questo contesto: essere un segno dell'importanza che attribuisco alla pastorale della famiglia nel mondo, e al tempo stesso uno strumento efficace per aiutare a promuoverla ad ogni livello.

I vescovi si valgono in modo particolare dei presbiteri, il cui compito - come ha espressamente sottolineato il Sinodo - costituisce parte essenziale del ministero della Chiesa verso il matrimonio e la famiglia. Lo stesso si dica di quei diaconi, ai quali eventualmente venga affidata la cura di questo settore pastorale.

La loro responsabilità si estende non solo ai problemi morali e liturgici, ma anche a quelli di carattere personale e sociale. Essi devono sostenere la famiglia nelle sue difficoltà e sofferenze, affiancandosi ai membri di essa, aiutandoli a vedere la loro vita alla luce del Vangelo. Non è superfluo notare che da tale missione, se esercitata col dovuto discernimento e con vero spirito apostolico, il ministro della Chiesa attinge nuovi stimoli ed energie spirituali anche per la propria vocazione e per l'esercizio stesso del ministero.

Tempestivamente e seriamente preparati a tale apostolato, il sacerdote o il diacono devono comportarsi costantemente, nei riguardi delle famiglie, come padre, fratello, pastore e maestro, aiutandole coi sussidi della grazia e illuminandole con la luce della verità. Il loro insegnamento e i loro consigli, quindi, dovranno essere sempre in piena consonanza col Magistero autentico della Chiesa, in modo da aiutare il Popolo di Dio a formarsi un retto senso della fede da applicare, poi, alla vita concreta. Tale fedeltà al Magistero consentirà pure ai sacerdoti di curare con ogni impegno l'unità nei loro giudizi, per evitare ai fedeli ansietà di coscienza.

Pastori e laici partecipano, nella Chiesa, alla missione profetica di Cristo: i laici, testimoniando la fede con le parole e con la vita cristiana; i pastori, discernendo in tale testimonianza ciò che è espressione di fede genuina da ciò che è meno rispondente alla luce della fede; la famiglia, in quanto comunità cristiana, con la sua peculiare partecipazione e testimonianza di fede. Si avvia così un dialogo anche tra i pastori e le famiglie. I teologi e gli esperti di problemi familiari possono essere di grande aiuto a tale dialogo, spiegando esattamente il contenuto del Magistero della Chiesa e quello dell'esperienza della vita di famiglia. In tal modo l'insegnamento del Magistero viene meglio compreso e si spiana la strada al suo progressivo sviluppo. Giova tuttavia ricordare che la norma prossima e obbligatoria nella dottrina della fede - anche circa i problemi della famiglia - compete al Magistero gerarchico. Rapporti chiari tra i teologi, gli esperti di problemi familiari e il Magistero giovano non poco alla retta intelligenza della fede ed a promuovere - entro i confini di essa - il legittimo pluralismo.

Religiosi e Religiose

74. Il contributo che i religiosi e le religiose, e le anime consacrate in genere, possono dare all'apostolato della famiglia trova la sua prima, fondamentale e originale espressione proprio nella loro consacrazione a Dio, che li rende «davanti a tutti i fedeli... richiamo di quel mirabile connubio operato da Dio e che si manifesterà pienamente nel secolo futuro, per cui la Chiesa ha Cristo come unico suo sposo» («Perfectae Caritatis», 12), e testimoni di quella carità universale che, per mezzo della castità abbracciata per il Regno dei cieli, li rende sempre più disponibili per dedicarsi generosamente al servizio divino e alle opere di apostolato.

Di qui la possibilità che religiosi e religiose, membri di Istituti secolari e di altri Istituti di perfezione, singolarmente o associati, sviluppino un loro servizio alle famiglie, con particolare sollecitudine verso i bambini, specialmente se abbandonati, indesiderati, orfani, poveri o handicappati; visitando le famiglie e prendendosi cura dei malati; coltivando rapporti di rispetto e di carità con famiglie incomplete, in difficoltà o disgregate; offrendo la propria opera di insegnamento e di consulenza nella preparazione dei giovani al matrimonio e nell'aiuto alle coppie per una procreazione veramente responsabile; aprendo le proprie case all'ospitalità semplice e cordiale, affinché le famiglie possano trovarvi il senso di Dio, il gusto della preghiera e del raccoglimento, l'esempio concreto di una vita vissuta in carità e letizia fraterna come membri della più grande famiglia di Dio.

Vorrei aggiungere l'esortazione più pressante ai responsabili degli Istituti di vita consacrata, a voler considerare - sempre nel sostanziale rispetto del carisma proprio ed originario - l'apostolato rivolto alle famiglie come uno dei compiti prioritari, resi più urgenti dall'odierno stato di cose.

Laici specializzati

75. Non poco giovamento possono recare alle famiglie quei laici specializzati (medici, uomini di legge, psicologi, assistenti sociali, consulenti, ecc.) che sia individualmente sia impegnati in diverse associazioni e iniziative, prestano la loro opera di illuminazione, di consiglio, di orientamento, di sostegno. Ad essi possono bene applicarsi le esortazioni che ebbi occasione di rivolgere alla Confederazione dei Consultori familiari di ispirazione cristiana: «E' un impegno il vostro, che ben merita la qualifica di missione, tanto nobili sono le finalità che persegue e tanto determinati, per il bene della società e della stessa comunità cristiana, sono i risultati che ne derivano... Tutto quello che riuscirete a fare a sostegno della famiglia è destinato ad avere un'efficacia che, travalicando il suo ambito proprio, raggiunge anche altre persone ed incide sulla società. Il futuro del mondo e della Chiesa passa attraverso la famiglia» (num. 3-4 [29 Novembre 1980]: «Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III, 2 [1980] 1453).

Recettori e operatori della comunicazione sociale

76. Una parola a parte è da riservare a questa categoria tanto importante nella vita moderna. E' risaputo che gli strumenti della comunicazione sociale «incidono, e spesso profondamente, sia sotto l'aspetto affettivo e intellettuale, sia sotto l'aspetto morale e religioso, nell'ambito di quanti li usano», specialmente se giovani (Paolo PP. VI, Messaggio per la III Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali [7 Aprile 1969]: ASS 61 [1969] 455). Essi, perciò, possono esercitare un benefico influsso sulla vita e sui costumi della famiglia e sulla educazione dei figli, ma al tempo stesso nascondono anche «insidie e pericoli non trascurabili» (Giovanni Paolo PP. II, Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 1980 [1· Maggio 1980]: «Insegnamenti di Giovanni Paolo II» III, 1 [1980] 1042, e potrebbero diventare veicolo - a volte abilmente e sistematicamente manovrato, come purtroppo accade in diversi Paesi del mondo - di ideologie disgregatrici e di visioni deformate della vita, della famiglia, della religione, della moralità, non rispettose della vera dignità e del destino dell'uomo.

Pericolo tanto più reale, in quanto «l'odierno modo di vivere - specialmente nelle nazioni più industrializzate - porta assai spesso le famiglie a scaricarsi delle loro responsabilità educative, trovando nella facilità di evasione (rappresentata, in casa, specialmente dalla televisione e da certe pubblicazioni), il modo di tenere occupati tempo ed attività dei bambini e dei ragazzi» (Giovanni Paolo PP. II, Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 1981, 5 [10 Maggio 1980]: «L'Osservatore Romano», 22 Maggio 1981). Di qui «il dovere... di proteggere specialmente i bambini e ragazzi dalle "aggressioni" che subiscono dai mass-media», procurando che l'uso di questi in famiglia sia accuratamente regolato. Così pure dovrebbe stare altrettanto a cuore alla famiglia cercare, per i propri figli, anche altri diversivi più sani, più utili e formativi fisicamente, moralmente e spiritualmente, «per potenziare e valorizzare il tempo libero dei ragazzi e indirizzarne le energie» (Ibid).

Poiché, poi, gli strumenti della comunicazione sociale - al pari della scuola e dell'ambiente - incidono spesso anche in notevole misura sulla formazione dei figli, i genitori, in quanto recettori, devono farsi parte attiva nell'uso moderato, critico, vigile e prudente di essi, individuando quale influsso esercitano sui figli, e nella mediazione orientativa che consenta «di educare la coscienza dei figli ad esprimere giudizi sereni e oggettivi, che poi la guidano nella scelta e nel rifiuto dei programmi proposti» (Paolo PP. VI, Messaggio per la III Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali: ASS 61 [1969] 456).

Con eguale impegno i genitori cercheranno di influire sulla scelta e preparazione dei programmi stessi, mantenendosi in contatto - con opportune iniziative - con i responsabili dei vari momenti della produzione e della trasmissione, per assicurarsi che non siano abusivamente trascurati o espressamente conculcati quei valori umani fondamentali che fanno parte del vero bene comune della società, ma, al contrario, vengano diffusi programmi atti a presentare, nella loro giusta luce, i problemi della famiglia e la loro adeguata soluzione. A tal proposito il mio predecessore di venerabile memoria., Paolo VI, scriveva: «I produttori devono conoscere e rispettare le esigenze della famiglia, e questo suppone, a volte, in essi un vero coraggio, e sempre un alto senso di responsabilità. Essi, infatti, sono tenuti ad evitare tutto ciò che può ledere la famiglia nella sua esistenza, nella sua stabilità, nel suo equilibrio, nella sua felicità. Ogni offesa ai valori fondamentali della famiglia - si tratti di erotismo o di violenza, di apologia del divorzio o di atteggiamenti antisociali dei giovani - è un'offesa al vero bene dell'uomo (Ibid.).

Ed io stesso, in analoga occasione, facevo rilevare che le famiglie «devono poter contare in non piccola misura sulla buona volontà, sulla rettitudine e sul senso di responsabilità dei professionisti dei media: editori, scrittori, produttori, direttori, drammaturghi, informatori, commentatori ed attori» (Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 1980: «Insegnamenti di Giovanni Paolo II», III, 1 [1980] 1044). Perciò è doveroso che anche da parte della Chiesa si continui a dedicare ogni cura a queste categorie di operatori, incoraggiando e sostenendo, nello stesso tempo, quei cattolici che vi si sentono chiamati e ne hanno le doti, ad impegnarsi in questi delicati settori.

IV. La pastorale familiare nei casi difficili

Circostanze particolari

77. Un impegno pastorale ancor più generoso, intelligente e prudente, sull'esempio del Buon Pastore, è richiesto nei confronti di quelle famiglie che - spesso indipendentemente dalla propria volontà o premute da altre esigenze di diversa natura - si trovano ad affrontare situazioni obiettivamente difficili.

A questo proposito è necessario richiamare specialmente l'attenzione su alcune categorie particolari, che maggiormente abbisognano non solo di assistenza, ma di un'azione più incisiva sulla pubblica opinione e soprattutto sulle strutture culturali, economiche e giuridiche, al fine di eliminare al massimo le cause profonde dei loro disagi.

Tali sono, ad esempio, le famiglie dei migranti per motivi di lavoro; le famiglie di quanti sono costretti a lunghe assenze, quali, ad esempio, i militari, i naviganti, gli itineranti d'ogni tipo; le famiglie dei carcerati, dei profughi e degli esiliati; le famiglie che nelle grande città vivono praticamente emarginate; quelle che non hanno casa; quelle incomplete o monoparentali; le famiglie con i figli handicappati o drogati, le famiglie di alcoolizzati; quelle sradicate dal loro ambiente culturale e sociale o in rischio di perderlo; quelle discriminate per motivi politici o per altre ragioni; le famiglie ideologicamente divise; quelle che non riescono ad avere facilmente un contatto con la parrocchia; quelle che subiscono violenza o ingiusti trattamenti a motivo della propria fede; quelle composte da coniugi minorenni; gli anziani, non raramente costretti a vivere in solitudine e senza adeguati mezzi di sussistenza.

Le famiglie dei migranti, specialmente trattandosi di operai e di contadini, devono poter trovare dappertutto, nella Chiesa, la loro patria. E' questo un compito connaturale alla Chiesa, essendo segno di unità nella diversità. Per quanto è possibile siano assistiti da sacerdoti del loro stesso rito, cultura e idioma. Spetta pure alla Chiesa fare appello alla coscienza pubblica e a quanti hanno autorità nella vita sociale, economica e politica, affinché gli operai trovino lavoro nella propria regione e patria, siano retribuiti con giusto salario, le famiglie vengano al più presto riunite, siano prese in considerazione nella loro identità culturale, trattate al pari delle altre, ed ai loro figli sia data l'opportunità della formazione professionale e dell'esercizio della professione, come pure del possesso della terra necessaria per lavorare e vivere.

Un problema difficile è quello delle famiglie ideologicamente divise. In questi casi si richiede una particolare cura pastorale. Anzitutto bisogna, con discrezione, mantenere un contatto personale con tali famiglie. I credenti devono essere fortificati nella fede e sostenuti nella vita cristiana. Anche se la parte fedele al cattolicesimo non può cedere, tuttavia bisogna sempre mantenere vivo il dialogo con l'altra parte. Devono essere moltiplicate le manifestazioni di amore e di rispetto, nella ferma speranza di mantenere salda l'unità. Molto dipende anche dai rapporti tra genitori e figli. Le ideologie estranee alla fede possono, del resto, stimolare i membri credenti della famiglia a crescere nella fede e nella testimonianza di amore.

Altri momenti difficili, nei quali la famiglia ha bisogno dell'aiuto della comunità ecclesiale e dei suoi pastori, possono essere: l'adolescenza irrequieta contestatrice ed a volte tempestosa dei figli; il loro matrimonio, che li stacca dalla famiglia di origine; l'incomprensione o la mancanza di amore da parte delle persone più care; l'abbandono da parte del coniuge o la sua perdita, che apre la dolorosa esperienza della vedovanza, della morte di un familiare che mutila e trasforma in profondità il nucleo originario della famiglia.

Similmente non può essere trascurato dalla Chiesa il momento dell'età anziana, con tutti i suoi contenuti positivi e negativi: di possibile approfondimento dell'amore coniugale sempre più purificato e nobilitato dalla lunga e ininterrotta fedeltà; di disponibilità a porre a servizio degli altri, in forma nuova, la bontà e la saggezza accumulata e le energie rimaste; di pesante solitudine, più spesso psicologica e affettiva che non fisica, per l'eventuale abbandono o per una insufficiente attenzione da parte dei figli e dei parenti; di sofferenza per la malattia, per il progressivo declino delle forze, per l'umiliazione di dover dipendere da altri, per l'amarezza di sentirsi forse di peso ai propri cari, per l'avvicinarsi degli ultimi momenti della vita. Sono queste le occasioni nelle quali - come hanno insinuato i Padri Sinodali - più facilmente si possono far comprendere e vivere quegli elevati aspetti della spiritualità matrimoniale e familiare, che si ispirano al valore della Croce e risurrezione di Cristo, fonte di santificazione e di profonda letizia nella vita quotidiana, nella prospettiva delle grandi realtà escatologiche della vita terrena.

In tutte queste diverse situazioni non sia mai trascurata la preghiera, sorgente di luce e di forza ed alimento della speranza cristiana.

Matrimoni misti

78. Il numero crescente dei matrimoni fra cattolici ed altri battezzati richiede pure una peculiare attenzione pastorale alla luce degli orientamenti e delle norme, contenute nei più recenti documenti della Santa Sede e in quelli elaborati dalle Conferenze episcopali, per consentirne l'applicazione concreta alle diverse situazioni.

Le coppie che vivono in matrimonio misto presentano peculiari esigenze, le quali possono ridursi a tre capi principali.

Vanno, anzitutto, tenuti presenti gli obblighi della parte cattolica derivanti dalla fede, per quanto concerne il libero esercizio di essa e il conseguente obbligo di provvedere, secondo le proprie forze, a battezzare e ad educare i figli nella fede cattolica (cfr. Paolo PP. VI, Motu Proprio «Matrimonia Mixta», 4-5: ASS 62 [1970], 257ss; cfr. Giovanni Paolo PP. II, Discorso ai partecipanti alla plenaria del Segretariato per l'unione dei cristiani [13 Novembre 1981]: «L'Osservatore Romano» [14 Novembre 1981]).

Bisogna tenere presenti le particolari difficoltà inerenti ai rapporti tra marito e moglie, per quanto riguarda il rispetto della libertà religiosa: questa può essere violata sia mediante pressioni indebite per ottenere il cambiamento delle convinzioni religiose della comparte, sia mediante impedimenti frapposti alla libera manifestazione di esse nella pratica religiosa.

Per quanto riguarda la forma liturgica e canonica del matrimonio, gli Ordinari possono largamente far uso delle loro facoltà per varie necessità.

Nel trattare di queste speciali esigenze bisogna tener presenti i punti seguenti:

  • nell'apposita preparazione a questo tipo di matrimonio, deve essere compiuto ogni ragionevole sforzo per far ben comprendere la dottrina cattolica sulle qualità ed esigenze del matrimonio, come pure per assicurarsi che in futuro, non abbiano a verificarsi le pressioni e gli ostacoli, di cui si è parlato sopra;
  • è di somma importanza che, con l'appoggio della comunità, la parte cattolica venga fortificata nella sua fede e positivamente aiutata a maturare nella comprensione e nella pratica di essa, in modo da diventare vera testimone credibile in seno alla famiglia, attraverso la vita stessa e la qualità dell'amore dimostrato all'altro coniuge e ai figli.

I matrimoni fra cattolici ed altri battezzati presentano, pur nella loro particolare fisionomia, numerosi elementi che è bene valorizzare e sviluppare, sia per il loro intrinseco valore, sia per l'apporto che possono dare al movimento ecumenico. Ciò è particolarmente vero quando ambedue i coniugi sono fedeli ai loro impegni religiosi. Il comune battesimo e il dinamismo della grazia forniscono agli sposi, in questi matrimoni, la base e la motivazione per esprimere la loro unità nella sfera dei valori morali e spirituali.

A tal fine, anche per mettere in evidenza l'importanza ecumenica di un tale matrimonio misto, vissuto pienamente nella fede dei due coniugi cristiani, va ricercata - anche se non sempre ciò si rivela facile - una cordiale collaborazione tra il ministro cattolico e quello non cattolico, fin dal tempo della preparazione al matrimonio e delle nozze.

Quanto alla partecipazione del coniuge non cattolico alla comunione eucaristica, si seguano le norme impartite dal Segretariato per l'unione dei cristiani (Istruz. «In quibus rerum circumstantiis» [15 Giugno 1972], 518-525; Nota del 17 Ottobre 1973: ASS 64 [1973] 616-619).

In varie parti del mondo si registra, oggi, un crescente numero di matrimoni fra cattolici e non battezzati. In molti di essi il coniuge non battezzato professa un'altra religione e le sue convinzioni devono essere trattate con rispetto, secondo i principi della Dichiarazione «Nostra Aetate» del Concilio Ecumenico Vaticano II circa le relazioni con le religioni non cristiane; ma in non pochi altri, particolarmente nelle società secolarizzate, la persona non battezzata non professa alcuna religione. Per questi matrimoni è necessario che le Conferenze episcopali ed i singoli vescovi prendano misure pastorali adeguate, dirette a garantire la difesa della fede del coniuge cattolico e la tutela del libero esercizio di essa, soprattutto per quanto concerne il dovere di fare quanto è in suo potere perché i figli siano battezzati ed educati cattolicamente. Il coniuge cattolico deve essere, altresì, sostenuto in ogni modo nell'impegno di offrire all'interno della famiglia una genuina testimonianza di fede e di vita cattolica.

Azione pastorale di fronte ad alcune situazioni irregolari

79. Nella sua sollecitudine di tutelare la famiglia in ogni sua dimensione, non soltanto in quella religiosa, il Sinodo dei Vescovi non ha tralasciato di prendere in attenta considerazione alcune situazioni religiosamente e spesso anche civilmente irregolari, che - negli odierni rapidi mutamenti delle culture - vanno purtroppo diffondendosi anche fra i cattolici, con non lieve danno dello stesso istituto familiare e della società, di cui esso costituisce la cellula fondamentale.

a) Il matrimonio per esperimento

80. Una prima situazione irregolare è data da quello che chiamano «matrimonio per esperimento», che molti oggi vorrebbero giustificare, attribuendo ad esso un certo valore. Già la stessa ragione umana insinua la sua inaccettabilità, mostrando quanto sia poco convincente che si faccia un «esperimento» nei riguardi di persone umane, la cui dignità esige che siano sempre e solo il termine dell'amore di donazione senza alcun limite né di tempo né di altra circostanza.

Dal canto suo, la Chiesa non può ammettere un tale tipo di unione per ulteriori, originali motivi, derivanti dalla fede. Da una parte, infatti, il dono del corpo nel rapporto sessuale è il simbolo reale della donazione di tutta la persona: una tale donazione peraltro, nell'attuale economia non può attuarsi con verità piena senza il concorso dell'amore di carità, dato da Cristo. Dall'altra parte, poi, il matrimonio fra due battezzati è il simbolo reale dell'unione di Cristo con la Chiesa, una unione non temporanea o «ad esperimento», ma eternamente fedele; tra due battezzati, pertanto, non può esistere che un matrimonio indissolubile.

Tale situazione ordinariamente non può essere superata, se la persona umana, fin dall'infanzia, con l'aiuto della grazia di Cristo e senza timori, non è stata educata a dominare la nascente concupiscenza e ad instaurare con gli altri rapporti di amore genuino. Ciò non si ottiene senza una vera educazione all'amore autentico e al retto uso della sessualità, tale che introduca la persona umana secondo ogni sua dimensione, e perciò anche in quella che riguarda il proprio corpo, nella pienezza del mistero di Cristo.

Sarà molto utile indagare sulle cause di questo fenomeno, anche nel suo aspetto psicologico e sociologico, per giungere a trovare un'adeguata terapia.

b) Unioni libere di fatto

81. Si tratta di unioni senza alcun vincolo istituzionale pubblicamente riconosciuto, né civile né religioso. Questo fenomeno - esso pure sempre più frequente - non può non attirare l'attenzione dei pastori d'anime, anche perché alla sua base possono esserci elementi molto diversi fra loro, agendo sui quali sarà forse possibile limitarne le conseguenze.

Alcuni, infatti, vi si considerano quasi costretti da situazioni difficili - economiche, culturali e religiose - in quanto, contraendo regolare matrimonio, verrebbero esposti ad un danno, alla perdita di vantaggi economici, a discriminazioni, ecc. In altri, invece, si riscontra un atteggiamento di disprezzo, di contestazione o di rigetto della società, dell'istituto familiare, dell'ordinamento socio-politico, o di sola ricerca del piacere. Altri, infine, vi sono spinti dall'estrema ignoranza e povertà, talvolta da condizionamenti dovuti a situazioni di vera ingiustizia, o anche da una certa immaturità psicologica, che li rende incerti e timorosi di contrarre un vincolo stabile e definitivo. In alcuni Paesi le consuetudini tradizionali prevedono il matrimonio vero e proprio solo dopo un periodo di coabitazione e dopo la nascita del primo figlio.

Ognuno di questi elementi pone alla Chiesa ardui problemi pastorali, per le gravi conseguenze che ne derivano, sia religiose e morali (perdita del senso religioso del matrimonio, visto alla luce dell'Alleanza di Dio con il suo popolo: privazione della grazia del sacramento; grave scandalo), sia anche sociali (distruzione del concetto di famiglia; indebolimento del senso di fedeltà anche verso la società; possibili traumi psicologici nei figli; affermazione dell'egoismo).

Sarà cura dei pastori e della comunità ecclesiale conoscere tali situazioni e le loro cause concrete, caso per caso; avvicinare i conviventi con discrezione e rispetto; adoperarsi con una azione di paziente illuminazione, di caritatevole correzione, di testimonianza familiare cristiana, che possa spianare loro la strada verso la regolarizzazione della situazione.

Soprattutto, però, sia fatta opera di prevenzione, coltivando il senso della fedeltà in tutta l'educazione morale e religiosa dei giovani, istruendoli circa le condizioni e le strutture che favoriscono tale fedeltà, senza la quale non si dà vera libertà, aiutandoli a maturare spiritualmente, facendo loro comprendere la ricca realtà umana e soprannaturale del matrimonio-sacramento.

Il Popolo di Dio si adoperi anche presso le pubbliche autorità affinché resistendo a queste tendenze disgregatrici della stessa società e dannose per la dignità, sicurezza e benessere dei singoli cittadini, si adoperino perché l'opinione pubblica non sia indotta a sottovalutare l'importanza istituzionale del matrimonio e della famiglia. E poiché in molte regioni, per l'estrema povertà derivante da strutture socioeconomiche ingiuste o inadeguate, i giovani non sono in condizione di sposarsi come si conviene, la società e le pubbliche autorità favoriscono il matrimonio legittimo mediante una serie di interventi sociali e politici, garantendo il salario familiare, emanando disposizioni per un'abitazione adatta alla vita familiare, creando adeguate possibilità di lavoro e di vita.

c) Cattolici uniti col solo matrimonio civile

82. E' sempre più diffuso il caso di cattolici che, per motivi ideologici e pratici, preferiscono contrarre il solo matrimonio civile, rifiutando o almeno rimandando quello religioso. La loro situazione non può equipararsi senz'altro a quella dei semplici conviventi senza alcun vincolo, in quanto vi si riscontra almeno un certo impegno a un preciso e probabilmente stabile stato di vita, anche se spesso non è estranea a questo passo la prospettiva di un eventuale divorzio. Ricercando il pubblico riconoscimento del vincolo da parte dello Stato, tali coppie mostrano di essere disposte ad assumersene, con i vantaggi, anche gli obblighi. Ciò nonostante, neppure questa situazione è accettabile da parte della Chiesa.

L'azione pastorale tenderà a far comprendere la necessità della coerenza tra la scelta di vita e la fede che si professa, e cercherà di far quanto è possibile per indurre tali persone a regolare la propria situazione alla luce dei principi cristiani. Pur trattandole con grande carità, e interessandole alla vita delle rispettive comunità, i pastori della Chiesa non potranno purtroppo ammetterle ai sacramenti.

d) Separati e divorziati non risposati

83. Motivi diversi, quali incomprensioni reciproche, incapacità di aprirsi a rapporti interpersonali, ecc. possono dolorosamente condurre il matrimonio valido a una frattura spesso irreparabile. Ovviamente la separazione deve essere considerata come estremo rimedio, dopo che ogni altro ragionevole tentativo si sia dimostrato vano.

La solitudine e altre difficoltà sono spesso retaggio del coniuge separato, specialmente se innocente. In tal caso la comunità ecclesiale deve più che mai sostenerlo; prodigargli stima, solidarietà, comprensione ed aiuto concreto in modo che gli sia possibile conservare la fedeltà anche nella difficile situazione in cui si trova; aiutarlo a coltivare l'esigenza del perdono propria dell'amore cristiano e la disponibilità all'eventuale ripresa della vita coniugale anteriore.

Analogo è il caso del coniuge che ha subito divorzio, ma che - ben conoscendo l'indissolubilità del vincolo matrimoniale valido - non si lascia coinvolgere in una nuova unione, impegnandosi invece unicamente nell'adempimento dei suoi doveri di famiglia e delle responsabilità della vita cristiana. In tal caso il suo esempio di fedeltà e di coerenza cristiana assume un particolare valore di testimonianza di fronte al mondo e alla Chiesa, rendendo ancor più necessaria, da parte di questa, un'azione continua di amore e di aiuto, senza che vi sia alcun ostacolo per l'ammissione ai sacramenti.

e) I divorziati risposati

84. L'esperienza quotidiana mostra, purtroppo, che chi ha fatto ricorso al divorzio ha per lo più in vista il passaggio ad una nuova unione, ovviamente non col rito religioso cattolico. Poiché si tratta di una piaga che va, al pari delle altre, intaccando sempre più largamente anche gli ambienti cattolici, il problema dev'essere affrontato con premura indilazionabile. I Padri Sinodali l'hanno espressamente studiato. La Chiesa, infatti, istituita per condurre a salvezza tutti gli uomini e soprattutto i battezzati, non può abbandonare a se stessi coloro che - già congiunti col vincolo matrimoniale sacramentale - hanno cercato di passare a nuove nozze. Perciò si sforzerà, senza stancarsi, di mettere a loro disposizione i suoi mezzi di salvezza.

Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C'è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell'educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido.

Insieme col Sinodo, esorto caldamente i pastori e l'intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio. La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza.

La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'Eucaristia. C'è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all'Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio.

La riconciliazione nel sacramento della penitenza - che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico - può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l'uomo e la donna, per seri motivi - quali, ad esempio, l'educazione dei figli - non possono soddisfare l'obbligo della separazione, «assumono l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» (Giovanni Paolo PP. II, Omelia per la chiusura del VI Sinodo dei Vescovi, 7 [25 Ottobre 1980]: AAS 72 [1980] 1082).

Similmente il rispetto dovuto sia al sacramento del matrimonio sia agli stessi coniugi e ai loro familiari, sia ancora alla comunità dei fedeli proibisce ad ogni pastore, per qualsiasi motivo o pretesto anche pastorale, di porre in atto, a favore dei divorziati che si risposano, cerimonie di qualsiasi genere. Queste, infatti, darebbero l'impressione della celebrazione di nuove nozze sacramentali valide e indurrebbero conseguentemente in errore circa l'indissolubilità del matrimonio validamente contratto.

Agendo in tal modo, la Chiesa professa la propria fedeltà a Cristo e alla sua verità; nello stesso tempo si comporta con animo materno verso questi suoi figli, specialmente verso coloro che, senza loro colpa, sono stati abbandonati dal loro coniuge legittimo.

Con ferma fiducia essa crede che, anche quanti si sono allontanati dal comandamento del Signore ed in tale stato tuttora vivono, potranno ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità.

I senza-famiglia

85. Ancora una parola desidero aggiungere per una categoria di persone che, per la concreta condizione in cui si trovano a vivere - e spesso non per loro deliberata volontà - io considero particolarmente vicine al Cuore di Cristo e degne dell'affetto della sollecitudine fattiva della Chiesa e dei pastori.

Esistono al mondo moltissime persone le quali, disgraziatamente, non possono riferirsi in alcun modo a ciò che si potrebbe definire in senso proprio una famiglia. Grandi settori dell'umanità vivono in condizioni di enorme povertà, in cui la promiscuità, la carenza di abitazioni, l'irregolarità ed instabilità dei rapporti, l'estrema mancanza di cultura non consentono praticamente di poter parlare di vera famiglia. Ci sono altre persone che, per motivi diversi, sono rimaste sole al mondo. Eppure per tutti costoro esiste un «buon annunzio della famiglia».

In favore di quanti vivono in estrema povertà, già ho parlato dell'urgente necessità di lavorare coraggiosamente per trovare soluzioni, anche a livello politico, che consentano di aiutarli a superare questa inumana condizione di prostrazione. E' un compito che incombe, solidarmente, all'intera società, ma in maniera speciale alle autorità in forza della loro carica e delle conseguenti responsabilità, nonché alle famiglie, che devono dimostrare grande comprensione e volontà di aiuto.

A coloro che non hanno una famiglia naturale bisogna aprire ancor più le porte della grande famiglia che è la Chiesa, la quale si concretizza a sua volta nella famiglia diocesana e parrocchiale, nelle comunità ecclesiali di base o nei movimenti apostolici. Nessuno è privo della famiglia in questo mondo: la Chiesa è casa e famiglia per tutti, specialmente per quanti sono «affaticati e oppressi» (cfr. Mt 11,28).

CONCLUSIONE

86. A voi sposi, a voi padri e madri di famiglia;

a voi, giovani e ragazze, che siete il futuro e la speranza della Chiesa e del mondo, e sarete il nucleo portante e dinamico della famiglia nel terzo millennio che si avvicina;

a voi, venerabili e cari fratelli nell'episcopato e nel sacerdozio, diletti figli religiosi e religiose, anime consacrate al Signore, che agli sposi testimoniate la realtà ultima dell'amore di Dio;

a voi, uomini tutti di retto sentire, che a qualsiasi titolo siete pensierosi delle sorti della famiglia, si rivolge con trepida sollecitudine il mio animo al termine di questa esortazione apostolica.

L'avvenire dell'umanità passa attraverso la famiglia!

E', dunque, indispensabile ed urgente che ogni uomo di buona volontà si impegni a salvare ed a promuovere i valori e le esigenze della famiglia.

Un particolare sforzo a questo riguardo sento di dover chiedere ai figli della Chiesa. Essi, che nella fede conoscono pienamente il meraviglioso disegno di Dio, hanno una ragione in più per prendersi a cuore la realtà della famiglia in questo nostro tempo di prova e di grazia.

Essi devono amare in modo particolare la famiglia. E' questa una consegna concreta ed esigente.

Amare la famiglia significa saperne stimare i valori e le possibilità, promuovendoli sempre. Amare la famiglia significa individuare i pericoli ed i mali che la minacciano, per poterli superare. Amare la famiglia significa adoperarsi per crearle un ambiente che favorisca il suo sviluppo. E, ancora, è forma eminente di amore ridare alla famiglia cristiana di oggi, spesso tentata dallo sconforto e angosciata per le accresciute difficoltà, ragioni di fiducia in se stessa, nelle proprie ricchezze di natura e di grazia, nella missione che Dio le ha affidato. «Bisogna che le famiglie del nostro tempo riprendano quota! Bisogna che seguano Cristo!» (Giovanni Paolo PP. II, Lettera «Appropinaquat iam», 1 [15 Agosto 1980]: ASS 72 [1980], 791).

Spetta altresì ai cristiani il compito di annunciare con gioia e convinzione la «buona novella» sulla famiglia, la quale ha un assoluto bisogno di ascoltare sempre di nuovo e di comprendere sempre più a fondo le parole autentiche che le rivelano la sua identità, le sue risorse interiori, l'importanza della sua missione nella Città degli uomini e in quella di Dio.

La Chiesa conosce la via sulla quale la famiglia può giungere al cuore della sua verità profonda. Questa via, che la Chiesa ha imparato alla scuola di Cristo e a quella della storia, interpretata nella luce dello Spirito, essa non la impone, ma sente in sé l'insopprimibile esigenza di proporla a tutti senza timore, anzi con grande fiducia e speranza, pur sapendo che la «buona novella» conosce il linguaggio della Croce. Ma è attraverso la Croce che la famiglia può giungere alla pienezza del suo essere e alla perfezione del suo amore.

Desidero, infine, invitare tutti i cristiani a collaborare, cordialmente e coraggiosamente, con tutti gli uomini di buona volontà, che vivono la loro responsabilità al servizio della famiglia. Quanti si consacrano al suo bene in seno alla Chiesa, nel suo nome e da essa ispirati, siano essi individui o gruppi, movimenti o associazioni, trovano spesso al loro fianco persone e istituzioni diverse che operano per il medesimo ideale. Nella fedeltà ai valori del Vangelo e dell'uomo e nel rispetto di un legittimo pluralismo di iniziative, questa collaborazione potrà favorire una più rapida ed integrale promozione della famiglia.

Ed ora, concludendo questo messaggio pastorale, che intende sollecitare l'attenzione di tutti sui compiti gravosi ma affascinanti della famiglia cristiana, desidero invocare la protezione della santa Famiglia di Nazaret.

Per misterioso disegno di Dio, in essa è vissuto nascosto per lunghi anni il Figlio di Dio: essa è dunque prototipo ed esempio di tutte le famiglie cristiane. E quella Famiglia, unica al mondo, che ha trascorso un'esistenza anonima e silenziosa in un piccolo borgo della Palestina; che è stata provata dalla povertà, dalla persecuzione, dall'esilio; che ha glorificato Dio in modo incomparabilmente alto e puro, non mancherà di assistere le famiglie cristiane, anzi tutte le famiglie del mondo, nella fedeltà ai loro doveri quotidiani, nel sopportare le ansie e le tribolazioni della vita, nella generosa apertura verso le necessità degli altri, nell'adempimento gioioso del piano di Dio nei loro riguardi.

Che san Giuseppe, «uomo giusto», lavoratore instancabile, custode integerrimo dei pegni a lui affidati, le custodisca, le protegga, le illumini sempre.

Che la Vergine Maria, come è Madre della Chiesa, così anche sia la Madre della «Chiesa domestica», e, grazie al suo aiuto materno, ogni famiglia cristiana possa diventare veramente una «piccola Chiesa», nella quale si rispecchi e riviva il mistero della Chiesa di Cristo. Sia Lei, l'ancella del Signore, l'esempio di accoglienza umile e generosa della volontà di Dio; sia Lei, Madre Addolorata ai piedi della Croce, a confortare le sofferenze e ad asciugare le lacrime di quanti soffrono per le difficoltà delle loro famiglie.

E Cristo Signore, Re dell'universo, Re delle famiglie, sia presente, come a Cana, in ogni focolare cristiano a donare luce, gioia, serenità, fortezza. A Lui, nel giorno solenne dedicato alla sua Regalità, chiedo che ogni famiglia sappia generosamente portare il suo originale contributo all'avvento nel mondo del suo Regno, «Regno di verità e di vita, di santità e di pace» («Prefatio» della Messa della Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'universo), verso il quale è in cammino la storia.

A Lui, a Maria, a Giuseppe affido ogni famiglia. Alle loro mani e al loro cuore presento questa esortazione: siano Essi a porgerla a voi, venerati fratelli e diletti figli, e ad aprire i vostri cuori alla luce che il Vangelo irradia su ogni famiglia.

A tutti e a ciascuno, assicurando la mia costante preghiera, imparto di cuore l'apostolica benedizione, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Dato a Roma, presso san Pietro, il 22 novembre, Solennità di N. S. Gesù Cristo Re dell'universo, dell'anno 1981, quarto del Pontificato.

 

 

ECCLESIA IN ASIA

 

ESORTAZIONE APOSTOLICA
POST-SINODALE
ECCLESIA IN ASIA
DEL SANTO PADRE
GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI
AI PRESBITERI E AI DIACONI
ALLE PERSONE CONSACRATE
E A TUTTI I FEDELI LAICI
CIRCA GESÙ CRISTO, IL SALVATORE
E LA SUA MISSIONE DI AMORE
E DI SERVIZIO IN ASIA:
"... PERCHÉ ABBIANO LA VITA
E L'ABBIANO IN ABBONDANZA" (Gv 10,10)

 

INTRODUZIONE

 

Le meraviglie del piano di Dio in Asia

1. La Chiesa in Asia canta le lodi del « Dio della salvezza » (Sal 68 [67], 20) per avere scelto di dare inizio al suo piano salvifico sul suolo dell'Asia, mediante uomini e donne di quel Continente. È stato in Asia, infatti, che Dio sin dall'inizio rivelò e portò a compimento il suo progetto salvifico. Guidò i Patriarchi (cfr Gn 12) e chiamò Mosè affinché conducesse il suo popolo verso la libertà (cfr Es 3, 10). Al popolo che si era scelto Egli parlò attraverso molti Profeti, Giudici, Re e intrepide donne di fede. Nella « pienezza del tempo » (Gal 4, 4), inviò l'Unigenito suo Figlio, Gesù Cristo il Salvatore, che si incarnò come asiatico! Esultando per la bontà dei popoli del Continente, per le culture e la vitalità religiosa, e cosciente, allo stesso tempo, dell'unicità del dono della fede ricevuta per il bene di tutti, la Chiesa in Asia non può cessare di proclamare: « Celebrate il Signore, perché è buono; perché eterna è la sua misericordia » (Sal 118 [117], 1).

Dato che Gesù è nato, vissuto, morto e risorto in Terra Santa, questa piccola porzione dell'Asia occidentale è diventata terra di promessa e di speranza per tutto il genere umano. Gesù conobbe ed amò quella terra, facendo sue la storia, le sofferenze e le speranze di quel popolo; ne ebbe cara la gente, abbracciando le tradizioni e l'eredità ebraiche. Dio, infatti, sin dall'antichità scelse questo popolo e ad esso si rivelò in preparazione della venuta del Salvatore. Da questa terra, mediante la predicazione del Vangelo, con la potenza dello Spirito Santo, la Chiesa andò ovunque per « ammaestrare tutte le nazioni » (cfr Mt 28, 19). Insieme con la comunità ecclesiale diffusa nel mondo, la Chiesa in Asia varcherà la soglia del terzo millennio cristiano, contemplando con meraviglia quanto Dio ha compiuto dagli inizi sino ad oggi e forte della consapevolezza che « come nel primo millennio la Croce fu piantata sul suolo europeo, nel secondo millennio su quello americano e africano, nel terzo millennio si potrà sperare di raccogliere una grande messe di fede in questo continente così vasto e vivo ».1

 

La preparazione all'Assemblea Speciale

2. Nella Lettera apostolica Tertio millennio adveniente, ho delineato per la Chiesa in vista del terzo millennio del cristianesimo un programma centrato sulle sfide della nuova evangelizzazione. Elemento importante di questo piano era la celebrazione di Sinodi continentali, così che i Vescovi potessero affrontare la questione dell'evangelizzazione secondo le situazioni locali e le necessità di ogni continente. Questa serie di sinodi, collegati dal tema comune della nuova evangelizzazione, è risultata un importante contributo per la preparazione della Chiesa al Grande Giubileo dell'Anno 2000.

Nella stessa Lettera, riferendomi all'Assemblea Speciale per l'Asia del Sinodo dei Vescovi, osservavo che in quella parte del mondo « più marcata è la questione dell'incontro del cristianesimo con le antichissime culture e religioni locali. Una grande sfida, questa, per l'evangelizzazione, dato che sistemi religiosi come il buddismo o l'induismo si propongono con un chiaro carattere soteriologico ».2 È davvero un mistero perché mai il Salvatore del mondo, nato in Asia, sia rimasto fino ad ora largamente sconosciuto ai popoli del Continente asiatico. Il Sinodo ha offerto una opportunità provvidenziale alla Chiesa in Asia per riflettere su tale mistero e per affermare un rinnovato impegno nella missione di far meglio conoscere a tutti Gesù Cristo. Due mesi dopo la pubblicazione della Tertio millennio adveniente, rivolgendomi alla sesta Assemblea plenaria della Federazione delle Conferenze Episcopali dell'Asia, a Manila nelle Filippine, durante le indimenticabili celebrazioni della decima Giornata mondiale della Gioventù, ho ricordato ai Vescovi: « Se la Chiesa in Asia deve compiere il suo destino provvidenziale, l'evangelizzazione, come gioiosa, paziente e progressiva predicazione della morte salvifica e della Risurrezione di Gesù Cristo, deve essere una vostra priorità assoluta ».3

Lungo la fase preparatoria si è evidenziata la positiva risposta dei Vescovi e delle Chiese particolari alla proposta di un'Assemblea Speciale per l'Asia del Sinodo dei Vescovi. Ad ogni tappa, essi hanno comunicato i loro desideri ed opinioni con franchezza e penetrante conoscenza del Continente, pienamente coscienti del vincolo di comunione che li lega alla Chiesa universale. In linea con l'idea originale della Tertio millennio adveniente e seguendo le proposte del Consiglio Presinodale che aveva valutato i pareri dei Vescovi e delle Chiese particolari nel Continente asiatico, ho scelto per tema del Sinodo: Gesù Cristo, il Salvatore e la sua missione di amore e di servizio in Asia: « perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza » (Gv 10, 10). Mediante questa particolare formulazione del tema, era mio auspicio che il Sinodo « illustrasse e approfondisse la verità su Cristo come unico Mediatore tra Dio e gli uomini e unico Redentore del mondo, ben distinguendolo dai fondatori di altre grandi religioni ».4 Mentre ci avviciniamo al Grande Giubileo, la Chiesa in Asia ha bisogno di essere in grado di proclamare con rinnovato vigore: Ecce natus est nobis Salvator mundi, « Ecco, è nato per noi il Salvatore del mondo »... è nato in Asia!

 

La celebrazione dell'Assemblea Speciale

3. Per grazia di Dio, l'Assemblea Speciale per l'Asia del Sinodo dei Vescovi si è svolta dal 18 aprile al 14 maggio 1998 in Vaticano, dopo le Assemblee per l'Africa (1994) e per l'America (1997) e prima dell'Assemblea Speciale per l'Oceania, tenutasi alla fine dell'anno 1998. Per quasi un mese, i Padri sinodali e gli altri partecipanti, riuniti attorno al Successore di Pietro e condividendo il dono della comunione gerarchica, hanno dato voce e volto alla Chiesa in Asia. Si è trattato senza dubbio di uno speciale momento di grazia!5 Precedenti riunioni di Vescovi dell'Asia avevano contribuito alla preparazione del Sinodo, rendendo possibile un'atmosfera di intensa comunione ecclesiale e fraterna. A tale proposito, di particolare rilevanza furono le precedenti Assemblee plenarie e i Seminari sponsorizzati dalla Federazione delle Conferenze Episcopali dell'Asia e dai suoi uffici, che hanno radunato periodicamente un gran numero di Vescovi dell'Asia, promuovendo tra di loro vincoli e legami ministeriali. Ad alcuni di tali incontri ho avuto la gioia di partecipare, presiedendo a volte le solenni Celebrazioni eucaristiche di apertura o di chiusura. In quelle circostanze, ho potuto osservare direttamente l'incontro nel dialogo tra le Chiese particolari, comprese le Chiese orientali, nella persona dei Pastori. Queste e altre Assemblee regionali dei Vescovi dell'Asia sono provvidenzialmente servite alla preparazione remota dell'Assemblea sinodale.

L'effettiva celebrazione del Sinodo stesso ha confermato l'importanza del dialogo quale modo caratteristico della vita della Chiesa in Asia. Una condivisione sincera ed onesta di esperienze, di idee e di proposte si è rivelata come la via per un genuino incontro di spiriti, una comunione di menti e di cuori che, nell'amore, rispetta e trascende le differenze. È stato particolarmente commovente l'incontro delle nuove con le antiche Chiese, che fanno risalire le proprie origini agli Apostoli. Abbiamo sperimentato la gioia incomparabile di vedere i Pastori delle Chiese particolari in Myanmar, in Vietnam, nel Laos, nella Cambogia, nella Mongolia, nella Siberia e nelle nuove repubbliche dell'Asia Centrale seduti a fianco dei loro Fratelli, che avevano a lungo desiderato di incontrarli e dialogare con loro. C'è stato però anche un senso di tristezza per il fatto che Vescovi della Cina continentale non hanno potuto essere presenti. La loro assenza si è trasformata in un costante richiamo ai sacrifici eroici ed alle sofferenze che la Chiesa continua ad affrontare in molte parti dell'Asia.

L'incontro nel dialogo dei Vescovi con il Successore di Pietro, al quale è affidato il compito di confermare i fratelli (cfr Lc 22, 32), è servito a rinsaldarli nella fede e nella missione. Giorno dopo giorno, l'Aula sinodale e le sale degli incontri si sono riempite di testimonianze di fede profonda, di amore pronto al sacrificio, di speranza incrollabile, d'impegno a lungo provato, di perseverante coraggio, di perdono misericordioso. Nelle diverse esposizioni si è manifestata eloquentemente la verità delle parole di Gesù: « Io sono con voi tutti i giorni » (Mt 28, 20). Il Sinodo è stato un momento di grazia, un incontro con il Salvatore che continua ad essere presente nella sua Chiesa mediante la potenza dello Spirito Santo, sperimentata nel dialogo fraterno di vita, di comunione e di missione.

 

Condividere i frutti dell'Assemblea Speciale

4. Attraverso questa Esortazione post-sinodale, desidero condividere con la Chiesa che è in Asia e nel mondo intero i frutti dell'Assemblea Speciale. Il documento si sforza di offrire la ricchezza del Sinodo, grande evento spirituale di comunione e di collegialità episcopale, che è stato anzitutto una memoria celebrativa delle radici asiatiche del cristianesimo. I Padri sinodali hanno ricordato la prima comunità cristiana, la Chiesa primitiva, il piccolo gregge di Gesù in questo immenso Continente (cfr Lc 12, 32). Hanno rammentato quanto la Chiesa ha ricevuto e udito sin dagli inizi (cfr Ap 3, 3) e, dopo averne fatto memoria, hanno celebrato « l'immensa bontà » di Dio (Sal 145 [144], 7) che non viene mai meno. Il Sinodo è stato anche un'occasione per riconoscere le antiche tradizioni religiose e civiltà, le profonde filosofie e la sapienza da cui è stata plasmata l'Asia di oggi. Al di sopra di tutto, sono stati ricordati i popoli stessi dell'Asia quale vera ricchezza del Continente e speranza per il futuro. Durante il Sinodo, quanti di noi erano presenti sono stati testimoni di un incontro straordinariamente ricco di frutti tra le antiche e nuove culture e civiltà dell'Asia, meravigliose da vedersi nella loro diversità e convergenza, specialmente quando simboli, canti, danze e colori si sono radunati insieme in armonioso accordo attorno all'unica Mensa del Signore nelle Liturgie eucaristiche di apertura e di chiusura.

Il Sinodo non è stato una celebrazione motivata dall'orgoglio per i risultati umani conseguiti, ma un evento consapevole di ciò che l'Altissimo ha fatto per la Chiesa in Asia (cfr Lc 1, 49). Rammentando l'umile condizione della Comunità cattolica, come pure la debolezza dei suoi membri, il Sinodo è stato anche una chiamata alla conversione, affinché la Chiesa in Asia possa divenire sempre più degna delle grazie continuamente offerte da Dio.

Oltre a memoria e a celebrazione, il Sinodo è stato un'ardente affermazione di fede in Gesù Cristo Salvatore. Riconoscenti per il dono della fede, i Padri sinodali non hanno trovato modo migliore per celebrarla che di affermarla nella sua integrità, riflettendo su di essa in rapporto ai contesti entro i quali essa deve essere proclamata e professata nell'Asia contemporanea. Essi hanno frequentemente sottolineato che la fede viene già oggi proclamata con fiducia e coraggio nel Continente anche in mezzo a grandi difficoltà. A nome di tanti milioni di uomini e donne in Asia, che ripongono la loro fiducia in nessun altro all'infuori del Signore, i Padri sinodali hanno confessato: « Noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio » (Gv 6, 69). A fronte delle molte questioni dolorose connesse con la sofferenza, la violenza, la discriminazione e la povertà, alle quali la maggioranza dei popoli dell'Asia sono soggetti, essi hanno pregato: « Credo, aiutami nella mia incredulità » (Mc 9, 24).

Nel 1995, ho invitato i Vescovi dell'Asia riuniti a Manila a « spalancare in Asia le porte a Cristo ».6 Confidando nel mistero della comunione con gli innumerevoli e spesso sconosciuti martiri della fede in Asia e confermati nella speranza dalla costante presenza dello Spirito Santo, i Padri sinodali hanno coraggiosamente chiamato i discepoli di Cristo in Asia a un nuovo impegno nella missione. Durante l'Assemblea sinodale, i Vescovi e gli altri partecipanti hanno dato testimonianza del carattere, del fuoco spirituale e dello zelo che rendono certamente l'Asia terra di un'abbondante messe nel prossimo millennio.

 

CAPITOLO I

 

IL CONTESTO DELL'ASIA

 

L'Asia, luogo di nascita di Gesù e della Chiesa

5. L'incarnazione del Figlio di Dio, che la Chiesa intera commemorerà nel Grande Giubileo dell'Anno 2000, avvenne in un ben definito contesto storico e geografico, che esercitò un importante influsso sulla vita e sulla missione del Redentore in quanto uomo. « Dio ha assunto in Gesù di Nazareth le caratteristiche proprie della natura umana, compresa la necessaria appartenenza dell'uomo a un determinato popolo e a una determinata terra [...] La concretezza fisica della terra e le sue coordinate geografiche fanno un tutt'uno con la verità della carne umana assunta dal Verbo ».7 Di conseguenza, conoscere il mondo nel quale il Salvatore « venne ad abitare in mezzo a noi » (Gv 1, 14) è una chiave importante per una comprensione più precisa del disegno dell'eterno Padre, e dell'immensità del suo amore per ogni creatura: « Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna » (Gv 3, 16).

Alla stessa maniera, la Chiesa vive ed adempie alla sua missione in circostanze concrete di tempo e di spazio. Se il Popolo di Dio in Asia vuole, mediante la nuova evangelizzazione, rispondere alla volontà di Dio nei suoi confronti, deve acquisire una consapevolezza profonda delle complesse realtà di questo Continente. I Padri sinodali hanno sottolineato che la missione di amore e di servizio della Chiesa in Asia è condizionata da due fattori: da un lato, la comprensione di se stessa come comunità dei discepoli di Gesù Cristo radunata attorno ai Pastori; dall'altra le realtà sociali, politiche, religiose, culturali ed economiche estremamente diversificate nell'immenso continente asiatico,8 esaminate in modo dettagliato durante il Sinodo da quanti con esse vivono in quotidiano contatto. Quanto segue è, in sintesi, il risultato delle riflessioni dei Padri sinodali.

 

Realtà religiose e culturali

6. L'Asia è il più vasto continente della terra ed è abitato da circa i due terzi della popolazione mondiale, mentre la Cina e l'India insieme costituiscono quasi la metà della popolazione totale del globo. Ciò che più colpisce del Continente è la varietà delle popolazioni, « eredi di antiche culture, religioni e tradizioni ».9 Non possiamo non rimanere colpiti dall'enorme quantità numerica della popolazione asiatica e dal variegato mosaico delle sue numerose culture, lingue, credenze e tradizioni, che comprendono una parte veramente considerevole della storia e del patrimonio della famiglia umana.

L'Asia è anche la culla delle maggiori religioni del mondo, quali il giudaismo, il cristianesimo, l'islamismo e l'induismo. È il luogo di nascita di molte altre tradizioni spirituali, quali il buddismo, il taoismo, il confucianesimo, lo zoroastrismo, il giainismo, il sikhismo e lo shintoismo. Inoltre, milioni di persone seguono altre religioni tradizionali o tribali, con vari gradi di riti, di strutture e di insegnamenti religiosi formali. La Chiesa ha il rispetto più profondo per queste tradizioni e cerca di intrecciare un dialogo sincero con i loro seguaci. I valori religiosi che esse insegnano attendono il loro compimento in Gesù Cristo.

I popoli dell'Asia sono fieri dei propri valori religiosi e culturali tipici, come ad esempio l'amore per il silenzio e la contemplazione, la semplicità, l'armonia, il distacco, la non violenza, lo spirito di duro lavoro, di disciplina, di vita frugale, la sete di conoscenza e di ricerca filosofica.10 Essi hanno cari i valori del rispetto per la vita, della compassione per ogni essere vivente, della vicinanza alla natura, del filiale rispetto per i genitori, per gli anziani e per gli antenati, ed un senso della comunità altamente sviluppato.11 In modo tutto particolare, considerano la famiglia come una sorgente vitale di forza, come una comunità strettamente intrecciata, che possiede un forte senso della solidarietà.12 I popoli dell'Asia sono conosciuti per il loro spirito di tolleranza religiosa e di coesistenza pacifica. Senza negare la presenza di aspre tensioni e di violenti conflitti, si può tuttavia dire che l'Asia ha spesso dimostrato una notevole capacità di adattamento ed una naturale apertura al reciproco arricchimento dei popoli, nella pluralità di religioni e di culture. Inoltre, nonostante l'influsso della modernizzazione e della secolarizzazione, le religioni dell'Asia mostrano segni di grande vitalità e capacità di rinnovamento, come si può vedere nei movimenti di riforma all'interno dei vari gruppi religiosi. Molti, specie tra i giovani, sperimentano una profonda sete di valori spirituali, come traspare dall'insorgere di nuovi movimenti religiosi.

Tutto questo sta ad indicare un innato intuito spirituale ed una saggezza morale tipica dell'animo asiatico, che costituisce il nucleo attorno al quale si edifica una crescente coscienza di « essere abitante dell'Asia ». Tale coscienza può essere meglio scoperta ed affermata non tanto nella contrapposizione o nell'opposizione, quanto piuttosto nella complementarità e nell'armonia. In tale quadro di complementarità e di armonia, la Chiesa può comunicare il Vangelo in un modo che sia fedele tanto alla propria tradizione, che all'animo asiatico.

 

Realtà economiche e sociali

7. Nell'ambito dello sviluppo economico, le situazioni nel Continente asiatico sono molto diverse e sfuggono a qualsiasi classificazione semplificatrice. Alcuni Paesi sono altamente sviluppati, altri si stanno sviluppando attraverso politiche economiche efficaci, mentre altri si trovano tuttora in un'abietta povertà, e certamente tra le più povere Nazioni della terra. Nel processo di sviluppo, stanno prendendo piede il materialismo e il secolarismo, specialmente nelle aree urbane. Queste ideologie, che minano i valori tradizionali, sociali e religiosi, possono arrecare incalcolabili danni alle culture dell'Asia.

I Padri sinodali hanno parlato dei rapidi cambiamenti che stanno avvenendo all'interno delle società asiatiche e degli aspetti positivi e negativi di tali cambiamenti. Tra questi vi sono il fenomeno dell'urbanesimo ed il formarsi di enormi città, spesso con larghe aree depresse dove prosperano il crimine organizzato, il terrorismo, la prostituzione e lo sfruttamento dei settori più deboli della società. Un altro dei più vistosi fenomeni sociali è l'emigrazione, che espone milioni di persone a situazioni economicamente, culturalmente e moralmente difficili. Le persone emigrano all'interno dell'Asia e dall'Asia verso altri Continenti per molteplici ragioni, tra le quali la povertà, la guerra e i conflitti etnici, la negazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali. La costruzione di giganteschi complessi industriali è un'altra causa della migrazione interna o verso l'estero, con effetti distruttivi sulla vita familiare e sui valori che la compongono. È stata pure menzionata l'installazione di centrali nucleari con particolare riguardo ai costi e all'efficienza, ma con minima attenzione nei confronti della sicurezza delle persone e dell'integrità dell'ambiente.

La realtà del turismo abbisogna poi di speciale attenzione. Pur trattandosi di un'industria legittima con propri valori culturali ed educativi, il turismo ha in alcuni casi un'influenza devastante sulla fisionomia morale e fisica di numerosi Paesi asiatici, che si manifesta sotto forma di degradazione di giovani donne ed anche di bambini mediante la prostituzione.13 La cura pastorale degli emigranti e dei turisti è difficile e complessa in modo speciale in Asia, dove mancano adeguate strutture per tale scopo. La pianificazione pastorale a tutti i livelli ha bisogno di prendere in considerazione queste realtà. Né vanno dimenticati gli emigranti delle Chiese cattoliche orientali che hanno bisogno di cure pastorali secondo le tradizioni loro proprie.14

Diversi Paesi dell'Asia si trovano ad affrontare difficoltà connesse con la crescita della popolazione, che « non è un semplice problema demografico o economico, bensì soprattutto un problema morale ».15 È chiaro che la questione della popolazione è strettamente legata a quella della promozione umana, ma abbondano false soluzioni che minacciano la dignità e l'inviolabilità della vita, e costituiscono una speciale sfida per la Chiesa in Asia. È forse appropriato a questo punto ricordare il contributo della Chiesa nella difesa e nella promozione della vita attraverso l'impegno in campo sanitario, nell'ambito dello sviluppo sociale e nell'educazione, con speciale attenzione ai poveri. Quanto mai opportuno è stato l'omaggio reso a Madre Teresa di Calcutta, « conosciuta nel mondo intero per il suo amore e la cura disinteressata dei più poveri dei poveri ».16 Ella rimane un'icona del servizio alla vita che la Chiesa offre in Asia, in coraggioso contrasto con le molteplici forze oscure operanti nella società.

Un certo numero di Padri sinodali ha sottolineato le influenze che dall'esterno vengono esercitate sulle culture asiatiche. Stanno emergendo nuove forme di comportamento che sono il risultato di una eccessiva esposizione ai mezzi di comunicazione e al genere di letteratura, di musica e di film che proliferano nel Continente. Senza negare che i mezzi di comunicazione sociale possono essere una grande risorsa per il bene,17 non possiamo non considerare l'impatto negativo che spesso essi hanno. Gli effetti benefici possono talvolta essere vanificati dal modo con cui tali mezzi sono controllati ed usati da parte di quanti nutrono discutibili interessi politici, economici e ideologici. Conseguenza di ciò è che gli aspetti negativi delle industrie dei media e dell'intrattenimento minacciano i valori tradizionali, in particolare la sacralità del matrimonio e la stabilità della famiglia. L'effetto di immagini di violenza, di edonismo, di sfrenato individualismo e materialismo « colpisce al cuore le culture asiatiche, il carattere religioso delle persone, delle famiglie e di intere società ».18 Si tratta di una situazione che pone una grande sfida alla Chiesa e all'annuncio del suo messaggio.

La persistente realtà della povertà e dello sfruttamento delle persone è un dato urgente e preoccupante. In Asia vi sono milioni di persone oppresse, che per secoli sono state tenute economicamente, culturalmente e politicamente ai margini della società.19 Riflettendo sulla situazione delle donne nelle società asiatiche, i Padri sinodali hanno notato che « anche se il risveglio della presa di coscienza delle donne circa la loro dignità e diritti è uno dei segni più significativi del nostro tempo, la loro povertà e il loro sfruttamento resta un serio problema in tutta l'Asia ».20 L'analfabetismo femminile è di molto superiore a quello maschile; e le bambine sono molto più soggette ad essere abortite o addirittura ad essere soppresse subito dopo la nascita. Vi sono inoltre in tutta l'Asia milioni di persone indigene o appartenenti a tribù che vivono in isolamento sociale, culturale e politico nei confronti della popolazione dominante.21 È stato motivo di conforto sentire dai Vescovi presenti al Sinodo che, in alcuni casi, a questi problemi viene prestata una crescente attenzione a livello nazionale, regionale e internazionale, e che la Chiesa cerca attivamente di affrontare questa seria situazione.

I Padri sinodali hanno affermato che la riflessione, necessariamente breve, circa gli aspetti delle realtà economiche e sociali dell'Asia non sarebbe completa se non si riconoscesse anche la massiccia crescita economica di molte società asiatiche negli ultimi decenni: sta crescendo giorno per giorno una nuova generazione di lavoratori specializzati, di scienziati e di tecnici, e il loro gran numero promette bene per lo sviluppo dell'Asia. Tuttavia, non tutto è stabile e solido in questo processo: ciò è apparso con evidenza nelle recenti e vaste crisi finanziarie, che hanno colpito molti Paesi del Continente. Il futuro dell'Asia resta nella cooperazione, sia all'interno sia con Nazioni di altri Continenti, sempre, però, costruendo su quanto i popoli stessi dell'Asia fanno a favore del proprio sviluppo.

 

Realtà politiche

8. Alla Chiesa è sempre necessaria una esatta comprensione della situazione politica nei diversi Paesi dove svolge la propria missione. Oggi, in Asia, il panorama politico è assai complesso, con un vasto insieme di ideologie che ispirano forme di governo che vanno dalla democrazia alla teocrazia. Sono purtroppo presenti anche dittature militari e ideologie atee. Alcuni Paesi riconoscono una religione ufficiale di Stato che permette poca, o addirittura nessuna, libertà di religione alle minoranze e ai seguaci di altre religioni. Altri Stati, anche se non esplicitamente teocratici, riducono le minoranze a cittadini di seconda classe, con scarsa salvaguardia dei diritti umani fondamentali. In alcuni luoghi, i cristiani sono visti come dei traditori del proprio Paese;22 sono perseguitati e a loro viene negato il legittimo posto nella società. I Padri sinodali hanno ricordato in modo speciale il popolo della Cina, ed hanno espresso la fervida speranza che tutti i cattolici cinesi possano un giorno esercitare la propria religione liberamente e professare apertamente la loro piena comunione con la Sede di Pietro.23

Pur apprezzando i progressi che molti Paesi asiatici stanno compiendo sotto forme diverse di governo, i Padri sinodali hanno attirato l'attenzione anche sulla diffusa corruzione che esiste a vari livelli sia di governo che della società.24 Troppo spesso le persone sembrano impotenti a difendere se stesse nei confronti di politici corrotti, di ufficiali giudiziari, di amministratori e burocrati. Ma non manca una crescente presa di coscienza in Asia della capacità del popolo di cambiare strutture ingiuste. Vi sono nuove richieste di maggiore giustizia sociale, di maggiore partecipazione nel governo e nella vita economica, di uguali opportunità nel campo dell'educazione e di una giusta distribuzione delle risorse della Nazione. I cittadini stanno prendendo sempre più consapevolezza della propria dignità e dei propri diritti umani, e stanno divenendo maggiormente determinati a proteggerli. Gruppi minoritari etnici, sociali e culturali che da lungo tempo non davano segni di vita, cercano le vie per divenire agenti del proprio sviluppo sociale. Lo Spirito di Dio aiuta e sostiene gli sforzi delle persone volti a trasformare la società, così che la ricerca umana di vita più abbondante possa realizzarsi nella maniera voluta da Dio (cfr Gv 10, 10).

 

La Chiesa in Asia: passato e presente

9. La storia della Chiesa in Asia è antica quanto la Chiesa stessa, dato che proprio in Asia Gesù alitò sui discepoli lo Spirito Santo e li inviò sino ai confini della terra perché proclamassero la Buona Novella e riunissero comunità di credenti. « Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi » (Gv 20, 21, cfr Mt 28, 18-20; Mc 16, 15-18; Lc 24, 47; At 1, 8). Seguendo il comando del Signore, gli Apostoli predicarono la parola e fondarono Chiese. Sarà utile richiamare alcuni elementi di questa storia affascinante e complessa dispiegatasi sul suolo asiatico.

Da Gerusalemme, la Chiesa si diffuse ad Antiochia, a Roma e oltre, raggiungendo l'Etiopia al sud, la Scizia al nord e l'India all'est, dove, secondo la tradizione, san Tommaso apostolo giunse nel 52 d.C. e fondò Chiese nel sud del Paese. Straordinario fu lo spirito missionario durante il terzo e quarto secolo della comunità siriana dell'est, avente come centro Edessa. Le comunità ascetiche della Siria rappresentarono una forza fondamentale dell'evangelizzazione in Asia dal terzo secolo in poi, e fornirono l'energia spirituale della Chiesa, specialmente durante i tempi di persecuzione. L'Armenia fu la prima nazione ad abbracciare il cristianesimo alla fine del terzo secolo: essa si sta ora preparando a celebrare il 1700 anniversario del suo battesimo. Alla fine del quinto secolo, il messaggio cristiano aveva raggiunto i regni arabi, ma per molte ragioni, incluse le divisioni tra i cristiani, il messaggio non si radicò fra questi popoli.

Mercanti persiani portarono la Buona Novella in Cina nel quinto secolo e la prima chiesa cristiana fu qui costruita all'inizio del settimo secolo. Durante la dinastia T'ang (618-907 d.C.), la Chiesa fiorì per circa due secoli. Il declino della vivace Chiesa in Cina, alla fine del primo millennio, è uno dei capitoli più tristi nella storia del Popolo di Dio nel Continente asiatico.

Nel tredicesimo secolo, la Buona Novella fu annunciata ai Mongoli e ai Turchi e, ancora una volta, ai Cinesi, ma il cristianesimo quasi scomparve in queste regioni per una serie di cause, tra le quali l'insorgere dell'Islam, l'isolamento geografico, l'assenza di un appropriato adattamento alle culture locali, e forse, soprattutto, la mancanza di preparazione ad incontrare le grandi religioni dell'Asia. Alla fine del quattordicesimo secolo si verificò un drammatico ridimensionamento della Chiesa in Asia, eccetto per quanto concerne la comunità isolata dell'India del sud. La Chiesa in Asia doveva attendere una nuova era di sforzi missionari.

Le fatiche apostoliche di san Francesco Saverio, la fondazione della Congregazione di Propaganda Fide per opera di Papa Gregorio XV e le direttive ai missionari di rispettare ed apprezzare le culture locali contribuirono, nel corso del sedicesimo e diciassettesimo secolo, a conseguire risultati più positivi. Nel diciannovesimo secolo, vi fu un risveglio dell'attività missionaria e varie congregazioni religiose si dedicarono totalmente a questo compito. Fu riorganizzata Propaganda Fide; fu posto un maggiore accento sull'edificazione delle Chiese locali; attività educative e caritative andarono di pari passo con la predicazione del Vangelo. La Buona Novella continuò così a raggiungere un più vasto numero di persone, specialmente tra i poveri e gli svantaggiati, ma anche, qua e là, tra l'élite sociale e intellettuale. Furono effettuati nuovi tentativi di inculturazione della Buona Novella, anche se non si rivelarono per nulla sufficienti. Nonostante la sua plurisecolare presenza e i suoi sforzi apostolici, la Chiesa in molte parti veniva ancora considerata estranea all'Asia e di fatto era spesso associata nella mentalità popolare con le potenze coloniali.

Tale era la situazione alla vigilia del Concilio Vaticano II. Grazie, tuttavia, all'impulso che esso fornì, la Chiesa maturò una nuova comprensione della propria missione e con ciò si accese una grande speranza. L'universalità del piano salvifico di Dio, la natura missionaria della Chiesa e, al suo interno, la responsabilità di ciascuno nei confronti dei compiti così fortemente riaffermati nel decreto conciliare sull'attività missionaria Ad gentes, costituirono il quadro di riferimento di un impegno rinnovato. Durante l'Assemblea speciale, i Padri hanno reso testimonianza alla recente crescita della comunità ecclesiale tra molti e diversi popoli in varie parti del Continente ed hanno, al tempo stesso, lanciato l'appello per nuovi sforzi missionari negli anni a venire, specialmente in considerazione del fatto che nuove possibilità di annuncio del Vangelo emergono nelle regioni dell'Asia centrale, come ad esempio la Siberia, o nei Paesi che hanno di recente raggiunto l'indipendenza, quali il Kazakhstan, l'Uzbekistan, il Kyrgyzstan, il Tagikistan e il Turkmenistan.25

Una rassegna delle comunità cattoliche in Asia mostra una splendida varietà per l'origine e lo sviluppo storico, come pure per le diverse tradizioni spirituali e liturgiche dei vari riti. Tutte però sono unite nel proclamare la Buona Novella di Gesù Cristo mediante la testimonianza cristiana e le opere di carità e di solidarietà umana. Mentre alcune Chiese particolari svolgono la loro missione in condizioni di pace e di libertà, altre si trovano in situazioni di violenza e di conflitto, o si sentono minacciate da vari gruppi per motivi religiosi o per altre ragioni. Nel diversificato mondo culturale dell'Asia, la Chiesa si trova di fronte a specifiche sfide filosofiche, teologiche e pastorali, ed il suo compito è reso ancor più difficile dal fatto di essere minoranza, con l'unica eccezione delle Filippine, dove i cattolici sono invece maggioranza.

Quali che siano le circostanze, la Chiesa in Asia si trova inserita fra popoli che dimostrano un intenso desiderio di Dio e sa che tale desiderio può essere pienamente soddisfatto da Gesù Cristo, Buona Novella di Dio per tutte le Nazioni. I Padri sinodali hanno ardentemente auspicato che la presente Esortazione apostolica post-sinodale focalizzasse la propria attenzione su tale desiderio ed incoraggiasse la Chiesa in Asia a proclamare con vigore in parole e in opere che Gesù Cristo è il Salvatore.

Lo Spirito di Dio, sempre all'opera nella storia della Chiesa in Asia, continua a guidarla e i molteplici elementi positivi che si trovano nelle Chiese locali, frequentemente richiamati nel Sinodo, rafforzano la speranza di una « nuova primavera di vita cristiana ».26 Solida ragione di speranza è l'incremento di laici maggiormente formati, entusiasti e pieni di Spirito, sempre più coscienti della propria specifica vocazione all'interno della comunità ecclesiale. E fra questi va reso un grato encomio ai catechisti.27 Inoltre, i movimenti apostolici e carismatici sono un dono dello Spirito, poiché portano nuova vita e vigore alla formazione dei laici, delle famiglie e della gioventù.28 Le associazioni e i movimenti ecclesiali che si dedicano alla promozione della dignità umana e della giustizia, infine, rendono accessibile e tangibile l'universalità del messaggio evangelico della nostra adozione a figli di Dio (cfr Rm 8, 15-16).

Allo stesso tempo, vi sono Chiese che vivono in circostanze difficilissime, e « stanno sperimentando intense prove nella pratica della fede ».29 I Padri sinodali si sono commossi per i racconti di testimonianza eroica, perseveranza incrollabile e continua crescita della Chiesa cattolica in Cina, per gli sforzi della Chiesa nella Corea del Sud nell'offrire assistenza al popolo della Corea del Nord, per l'umile fermezza della comunità cattolica in Viêt Nam, per l'isolamento dei cristiani in luoghi quali il Laos e Myanmar, per la difficile coesistenza con la maggioranza in alcuni Stati a predominanza islamica.30 Il Sinodo ha prestato pure attenzione speciale alla situazione della Chiesa in Terra Santa e nella santa città di Gerusalemme, « cuore del cristianesimo »,31 città cara a tutti i figli di Abramo. I Padri sinodali hanno espresso l'opinione che la pace nella regione, e addirittura nel mondo, dipende in larga misura dalla riconciliazione e dalla pace da lungo tempo assente a Gerusalemme.32

Non posso concludere questa breve panoramica della situazione della Chiesa in Asia, necessariamente incompleta, senza menzionare i santi e i martiri dell'Asia, quelli dichiarati tali, come pure quelli che solo Dio conosce. Il loro esempio è fonte di « ricchezza spirituale e un grande mezzo di evangelizzazione ».33 Con il loro silenzio, essi parlano ancor più potentemente dell'importanza della santità di vita e di come occorra essere pronti ad offrire la propria esistenza per il Vangelo. Sono i maestri e i protettori, la gloria della Chiesa in Asia nella sua opera di evangelizzazione. Insieme con tutta la Chiesa, prego il Signore di mandare ancor più operai per mietere la messe di anime, ormai pronta e abbondante (cfr Mt 9, 37-38). A questo riguardo, desidero richiamare quanto ho scritto nella Redemptoris missio: « Dio apre alla Chiesa gli orizzonti di un'umanità più preparata alla semina evangelica ».34 Vedo schiudersi un nuovo e promettente orizzonte in Asia, dove Gesù nacque e dove ebbe inizio il cristianesimo.

 

CAPITOLO II

 

GESU SALVATORE:
UN DONO PER L'ASIA

 

Il dono della fede

10. Mentre andava svolgendosi la discussione sinodale sulle complesse realtà dell'Asia, diventava sempre più evidente a tutti che lo specifico contributo della Chiesa ai popoli del Continente è la proclamazione di Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo, il solo e unico Salvatore di tutte le genti.35 Ciò che distingue la Chiesa dalle altre comunità religiose è la fede in Gesù Cristo; ed essa non può tenere per sé questa preziosa luce della fede sotto il moggio (cfr Mt 5, 15), poiché la sua missione è quella di condividerla con tutti. « La vita nuova che ha trovato in Gesù Cristo, [la Chiesa] la vuole offrire a tutti i popoli dell'Asia che ricercano la pienezza di vita, affinché possano instaurare la stessa comunione con il Padre e con suo Figlio Gesù Cristo nella potenza dello Spirito Santo ».36 È questa fede in Gesù Cristo ad ispirare l'attività evangelizzatrice della Chiesa in Asia, spesso portata avanti in circostanze difficili, se non addirittura pericolose. I Padri sinodali hanno osservato che proclamare Gesù quale unico Salvatore può presentare particolari difficoltà nelle loro culture, dato che molte religioni dell'Asia insegnano esservi divine automanifestazioni che mediano la salvezza. Lungi dallo scoraggiare i Padri sinodali, le sfide che stanno davanti ai loro sforzi di evangelizzazione sono state un ulteriore incentivo all'impegno di trasmettere « la fede che la Chiesa in Asia ha ereditato dagli Apostoli e mantiene con la Chiesa di tutte le generazioni e luoghi »,37 nel convincimento che « il cuore della Chiesa in Asia rimarrà inquieto fino a che tutta l'Asia non trovi riposo nella pace di Cristo, il Signore Risorto ».38.

La fede della Chiesa in Gesù è un dono ricevuto ed un dono da condividere; è il dono più grande che essa può offrire all'Asia. Condividere la verità di Gesù Cristo con gli altri è il solenne dovere di quanti hanno ricevuto il dono della fede. Nella Lettera enciclica Redemptoris missio, scrivevo che « la Chiesa e, in essa, ogni cristiano non può nascondere né conservare per sé questa novità e ricchezza, ricevuta dalla bontà divina per essere comunicata a tutti gli uomini ».39 E proseguivo: « Coloro che sono incorporati nella Chiesa cattolica devono sentirsi dei privilegiati, e per ciò stesso maggiormente impegnati a testimoniare la fede e la vita cristiana come servizio ai fratelli e doverosa risposta a Dio ».40

Profondamente convinti di ciò, i Padri sinodali si sono mostrati egualmente coscienti della loro personale responsabilità nel fare propria l'eterna verità di Gesù mediante lo studio, la preghiera e la riflessione per portarne la potenza e la vitalità nelle sfide presenti e future dell'evangelizzazione in Asia.

 

Gesù Cristo, l'Uomo-Dio che salva

11. Le Scritture attestano che Gesù visse una vita autenticamente umana. Quel Gesù che proclamiamo unico Salvatore, ha camminato sulla terra come Uomo-Dio in pieno possesso di una natura umana. Nato da Madre Vergine negli umili dintorni di Betlemme, fu bisognoso di cure come gli altri bambini, soffrendo pure il destino di rifugiato, per sfuggire l'ira di un crudele governante (cfr Mt 2, 13-15). Fu soggetto a genitori umani che non sempre comprendevano il suo agire, ma dei quali egli ebbe piena fiducia e ai quali amorevolmente obbedì (cfr Lc 2, 41-52). Costantemente in preghiera, visse in intima relazione con Dio, al quale si rivolgeva chiamandolo Abbà, « Padre », con sconcerto di quanti lo ascoltavano (cfr Gv 8, 34-59).

Fu vicino ai poveri, ai dimenticati e agli umili, dichiarandoli veramente beati, perché Dio era con loro. Sedette a mensa con i peccatori, assicurando che alla mensa del Padre c'era un posto anche per loro, se si allontanavano dalle loro vie peccaminose per ritornare a Lui. Toccando gli impuri e lasciandosi toccare da essi, fece loro comprendere la vicinanza di Dio. Pianse per un amico morto, restituì vivo alla madre vedova un figlio morto, accolse con benevolenza i bambini e lavò i piedi ai suoi discepoli. La divina compassione non era mai stata così immediatamente accessibile.

Malati, storpi, ciechi, sordi e muti, tutti sperimentarono guarigione e perdono al suo tocco. Scelse come suoi più stretti compagni e collaboratori un insolito gruppo in cui dei pescatori erano al fianco di esattori di tasse, zeloti insieme con persone inesperte della Legge, e vi erano anche alcune donne. Venne così a crearsi una nuova famiglia, sotto l'accogliente e sorprendente amore del Padre. Gesù predicava con semplicità, usando esempi tratti dalla vita di ogni giorno per parlare dell'amore di Dio e del suo Regno; e le moltitudini riconobbero che parlava con autorità.

Tuttavia, fu accusato di essere un bestemmiatore, uno che violava la sacra Legge, un pubblico mestatore che doveva essere eliminato. Dopo un processo basato su false testimonianze (cfr Mc 14, 56), fu condannato a morire come un criminale sulla croce; abbandonato e umiliato, sembrò uno sconfitto. Fu velocemente sepolto in una tomba presa a prestito. Ma il terzo giorno dopo la sua morte, nonostante la vigilanza delle guardie, la tomba fu trovata vuota! Gesù, risorto dai morti, apparve in seguito ai discepoli prima di ritornare al Padre, dal quale era venuto.

Con tutti i cristiani, noi crediamo che questa singolare esistenza, da una parte così ordinaria e semplice, dall'altra così mirabile e avvolta nel mistero, ha introdotto nella storia umana il Regno di Dio e ha « immesso la sua potenza in ogni aspetto della vita umana e della società afflitta dal peccato e dalla morte ».41 Mediante le sue parole e le sue azioni, specialmente la sua passione, morte e risurrezione Gesù ha adempiuto la volontà del Padre di riconciliare con se stesso l'umanità, dopo che il peccato originale aveva introdotto una frattura nel rapporto tra il Creatore e la creazione. Sulla Croce egli ha preso su di sé il peccato del mondo - passato, presente e futuro. San Paolo ricorda che noi eravamo morti per i nostri peccati e la morte di Cristo ci ha riportato alla vita: « Con lui Dio ha dato vita anche a [noi][...] perdonandoci tutti i peccati, annullando il documento scritto del nostro debito, le cui condizioni ci erano sfavorevoli » (Col 2, 13-14). In questo modo la salvezza è stata sancita una volta per tutte. Gesù è il nostro Salvatore nel senso pieno del termine perché le sue parole e le sue opere, specialmente la sua risurrezione dai morti, lo hanno rivelato come il Figlio di Dio, il Verbo preesistente, che regna per sempre come Signore e Messia.

 

La persona e la missione del Figlio di Dio

12. Lo « scandalo » del cristianesimo sta nel credere che il santissimo, onnipotente e onnisciente Dio ha assunto la nostra natura umana ed ha sopportato sofferenza e morte al fine di guadagnare la salvezza per tutti i popoli (cfr 1 Cor 1, 23). La fede che abbiamo ricevuto afferma che Gesù Cristo ha rivelato e portato a compimento il piano del Padre di salvare il mondo e l'intera umanità in ragione di « chi egli è » e di « ciò che compie in ragione di chi egli è ». « Chi egli è » e « ciò che fa » acquistano il loro pieno significato solo quando sono posti all'interno del mistero di Dio Uno e Trino. È stata costante preoccupazione del mio Pontificato ricordare ai fedeli la comunione di vita della Trinità beata e l'unità delle tre Persone nel piano della creazione e della redenzione. Le Lettere encicliche Redemptor hominis, Dives in misericordia e Dominum et vivificantem riflettono rispettivamente sul Figlio, sul Padre e sullo Spirito Santo e sui rispettivi ruoli nel piano divino della salvezza. Non si può, tuttavia, isolare o separare una Persona dalle altre, poiché ciascuna si rivela soltanto all'interno della comunione di vita e di azione della Trinità. L'opera salvifica di Gesù ha la sua origine nella comunione della natura divina, e a quanti credono in lui spiana la strada per entrare in intima comunione con la Trinità e tra loro stessi nella Trinità.

« Chi ha visto me ha visto il Padre », afferma Gesù (Gv 14, 9). Solo in Gesù Cristo abita corporalmente tutta la pienezza della divinità (cfr Col 2, 9), e ciò lo costituisce unica e assoluta Parola salvifica di Dio (cfr Eb 1, 1-4). Quale Parola definitiva del Padre, Gesù fa conoscere Dio e la sua volontà salvifica nel modo più perfetto possibile. « Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me », dice Gesù (Gv 14, 6). Egli è « la Via, la Verità e la Vita » (Gv 14, 6), poiché — come egli stesso spiega — « il Padre che è in me compie le sue opere » (Gv 14, 10). Soltanto nella persona di Gesù la parola di salvezza di Dio appare nella sua pienezza, introducendo gli ultimi tempi (cfr Eb 1, 1-2). Agli albori della Chiesa, pertanto, Pietro poteva proclamare che « in nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati » (At 4, 12).

La missione del Salvatore raggiunse il suo culmine nel Mistero pasquale. Sulla Croce, quando stese le braccia fra il cielo e la terra in segno di perenne alleanza,42 Gesù levò l'ultimo grido al Padre affinché perdonasse i peccati dell'umanità: « Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno » (Lc 23, 34). Egli distrusse il peccato con la potenza del suo amore per il Padre e per l'umanità. Prese su di sé le ferite inferte dal peccato all'umanità ed offrì la liberazione da esse attraverso la conversione, i cui primi frutti appaiono evidenti nel ladrone pentito, appeso ad una croce al fianco della sua (cfr Lc 23, 43). Le sue ultime parole furono il grido del figlio fedele: « Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito » (Lc 23, 46). In questo supremo atto di amore, egli affidò tutta la sua vita e la sua missione nelle mani del Padre che l'aveva inviato. Così restituì al Padre tutta la creazione e l'intera l'umanità, affinché l'accogliesse di nuovo con amore compassionevole.

Tutto ciò che il Figlio è ed ha compiuto è accolto dal Padre, che può così offrirlo come dono al mondo nel momento in cui risuscita Gesù dai morti e lo fa sedere alla sua destra, dove peccato e morte non hanno più alcun potere. Nel sacrificio pasquale di Gesù, il Padre offre irrevocabilmente al mondo riconciliazione e pienezza di vita. Questo dono straordinario poté essere offerto soltanto attraverso l'amato Figlio, l'unico in grado di rispondere pienamente all'amore del Padre, amore rifiutato dal peccato. In Cristo Gesù, mediante la potenza dello Spirito Santo, noi veniamo a conoscere che Dio non è lontano, al di sopra e al di fuori dell'uomo, ma, al contrario, è vicinissimo, anzi è unito ad ogni persona e a tutta l'umanità in ogni circostanza della vita. Questo è il messaggio che il cristianesimo offre al mondo, messaggio di incomparabile conforto e di speranza per tutti i credenti.

 

Cristo Gesù: verità dell'uomo

13. Come può l'umanità di Gesù e l'ineffabile mistero dell'incarnazione del Figlio del Padre illuminare la condizione umana? Il Figlio di Dio incarnato non soltanto rivela completamente il Padre e il suo piano di salvezza, ma anche « rivela pienamente l'uomo a se stesso ».43 Le sue parole e le sue opere, e soprattutto la sua morte e risurrezione, rivelano in profondità che cosa significhi essere uomo. In Gesù, l'uomo può finalmente conoscere la verità su se stesso. La vita perfettamente umana di Gesù, dedicata interamente all'amore e al servizio del Padre e dell'umanità, rivela che la vocazione di ogni essere umano è quella di ricevere e donare amore. In Gesù rimaniamo stupiti dall'inesauribile capacità del cuore umano di amare Dio e l'uomo, anche quando ciò può comportare grande sofferenza. Soprattutto sulla Croce, Gesù spezza il potere dell'autodistruttrice resistenza all'amore inflittaci dal peccato. Per parte sua, il Padre risponde innalzando Gesù come il primogenito di coloro che ha predestinato ad essere conformi all'immagine del Figlio suo (cfr Rm 8, 29). In quel momento, Gesù è divenuto una volta per sempre la rivelazione e il compimento di una umanità rigenerata e rinnovata secondo il piano di Dio. In Gesù, pertanto, scopriamo la grandezza e la dignità di ogni persona al cospetto di Dio, che creò l'uomo a sua immagine (cfr Gn 1, 26) e troviamo l'origine della nuova creazione di cui siamo divenuti parte mediante la sua grazia.

Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha insegnato che « con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo ».44 I Padri sinodali hanno visto in questa profonda intuizione la sorgente ultima di speranza e di forza per gli abitanti dell'Asia nelle loro fatiche e nelle loro incertezze. Quando uomini e donne rispondono con fede viva all'offerta d'amore di Dio, la sua presenza porta amore e pace ad ogni cuore umano, trasformandolo dal di dentro. Scrivevo nella Redemptor hominis che « la redenzione del mondo — questo tremendo mistero dell'amore, in cui la creazione viene rinnovata — è, nella sua più profonda radice, la pienezza della giustizia in un cuore umano: nel cuore del Figlio primogenito, perché essa possa diventare giustizia dei cuori di molti uomini, i quali proprio nel Figlio primogenito sono stati, fin dall'eternità, predestinati a divenire figli di Dio e chiamati alla grazia, chiamati all'amore ».45

La missione di Gesù non soltanto ha ristabilito la comunione tra Dio e l'umanità, ma ha istituito una nuova comunione tra gli esseri umani alienati l'uno dall'altro a causa del peccato. Al di là di ogni divisione, Gesù rende possibile per tutti di vivere come fratelli e sorelle, riconoscendo un unico Padre che è nei cieli (cfr Mt 23, 9). In lui, è emersa una nuova armonia, in cui « non c'è più Giudeo né Greco, non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù » (Gal 3, 28). « Egli è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l'inimicizia » (Ef 2, 14). In tutto ciò che ha detto e fatto, Gesù è stato la voce, le mani e le braccia del Padre, radunando tutti i figli di Dio in un'unica famiglia d'amore; ha pregato perché i suoi discepoli vivessero in comunione alla stessa maniera in cui egli è in comunione con il Padre (cfr Gv 17, 11), e tra le sue ultime parole l'abbiamo udito dire: « Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore [...] Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati » (Gv 15, 9.12). Inviato dal Dio della comunione, Gesù ha stabilito la comunione tra il cielo e la terra nella sua persona, poiché è vero Dio e vero uomo. Noi crediamo che « piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli » (Col 1, 19-20). La salvezza può essere trovata nella persona del Figlio di Dio fatto uomo e nella missione affidata soltanto a lui come Figlio, una missione di servizio e di amore per la vita di tutti. Insieme con la Chiesa in tutto il mondo, la Chiesa in Asia proclama la verità della fede: « Uno solo è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti » (1 Tm 2, 5-6).

 

L'unicità e l'universalità della salvezza in Gesù

14. I Padri sinodali hanno ricordato che la Parola preesistente, l'Unigenito ed eterno Figlio di Dio, « era già presente nella creazione, nella storia e in ogni essere umano che anela al bene ».46 Mediante la Parola, presente nel cosmo anche prima dell'Incarnazione, il mondo ebbe l'esistenza (cfr Gv 1, 1-4.10; Col 1, 15-20). Ma come Parola incarnata che visse, morì e risuscitò dai morti, Gesù Cristo viene ora proclamato compimento dell'intera creazione, di tutta la storia e di ogni aspirazione umana alla pienezza della vita.47 Risorto dai morti, egli « è presente a tutti e all'intera creazione in un modo nuovo e misterioso ».48 In lui, « i valori autentici di ogni tradizione religiosa e culturale, quali la misericordia e la sottomissione alla volontà di Dio, la compassione e la rettitudine, la non violenza e la giustizia, la pietà filiale e l'armonia con il creato trovano il loro compimento e la loro realizzazione ».49 Dal primo istante del tempo sino all'ultimo, Gesù è il solo Mediatore universale. Anche per quanti non professano esplicitamente la fede in lui quale Salvatore, la salvezza giunge da lui come grazia, mediante la comunicazione dello Spirito Santo.

Noi crediamo che Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, è l'unico Salvatore, poiché soltanto lui — il Figlio — ha portato a compimento il piano universale della salvezza. Quale definitiva manifestazione del mistero dell'amore del Padre verso tutti, Gesù è infatti unico ed « è proprio questa singolarità unica di Cristo che a lui conferisce un significato assoluto e universale, per cui, mentre è nella storia, è il centro e il fine della stessa storia ».50

Nessuna persona, nessuna nazione, nessuna cultura è impermeabile all'appello di Gesù, che parla dal cuore stesso della condizione umana. « È la sua stessa vita che parla, la sua umanità, la sua fedeltà alla verità, il suo amore che abbraccia tutti. Parla, inoltre, la sua morte in croce, cioè l'imperscrutabile profondità della sua sofferenza e dell'abbandono ».51 Nel contemplarne la natura umana, i popoli dell'Asia trovano risposta alle proprie domande più profonde e compimento alle proprie speranze; essi trovano la loro dignità innalzata e vinta la loro disperazione. Gesù è la Buona Novella per gli uomini e le donne di ogni tempo e luogo, i quali cercano il significato dell'esistenza e la verità della loro stessa umanità.

 

CAPITOLO III

 

LO SPIRITO SANTO:
SIGNORE E DATORE DI VITA

 

Lo Spirito di Dio nella creazione e nella storia

15. Se è vero che il significato salvifico di Gesù può essere compreso soltanto nel contesto della sua rivelazione del piano di salvezza della Trinità, ne consegue che lo Spirito Santo appartiene intrinsecamente al mistero di Gesù e della salvezza da lui recata. I Padri sinodali hanno fatto spesso riferimento al ruolo dello Spirito Santo nella storia della salvezza, notando come una falsa separazione tra il Redentore e lo Spirito Santo potrebbe mettere a repentaglio la stessa verità che Cristo è l'unico Salvatore di tutti.

Nella tradizione cristiana, lo Spirito Santo è stato sempre associato alla vita e alla sua comunicazione. Il Credo niceno-costantinopolitano chiama lo Spirito Santo « Signore e datore di vita ». Non sorprende, perciò, che molte interpretazioni del racconto della creazione nel libro della Genesi abbiano riconosciuto lo Spirito Santo nel vento poderoso che aleggiava sopra le acque (cfr Gn 1, 2). Egli è presente sin dal primo istante della creazione; sin dalla prima manifestazione dell'amore di Dio Trinità, ed è sempre presente nel mondo come la sua forza che dona vita.52 Poiché la creazione è l'inizio della storia, lo Spirito è, in un certo senso, una potenza nascosta all'opera nella storia, che la guida sulle vie della verità e del bene.

La rivelazione della persona dello Spirito Santo, che è il vicendevole amore del Padre e del Figlio, è propria del Nuovo Testamento. Nel pensiero cristiano, egli viene visto come la sorgente di vita per tutte le creature. La creazione è la libera comunicazione d'amore di Dio, che, dal nulla, chiama ogni cosa all'esistenza. Tutto ciò che è creato è riempito dell'incessante scambio d'amore che contraddistingue l'intima vita della Trinità, cioè è ricolmato di Spirito Santo: « Lo Spirito del Signore riempie l'universo » (Sap 1, 7). La presenza dello Spirito nella creazione genera ordine, armonia e interdipendenza in tutto ciò che esiste. Creati ad immagine di Dio, gli esseri umani diventano in modo nuovo la dimora dello Spirito, quando sono innalzati alla dignità dell'adozione divina (cfr Gal 4, 5). Rinati nel battesimo, essi sperimentano la presenza e la potenza dello Spirito non soltanto come Autore della vita, ma anche come Colui che purifica e salva, producendo frutti di « amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé » (Gal 5, 22). Questi frutti sono il segno che « l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato » (Rm 5, 5). Quando viene accolto nella libertà, questo amore rende uomini e donne strumenti visibili dell'incessante attività dell'invisibile Spirito nella creazione e nella storia. È anzitutto questa nuova capacità di dare e ricevere amore che rende testimonianza dell'interiore presenza e potenza dello Spirito Santo. Come conseguenza della trasformazione e del rinnovamento che produce nei cuori e nelle menti delle persone, lo Spirito influenza le società e le culture umane.53 « Lo Spirito, infatti, sta all'origine dei nobili ideali e delle iniziative di bene dell'umanità in cammino: "Con ammirabile provvidenza egli dirige il corso dei tempi e rinnova la faccia della terra" ».54

Seguendo il percorso del Concilio Vaticano II, i Padri del Sinodo hanno prestato attenzione all'azione molteplice e diversificata dello Spirito Santo che semina costantemente semi di verità fra tutti i popoli e nelle loro religioni, culture e filosofie.55 Ciò significa che queste sono capaci di aiutare le persone, individualmente e collettivamente, ad operare contro il male e a servire la vita e tutto ciò che è bene. Le forze della morte isolano tra loro i popoli, le società e le comunità religiose e generano sospetti e rivalità che conducono a conflitti. Al contrario, lo Spirito Santo sostiene le persone nella mutua comprensione e accettazione. A ragione, dunque, il Sinodo ha visto nello Spirito di Dio l'agente primario del dialogo della Chiesa con tutti i popoli, culture e religioni.

 

Lo Spirito Santo e l'Incarnazione del Verbo

16. Sotto la guida dello Spirito la storia della salvezza si dispiega sulla scena del mondo, e addirittura del cosmo, secondo il piano eterno del Padre. Questo piano, iniziato dallo Spirito fin dall'origine della creazione, viene rivelato nell'Antico Testamento, è portato a compimento dalla grazia di Gesù Cristo e viene messo in opera nella nuova creazione da questo stesso Spirito fino a quando il Signore tornerà nella gloria alla fine dei tempi.56 L'incarnazione del Figlio di Dio è l'opera suprema dello Spirito Santo: « La concezione e la nascita di Gesù Cristo sono la più grande opera compiuta dallo Spirito Santo nella storia della creazione e della salvezza: la suprema grazia – la "grazia dell'unione", fonte di ogni altra grazia ».57 L'Incarnazione è l'evento in cui Dio riconduce ad una nuova e definitiva unione con se stesso non soltanto l'uomo, ma l'intera creazione e tutta la storia.58

Concepito nel grembo della Vergine Maria per la potenza dello Spirito (cfr Lc 1, 35; Mt 1, 20), Gesù di Nazareth, Messia e unico Salvatore, fu pieno di Spirito Santo, che discese su di lui al momento del battesimo (cfr Mc 1, 10) e lo guidò nel deserto per irrobustirlo prima del ministero pubblico (cfr Mc 1, 12; Lc 4, 1; Mt 4, 1). Nella sinagoga di Nazareth, Gesù diede inizio al suo ministero profetico applicando a sé l'oracolo di Isaia sull'unzione dello Spirito che porta alla predicazione della Buona Novella ai poveri, della libertà ai prigionieri, e di un anno di grazia del Signore (cfr Lc 4, 18-19). Per la potenza dello Spirito, Gesù guariva i malati e scacciava i demoni come segno che il Regno di Dio era giunto (cfr Mt 12, 28). Dopo esser risorto dai morti, donò lo Spirito Santo ai discepoli, ai quali aveva promesso di effonderlo nella Chiesa quando sarebbe tornato al Padre (cfr Gv 20, 22-23).

Tutto questo mostra come la missione salvifica di Gesù porti l'inconfondibile marchio della presenza dello Spirito: è vita, vita nuova. Tra l'invio del Figlio da parte del Padre e l'invio dello Spirito da parte del Padre e del Figlio vi è un legame stretto e vitale.59 L'azione dello Spirito nella creazione e nella storia umana riceve un significato completamente nuovo nella sua azione nella vita e nella missione di Gesù. I « semi del Verbo » seminati dallo Spirito preparano l'intera creazione, la storia e l'uomo alla piena maturità in Cristo.60

I Padri sinodali hanno espresso preoccupazione circa la tendenza a separare l'attività dello Spirito Santo da quella di Gesù Salvatore; e rispondendo al loro assillo, ripeto quanto ho già scritto nella Redemptoris missio: « [Lo Spirito] non è alternativo a Cristo, né riempie una specie di vuoto, come talvolta si ipotizza esserci tra Cristo e il Logos. Quando lo Spirito opera nel cuore degli uomini e nella storia dei popoli, nelle culture e nelle religioni, assume un ruolo di preparazione evangelica e non può non avere riferimento a Cristo, Verbo fatto carne per l'azione dello Spirito, "per operare lui, l'Uomo perfetto, la salvezza di tutti e la ricapitolazione universale" ».61

L'universale presenza dello Spirito, pertanto, non può servire come scusa per omettere di proclamare Gesù Cristo esplicitamente come il solo ed unico Salvatore. Al contrario, la presenza universale dello Spirito Santo è inseparabile dalla salvezza universale in Gesù. La presenza dello Spirito nella creazione e nella storia orienta a Gesù Cristo, nel quale entrambe sono redente e portate a compimento. La presenza e l'azione dello Spirito, sia nel momento dell'Incarnazione sia in quello culminante della Pentecoste, mirano sempre a Gesù e alla salvezza da lui recata. Per questo motivo la presenza universale dello Spirito non può mai essere separata dalla sua azione all'interno del Corpo di Cristo, che è la Chiesa.62

 

Lo Spirito Santo e il Corpo di Cristo

17. Lo Spirito Santo custodisce saldo il legame di comunione tra Gesù e la sua Chiesa. Dimorando in essa come in un tempio (cfr 1 Cor 3, 16), lo Spirito la guida, anzitutto, alla pienezza della verità su Gesù. È lui, poi, che rende possibile alla Chiesa di continuare la missione di Gesù, dando in primo luogo testimonianza a Gesù stesso e portando così a compimento quanto da lui promesso prima della sua morte e risurrezione, che cioè avrebbe inviato lo Spirito ai discepoli affinché gli rendessero testimonianza (cfr Gv 15, 26-27). L'opera dello Spirito nella Chiesa è quindi di attestare che i credenti sono figli adottivi di Dio, destinati ad ereditare la salvezza, la promessa piena comunione con il Padre (cfr Rm 8, 15-17). Adornando la Chiesa di differenti doni e carismi, lo Spirito la fa crescere nella comunione come corpo unico, composto di molte parti diverse (cfr 1 Cor 12, 4; Ef 4, 11-16). Lo Spirito raduna in unità ogni genere di persone, con i rispettivi costumi, risorse e talenti, rendendo la Chiesa segno della comunione dell'intera umanità sotto l'unico capo, Cristo.63 Lo Spirito conferisce alla Chiesa la forma di comunità di testimoni, che, con la sua potenza, rendono testimonianza a Gesù Salvatore (cfr At 1, 8) e, in questo senso, è l'agente primario dell'evangelizzazione. Da tutto ciò, i Padri sinodali hanno potuto concludere che, come il ministero terreno di Gesù si è svolto nella potenza dello Spirito Santo, così « questo stesso Spirito è stato dato alla Chiesa a Pentecoste dal Padre e dal Figlio per portare a compimento la missione di amore e di servizio di Gesù in Asia ».64

Il piano del Padre per la salvezza dell'uomo non termina con la morte e la risurrezione di Cristo. Con il dono dello Spirito di Cristo, i frutti della missione salvifica vengono offerti attraverso la Chiesa a tutti i popoli di tutti i tempi mediante l'annuncio del Vangelo e il servizio e la promozione dell'umana famiglia. Come insegna il Concilio Vaticano II, la Chiesa « è spinta dallo Spirito Santo a cooperare perché sia mandato ad effetto il piano di Dio, il quale ha costituito Cristo principio di salvezza per il mondo intero ».65 Avendo ricevuto dallo Spirito il potere di portare a compimento la salvezza di Cristo sulla terra, la Chiesa è il germe del Regno di Dio e ne attende con impazienza la venuta finale. La sua identità e missione sono inseparabili dal Regno di Dio che Gesù ha annunciato ed inaugurato mediante tutto ciò che ha fatto e detto, principalmente mediante la sua morte e risurrezione. Lo Spirito ricorda alla Chiesa che essa non esiste per se stessa, ma per servire Cristo e la salvezza del mondo in tutto ciò che essa è e fa. Nella presente economia della salvezza, l'attività dello Spirito Santo nella creazione, nella storia e nella Chiesa è parte del disegno eterno della Trinità nei confronti di tutto ciò che esiste.

 

Lo Spirito Santo e la missione della Chiesa in Asia

18. Lo Spirito che si librava in Asia al tempo dei Patriarchi e dei Profeti e, in modo più potente, all'epoca di Gesù e della Chiesa primitiva, è ora sopra i cristiani dell'Asia, rafforzandone la testimonianza di fede tra i popoli, le culture e le religioni del Continente. Come il grande dialogo d'amore tra Dio e l'uomo fu preparato dallo Spirito Santo e si è compiuto in terra d'Asia nel mistero di Cristo, così il dialogo tra il Salvatore e i popoli del Continente continua oggi con la potenza dello stesso Spirito, operante nella Chiesa. In tale processo, i vescovi, i sacerdoti, i consacrati e i laici, uomini e donne, hanno un ruolo essenziale da svolgere, memori delle parole di Gesù, che sono al tempo stesso una promessa e un mandato: « Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra » (At 1, 8).

La Chiesa è convinta che nel profondo del cuore degli uomini, delle culture e delle religioni dell'Asia vi sia sete di « acqua viva » (cfr Gv 4, 10-15), sete che lo Spirito stesso suscita e che solo Gesù Salvatore potrà pienamente saziare. Essa si volge allo Spirito Santo perché continui a preparare i popoli dell'Asia al dialogo salvifico con il Redentore di tutti. Guidata dallo Spirito nella missione di servizio e di amore, la Chiesa può offrire un incontro fra Gesù Cristo e i popoli dell'Asia, alla ricerca della pienezza della vita. Solo in tale incontro può essere trovata l'acqua viva che sgorga per la vita eterna, e cioè la conoscenza dell'unico vero Dio e del suo inviato, Gesù Cristo (cfr Gv 17, 3).

La Chiesa sa bene di poter adempiere alla sua missione soltanto se obbedisce agli impulsi dello Spirito Santo; impegnata ad essere segno e strumento genuino dell'azione dello Spirito nelle complesse realtà dell'Asia, essa deve saper discernere, nelle diverse circostanze del Continente, la chiamata dello Spirito a testimoniare Gesù Salvatore in modi nuovi ed efficaci. La piena verità di Gesù e della salvezza da lui guadagnata per noi è sempre un dono e mai il risultato di uno sforzo umano. « Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo » (Rm 8, 16-17). Perciò la Chiesa grida incessantemente: « Vieni, Santo Spirito! Invadi nell'intimo i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore! ». È questo il fuoco che Gesù lascia cadere sulla terra, e la Chiesa in Asia condivide il suo ardente desiderio affinché quel fuoco si accenda ora (cfr Lc 12, 49). Con tale intenso sentimento, i Padri del Sinodo hanno cercato di discernere le principali aree di missione che la Chiesa deve affrontare in Asia, mentre si prepara a varcare la soglia del Terzo Millennio.

 

CAPITOLO IV

 

GESU SALVATORE:
PROCLAMARE IL DONO

 

Il primato dell'annuncio

19. Alla vigilia del Terzo Millennio, la voce di Cristo risorto risuona nuovamente nel cuore di ogni cristiano: « Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo » (Mt 28, 18-20). Certi dell'immancabile sostegno dello stesso Gesù e della potente presenza dello Spirito, subito dopo Pentecoste gli Apostoli si apprestarono ad adempiere a questo comando: « Essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l'accompagnavano » (Mc 16, 20) e quanto essi annunciavano può essere riassunto con le parole di san Paolo: « Noi non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore; quanto a noi, siamo i vostri servitori per amore di Gesù » (2 Cor 4, 5). Benedetta dal dono della fede, la Chiesa, dopo duemila anni, continua ad andare ovunque per incontrare i popoli del mondo, per condividere con loro la Buona Novella di Cristo, come comunità infiammata di zelo missionario per far conoscere, amare e seguire Gesù.

Non vi può essere vera evangelizzazione senza l'esplicita proclamazione che Gesù è il Signore. Il Concilio Vaticano II e, da allora, il Magistero, nel rispondere ad una certa confusione circa la vera natura della missione della Chiesa, hanno ripetutamente sottolineato il primato della proclamazione di Gesù Cristo in ogni attività di evangelizzazione. Al riguardo, Papa Paolo VI ha scritto esplicitamente che « non c'è vera evangelizzazione se il nome, l'insegnamento, la vita e le promesse, il Regno, il mistero di Gesù di Nazareth, Figlio di Dio, non siano proclamati ».66 Questo è ciò che generazioni di cristiani hanno fatto lungo i secoli. Con comprensibile orgoglio, i Padri sinodali hanno ricordato che « numerose comunità cristiane dell'Asia hanno preservato la fede lungo i secoli nonostante grandi tribolazioni, e sono rimaste attaccate a questa eredità spirituale con perseveranza eroica. Questo immenso tesoro è per loro sorgente di grande gioia e slancio apostolico ».67

Allo stesso tempo, i partecipanti all'Assemblea Speciale hanno testimoniato più e più volte la necessità di un rinnovato impegno nell'annuncio di Gesù Cristo proprio nel Continente che ha visto l'inizio di quella proclamazione duemila anni fa. Le parole dell'apostolo Paolo diventano ancor più puntuali, date le molte persone che in quel Continente non hanno mai incontrato la persona di Gesù in maniera chiara e cosciente: « Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato. Ora, come potranno invocarlo senza aver prima creduto in lui? E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi? » (Rm 10, 13-14). La grande questione che sta ora dinanzi alla Chiesa in Asia è come condividere con i nostri fratelli e sorelle asiatici ciò che noi gelosamente custodiamo come dono che contiene ogni altro dono, e cioè la Buona Novella di Gesù Cristo.

 

Annunciare Gesù Cristo in Asia

20. La Chiesa in Asia è molto ben disposta al dovere dell'annuncio, sapendo che « esiste già nei singoli e nei popoli, per l'azione dello Spirito, un'attesa, anche se inconscia, di conoscere la verità su Dio, sull'uomo, sulla via che porta alla liberazione dal peccato e dalla morte ».68 Questa insistenza sulla proclamazione non deriva da impulso settario né da spirito di proselitismo, né da alcun senso di superiorità. La Chiesa evangelizza in obbedienza al comando di Cristo, nella consapevolezza che ogni persona ha il diritto di udire la Buona Novella di Dio che rivela e dona se stesso in Cristo.69 Rendere testimonianza a Gesù Cristo è il servizio supremo che la Chiesa può offrire ai popoli dell'Asia, poiché risponde alla loro profonda ricerca di Assoluto e svela le verità e i valori che garantiscono loro lo sviluppo umano integrale. Profondamente cosciente della complessità di così differenti situazioni in Asia e « vivendo secondo la verità nella carità » (Ef 4, 15), la Chiesa proclama la Buona Novella con rispetto e stima amorevole nei confronti di quanti l'ascoltano. Una proclamazione che rispetta i diritti delle coscienze non viola la libertà, dal momento che la fede richiede sempre una libera risposta da parte dell'individuo.70 Ma il rispetto non elimina la necessità dell'esplicita proclamazione del Vangelo nella sua interezza. Specialmente nel contesto della ricca varietà di culture e religioni in Asia, occorre rilevare che « né il rispetto e la stima verso queste religioni, né la complessità dei problemi sollevati sono per la Chiesa un invito a tacere l'annuncio di Cristo di fronte ai non cristiani ».71 Durante la Visita in India nel 1986, ho detto chiaramente che « l'approccio della Chiesa ad altre religioni è fatto di autentico rispetto [...]. Questo rispetto è duplice: rispetto per l'uomo nella sua ricerca di risposte alle domande più profonde della sua vita, e rispetto per l'azione dello Spirito nell'uomo ».72 I Padri sinodali hanno volentieri riconosciuto l'azione dello Spirito nelle società, nelle culture e nelle religioni asiatiche, attraverso le quali il Padre prepara i cuori dei popoli dell'Asia alla pienezza di vita in Cristo.73

Nonostante questo, anche prima delle consultazioni antecedenti al Sinodo molti Vescovi dell'Asia hanno fatto presenti difficoltà nel proclamare Gesù quale unico Salvatore. Durante l'Assemblea, la situazione fu descritta in questi termini: « Alcuni dei seguaci delle grandi religioni asiatiche non hanno alcun problema ad accettare Gesù come una manifestazione della divinità o dell'Assoluto, o come un ‘essere illuminato'. Tuttavia hanno difficoltà a considerarlo come l'unica manifestazione della divinità ».74 Infatti, lo sforzo di condividere il dono della fede in Gesù quale unico Salvatore è denso di difficoltà filosofiche, culturali e teologiche, specialmente alla luce delle credenze delle grandi religioni dell'Asia, strettamente intrecciate con valori culturali e specifiche visioni del mondo.

Nell'opinione dei Padri sinodali, la difficoltà è aggravata dal fatto che Gesù viene spesso percepito come estraneo all'Asia. È un paradosso che molti abitanti del Continente tendano a vedere Gesù, nato su suolo asiatico, come un occidentale piuttosto che come una figura asiatica. In fondo, era inevitabile che l'annuncio del Vangelo da parte dei missionari occidentali fosse influenzato dalle culture di provenienza. I Padri del Sinodo hanno preso atto di ciò come di un fatto da tener presente nella storia dell'evangelizzazione. Allo stesso tempo essi hanno approfittato dell'occasione per « esprimere in maniera speciale la propria gratitudine a tutti i missionari, uomini e donne, religiosi e laici, stranieri ed autoctoni, che hanno recato il messaggio di Gesù Cristo e il dono della fede. Speciale riconoscenza va anche a tutte le Chiese sorelle che hanno inviato e continuano a mandare missionari in Asia ».75

Gli evangelizzatori possono prendere spunto dall'esperienza di san Paolo che stabilì un dialogo con i valori filosofici, culturali e religiosi dei suoi ascoltatori (cfr At 14, 13-17; 17, 22-31). Anche i Concili ecumenici, nel formulare dottrine vincolanti per la Chiesa, hanno dovuto adoperare le risorse linguistiche, filosofiche e culturali che avevano a disposizione; ma queste risorse sono divenute parte dell'eredità della Chiesa universale, essendosi rivelate capaci di esprimere la dottrina cristologica in modo appropriato e universale. Esse sono parte dell'eredità della fede, che deve essere assimilata e condivisa costantemente nell'incontro con le varie culture.76 Pertanto, il compito di proclamare Gesù in maniera da consentire ai popoli dell'Asia di identificarsi con lui, rimanendo fedeli sia alla dottrina teologica della Chiesa che alle proprie origini asiatiche, costituisce una sfida enorme.

La presentazione di Gesù Cristo come unico Salvatore esige l'adozione di una pedagogia che introduca le persone passo dopo passo alla piena appropriazione del mistero. Chiaramente, la prima evangelizzazione di non cristiani e la susseguente proclamazione a dei credenti dovrà avere approcci diversi. Nella proclamazione iniziale, ad esempio, « la presentazione di Gesù Cristo dovrebbe giungere come compimento dell'anelito espresso nelle mitologie e nel folklore dei popoli dell'Asia ».77 In generale, i metodi narrativi affini alle forme culturali asiatiche sono da preferire. Di fatto, la proclamazione di Gesù Cristo può essere attuata in modo molto efficace mediante la narrazione della sua vicenda terrena, come fa il Vangelo. Le nozioni ontologiche, che devono sempre essere presupposte ed espresse nel presentare Gesù, possono essere arricchite da prospettive più relazionali, storiche o anche cosmiche. La Chiesa, come hanno sottolineato i Padri sinodali, deve essere aperta alle nuove e sorprendenti vie con le quali il volto di Gesù può essere oggi presentato in Asia.78

Il Sinodo ha raccomandato che la successiva catechesi segua « una pedagogia evocativa che usi storie, parabole e simboli così caratteristici della metodologia asiatica nell'insegnamento ».79 Il ministero di Gesù stesso mostra chiaramente il valore del contatto personale che richiede all'evangelizzatore di prendere a cuore la situazione dell'ascoltatore, offrendo una proclamazione adatta al suo grado di maturità, attraverso forme e linguaggi appropriati. In tale prospettiva, i Padri sinodali hanno sottolineato molte volte la necessità di evangelizzare in un modo che faccia riferimento alle sensibilità dei popoli asiatici, suggerendo immagini di Gesù intelligibili alla mentalità e alle culture asiatiche e, allo stesso tempo, fedeli alla Sacra Scrittura e alla Tradizione. Tra esse vi sono state: « Gesù Cristo, Maestro di Sapienza, il Guaritore, il Liberatore, la Guida spirituale, l'Illuminato, l'Amico compassionevole dei poveri, il Buon Samaritano, il Buon Pastore, l'Obbediente ».80 Gesù potrebbe essere presentato come la Sapienza incarnata di Dio, la cui grazia porta a maturazione i « semi » della Sapienza divina già presenti nelle vite, nelle religioni e nei popoli dell'Asia.81 Tra le tante sofferenze che affliggono i popoli dell'Asia, Gesù potrebbe essere meglio annunciato come Salvatore « che può dare senso a quanti patiscono indicibile dolore e sofferenza ».82

La fede che la Chiesa offre in dono ai suoi figli e figlie dell'Asia non può essere confinata entro i limiti della comprensione e dell'espressione di alcuna cultura umana, dato che li trascende e in verità sfida ogni cultura ad elevarsi a nuove altezze di comprensione ed espressione. Ma allo stesso tempo, i Padri del Sinodo erano ben coscienti dell'impellente necessità che le Chiese locali in Asia hanno di presentare il mistero di Cristo ai loro popoli secondo i criteri culturali e i modi di pensare di questi, sottolineando pure che una tale inculturazione della fede nel Continente coinvolge una riscoperta del volto asiatico di Gesù, individuando modi attraverso i quali le culture asiatiche possano afferrare l'universale significato salvifico del mistero di Cristo e della sua Chiesa.83 Occorre emulare ai nostri giorni la penetrante comprensione dei popoli e delle culture, di cui sono esempio uomini come Giovanni da Montecorvino, Matteo Ricci e Roberto de Nobili, per nominarne solo alcuni.

 

La sfida dell'inculturazione

21. La cultura è lo spazio vitale entro il quale la persona umana si confronta faccia a faccia con il Vangelo. Come una cultura è il risultato della vita e dell'attività di un gruppo umano, così le persone che appartengono a quel gruppo sono formate in larga misura dalla cultura nella quale si trovano a vivere. E poiché sia le persone sia le società cambiano, così la cultura cambia con esse. Come questa è trasformata, così da essa lo sono le persone e le società. Da tale punto di vista, diventa più chiaro come l'evangelizzazione e l'inculturazione siano tra loro in naturale ed intima relazione. Il Vangelo e l'evangelizzazione non si identificano certamente con la cultura, ma anzi sono da essa indipendenti. E tuttavia, il Regno di Dio giunge a persone profondamente legate a una cultura, e la costruzione del Regno non può esimersi dal prendere a prestito elementi di culture umane. Perciò Paolo VI definì la spaccatura tra Vangelo e cultura il dramma del nostro tempo, con un impatto profondo sia sull'evangelizzazione sia sulle culture.84

Nel processo di incontro tra le diverse culture del mondo, la Chiesa non trasmette soltanto le sue verità e i suoi valori rinnovando le culture dal di dentro, ma attinge anche da esse gli elementi positivi già presenti. Questo è il sentiero obbligato degli evangelizzatori nel presentare la fede cristiana e nel farla diventare parte del bagaglio culturale di un popolo e, d'altra parte, le diverse culture, quando sono purificate e rinnovate alla luce del Vangelo, possono divenire espressioni vere dell'unica fede cristiana. « Con l'inculturazione la Chiesa diventa segno più comprensibile di ciò che è e strumento più atto della missione ».85 Questo coinvolgimento con le culture è sempre stato parte del pellegrinaggio della Chiesa nella storia, ma ha una speciale urgenza oggi, nella situazione multietnica, multireligiosa e multiculturale dell'Asia, dove il cristianesimo è troppo spesso visto come straniero.

A questo punto, è bene ricordare quanto è stato ripetutamente detto al Sinodo, e cioè che lo Spirito Santo è l'agente primario dell'inculturazione della fede cristiana in Asia.86 Lo stesso Spirito che ci conduce alla verità tutt'intera rende possibile un dialogo fruttuoso con i valori culturali e religiosi di differenti popoli, tra i quali, in certa misura, è presente, offrendo agli uomini e alle donne di cuore sincero la forza di superare il male e l'inganno del Maligno e porgendo a ciascuno la possibilità di far parte del Mistero pasquale in un modo che solo Dio conosce.87 La presenza dello Spirito Santo fa sì che questo dialogo si svolga nella verità, con onestà, umiltà e rispetto.88 « Nell'offrire agli altri la Buona Novella della Redenzione, la Chiesa si sforza di comprendere le loro culture. Essa cerca di conoscere le menti e i cuori di chi l'ascolta, i loro valori e costumi, i loro problemi e le loro difficoltà, le loro speranze e i loro sogni. Una volta che essa conosce e comprende questi diversi aspetti della cultura, allora può iniziare il dialogo di salvezza; essa è in grado di offrire, con rispetto ma chiaramente e con convinzione, la Buona Novella della Redenzione a tutti coloro che liberamente desiderano ascoltare e rispondere ».89 Pertanto, i popoli dell'Asia desiderosi di appropriarsi della fede cristiana siano sicuri che le loro speranze, attese, ansietà e sofferenze non solo sono abbracciate da Gesù, ma diventano il vero punto nel quale il dono della fede e la potenza dello Spirito entrano nel più profondo delle loro vite.

È compito dei Pastori, in virtù del carisma loro proprio, guidare questo dialogo con discernimento. Allo stesso modo, gli esperti in discipline sacre o secolari hanno ruoli importanti da svolgere nel processo di inculturazione. Ma il processo stesso deve coinvolgere tutto il popolo di Dio, dato che la vita della Chiesa come tale deve rendere visibile la fede annunciata e fatta propria. Per essere certi che ciò avvenga in modo adeguato, il Padri del Sinodo hanno identificato alcune aree bisognose di particolare attenzione: la riflessione teologica, la liturgia, la formazione dei sacerdoti e dei religiosi, la catechesi e la spiritualità.90

 

Aree chiave di inculturazione

22. Il Sinodo ha espresso incoraggiamento ai teologi nel delicato compito di sviluppare una teologia inculturata, specialmente nell'area della cristologia.91 Essi hanno sottolineato che « questa maniera di fare teologia deve essere perseguita con coraggio, rimanendo fedeli alla Scrittura e alla Tradizione della Chiesa, con sincera adesione al Magistero e con conoscenza delle situazioni pastorali ».92 Anch'io desidero invitare i teologi ad operare in spirito di unione con i Pastori e con i membri del Popolo di Dio, che — in unità e mai separati gli uni dagli altri — « riflettono il genuino senso della fede che non bisogna mai perdere di vista ».93 Il lavoro teologico deve essere sempre guidato dal rispetto per le sensibilità dei cristiani, in modo che, mediante una crescita graduale verso forme inculturate dell'espressione della fede, le persone non siano né indotte a confusione né scandalizzate. In ogni caso, l'inculturazione deve essere guidata dalla compatibilità con il Vangelo e dalla comunione con la fede della Chiesa universale,94 e perseguita in pieno accordo con la Tradizione della Chiesa, avendo di vista il rafforzamento della fede del popolo. La prova di una vera inculturazione è se i credenti diventano più impegnati nella fede cristiana per la ragione che la percepiscono più chiaramente con gli occhi della propria cultura.

La liturgia è la fonte e il culmine di tutta la vita e la missione cristiana,95 ed un mezzo fondamentale di evangelizzazione, specialmente in Asia, dove i seguaci di diverse religioni sono così attirati dal culto, dalle festività religiose e dalle devozioni popolari.96 La liturgia delle Chiese orientali per la maggior parte è stata inculturata con successo attraverso secoli di interazione con la cultura che la circondava, mentre le Chiese fondate più di recente hanno bisogno di far sì che essa divenga una sorgente ancora maggiore di nutrimento per i fedeli attraverso un uso saggio ed efficace di elementi tolti dalle culture locali. E ciononostante, l'inculturazione liturgica richiede ben più che un concentrarsi su valori culturali tradizionali, su simboli e riti. Occorre tener presenti i cambiamenti nella coscienza e negli atteggiamenti causati dall'emergere di culture secolaristiche e consumistiche che influiscono sul senso asiatico del culto e della preghiera; né, per una genuina inculturazione liturgica in Asia, si possono dimenticare i bisogni specifici dei poveri, degli emigrati, dei rifugiati, della gioventù e delle donne.

Le Conferenze Episcopali nazionali e regionali devono lavorare più a stretto contatto con la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti per ricercare vie efficaci per promuovere forme appropriate di culto nel contesto dell'Asia.97 Una simile collaborazione è essenziale perché la Sacra Liturgia esprime e celebra l'unica fede professata da tutti ed essendo eredità di tutta la Chiesa non può essere determinata dalle Chiese locali isolate dalla Chiesa universale.

I Padri sinodali hanno particolarmente insistito sull'importanza della parola biblica nel comunicare il messaggio della salvezza ai popoli del Continente, dove la parola trasmessa è così importante per preservare e comunicare l'esperienza religiosa.98 Ne consegue, pertanto, che un apostolato biblico efficace ha bisogno di essere sviluppato per poter assicurare che il testo sacro sia più ampiamente diffuso e più intensamente usato con spirito d'orazione tra i membri della Chiesa in Asia. I Padri del Sinodo hanno sottolineato l'urgenza che essa sia presa come base di ogni annuncio missionario, catechesi, predicazione e stile di spiritualità.99 Devono pure essere incoraggiati e sostenuti gli sforzi per tradurre nelle lingue locali la Bibbia, mentre la formazione biblica dovrebbe essere considerata un importante mezzo per educare alla fede le persone e renderle pronte al compito della proclamazione. Dovranno essere inclusi corsi sulla Scrittura orientati alla pastorale, con l'accento sull'applicazione dei suoi insegnamenti alle complesse realtà dell'Asia nei programmi di formazione per il clero, per i consacrati e per il laicato. 100 La Sacra Scrittura dovrebbe essere fatta conoscere anche tra i seguaci di altre religioni, poiché la Parola di Dio ha un intrinseco potere di toccare il cuore dell'uomo, dato che attraverso di essa lo Spirito di Dio rivela il piano divino della salvezza per il mondo. Inoltre, gli stili narrativi che si possono rilevare in molti libri della Bibbia hanno affinità con i testi religiosi tipici dell'Asia. 101

Un altro aspetto chiave dell'inculturazione è la formazione degli evangelizzatori, dai quali dipende in larga parte il suo futuro. Nel passato, la formazione spesso ha seguito lo stile, i metodi e i programmi mediati dall'Occidente. Pur apprezzando il servizio reso da quel tipo di formazione, i Padri sinodali hanno riconosciuto come uno sviluppo positivo gli sforzi recentemente fatti per adattare la formazione degli evangelizzatori ai contesti culturali dell'Asia. Oltre a una solida istruzione biblica e patristica, i seminaristi devono acquisire una conoscenza articolata e sicura del patrimonio teologico e filosofico della Chiesa, come ho sottolineato nell'Enciclica Fides et ratio. 102 Sulla base di questa preparazione, essi troveranno beneficio nell'avvicinare le tradizioni filosofiche e religiose dell'Asia. 103 I Padri sinodali hanno incoraggiato inoltre professori di seminario e collaboratori a cercare di comprendere gli elementi di spiritualità e di preghiera prossimi all'animo asiatico e a lasciarsi coinvolgere più profondamente nella ricerca da parte dei popoli dell'Asia di una vita più piena. 104 A tale scopo, è stata posta particolare enfasi sulla necessità di assicurare un'adeguata formazione del corpo educativo dei seminari. 105 Il Sinodo ha pure espresso preoccupazione per la formazione di uomini e donne alla vita consacrata, specificando chiaramente che la loro spiritualità e il loro stile di vita devono dimostrare sensibilità al patrimonio religioso e culturale delle persone tra le quali vivono e che servono, sempre supponendo il necessario discernimento su ciò che è conforme al Vangelo e ciò che non lo è. 106 Inoltre, dato che l'inculturazione del Vangelo coinvolge tutto il Popolo di Dio, il ruolo del laicato è di importanza fondamentale. Sono essi prima di tutti ad essere chiamati alla trasformazione della società, in collaborazione con i Vescovi, il clero e i religiosi, infondendo il « pensiero di Cristo » nella mentalità, nei costumi, nelle leggi e nelle strutture del mondo secolare nel quale vivono. 107 Una più ampia inculturazione del Vangelo ad ogni livello della società in Asia dipenderà considerevolmente dalla formazione appropriata che le Chiese locali sapranno dare al laicato.

 

Vita cristiana come annuncio

23. Più la comunità cristiana è fondata sull'esperienza di Dio che promana da una fede vissuta e più sarà capace di annunciare in modo credibile agli altri il compimento del Regno di Dio in Gesù Cristo. Questo dipende dall'ascolto fedele della Parola di Dio, dalla preghiera e dalla contemplazione, dalla celebrazione del mistero di Gesù nei sacramenti, anzitutto nell'Eucaristia, e dall'esempio di vera comunione di vita e di integrità dell'amore. Il centro della Chiesa particolare deve essere posto nella contemplazione di Gesù Cristo, Dio fatto uomo: la Chiesa deve tendere costantemente ad una più intima unione con lui, del quale continua la missione. La missione è azione contemplativa e attiva contemplazione. Pertanto, un missionario che non abbia una profonda esperienza di Dio nella preghiera e nella contemplazione avrà poca influenza spirituale o successo nel ministero. Si tratta di una riflessione che traggo dalla mia personale esperienza sacerdotale e, come ho scritto altrove, il contatto con rappresentanti delle tradizioni spirituali non cristiane, particolarmente quelle asiatiche, mi ha confermato nel convincimento che il futuro della missione dipende in grande misura dalla contemplazione. 108 In Asia, dimora di grandi religioni dove persone ed interi popoli hanno sete del divino, la Chiesa è chiamata ad essere una Chiesa di preghiera, profondamente spirituale anche se coinvolta in preoccupazioni umane e sociali immediate: ogni cristiano ha bisogno di un'autentica spiritualità missionaria fatta di preghiera e di contemplazione.

Una persona realmente religiosa è con grande facilità rispettata e seguita in Asia. Preghiera, digiuno e varie forme di ascetismo sono tenute in grande considerazione. Rinuncia, distacco, umiltà, semplicità e silenzio sono considerati dei grandi valori dai seguaci di ogni religioni. Affinché la preghiera non venga staccata dalla promozione umana, i Padri sinodali hanno sottolineato che « l'opera di giustizia, di carità e di compassione è strettamente legata ad una vita di autentica preghiera e di contemplazione e, inoltre, questa stessa spiritualità sarà la sorgente di ogni nostra opera di evangelizzazione ». 109 Pienamente convinti dell'importanza di una testimonianza autentica nella evangelizzazione dell'Asia, i Padri del Sinodo hanno affermato: « La Buona Novella di Gesù Cristo potrà essere annunciata soltanto da coloro che sono presi e ispirati dall'amore del Padre verso i suoi figli, manifestato nella persona di Gesù Cristo. Tale annuncio è una missione che ha bisogno di uomini e donne santi che faranno conoscere ed amare il Salvatore attraverso la loro vita. Un fuoco non può essere acceso che mediante qualcosa che sia esso stesso infiammato. Così, un annuncio riuscito della Buona Novella della Salvezza in Asia può essere istituito soltanto se i Vescovi, i sacerdoti, i religiosi e i laici sono essi stessi accesi di amore per Cristo e ardenti di zelo per farlo conoscere a più ampio raggio, per farlo amare più intensamente e seguirlo più da vicino ». 110 I cristiani che parlano di Cristo devono incarnare nella vita il messaggio che proclamano.

A tale riguardo, tuttavia, una particolare circostanza nel contesto asiatico esige attenzione. La Chiesa sa che la silenziosa testimonianza di vita a tutt'oggi rimane l'unico modo di proclamare il Regno di Dio in molti luoghi in Asia, dove la proclamazione esplicita è proibita e la libertà religiosa negata o sistematicamente ridotta. La Chiesa vive questo tipo di testimonianza in modo consapevole, considerandola il suo « prendere la propria croce » (cfr Lc 9, 23), anche se non si stanca di richiamare i governi e di spingerli a riconoscere la libertà religiosa come diritto umano fondamentale. È significativo ripetere, a tale riguardo, le parole del Concilio Vaticano II: « La persona umana ha diritto alla libertà religiosa. Tale libertà consiste in questo, che tutti gli uomini devono essere immuni dalla coercizione da parte di singoli, di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità alla sua coscienza privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata ». 111 In alcuni Paesi asiatici, questo principio deve ancora essere riconosciuto e posto in atto.

Chiaramente, pertanto, l'annuncio di Gesù Cristo in Asia presenta molti aspetti complessi sia di contenuto che di metodo. I Padri sinodali erano acutamente coscienti della legittima varietà di approcci alla proclamazione di Gesù, a patto, però, che la fede sia rispettata nella sua integrità nel processo di appropriazione e di condivisione della medesima. Il Sinodo ha sottolineato che « l'evangelizzazione è oggi una realtà ricca e dinamica, con vari aspetti, quali la testimonianza, il dialogo, l'annuncio, la catechesi, la conversione, il Battesimo, l'inserimento nella comunità ecclesiale, l'implantazione della Chiesa, l'inculturazione e lo sviluppo integrale dell'uomo. Alcuni di questi elementi procedono insieme, mentre altri sono delle tappe o fasi successive del processo intero di evangelizzazione ». 112 In tutta l'opera evangelizzatrice, tuttavia, è la completa verità di Gesù Cristo che deve essere annunciata. Sottolineare alcuni aspetti dell'inesauribile mistero di Gesù è legittimo e necessario nel proporre gradualmente Cristo ad una persona, ma non può essere permesso alcun compromesso nell'integrità della fede. Alla fin fine, l'accettazione della fede da parte di una persona deve basarsi su una comprensione certa della persona di Gesù Cristo, il Signore di tutti che « è lo stesso ieri, oggi e sempre » (Eb 13, 8), come insegnato dalla Chiesa di ogni tempo e luogo.

 

CAPITOLO V

 

COMUNIONE E DIALOGO
PER LA MISSIONE

 

Comunione e missione procedono di pari passo

24. In obbedienza all'eterno disegno del Padre, la Chiesa, prevista sin dalle origini del mondo, preparata nell'Antico Testamento, istituita da Cristo Gesù e resa presente nel mondo dallo Spirito Santo nel giorno di Pentecoste, « prosegue il suo pellegrinaggio tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio », 113 mentre incede verso la perfezione nella gloria del cielo. Poiché Dio desidera « la costituzione di tutto il genere umano nell'unico Popolo di Dio, la sua riunione nell'unico Corpo di Cristo, la sua edificazione nell'unico tempio dello Spirito Santo », 114 la Chiesa è nel mondo « il disegno visibile dell'amore di Dio per l'umanità, il sacramento della salvezza ». 115 Non la si può, pertanto, considerare semplicemente come un'organizzazione sociale o un'agenzia di assistenza umanitaria. Nonostante abbia tra i suoi membri uomini e donne peccatori, essa deve essere vista come il luogo privilegiato dell'incontro tra Dio e l'uomo, nel quale Dio sceglie di rivelare il mistero della sua vita intima e di realizzare il suo piano di salvezza del mondo.

Il mistero del disegno d'amore di Dio è reso presente e attivo nella comunità degli uomini e delle donne che sono stati sepolti con Cristo mediante il Battesimo nella morte, così che come Cristo è stato risuscitato dai morti dalla gloria del Padre, anch'essi possano camminare in novità di vita (cfr Rm 6, 4). Al centro del mistero della Chiesa c'è il vincolo di comunione che unisce Cristo-Sposo a tutti i battezzati. Attraverso questa comunione vivente e vivificante, « i cristiani non appartengono a se stessi, ma sono proprietà di Cristo »; 116 uniti al Figlio nel vincolo d'amore dello Spirito, sono uniti al Padre, e da questa comunione fluisce la comunione che essi condividono l'uno con l'altro mediante Cristo nello Spirito Santo. 117 Il fine primario della Chiesa, pertanto, è di essere il sacramento dell'intima unione della persona umana con Dio e, poiché la comunione delle persone l'una con l'altra è radicata in questa unione con Dio, la Chiesa è pure il sacramento dell'unità del genere umano, 118 in lei già iniziata; allo stesso tempo, essa è « segno e strumento » della piena realizzazione di questa unità che deve ancora compiersi. 119

E un requisito essenziale della vita in Cristo che chi entra nella comunione con il Signore porti frutto: « Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto » (Gv 15, 5), e ciò è così vero che la persona che non porta frutto non rimane nella comunione: « Ogni tralcio che in me non porta frutto, [il Padre] lo pota » (Gv 15, 2). La comunione con Gesù, che dà origine alla comunione dei cristiani tra di loro, è la condizione indispensabile per portare frutto; e la comunione con gli altri, dono di Cristo e del suo Spirito, è il frutto più bello che i tralci possano offrire. In questo senso, comunione e missione sono inseparabilmente connesse l'una con l'altra, sono intrecciate e si implicano vicendevolmente, così che « la comunione rappresenta la sorgente e insieme il frutto della missione: la comunione è missionaria e la missione è per la comunione ». 120

Adoperando la teologia di comunione, il Concilio Vaticano II ha potuto descrivere la Chiesa come il Popolo di Dio in pellegrinaggio al quale, in certo modo, tutti i popoli sono collegati. 121 Su questa base, i Padri sinodali hanno posto l'accento sul legame misterioso tra la Chiesa e i seguaci di altre religioni asiatiche, notando che essi sono « relazionati alla [Chiesa] in modi e gradi differenti ». 122 Tra popoli, culture e religioni così differenti, « la vita della Chiesa come comunione è della più grande importanza ». 123 In effetti, il servizio di unità della Chiesa ha una specifica rilevanza in Asia, dove vi sono molte tensioni, divisioni e conflitti, causati da differenze etniche, sociali, culturali, linguistiche, economiche e religiose. E in tale contesto che le Chiese locali in Asia, in comunione con il Successore di Pietro, hanno bisogno di promuovere tra loro una più profonda comunione di mente e di cuore mediante una più stretta collaborazione tra di loro. Sono inoltre vitali alla missione evangelizzatrice le relazioni con le altre Chiese e Comunità ecclesiali e con i seguaci di altre religioni. 124 Il Sinodo, pertanto, ha rinnovato l'impegno della Chiesa in Asia nel compito di promuovere sia i rapporti ecumenici che il dialogo interreligioso, prendendo atto del fatto che il costruire unità, l'adoperarsi per la riconciliazione, il plasmare vincoli di solidarietà, il promuovere il dialogo tra religioni e culture, lo sradicare pregiudizi e il suscitare fiducia tra i popoli è essenziale alla missione evangelizzatrice della Chiesa nel Continente. Tutto ciò richiede dalla comunità cattolica un sincero esame di coscienza, il coraggio della riconciliazione e un rinnovato impegno al dialogo. Alle soglie del Terzo Millennio, è chiaro che la capacità della Chiesa di evangelizzare richiede che essa si sforzi vigorosamente di servire la causa dell'unità in tutte le dimensioni, poiché comunione e missione procedono di pari passo.

 

Comunione dentro la Chiesa

25. Riuniti attorno al Successore di Pietro, pregando e lavorando insieme, i Vescovi dell'Assemblea Speciale per l'Asia hanno offerto un'immagine concreta di quel che sarebbe la comunione della Chiesa in tutta la ricca diversità delle Chiese particolari sulle quali presiedono nella carità. La mia stessa presenza alle Congregazioni Generali del Sinodo è stata sia una grande opportunità per condividere le difficoltà, le gioie e le speranze dei Vescovi, sia un esercizio intenso e profondamente sentito del mio ministero. E proprio all'interno della prospettiva della comunione ecclesiale che l'autorità universale del Successore di Pietro risplende più chiaramente, non in primo luogo come potere giuridico sulle Chiese locali, ma anzitutto come primato pastorale al servizio dell'unità della fede e della vita dell'intero Popolo di Dio. Profondamente coscienti che « il Ministero petrino ha la specifica funzione di garantire e promuovere l'unità della Chiesa », 125 i Padri sinodali hanno riconosciuto con apprezzamento il servizio che i Dicasteri della Curia Romana e il Servizio Diplomatico della Santa Sede rendono alle Chiese locali, nello spirito di comunione e di collegialità. 126 Essenziale dimensione di questo servizio è il rispetto e la sensibilità che questi stretti collaboratori del Successore di Pietro mostrano nei confronti della legittima diversità delle Chiese locali e della varietà di culture e di popoli con i quali vengono a contatto.

Ogni Chiesa particolare deve fondarsi sulla testimonianza della comunione ecclesiale che costituisce la natura stessa della Chiesa. I Padri sinodali hanno scelto di descrivere la Diocesi come una comunione di comunità riunite attorno al Pastore, dove il clero, i consacrati e i laici sono impegnati in un « dialogo di vita e di cuore » sorretto dalla grazia dello Spirito Santo. 127 E in primo luogo nella Diocesi che la visione di una comunione di comunità può avverarsi nel mezzo delle complesse realtà sociali, politiche, religiose, culturali ed economiche dell'Asia. La comunione ecclesiale implica che ogni Chiesa locale deve diventare ciò che i Padri sinodali hanno chiamato una « Chiesa partecipativa », una Chiesa, cioè, nella quale ognuno vive la propria vocazione ed adempie al proprio ruolo. Al fine di edificare la « comunione per la missione » e la « missione di comunione », il singolare carisma di ogni membro deve essere riconosciuto, sviluppato ed utilizzato in modo efficace. 128 In particolare, vi è la necessità di promuovere un maggiore coinvolgimento dei laici e delle persone consacrate nella programmazione pastorale e nel processo decisionale mediante le strutture partecipative come i consigli pastorali e le assemblee parrocchiali. 129

In ogni Diocesi, la parrocchia rimane il luogo ordinario dove i fedeli si riuniscono per crescere nella fede, per vivere il mistero della comunione ecclesiale e per prendere parte alla missione della Chiesa. Pertanto, il Padri del Sinodo hanno caldamente invitato i Parroci ad approntare nuovi ed efficaci modi di guidare pastoralmente i fedeli, così che ciascuno, specialmente il povero, si senta realmente parte della parrocchia e dell'intero Popolo di Dio. La programmazione pastorale con i laici dovrebbe essere una prassi normale di tutte le parrocchie. 130 Il Sinodo, poi, ha individuato in particolare i giovani come coloro per i quali « la parrocchia dovrebbe offrire maggiori opportunità di amicizia e di comunione attraverso attività di apostolato giovanile organizzato e di associazioni di giovani ». 131 Nessuno a priori dovrebbe essere escluso dal condividere pienamente la vita e la missione della parrocchia in ragione della condizione sociale, economica, politica, culturale o educativa e come ogni seguace di Cristo ha un dono da offrire alla comunità, così la comunità dovrebbe mostrare disponibilità a ricevere il dono di ognuno e beneficiarne.

In tale contesto e riferendosi alla propria esperienza pastorale, i Padri sinodali hanno sottolineato il valore delle comunità ecclesiali di base come un modo efficace per promuovere la comunione e la partecipazione nelle parrocchie e nelle Diocesi, ed anche una genuina forza per l'evangelizzazione. 132 Questi piccoli gruppi aiutano i fedeli a vivere come comunità che credono, pregano e si amano come i primi cristiani (cfr At 2, 44-47; 4, 32-35). Essi tendono ad aiutare i propri membri a vivere il Vangelo in spirito di amore fraterno e di servizio, e sono perciò un solido punto di partenza per costruire una nuova società che sia espressione della civiltà dell'amore. Insieme con il Sinodo, incoraggio la Chiesa in Asia, là dove possibile, a considerare queste comunità di base come uno strumento utile per l'attività evangelizzatrice della Chiesa. Allo stesso tempo, saranno efficaci se, come ha scritto Paolo VI, vivono in unione con la Chiesa particolare e universale in sincera comunione con i Pastori e il Magistero, con un impegno all'opera missionaria e senza dare spazio ad isolazionismi o a sfruttamento ideologico. 133 La presenza di queste piccole comunità non è contraria alle istituzioni e alle strutture stabilite, che rimangono necessarie alla Chiesa per adempiere alla propria missione.

Il Sinodo ha riconosciuto pure il ruolo dei movimenti di rinnovamento nella edificazione della comunione, quando offrono opportunità per un'esperienza di Dio più interiore attraverso la fede e i sacramenti e la promozione della conversione di vita. 134 E responsabilità dei Pastori guidare, accompagnare ed incoraggiare tali gruppi così che possano integrarsi bene nella vita e nella missione della parrocchia e della Diocesi. Quanti sono coinvolti in associazioni o movimenti dovrebbero offrire sostegno alla Chiesa locale e non presentare se stessi come alternativi alle strutture diocesane e alla vita parrocchiale. La comunione cresce più robusta quando i responsabili locali di questi movimenti lavorano insieme con i Pastori in spirito di carità per il bene di tutti (cfr 1 Cor 1, 13).

 

Solidarietà tra le Chiese

26. Questa comunione ad intra contribuisce alla solidarietà tra le stesse Chiese particolari. L'attenzione ai bisogni locali è legittima e indispensabile, ma la comunione esige che le Chiese particolari rimangano aperte l'una nei confronti dell'altra e tra di loro collaborino, così che nella loro diversità preservino e manifestino chiaramente il vincolo di comunione con la Chiesa universale. La comunione esige la mutua comprensione ed un approccio coordinato alla missione, senza pregiudizio all'autonomia e ai diritti delle Chiese secondo le rispettive tradizioni teologiche, liturgiche e spirituali. La storia, tuttavia, dimostra come le divisioni abbiano spesso ferito la comunione delle Chiese in Asia; lungo i secoli, le relazioni tra Chiese particolari di differenti giurisdizioni ecclesiastiche, di tradizioni liturgiche e di metodi missionari sono talvolta state tese o difficili. I Vescovi presenti al Sinodo hanno riconosciuto come anche oggi tanto tra le Chiese particolari in Asia quanto al loro interno vi siano, purtroppo, di quando in quando delle divisioni, spesso connesse con diversità rituali, linguistiche, etniche, ideologiche e di casta. Alcune ferite sono state parzialmente rimarginate, ma non vi è ancora totale guarigione.

Riconoscendo che là dove la comunione è indebolita, viene a soffrire la testimonianza della Chiesa e il lavoro missionario, i Padri hanno proposto iniziative concrete per rafforzare i rapporti tra le Chiese particolari in Asia. Oltre alle necessarie espressioni spirituali di sostegno e di incoraggiamento, hanno suggerito una più equa distribuzione dei sacerdoti, una solidarietà economica più efficace, scambi culturali e teologici, ed aumentate opportunità di gemellaggio fra Diocesi. 135

Associazioni regionali e continentali di Vescovi, in particolare il Consiglio dei Patriarchi cattolici del Medio Oriente e la Federazione delle Conferenze dei Vescovi dell'Asia, hanno contribuito a promuovere l'unità tra le Chiese locali ed hanno fornito un luogo di incontro per la collaborazione al fine di risolvere problemi pastorali. Allo stesso modo, vi sono molti centri di teologia, di spiritualità e di attività pastorale in Asia che promuovono la comunione e la collaborazione pratica. 136 Deve essere preoccupazione di tutti far sì che queste promettenti iniziative siano ulteriormente sviluppate per il bene sia della Chiesa che della società in Asia.

 

Le Chiese orientali cattoliche

27. La situazione delle Chiese orientali cattoliche, principalmente del Medio Oriente e dell'India, merita una attenzione speciale. Esse sono state custodi sin dai tempi apostolici di una preziosa eredità spirituale, liturgica e teologica; i loro riti e le loro tradizioni, nati in una profonda inculturazione della fede sul suolo di molti Paesi dell'Asia, hanno diritto al più grande rispetto. Con i Padri del Sinodo, chiedo ad ognuno di riconoscere i legittimi costumi e libertà di queste Chiese in materie disciplinari e liturgiche, come stabilito dal Codice dei Canoni delle Chiese Orientali. 137 Alla luce degli insegnamenti del Concilio Vaticano II, vi è l'urgente necessità di superare le paure e le incomprensioni che sembrano comparire talvolta fra le Chiese orientali cattoliche e la Chiesa latina, e pure fra quelle Chiese stesse, specialmente per quanto attiene alla cura pastorale dei fedeli, anche al di fuori dei territori loro propri. 138 Come figli dell'unica Chiesa, rinati alla novità della vita in Cristo, i credenti sono chiamati ad affrontare ogni cosa in spirito di comunione di intenti, di fiducia e di incrollabile carità. Non si deve lasciare che i conflitti generino divisioni, ma devono essere affrontati in spirito di verità e di rispetto, poiché non vi può essere alcun bene se non dall'amore. 139

Queste venerabili Chiese sono coinvolte direttamente nel dialogo ecumenico con le Chiese ortodosse sorelle, e i Padri sinodali le hanno incoraggiate a proseguire su questa strada. 140 Esse hanno anche avuto preziose esperienze di dialogo interreligioso, specialmente con l'Islam, e ciò può aiutare altre Chiese in Asia e altrove. E chiaro che le Chiese orientali cattoliche hanno una grande ricchezza di tradizioni e di esperienze che possono grandemente recare beneficio a tutta la Chiesa.

 

Condividere le speranze e i patimenti

28. I Padri del Sinodo erano pure coscienti della necessità di un'effettiva comunione e collaborazione con le Chiese locali presenti nei territori asiatici dell'ex Unione Sovietica che si stanno ricostituendo tra le difficili circostanze ereditate da un tormentato periodo della storia. La Chiesa le accompagna con la preghiera, condividendone le sofferenze e le ritrovate speranze. Incoraggio tutta la Chiesa ad offrire sostegno morale, spirituale e materiale, mettendo a disposizione anche persone ordinate e non ordinate: esse sono veramente necessarie per aiutare queste comunità nel compito di condividere l'amore di Dio rivelato in Gesù con i popoli di queste terre. 141

In molte parti dell'Asia, i nostri fratelli e sorelle continuano a vivere la fede tra restrizioni o totale negazione della libertà. Per questi membri sofferenti della Chiesa, i Padri sinodali hanno espresso speciale preoccupazione e sollecitudine. Con i Vescovi dell'Asia, esorto i fratelli e le sorelle di queste Chiese che vivono in difficili circostanze ad unire le loro sofferenze a quelle del Signore crocifisso, poiché noi e loro sappiamo che soltanto la Croce, quando portata con fede e amore, è via alla risurrezione e a vita nuova per l'umanità. Incoraggio le varie Conferenze Episcopali nazionali in Asia a stabilire un ufficio per aiutare queste Chiese; per parte mia garantisco la continua vicinanza e sollecitudine della Santa Sede a quanti soffrono persecuzione per la fede in Cristo. 142 Faccio appello ai governi e ai responsabili delle Nazioni ad adottare e a mettere in pratica politiche che garantiscano la libertà religiosa per tutti i cittadini.

In diverse occasioni i Padri sinodali hanno volto gli sguardi alla Chiesa cattolica nella Cina Continentale ed hanno pregato affinché venga presto il giorno in cui i nostri amatissimi fratelli e sorelle cinesi siano liberi di praticare la fede in piena comunione con la Sede di Pietro e la Chiesa universale. A voi, cari fratelli e sorelle cinesi, rivolgo questa fervente esortazione: non permettete mai che le difficoltà e le lacrime diminuiscano la vostra devozione a Cristo e il vostro impegno per la vostra grande Nazione. 143 Il Sinodo ha pure espresso una cordiale solidarietà con la Chiesa cattolica in Corea ed ha manifestato sostegno agli « sforzi [dei cattolici] di offrire assistenza al popolo della Corea del Nord, privato dei mezzi minimi di sopravvivenza, e di portare riconciliazione tra due Paesi formati da un unico popolo, con un'unica lingua ed un'unica eredità culturale ». 144

Allo stesso modo, i pensieri del Sinodo si sono spesso rivolti alla Chiesa in Gerusalemme, che ha un posto speciale nel cuore di tutti i cristiani. Le parole del profeta Isaia trovano senza dubbio un'eco nei cuori di milioni di credenti in tutto il mondo, per i quali Gerusalemme occupa un posto unico e molto amato: « Rallegratevi con Gerusalemme, esultate per essa quanti l'amate succhierete con delizia all'abbondanza del suo seno » (66, 10-11). Gerusalemme, città della riconciliazione degli uomini con Dio e tra di loro, è stata così spesso luogo di conflitti e di divisione. I Padri sinodali hanno esortato le Chiese particolari a dimostrare solidarietà con la Chiesa in Gerusalemme condividendone le sofferenze, pregando per lei e con lei collaborando per servire la pace, la giustizia e la riconciliazione tra i due popoli e le tre religioni presenti nella Città Santa. 145 Rinnovo l'appello più volte fatto ai leader politici e religiosi e a tutte le persone di buona volontà di cercare vie per assicurare la pace e l'integrità di Gerusalemme. Come ho già avuto modo di scrivere, è mio fervido auspicio andarvi in religioso pellegrinaggio, come il mio Predecessore Papa Paolo VI, per pregare nella Città Santa dove Gesù Cristo è vissuto, morto e risorto e a visitare il luogo dal quale, nella potenza dello Spirito Santo, gli Apostoli partirono per proclamare il Vangelo di Gesù Cristo al mondo. 146

 

Una missione di dialogo

29. Il tema comune dei vari Sinodi « continentali », che hanno contribuito alla preparazione della Chiesa al Grande Giubileo dell'Anno 2000, è quello della nuova evangelizzazione. Una nuova epoca di annuncio del Vangelo è essenziale non solo perché, dopo duemila anni, una grande parte della famiglia umana ancora non riconosce Cristo, ma anche perché la situazione in cui la Chiesa e il mondo si trovano alle soglie del nuovo millennio presenta particolari sfide alla fede religiosa e alle verità morali che discendono da essa. Vi è una tendenza pressoché ovunque a costruire il progresso e la prosperità senza riferimenti a Dio ed a ridurre la dimensione religiosa della persona alla sfera privata. La società, separata dalle più fondamentali verità che riguardano l'uomo, e specificamente la sua relazione con il Creatore e con la redenzione realizzata da Cristo nello Spirito Santo, può soltanto smarrire sempre più le vere sorgenti della vita, dell'amore e della felicità. Questo secolo violento che sta rapidamente giungendo al termine dà terrificante testimonianza di ciò che può succedere quando si abbandonano la Verità e la Bontà per la brama del potere e per l'affermazione di sé a scapito degli altri. La nuova evangelizzazione, come invito alla conversione, alla grazia e alla sapienza, è l'unica speranza genuina per un mondo migliore e per un futuro più luminoso. La questione non è se la Chiesa abbia qualcosa di essenziale da dire agli uomini e alle donne del nostro tempo, ma piuttosto se lo possa dire con chiarezza e in modo convincente!

All'epoca del Concilio Vaticano II, il mio Predecessore, il Papa Paolo VI ha dichiarato, nella Lettera enciclica Ecclesiam suam, che la questione del rapporto tra la Chiesa e il mondo moderno era una delle preoccupazioni più importanti del nostro tempo, e scrisse che « la sua esistenza e la sua urgenza sono tali da creare un peso nel nostro animo, uno stimolo, una chiamata ». 147 Dal Concilio ad oggi la Chiesa ha coerentemente dimostrato di voler perseguire quel rapporto in spirito di dialogo. Il desiderio di dialogo, tuttavia, non è semplicemente una strategia per una pacifica coesistenza tra i popoli; è invece una parte essenziale della missione della Chiesa poiché esso affonda le proprie origini nell'amorevole dialogo di salvezza che il Padre intrattiene con l'umanità nel Figlio con la potenza dello Spirito Santo. La Chiesa può adempiere alla sua missione soltanto in un modo che corrisponde alla maniera in cui Dio ha agito in Gesù Cristo, che si è fatto uomo, ha condiviso la vita umana ed ha parlato un linguaggio umano per comunicare il suo messaggio salvifico. Questo dialogo che la Chiesa propone trova fondamento nella logica dell'Incarnazione. Pertanto, nient'altro che una fervida e disinteressata solidarietà sospinge il dialogo della Chiesa con gli uomini e le donne d'Asia che sono alla ricerca della verità nell'amore.

Sacramento dell'unità del genere umano, la Chiesa non può non entrare in dialogo con tutti i popoli di ogni tempo e in ogni luogo. In ragione della missione che ha ricevuto, essa prende il largo per incontrare i popoli del mondo, conscia di essere un « piccolo gregge » all'interno di una vasta folla di umanità (cfr Lc 12, 32), ma anche di essere lievito nella pasta del mondo (cfr Mt 13, 33). Gli sforzi per impegnarsi nel dialogo sono anzitutto rivolti verso quanti condividono la fede in Gesù Cristo, Signore e Salvatore, per poi estendersi al di là del mondo cristiano e raggiungere i seguaci di ogni altra tradizione religiosa, sulla base dell'ansia religiosa presente in ogni cuore umano. Il dialogo ecumenico e il dialogo interreligioso costituiscono dunque per la Chiesa una vera vocazione.

 

Dialogo ecumenico

30. Il dialogo ecumenico è una sfida e una chiamata alla conversione per tutta la Chiesa, specialmente per la Chiesa in Asia, dove gli abitanti si attendono dai cristiani un più chiaro segno di unità. Occorre restaurare la comunione tra quanti con fede hanno accettato Gesù Cristo come Signore, perché tutti i popoli possano riunirsi insieme nella grazia di Dio. Gesù stesso ha pregato per l'unità visibile dei suoi discepoli e non cessa di stimolarli ad essa, così che il mondo creda che il Padre l'ha mandato (cfr Gv 17, 21). 148 Ma la volontà del Signore che la sua Chiesa sia una, attende una risposta completa e coraggiosa dai suoi discepoli.

In Asia, proprio dove il numero dei cristiani è proporzionalmente piccolo, la divisione rende l'attività missionaria ancora più difficile. I Padri sinodali hanno preso atto che « lo scandalo di una cristianità divisa è un grande ostacolo per l'evangelizzazione in Asia ». 149 Infatti, la divisione tra i cristiani è considerata una contro-testimonianza a Gesù Cristo da quanti in Asia sono alla ricerca di armonia e di unità attraverso le loro religioni e culture. Pertanto, la Chiesa cattolica in Asia si sente particolarmente sospinta ad operare per l'unità con gli altri cristiani, rendendosi conto che la ricerca della piena comunione esige da ciascuno carità, discernimento, coraggio e speranza. « Per essere autentico e fruttuoso, l'ecumenismo richiede, da parte dei fedeli cattolici, alcune fondamentali disposizioni. Innanzitutto la carità, con uno sguardo pieno di simpatia e un vivo desiderio di cooperare, dove è possibile, con i fratelli delle altre Chiese e Comunità ecclesiali. In secondo luogo la fedeltà alla Chiesa cattolica, pur senza ignorare né negare le mancanze manifestate dal comportamento di certi suoi membri. In terzo luogo lo spirito di discernimento, per apprezzare ciò che è buono e degno di lode. Infine, è richiesta una sincera volontà di purificazione e di rinnovamento ». 150

Anche se hanno riconosciuto le difficoltà tuttora esistenti nei rapporti tra cristiani, che implicano non soltanto pregiudizi ereditati dal passato ma anche convincimenti radicati in profonde convinzioni che coinvolgono la coscienza, 151 i Padri del Sinodo hanno tuttavia evidenziato i segni delle migliorate relazioni tra alcune Chiese e comunità cristiane in Asia. Ad esempio, cattolici e ortodossi riconoscono spesso una unità culturale tra loro, un senso di condivisione di elementi importanti di una tradizione ecclesiale comune. Questo costituisce una solida base per un dialogo ecumenico fruttuoso che possa proseguire anche nel prossimo millennio, e che, speriamo e preghiamo, alla fine ponga termine alle divisioni del millennio che si sta per concludere.

A livello pratico, il Sinodo ha proposto che le Conferenze Episcopali in Asia invitino le altre Chiese cristiane ad unirsi in un cammino di preghiera e di consultazioni per esplorare le possibilità di nuove strutture e associazioni ecumeniche per promuovere l'unità dei cristiani. Aiuterà pure il suggerimento del Sinodo affinché la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani sia celebrata più fruttuosamente. I Vescovi sono incoraggiati ad istituire e a presiedere dei centri ecumenici di preghiera e di dialogo; ed è necessario includere nel curriculum dei seminari, delle case di formazione e nelle istituzioni educative una formazione adeguata per il dialogo ecumenico.

 

Dialogo interreligioso

31. Nella Lettera apostolica Tertio millennio adveniente, ho indicato che l'avvicinarsi di un nuovo millennio offre una grande opportunità per il dialogo interreligioso e per incontri con i leader delle grandi religioni del mondo. 152 Contatti, dialogo e cooperazione con i seguaci delle altre religioni è compito che il Concilio Vaticano II ha affidato a tutta la Chiesa come un dovere ed una sfida. I principi per la ricerca di un positivo rapporto con le altre tradizioni religiose sono enunciati nella Dichiarazione conciliare Nostra aetate, promulgata il 28 ottobre 1965. Essa è la magna carta del dialogo interreligioso per i nostri tempi. Dal punto di vista cristiano, il dialogo interreligioso è ben più che un modo per promuovere la conoscenza e l'arricchimento reciproci; è parte della missione evangelizzatrice della Chiesa, una espressione della missione ad gentes. 153 I cristiani apportano a questo dialogo la ferma convinzione che la pienezza della salvezza proviene soltanto da Cristo e che la comunità della Chiesa alla quale appartengono è il mezzo ordinario di salvezza. 154 Ripeto qui quanto scrissi alla Quinta Assemblea Plenaria della Federazione delle Conferenze Episcopali dell'Asia: « Sebbene la Chiesa riconosca con piacere ciò che c'è di vero e santo nelle tradizioni religiose del Buddismo, dell'Induismo e dell'Islamismo, come riflesso di quella verità che illumina tutti gli uomini, questo non limita il suo compito di proclamare incessantemente Gesù Cristo che è "la via, la verità e la vita" (Gv 14,6) Il fatto che seguaci di altre religioni possano ricevere la grazia di Dio e possano essere salvati da Cristo al di là dei mezzi che lui ha stabilito, non annulla la chiamata alla fede e al Battesimo che Dio vuole per tutte le persone ». 155

Riguardo al processo del dialogo, nella Lettera enciclica Redemptoris missio ho scritto: « Non ci deve essere nessuna abdicazione né falso irenismo, ma la testimonianza reciproca per un comune progresso nel cammino di ricerca e di esperienza religiosa e, al tempo stesso, per il superamento di pregiudizi, intolleranze e malintesi ». 156 Solo quanti sono dotati di una fede cristiana matura e convinta sono qualificati per un coinvolgimento in un genuino dialogo interreligioso. « Soltanto i cristiani che sono profondamente immersi nel mistero di Cristo e sono felici nella propria comunità di fede possono, senza inutile rischio e con speranza di frutti positivi, coinvolgersi nel dialogo interreligioso ». 157 E perciò importante per la Chiesa in Asia fornire modelli appropriati di dialogo interreligioso (evangelizzazione nel dialogo e dialogo per l'evangelizzazione) e preparazione adeguata per quanti ne sono coinvolti.

Dopo aver sottolineato la necessità di una ferma fede in Cristo nel dialogo interreligioso, i Padri sinodali hanno parlato del bisogno di un dialogo di vita e di cuore. I seguaci di Cristo devono avere il cuore umile e cordiale del Maestro, mai superbo né condiscendente, quando incontrano la controparte nel dialogo (cfr Mt 11, 29). « Le relazioni interreligiose si sviluppano al meglio in un contesto di apertura ad altri credenti, di volontà d'ascolto e di desiderio di rispettare e di comprendere gli altri nelle loro differenze. Per tutto questo è indispensabile l'amore per gli altri. Ciò dovrebbe condurre alla collaborazione, all'armonia ed al mutuo arricchimento ». 158

Per guidare quanti sono impegnati in questo processo, il Sinodo ha suggerito di stendere un direttorio sul dialogo interreligioso. 159 Mentre la Chiesa esplora nuove vie d'incontro con altre religioni, desidero ricordare alcune forme di dialogo già in corso con buoni risultati, inclusi scambi accademici tra esperti nelle varie tradizioni religiose o rappresentanti di queste, l'azione comune a favore dello sviluppo umano integrale e la difesa dei valori umani e religiosi. 160 Desidero riaffermare quanto sia importante, nel processo del dialogo, rivitalizzare la preghiera e la contemplazione. Le persone di vita consacrata possono contribuire in modo significativo al dialogo interreligioso testimoniando la vitalità delle grandi tradizioni cristiane di ascetismo e di misticismo. 161

Il memorabile incontro ad Assisi, la città di san Francesco, il 27 ottobre 1986 tra la Chiesa cattolica e i rappresentanti delle altre religioni mondiali dimostra che gli uomini e le donne di religione, senza abbandonare le rispettive tradizioni, possono tuttavia impegnarsi nella preghiera e operare per la pace e il bene dell'umanità. 162 La Chiesa deve continuare ad impegnarsi per preservare e promuovere a tutti i livelli questo spirito di incontro e di collaborazione con le altre religioni.

La comunione e il dialogo sono due aspetti essenziali della missione della Chiesa: essi hanno il loro esemplare infinitamente trascendente nel mistero della Trinità, dalla quale viene ogni missione ed alla quale deve tornare. Uno dei grandi doni « di compleanno » che i membri della Chiesa, specialmente i Pastori, possono offrire al Signore della storia nel duemillesimo anniversario dell'Incarnazione è il rafforzamento dello spirito di unità e di comunione ad ogni livello della vita ecclesiale, una « santa fierezza » nella continua fedeltà della Chiesa a quanto le è stato dato, una nuova fiducia nella grazia e nella missione perenni che la inviano tra i popoli del mondo quale testimone dell'amore e della misericordia salvifici di Dio. Solo se il Popolo di Dio riconoscerà il dono che in Cristo gli è proprio, sarà in grado di comunicarlo agli altri mediante l'annuncio e il dialogo.

 

CAPITOLO VI

 

IL SERVIZIO
DELLA PROMOZIONE UMANA

 

La dottrina sociale della Chiesa

32. Nel servizio alla famiglia umana, la Chiesa si rivolge a tutti gli uomini e a tutte le donne senza distinzione, sforzandosi di costruire insieme con loro la civiltà dell'amore, fondata sui valori universali della pace, della giustizia, della solidarietà e della libertà, che trovano il pieno compimento in Cristo. Come ha affermato con parole memorabili il Concilio Vaticano II: « Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore ». 163 La Chiesa in Asia, pertanto, con la sua moltitudine di poveri e di oppressi, è chiamata a vivere una comunione di vita che si manifesta in modo particolare nell'amorevole servizio ai poveri e agli indifesi.

Se nei tempi recenti il Magistero della Chiesa ha vieppiù insistito sulla necessità di promuovere lo sviluppo autentico e integrale della persona umana, 164 lo ha fatto in risposta alla reale situazione dei popoli del mondo e ad un'aumentata consapevolezza che non soltanto le azioni degli individui ma anche strutture della vita sociale, politica ed economica sono spesso nemiche dell'umano benessere. Gli squilibri connessi col crescente divario tra coloro che beneficiano della aumentata capacità del mondo di produrre ricchezza e quanti sono lasciati ai margini del progresso esigono un cambiamento radicale sia di mentalità sia di strutture a favore della persona umana. La grande sfida morale che sta di fronte alle Nazioni e alla comunità internazionale nei confronti dello sviluppo è di avere il coraggio di una nuova solidarietà, capace di fare passi creativi ed efficaci per superare tanto il sottosviluppo disumanizzante quanto il « supersviluppo » che tende a ridurre la persona ad una particella economica in una ragnatela di consumi sempre più oppressiva. Mentre cerca di promuovere questo cambiamento, « la Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire », ma « dà il suo primo contributo alla soluzione dell'urgente problema dello sviluppo quando proclama la verità su Cristo, su se stessa e sull'uomo, applicandola a una situazione concreta ». 165 Lo sviluppo umano non è mai una semplice questione tecnica o economica. E anzitutto una questione umana e morale.

La dottrina sociale della Chiesa, che propone un insieme di principi di riflessione, di criteri per il giudizio e di direttive per l'azione, 166 è rivolta in primo luogo ai membri della Chiesa. E essenziale che i fedeli impegnati nella promozione umana abbiano una solida comprensione di questo prezioso corpo di insegnamenti e lo rendano parte integrante della loro missione evangelizzatrice. I Padri sinodali, perciò, hanno sottolineato l'importanza di offrire ai fedeli — in ogni attività educativa, e specialmente nei seminari e nelle case di formazione — una solida preparazione nei riguardi della dottrina sociale della Chiesa. 167 I leader cristiani nella Chiesa e nella società, specialmente i laici con responsabilità nella vita pubblica, debbono essere ben formati in questo insegnamento così che possano ispirare e vivificare la società civile e le sue strutture con il lievito del Vangelo. 168 La dottrina sociale della Chiesa non soltanto richiamerà questi leader cristiani ai loro doveri, ma offrirà loro anche delle linee guida per agire a favore dello sviluppo umano, e li libererà da false nozioni circa la persona e l'attività umana.

 

La dignità della persona umana

33. Gli esseri umani e non la ricchezza o la tecnologia sono gli agenti primari e i destinatari dello sviluppo. Pertanto, il tipo di sviluppo che la Chiesa promuove va ben al di là delle questioni di economia o di tecnologia: inizia e termina con l'integrità della persona umana creata ad immagine di Dio e dotata di dignità e diritti umani inalienabili dati ad essa da Dio. Le diverse dichiarazioni internazionali sui diritti umani e le molte iniziative da esse ispirate sono segno di una crescente attenzione a livello mondiale alla dignità della persona umana. Purtroppo, queste dichiarazioni vengono spesso violate nella pratica. A cinquant'anni dalla solenne proclamazione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, molte persone sono ancora soggette alle più degradanti forme di sfruttamento e di manipolazione, che le riducono a vere forme di schiavitù in balìa dei più potenti, di ideologie, del potere economico, di sistemi politici oppressivi, della tecnocrazia scientifica o dell'invadenza dei mass media. 169

I Padri del Sinodo erano ben coscienti della persistente violazione dei diritti umani in molte parti del mondo, e in maniera particolare in Asia, dove « milioni di persone soffrono discriminazione, sfruttamento, povertà ed emarginazione »; 170 essi hanno espresso la necessità che tutto il popolo di Dio in Asia giunga ad una chiara consapevolezza della sfida inevitabile e irrinunciabile connessa con la difesa dei diritti umani e con la promozione della giustizia e della pace.

 

Amore preferenziale per i poveri

34. Nella ricerca della promozione della dignità umana, la Chiesa dimostra un amore preferenziale per i poveri e i senza voce, perché il Signore si è identificato con loro in modo speciale (cfr Mt 25, 40). Questo amore non esclude nessuno, ma incarna semplicemente una priorità di servizio alla quale tutta la tradizione cristiana dà testimonianza. « Questo amore preferenziale, con le decisioni che esso ci ispira, non può non abbracciare le immense moltitudini di affamati, di mendicanti, di senzatetto, senza assistenza medica e, soprattutto, senza speranza di un futuro migliore: non si può non prendere atto dell'esistenza di queste realtà. L'ignorarle significherebbe assimilarci al "ricco epulone", che fingeva di non conoscere Lazzaro, il mendico giacente fuori della sua porta (cfr Lc 16, 19-31) ». 171 Ciò è particolarmente vero per quanto concerne l'Asia, continente con abbondanti risorse e grandi civiltà, ma dove si possono trovare alcune delle Nazioni più povere della terra e dove più della metà della popolazione soffre privazioni, povertà e sfruttamento. 172 I poveri dell'Asia e del mondo troveranno sempre le migliori ragioni di speranza nel comandamento evangelico di amarsi l'un l'altro come Cristo ci ha amati (cfr Gv 13, 34) e la Chiesa in Asia non può non sforzarsi con grande zelo per adempiere, in parole e in opere, quel comandamento nei confronti dei poveri.

La solidarietà con i poveri diviene più credibile se i cristiani stessi vivono in semplicità, seguendo l'esempio di Gesù. La semplicità di vita, la fede profonda e il sincero amore verso tutti, specialmente per i poveri e i reietti, sono esempi luminosi del Vangelo all'opera. I Padri sinodali hanno invitato i cattolici dell'Asia ad adottare uno stile di vita consono all'insegnamento del Vangelo, così da poter servire meglio la missione della Chiesa e affinché la Chiesa stessa possa diventare una Chiesa dei poveri e per i poveri. 173

Nel suo amore per i poveri dell'Asia, la Chiesa si rivolge in modo speciale agli emigranti, alle popolazioni indigene e tribali, alle donne e ai bambini, poiché sono spesso vittime delle forme peggiori di sfruttamento. Innumerevoli persone, inoltre, soffrono discriminazione a causa della loro cultura, colore, razza, casta, stato economico o modo di pensare. Tra di essi vi sono coloro che sono oppressi a causa della loro conversione al cristianesimo. 174 Mi unisco ai Padri del Sinodo nel fare appello a tutte le Nazioni affinché riconoscano il diritto alla libertà di coscienza e di religione e agli altri diritti umani fondamentali. 175

Nelle attuali circostanze l'Asia sta sperimentando un flusso senza precedenti di rifugiati, di persone che cercano asilo, di emigranti e di lavoratori d'oltremare. Nei Paesi dove arrivano, queste persone si trovano spesso senza amici, estraniati culturalmente, svantaggiati linguisticamente e vulnerabili economicamente. Hanno bisogno di sostegno e di attenzione per poter preservare la propria dignità umana e la propria eredità culturale e religiosa. 176 Nonostante le limitate risorse, la Chiesa in Asia cerca generosamente di essere una casa accogliente per quanti sono stanchi e affaticati, sapendo che nel Cuore di Gesù, dove nessuno è straniero, troveranno ristoro (cfr Mt 11, 28-29).

In quasi tutte le Nazioni dell'Asia vi sono consistenti popolazioni aborigene, alcune di queste al livello più basso dell'economia. Il Sinodo ha più volte rilevato che gli indigeni o i tribali spesso si sentono attratti dalla persona di Gesù Cristo e dalla Chiesa, comunità di amore e di servizio. 177 Qui si prospetta un campo immenso di azione nell'educazione e nella sanità, come pure nel campo della promozione della partecipazione sociale. La comunità cattolica deve intensificare il lavoro pastorale tra costoro, prestando attenzione alle loro preoccupazioni e alle questioni di giustizia che toccano la loro vita. Ciò suppone un atteggiamento di grande rispetto per la loro religione tradizionale e i suoi valori; suppone inoltre la necessità di aiutarli ad aiutare se stessi, così che possano lavorare per migliorare la loro situazione e divenire gli evangelizzatori della propria cultura e della propria società. 178

Nessuno può rimanere indifferente di fronte alle sofferenze di innumerevoli bambini in Asia, vittime di intollerabile sfruttamento e violenza, non semplicemente come risultato del male perpetrato da individui, ma spesso come conseguenza diretta di strutture sociali corrotte. I Padri sinodali hanno identificato il lavoro minorile, la pedofilia e il fenomeno della droga come mali sociali che direttamente colpiscono i bambini ed hanno chiaramente individuato il fatto che si combinano con altri mali, come la povertà e mal concepiti programmi di sviluppo nazionale. 179 La Chiesa deve fare tutto ciò che è nelle sue possibilità per vincere il potere di questi mali, agendo per conto dei più sfruttati e cercando di condurre questi piccoli all'amore di Gesù, poiché a loro appartiene il Regno di Dio (cfr Lc 18, 16). 180

Il Sinodo ha manifestato una speciale preoccupazione per le donne la cui situazione rimane un serio problema in Asia, dove la discriminazione e la violenza contro di esse avviene spesso tra le mura domestiche, nel luogo di lavoro e addirittura nel sistema legale. L'analfabetismo è particolarmente diffuso tra le donne, e molte sono trattate semplicemente come oggetti nell'ambito della prostituzione, del turismo e dell'industria del divertimento. 181 Nella lotta contro ogni forma di ingiustizia e di discriminazione, le donne dovrebbero trovare nella comunità cristiana un alleato, e per tale ragione il Sinodo ha proposto che le Chiese locali in Asia promuovano, ove possibile, iniziative a tutela dei diritti umani per conto delle donne. Lo scopo deve essere quello di introdurre un cambiamento di atteggiamenti attraverso un'adeguata comprensione del ruolo degli uomini e delle donne nella famiglia, nella società e nella Chiesa attraverso una maggiore coscienza della originaria complementarità tra uomini e donne, e un maggiore apprezzamento della dimensione femminile in ogni attività umana. Il contributo delle donne è stato troppo spesso sottovalutato o ignorato, con il risultato di un impoverimento spirituale di umanità. La Chiesa in Asia potrebbe difendere più visibilmente ed efficacemente la dignità e la libertà delle donne incoraggiandone il ruolo nella vita della Chiesa, inclusa la vita intellettuale, ed aprendo loro maggiori opportunità per essere attivamente presenti nella missione di amore e di servizio che le è propria. 182

 

Il Vangelo della vita

35. Il servizio a favore dello sviluppo umano inizia con il servizio alla vita stessa, che è un grande dono datoci da Dio: egli ce lo affida come progetto e come responsabilità. Siamo, pertanto, i custodi della vita, non i proprietari. Abbiamo ricevuto liberamente il dono e, in atteggiamento di gratitudine, non possiamo mai esimerci dal rispettarlo e dal difenderlo, dal momento del suo inizio fino alla sua naturale conclusione. Dal momento del concepimento, la vita umana coinvolge l'azione creatrice di Dio e rimane per sempre in un legame speciale con il Creatore, sorgente della vita e suo unico termine. Non vi è vero progresso, né vera società civile e nemmeno promozione umana senza il rispetto della vita umana, specialmente quella di quanti non hanno voce per difendere se stessi. La vita di ogni persona, sia quella del bimbo nel grembo materno o quella del malato, dell'handicappato o dell'anziano, è un dono per tutti.

Circa la santità della vita umana, i Padri sinodali hanno riaffermato in maniera incondizionata l'insegnamento del Concilio Vaticano II e del Magistero susseguente, compreso quello della mia Lettera enciclica Evangelium vitae. Mi unisco a loro nell'esortare i fedeli dei loro Paesi, dove la questione demografica viene spesso usata come argomento per la necessità di introdurre l'aborto e programmi artificiali di controllo della popolazione, a resistere alla « cultura della morte ». 183 Essi potranno dimostrare la loro fedeltà a Dio e il loro impegno per la vera promozione umana sostenendo e partecipando a programmi che difendono la vita di quanti non hanno il potere di difendere se stessi.

 

La sanità

36. Seguendo le orme di Gesù Cristo che ebbe compassione per tutti e curò « ogni malattia e infermità » (Mt 9, 35), la Chiesa in Asia è impegnata a divenire ancora più coinvolta nella cura dei malati, poiché questo è una parte vitale della sua missione tesa ad offrire la grazia sanante di Cristo a tutta la persona. Come il Buon Samaritano della parabola (cfr Lc 10, 29-37), la Chiesa vuole prendersi cura dei malati e dei disabili in modi concreti, 184 specialmente là dove le persone sono prive delle cure mediche elementari a causa della povertà e dell'emarginazione.

In diverse occasioni durante le mie visite alla Chiesa nelle differenti parti del mondo mi sono profondamente commosso per la straordinaria testimonianza cristiana offerta da religiosi e da consacrati, medici, infermieri e altri operatori sanitari, specialmente da coloro che lavorano con gli handicappati, o nel campo dei malati terminali, oppure nella lotta contro la diffusione di nuove malattie, come l'AIDS. Sempre più gli operatori sanitari cristiani sono chiamati ad essere generosi e disinteressati nel donarsi nei confronti delle vittime della droga e dell'AIDS, spesso disprezzati ed abbandonati dalla società. 185 Molte istituzioni mediche cattoliche in Asia si trovano a dover fronteggiare politiche della sanità pubblica non basate su principi cristiani, e diverse di loro si trovano appesantite da difficoltà economiche sempre maggiori. Nonostante questi problemi, l'amore disinteressato e la sollecita professionalità degli operatori fanno di queste istituzioni un ammirevole ed apprezzato servizio alla comunità, come pure un segno particolarmente visibile ed efficace dell'inesauribile amore di Dio. Questi operatori sanitari devono essere incoraggiati e sostenuti per il bene che compiono. La loro perseverante dedizione ed efficienza sono il modo migliore per far sì che i valori cristiani ed etici entrino profondamente nei sistemi della sanità in Asia, trasformandoli dall'interno. 186

 

L'educazione

37. In tutta l'Asia l'impegno della Chiesa nel campo dell'educazione è vasto e ampiamente visibile, ed è pertanto un elemento chiave della sua presenza tra i popoli del Continente. In molti Paesi, le scuole cattoliche hanno un ruolo importante nell'evangelizzazione, inculturando la fede, insegnando uno stile di apertura e di rispetto, e promuovendo la comprensione interreligiosa. Le scuole della Chiesa spesso forniscono le uniche opportunità educative per bambine, per minoranze tribali, per i poveri delle campagne e per i bambini meno privilegiati. I Padri sinodali si sono dimostrati convinti della necessità di espandere e di sviluppare l'apostolato dell'educazione in Asia, avendo uno sguardo particolare per gli svantaggiati, così da aiutarli a prendere il posto a cui hanno diritto come cittadini a pieno titolo nella società. 187 Come hanno segnalato i Padri sinodali, questo significherà che il sistema dell'educazione cattolica deve diventare ancor più chiaramente diretto alla promozione umana, fornendo un ambiente dove gli studenti ricevano non soltanto gli elementi formali dell'apprendimento ma, più in generale, una formazione umana integrale basata sugli insegnamenti di Cristo. 188 Le scuole cattoliche dovrebbero continuare ad essere luoghi dove la fede può essere liberamente proposta e ricevuta. Allo stesso modo, le università cattoliche, oltre a perseguire l'eccellenza accademica per la quale sono già note, devono mantenere una chiara identità cristiana al fine di essere lievito cristiano nelle società dell'Asia. 189

 

L'edificazione della pace

38. Al temine del ventesimo secolo il mondo è ancora minacciato da forze che generano conflitti e guerre, e l'Asia certamente non ne è esente. Fra queste forze si annoverano l'intolleranza e l'emarginazione di ogni tipo: sociale, culturale, politica ed anche religiosa. Giorno dopo giorno nuova violenza viene esercitata su individui e su popoli interi, e la cultura della morte prende piede nell'ingiustificabile ricorso alla violenza per risolvere le tensioni. Di fronte alla tragica situazione di conflitto esistente in troppe parti del mondo, la Chiesa è chiamata ad essere profondamente coinvolta negli sforzi internazionali e interreligiosi per far trionfare la pace, la giustizia e la riconciliazione. Essa continua ad insistere sul negoziato e sulla soluzione non militare dei conflitti, e attende il giorno in cui le Nazioni abbandoneranno la guerra quale strumento per venire a capo delle rivendicazioni o quale mezzo per risolvere le dispute. Essa è convinta che la guerra crei maggiori problemi di quanti ne risolva, che il dialogo sia l'unica strada giusta e nobile per giungere all'accordo e alla riconciliazione, e che l'arte paziente e saggia dell'edificazione della pace è benedetta in maniera speciale da Dio.

Particolarmente preoccupante nel contesto asiatico è l'incremento di arsenali di armi di distruzione di massa: ciò costituisce una spesa immorale e rovinosa nei piani di bilancio nazionali, che in alcuni casi non possono soddisfare neppure i bisogni fondamentali del popolo. I Padri del Sinodo hanno parlato pure dell'enorme numero di mine antiuomo in Asia, che hanno mutilato o ucciso centinaia di migliaia di persone innocenti, rendendo inutilizzabili allo stesso tempo terreni fertili che avrebbero potuto essere usati per la produzione di cibo. 190 E responsabilità di tutti, specialmente di chi governa le Nazioni, adoperarsi con maggiore energia a favore del disarmo. Il Sinodo ha invocato la fine della costruzione, della vendita e dell'uso di armi nucleari, chimiche e biologiche ed ha esortato quanti hanno disseminato mine nel terreno ad aiutare nell'opera di bonifica e di ricostruzione. 191 Al di sopra di tutto, i Padri sinodali hanno invocato Dio, che conosce le profondità di ogni coscienza umana, affinché ponga sentimenti di pace nel cuore di quanti sono tentati di seguire le vie della violenza, così che possa divenire realtà la visione della Bibbia: « Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell'arte della guerra » (Is 2, 4).

Il Sinodo ha ascoltato molte testimonianze sulle sofferenze del popolo dell'Iraq, e come molti iracheni, specie i bambini, siano morti a causa della mancanza di medicine e di altri beni di prima necessità in conseguenza del persistente embargo. Insieme con i Padri sinodali, esprimo ancora una volta la mia solidarietà al popolo dell'Iraq e sono particolarmente vicino nella preghiera e nella speranza ai figli e alle figlie della Chiesa di quel Paese. Il Sinodo ha supplicato Dio di illuminare le coscienze di quanti hanno la responsabilità di dare giusta soluzione alla crisi, affinché ad un popolo già duramente provato siano risparmiate ulteriori sofferenze e lacrime. 192

 

La globalizzazione

39. I Padri del Sinodo hanno riconosciuto l'importanza del processo di globalizzazione economica nel considerare la questione della promozione umana in Asia. Pur prendendo atto dei molteplici aspetti positivi della globalizzazione, hanno rilevato anche il fatto che essa si è risolta a svantaggio dei poveri 193 per l'intrinseca tendenza a spingere le Nazioni più povere ai margini dei rapporti internazionali di carattere economico e politico. Molti Paesi asiatici non sono in grado di inserirsi in una economia globale di mercato. Forse anche più significativo è poi l'aspetto di una globalizzazione culturale, resa possibile dai moderni mezzi di comunicazione: essa sta rapidamente attirando le società asiatiche in una cultura consumistica globale, secolarizzata e materialistica. Ne risulta l'erosione della famiglia tradizionale e dei valori sociali che fino ad ora hanno sostenuto popoli e società. Tutto ciò rende evidente che gli aspetti etici e morali della globalizzazione devono essere direttamente affrontati dai capi delle Nazioni e dalle organizzazioni coinvolte nella promozione umana.

La Chiesa insiste sulla necessità di una « globalizzazione senza marginalizzazione ». 194 Con i Padri del Sinodo, invito le Chiese particolari dovunque, specialmente quelle che sono nelle regioni dell'Occidente, ad operare per far sì che la dottrina sociale della Chiesa abbia il dovuto impatto nella formulazione delle norme etiche e giuridiche che regolano il mercato libero mondiale e i mezzi di comunicazione sociale. I leader e i professionisti cattolici dovrebbero spronare le istituzioni governative e internazionali della finanza e del commercio a riconoscere e a rispettare queste norme. 195

 

Il debito estero

40. Inoltre, nel perseguimento della giustizia in un mondo contrassegnato da ineguaglianze sociali ed economiche, la Chiesa non può ignorare il pesante fardello del debito nel quale sono incorse molte Nazioni asiatiche in via di sviluppo, con le conseguenze che ne derivano per il loro presente e il loro futuro. In molti casi, questi Paesi sono obbligati a tagliare le spese per le necessità vitali, come il cibo, la sanità, la casa e l'educazione, per pagare i debiti nei confronti delle agenzie monetarie internazionali e delle banche. Questo significa che molte persone sono intrappolate in condizioni di vita che sono un affronto alla dignità umana. Pur cosciente delle complessità della materia, il Sinodo ha affermato che tale problematica mette alla prova la capacità di popoli, di società e di governi nel valutare la persona umana e le vite di milioni di esseri umani al di sopra e al di là della considerazione dei vantaggi economici e materiali. 196

L'avvicinarsi del Grande Giubileo dell'Anno 2000 è un tempo favorevole per le Conferenze episcopali del mondo, specialmente quelle delle Nazioni più ricche, per incoraggiare le agenzie monetarie internazionali e le banche ad esplorare modi atti ad alleviare la situazione del debito internazionale. Tra i più ovvi vi è la rinegoziazione dei debiti, con una sostanziale riduzione o addirittura la totale cancellazione, come pure iniziative d'affari e investimenti per assistere le economie dei Paesi più poveri. 197 Allo stesso tempo, i Padri sinodali hanno avuto una parola anche per le nazioni debitrici, sottolineando la necessità di sviluppare il senso della responsabilità nazionale, ricordando loro l'importanza di una saggia pianificazione economica, della trasparenza e del buon governo, ed invitandole ad impegnarsi in una decisa campagna contro la corruzione. 198 Hanno fatto appello ai cristiani dell'Asia, affinché condannino ogni forma di corruzione ed appropriazione indebita di fondi pubblici da parte di chi ha il potere politico. 199 I cittadini dei Paesi debitori sono stati troppo spesso vittime di sprechi ed inefficienza all'interno, prima di cadere vittime della crisi del debito internazionale.

 

L'ambiente

41. Quando la preoccupazione per il progresso economico e tecnologico non è accompagnata da uguale preoccupazione per l'equilibrio dell'ecosistema, la nostra terra è inevitabilmente esposta a seri guasti ecologici, con grave danno al bene degli esseri umani. Il disprezzo per l'ambiente naturale che è sotto gli occhi di tutti continuerà fintantoché la terra e il suo potenziale sono visti semplicemente come oggetto di immediato uso e consumo, come una cosa da manipolare per lo sfrenato desiderio di profitto. 200 E compito dei cristiani e di quanti guardano a Dio come Creatore di proteggere l'ambiente restaurando il senso di rispetto per tutte le creature di Dio. E volontà del Creatore che l'uomo operi nella natura non come uno sfruttatore spietato, ma come amministratore saggio e responsabile. 201 I Padri sinodali hanno invocato in modo speciale una maggiore responsabilità da parte dei capi delle Nazioni, dei legislatori, del mondo degli affari e di quanti sono direttamente coinvolti nell'amministrare le risorse della terra. 202 Hanno poi sottolineato la necessità di educare le persone, specie i giovani, alla responsabilità ambientale, insegnando loro l'arte affidata da Dio all'umanità di gestire la creazione. La protezione dell'ambiente non è soltanto una questione tecnica, ma anche e soprattutto una questione etica. Tutti hanno il dovere morale di prendersi cura dell'ambiente, non soltanto per il proprio bene, ma anche per il bene delle generazioni future.

Nel concludere queste riflessioni, vale la pena ricordare che facendo appello ai cristiani perché lavorino e si sacrifichino al servizio dello sviluppo umano, i Padri del Sinodo hanno fatto riferimento ai valori fondamentali della tradizione biblica ed ecclesiale. L'antico Israele ha insistito appassionatamente sull'inscindibile legame tra l'adorazione di Dio e la cura del debole, rappresentato in modo tipico nelle Scritture come « la vedova, lo straniero e l'orfano » (cfr Es 22, 21-22; Dt 10, 18; 27, 19), i quali nelle società di quel tempo erano i più esposti alla minaccia dell'ingiustizia. Molte volte nei Profeti sentiamo l'invocazione alla giustizia, al giusto ordine della società umana senza i quali non vi può essere vero culto a Dio (cfr Is 1, 10-17; Am 5, 21-24). Negli ammonimenti dei Padri sinodali, pertanto, udiamo una eco dei Profeti che erano pieni di Spirito di Dio, il quale vuole « l'amore e non il sacrificio » (Os 6, 6). Gesù fece sue queste parole (cfr Mt 9, 13) e la stessa cosa vale per i santi di ogni tempo e di ogni luogo. Consideriamo le parole di san Giovanni Crisostomo: « Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non ignorarlo quando è nudo. Non dargli onori di seta nel tempio per poi dimenticarlo quando fuori lo vedi infreddolito e nudo. Colui che disse "Questo è il mio corpo" è lo stesso che disse pure "Mi hai visto affamato e non mi hai dato da mangiare" [...]. Quale bene c'è se la Mensa eucaristica scricchiola sotto il peso dei calici d'oro mentre Cristo sta morendo di fame? Inizia a placare la sua fame, e poi con ciò che ti rimane puoi adornare anche l'altare! ». 203 Nell'appello del Sinodo per lo sviluppo umano e per la giustizia nei rapporti umani, udiamo una voce che è simultaneamente antica e nuova. E antica perché sorge dalle profondità della nostra tradizione cristiana, che guarda a quella profonda armonia che il Creatore intende; è nuova perché parla proprio della situazione immediata di moltissime persone nell'Asia di oggi.

 

CAPITOLO VII

 

TESTIMONI DEL VANGELO

 

Una Chiesa che testimonia

42. Il Concilio Vaticano II ha chiaramente insegnato che tutta la Chiesa è missionaria, e che l'opera di evangelizzazione è compito di tutto il Popolo di Dio. 204 Dato che il Popolo di Dio come tale è inviato a predicare il Vangelo, l'evangelizzazione non è mai opera di un individuo isolato; essa è piuttosto un compito ecclesiale, che deve essere espletato in comunione con tutta la comunità di fede. La missione è unica e indivisa, poiché ha un'unica origine ed un unico scopo. Vi sono tuttavia, al suo interno, diverse responsabilità e diversi tipi di attività. 205 In ogni caso, è chiaro che non vi può essere vero annuncio del Vangelo, se i cristiani non offrono in pari tempo la testimonianza di una vita che si accordi al messaggio che predicano: « La prima forma di testimonianza è la vita stessa del missionario, della famiglia cristiana e della comunità ecclesiale, che rende visibile un modo nuovo di comportarsi [...]. Tutti nella Chiesa, sforzandosi di imitare il divino Maestro, possono e debbono dare tale testimonianza, che in molti casi è l'unico modo possibile di essere missionari ». 206 Oggi vi è bisogno specialmente di una genuina testimonianza cristiana, poiché « l'uomo contemporaneo crede più ai testimoni che ai maestri, più all'esperienza che alla dottrina, più alla vita e ai fatti che alle teorie ». 207 Ciò è particolarmente vero nel contesto dell'Asia, dove le persone sono persuase più dalla santità della vita che dagli argomenti intellettuali. L'esperienza della fede e dei doni dello Spirito Santo divengono perciò il punto di partenza di ogni attività missionaria nei villaggi, nelle città, nelle scuole o negli ospedali, tra gli handicappati, gli emigranti o le popolazioni tribali, oppure nel perseguimento della giustizia e dei diritti umani. Ogni situazione costituisce per i cristiani un'occasione per dimostrare quale potenza la verità di Cristo abbia acquistato nella loro vita. Pertanto, ispirata dai tanti missionari che nel passato hanno dato eroica testimonianza dell'amore di Dio tra i popoli del Continente, la Chiesa in Asia si sforza oggi di testimoniare con non minore zelo Gesù Cristo e il suo Vangelo. Nulla di meno esige la missione cristiana.

Consci del carattere essenzialmente missionario della Chiesa e con lo sguardo volto ad una nuova effusione del dinamismo dello Spirito Santo all'inizio del nuovo millennio, i Padri sinodali hanno chiesto che la presente Esortazione Apostolica post-sinodale offra alcune direttive ed indicazioni a quanti operano nel vasto campo dell'evangelizzazione in Asia.

 

I Pastori

43. È lo Spirito Santo che rende la Chiesa capace di compiere la missione affidatale da Cristo. Prima di inviare i discepoli come suoi testimoni, Gesù diede loro lo Spirito Santo (cfr Gv 20, 22), che operava attraverso di loro rendendo disponibili i cuori di quanti li ascoltavano (cfr At 2, 37). Lo stesso avviene nei confronti di coloro che egli invia ora. Da un lato, tutti i battezzati, per la grazia stessa del sacramento, sono delegati a prendere parte alla continuazione della missione salvifica di Cristo e sono in grado di adempiere a questo compito precisamente perché l'amore di Dio è stato effuso nei loro cuori mediante lo Spirito Santo che è stato loro dato (cfr Rm 5, 5). D'altro canto, questa comune missione viene a compiersi attraverso una varietà di funzioni e carismi specifici. Cristo ha affidato la responsabilità principale della missione della Chiesa agli Apostoli e ai loro successori. In virtù dell'ordinazione episcopale e della comunione gerarchica con il Capo del Collegio episcopale, i Vescovi ricevono il mandato e l'autorità di insegnare, governare e santificare il Popolo di Dio. Per volontà di Cristo stesso, all'interno del Collegio dei Vescovi, il Successore di Pietro – roccia sulla quale la Chiesa è edificata (cfr Mt 16, 18) – esercita uno speciale ministero di unità. I Vescovi, pertanto, devono adempiere al loro ministero in unione col Successore di Pietro, che è il garante della verità del loro insegnamento e della loro piena comunione nella Chiesa.

Associati ai Vescovi nell'opera dell'annuncio del Vangelo, i sacerdoti mediante l'ordinazione sono chiamati ad essere pastori del gregge, araldi della Buona Novella della salvezza e ministri dei sacramenti. Per servire la Chiesa come Cristo vuole, i Vescovi e i sacerdoti hanno bisogno di una solida e permanente formazione, che offra loro opportunità di rinnovamento umano, spirituale e pastorale; abbisognano, pertanto, di corsi di teologia, di spiritualità e di scienze umane. 208 Gli abitanti dell'Asia devono poter vedere i membri del clero non soltanto come operatori della carità o amministratori istituzionalizzati, bensì come uomini con le menti ed i cuori sintonizzati sulle profondità dello Spirito (cfr Rm 8, 5). Al rispetto che gli Asiatici hanno per le persone rivestite di autorità, deve corrispondere da parte di quanti hanno responsabilità ministeriali nella Chiesa una chiara rettitudine morale. Con la loro vita di preghiera, con il servizio zelante e l'esemplare stile di vita, i membri del clero offrono una potente testimonianza al Vangelo nelle comunità che essi pascono nel nome di Cristo. E mia fervente preghiera che i ministri ordinati della Chiesa in Asia vivano ed operino in spirito di comunione e di collaborazione con i Vescovi e con tutti i membri della Chiesa, dando testimonianza all'amore che Gesù ha dichiarato essere il vero distintivo dei suoi discepoli (cfr Gv 13, 35).

Desidero sottolineare particolarmente la preoccupazione del Sinodo per la preparazione di quanti saranno gli educatori e gli insegnanti nei seminari e nelle facoltà teologiche. 209 Dopo un'accurata preparazione nelle scienze sacre e nelle materie correlate, dovrebbero ricevere una formazione specifica focalizzata sulla spiritualità sacerdotale, sull'arte della direzione spirituale e sugli altri aspetti del difficile e delicato compito che li attende nell'educazione dei futuri sacerdoti. Si tratta di un apostolato che non è secondo a nessun altro per il benessere e la vitalità della Chiesa.

 

La vita consacrata e le società missionarie

44. Nell'Esortazione apostolica post-sinodale Vita consecrata ho sottolineato l'intimo legame esistente tra vita consacrata e missione. Nei tre aspetti di confessio Trinitatis, signum fraternitatis e servitium caritatis, la vita consacrata rende visibile l'amore di Dio nel mondo, testimoniando in maniera specifica la missione salvifica compiuta da Gesù mediante la sua totale consacrazione al Padre. Riconoscendo che ogni azione nella Chiesa trova sostegno nella preghiera e nella comunione con Dio, la Chiesa in Asia guarda con profondo rispetto ed apprezzamento alle comunità religiose contemplative come ad una sorgente speciale di forza e di ispirazione. Facendo seguito alle raccomandazioni dei Padri sinodali, incoraggio vivamente la fondazione di comunità monastiche e contemplative, ove possibile. Così, come ricorda il Concilio Vaticano II, l'opera di edificazione della città terrena può avere il proprio fondamento nel Signore e a lui tendere, affinché i costruttori non fatichino invano. 210

La ricerca di Dio, una vita di comunione e il servizio agli altri sono le tre caratteristiche principali della vita consacrata, che possono offrire una attraente testimonianza cristiana ai popoli dell'Asia oggi. L'Assemblea Speciale per l'Asia ha insistito affinché i consacrati siano testimoni davanti ai cristiani e ai non cristiani della chiamata universale alla santità, e siano un esempio ispiratore tanto per gli uni quanto per gli altri di amore generoso verso tutti, specialmente verso i più piccoli tra i fratelli e le sorelle. In un mondo in cui il senso della presenza di Dio è spesso offuscato, le persone consacrate devono rendere una testimonianza convincente e profetica del primato di Dio e della vita eterna. Vivendo in comunità, essi attestano i valori della fraternità cristiana e della potenza trasformante della Buona Novella. 211 Quanti hanno abbracciato la vita consacrata sono chiamati a divenire leader nella ricerca di Dio, una ricerca che ha sempre appassionato il cuore umano ed è particolarmente visibile nelle diverse forme di spiritualità e di ascetismo dell'Asia. 212 Nelle numerose tradizioni religiose di quel Continente, gli uomini e le donne che si sono dedicati alla vita contemplativa e ascetica godono di grande rispetto e la loro testimonianza ha un potere particolarmente persuasivo. Vivendo in comunità, mediante una testimonianza pacifica e silenziosa, con le loro esistenze essi possono ispirare le persone a lavorare per una maggiore armonia nella società. Ciò è quanto ci si attende pure dalle donne e dagli uomini consacrati della tradizione cristiana. L'esempio di povertà e di abnegazione, di purezza e di sincerità, di capacità di sacrificio nell'obbedienza può divenire un'eloquente testimonianza capace di toccare le persone di buona volontà e condurre ad un dialogo fruttuoso con le culture e le religioni circostanti e con i poveri e gli indifesi. Ciò rende la vita consacrata un mezzo privilegiato per una evangelizzazione efficace. 213

I Padri sinodali hanno riconosciuto il ruolo vitale che gli ordini religiosi e le congregazioni, come pure gli istituti missionari e le società di vita apostolica hanno avuto nell'evangelizzazione dell'Asia nei secoli passati. Per questo magnifico contributo, il Sinodo ha espresso loro la gratitudine della Chiesa e li ha incoraggiati a non deflettere dal loro impegno missionario. 214 Mi unisco ai Padri sinodali per invitare i consacrati a rinnovare il loro zelo nel proclamare la verità salvifica di Cristo. A tutti devono essere assicurati una formazione e un addestramento appropriati, che siano centrati su Cristo e fedeli al proprio carisma di fondazione, con accentuazione della santità personale e della testimonianza; la loro spiritualità e il loro stile di vita dovrebbero essere attenti all'eredità religiosa delle persone tra le quali si trovano a vivere e a servire. 215 Nel rispetto del carisma specifico, è chiesto loro di integrarsi nei piani pastorali della Diocesi in cui si trovano; e le Chiese locali, per parte loro, devono ravvivare la consapevolezza dell'ideale della vita religiosa e consacrata, promuovendo tali vocazioni. Ciò esige che ogni Diocesi appronti un programma pastorale per le vocazioni, assegnando anche sacerdoti o religiosi che lavorino a tempo pieno tra i giovani per aiutarli ad ascoltare e discernere la chiamata di Dio. 216

Nel contesto della comunione della Chiesa universale, non posso non invitare la Chiesa in Asia ad inviare missionari, anche se essa stessa ha bisogno di operai nella vigna. Sono lieto di constatare che sono stati recentemente fondati istituti missionari di vita apostolica in diversi Paesi dell'Asia come riconoscimento del carattere missionario della Chiesa e della responsabilità delle Chiese particolari in Asia di annunciare il Vangelo in tutto il mondo. 217 I Padri del Sinodo hanno raccomandato « là dove ancora non esista, l'istituzione in seno ad ogni Chiesa locale dell'Asia, di Società missionarie di vita apostolica caratterizzate da specifico impegno per la missione ad gentes, ad exteros e ad vitam ». 218 Una simile iniziativa porterà sicuramente frutti abbondanti non soltanto nelle Chiese che ricevono i missionari, ma anche in quelle che li inviano.

 

I laici

45. Come chiaramente indicato dal Concilio Vaticano II, la vocazione laicale inserisce saldamente i laici nel mondo, perché assumano i compiti più svariati, essendo chiamati a diffondere in esso il Vangelo di Gesù Cristo. 219 In virtù della grazia e della chiamata del Battesimo e della Cresima, tutti i laici sono missionari; e il campo del loro lavoro missionario è il vasto e complesso mondo della politica, dell'economia, dell'industria, dell'educazione, dei mezzi di comunicazione, della scienza, della tecnologia, delle arti e dello sport. In molti Paesi del Continente, i laici stanno già operando come veri missionari, raggiungendo i conterranei che non avrebbero altrimenti mai contatto con il clero o con i religiosi. 220 Esprimo loro la gratitudine di tutta la Chiesa e incoraggio tutti i laici, ad assumersi il ruolo che è loro proprio nella vita e nella missione del Popolo di Dio, quali testimoni di Cristo ovunque si trovino.

E compito dei Pastori assicurare che i laici siano formati come evangelizzatori in grado di affrontare le sfide del mondo contemporaneo non soltanto con la sapienza e l'efficienza del mondo, ma con un cuore rinnovato e rafforzato dalla verità di Cristo. 221 Testimoniando il Vangelo in ogni ambito della vita sociale, i fedeli laici possono svolgere un ruolo unico nello sradicare l'ingiustizia e l'oppressione, ed anche per tale compito devono ricevere adeguata formazione. A questo scopo, mi unisco ai Padri del Sinodo nel proporre l'istituzione a livello diocesano o nazionale di centri per la formazione dei laici, che li preparino alla attività missionaria come testimoni di Cristo in Asia oggi. 222

I Padri sinodali hanno manifestato particolare preoccupazione, affinché la Chiesa sia partecipativa, così che nessuno in essa si senta escluso, ed hanno ritenuto che una più ampia partecipazione delle donne alla vita e alla missione della Chiesa sia una necessità veramente urgente. « La donna ha una attitudine tutta particolare a trasmettere la fede, sicché Gesù stesso vi ha fatto appello per l'evangelizzazione. Così avviene con la Samaritana, che Gesù incontrò al "pozzo di Giacobbe" e scelse per la prima espansione della nuova fede in territorio non giudaico ». 223 Per valorizzare il loro servizio nella Chiesa, occorre che siano offerte alle donne maggiori opportunità di frequentare corsi di teologia e di altre materie di studio; e gli uomini nei seminari e nelle case di formazione debbono essere educati a considerare le donne come collaboratrici nell'apostolato. 224 Esse dovrebbero essere coinvolte nei programmi pastorali in maniera più efficace, nei consigli pastorali diocesani e parrocchiali e nei sinodi diocesani. Le loro capacità di servizio dovrebbero essere pienamente apprezzate nell'ambito della sanità, nell'educazione, nella preparazione dei fedeli ai sacramenti, nell'edificazione della comunità, nell'opera a favore della pace. Come hanno notato i Padri del Sinodo, la presenza delle donne nella missione di amore e di servizio della Chiesa contribuisce grandemente a portare agli abitanti dell'Asia, specialmente ai poveri ed agli emarginati, Gesù, ricco di misericordia, capace di guarire e riconciliare. 225

 

La famiglia

46. La famiglia è il luogo normale dove le giovani generazioni giungono alla maturità personale e sociale. La famiglia reca con sé l'eredità dell'umanità stessa, poiché la vita passa attraverso di essa di generazione in generazione. La famiglia occupa un posto molto importante nelle culture dell'Asia e, come hanno sottolineato i Padri sinodali, i valori familiari quali il rispetto filiale, l'amore e la cura per gli anziani e i malati, l'amore per i piccoli e l'armonia sono tenuti in grande stima in tutte le culture e le tradizioni religiose di quel Continente.

Vista attraverso occhi cristiani, la famiglia è « la Chiesa domestica (ecclesia domestica) ». 226 La famiglia cristiana, come l'intera Chiesa, dovrebbe essere il luogo in cui la verità del Vangelo è regola di vita e dono che i membri della famiglia portano alla comunità più ampia. Essa non è semplicemente l'oggetto della cura pastorale della Chiesa, ma ne è anche uno degli agenti di evangelizzazione più efficaci. Le famiglie cristiane sono oggi chiamate a testimoniare il Vangelo in tempi e circostanze difficili, quando la famiglia stessa è minacciata da un coacervo di forze. 227 Per essere agente di evangelizzazione in simili circostanze, la famiglia cristiana ha bisogno di essere in modo genuino « la Chiesa domestica », vivendo con umile amorevolezza la vocazione cristiana.

Come hanno indicato i Padri del Sinodo, ciò significa che la famiglia dovrebbe assumere un ruolo attivo nella vita della parrocchia, prendendo parte ai sacramenti, specialmente all'Eucaristia e al sacramento della Penitenza, e coinvolgendosi nel servizio agli altri. Ciò significa anche che i genitori dovrebbero sforzarsi di rendere i momenti in cui la famiglia naturalmente si riunisce insieme una opportunità di preghiera, di lettura e di riflessione sulla Bibbia, di appropriate celebrazioni presiedute dai genitori e di sana ricreazione. Ciò aiuterà la famiglia cristiana a divenire un focolare di evangelizzazione, dove ogni membro sperimenta l'amore di Dio e lo comunica agli altri. 228 I Padri sinodali hanno pure riconosciuto che i figli svolgono un ruolo nell'evangelizzazione sia della propria famiglia che della comunità più vasta. 229 Convinto che « il futuro del mondo e della Chiesa passa attraverso la famiglia », 230 ancora una volta propongo di studiare e di porre in atto quanto ho indicato circa il tema della famiglia nell'Esortazione apostolica Familiaris consortio, a seguito della Quinta Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi del 1980.

 

I giovani

47. I Padri sinodali si sono mostrati particolarmente sensibili al tema della gioventù nella Chiesa. I molti e complessi problemi che i giovani si trovano oggi ad affrontare nel mondo asiatico in cambiamento spingono la Chiesa a richiamarli alle loro responsabilità nei confronti del futuro della società e della Chiesa, incoraggiandoli e sostenendoli ad ogni passo per essere sicura che siano in grado di accettare questa responsabilità. A loro la Chiesa offre la verità del Vangelo come un mistero gioioso e liberante da conoscere, da vivere e da condividere con gli altri con convinzione e coraggio.

Perché i giovani possano essere agenti efficaci di missione, è necessario che la Chiesa offra loro una cura pastorale adatta. 231 In sintonia con i Padri sinodali, raccomando che, dove possibile, ogni Diocesi in Asia designi dei cappellani o direttori della gioventù per promuoverne la formazione spirituale e l'apostolato tra i giovani. Alle scuole cattoliche ed alle parrocchie compete un ruolo vitale nell'offrire una formazione integrale ai giovani, cercando di condurli sulla via del vero discepolato e sviluppando in essi le qualità umane che la missione richiede. Opere apostoliche organizzate per la gioventù o club specifici per loro possono offrire l'esperienza dell'amicizia cristiana, così importante per i giovani. La parrocchia, le associazioni e i movimenti sono in grado di aiutarli a meglio affrontare le pressioni sociali, offrendo loro non soltanto una più matura crescita nella vita cristiana, ma anche un sostegno sotto forma di consulenze per l'orientamento professionale, la ricerca vocazionale, la problematica giovanile.

La formazione cristiana dei giovani in Asia deve partire dal riconoscimento che essi non sono soltanto oggetto della cura pastorale della Chiesa, ma anche « agenti e cooperatori nella missione della Chiesa nei vari compiti apostolici di amore e di servizio ». 232 Pertanto, nelle parrocchie e nelle Diocesi, i giovani e le giovani dovrebbero essere invitati a prender parte all'organizzazione di attività che li riguardano e li coinvolgono. La freschezza e l'entusiasmo, lo spirito di solidarietà e di speranza li possono rendere costruttori di pace in un mondo diviso; a tale riguardo, è incoraggiante vedere giovani coinvolti in programmi di scambio tra Chiese particolari e Paesi asiatici e di altri continenti, in vista della promozione del dialogo interreligioso e interculturale.

 

Le comunicazioni sociali

48. In un'epoca di globalizzazione, « i mezzi di comunicazione sociale hanno raggiunto una tale importanza da essere per molti il principale strumento informativo e formativo, di guida e di ispirazione per i comportamenti individuali, familiari, sociali. Le giovani generazioni crescono in un mondo condizionato soprattutto da essi ». 233 Il mondo si trova a veder emergere una nuova cultura che « nasce, prima ancora che dai contenuti, dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare con nuovi linguaggi, nuove tecniche e nuovi atteggiamenti psicologici ». 234 Il ruolo eccezionale che svolgono i mezzi di comunicazione sociale nel plasmare il mondo, le culture e i modi di pensare ha condotto nelle società asiatiche vasti e rapidi cambiamenti.

Inevitabilmente, anche la missione evangelizzatrice della Chiesa è profondamente segnata dall'impatto dei mass media, i quali, in considerazione della loro crescente influenza sino nelle aree più remote dell'Asia, possono essere di grande aiuto nell'annuncio del Vangelo in ogni angolo del Continente. Tuttavia, « non basta usarli per diffondere il messaggio cristiano e il Magistero della Chiesa, ma occorre integrare il messaggio stesso in questa "nuova cultura" creata dalla comunicazione moderna ». 235 A tale scopo, la Chiesa necessita di esplorare nuovi modi di integrare accuratamente i mass media nella pianificazione e nelle attività pastorali, così che, mediante il loro uso efficace, la potenza del Vangelo possa raggiungere ancor più individui ed intere popolazioni, e infondere nelle culture dell'Asia i valori del Regno.

Mi unisco all'elogio dei Padri del Sinodo di Radio Veritas Asia, l'unica stazione radio del Continente per la Chiesa in Asia, per i suoi quasi trent'anni di evangelizzazione mediante radiodiffusione. Occorrerà impegnarsi per rafforzare questo eccellente strumento missionario attraverso una appropriata programmazione linguistica, l'apporto di collaboratori, il sostegno finanziario da parte delle Conferenze Episcopali e delle Diocesi in Asia. 236 Oltre alla radio, le pubblicazioni cattoliche e le agenzie di stampa possono aiutare a diffondere informazione ed offrire educazione e formazione religiosa continua in tutto il Continente. In luoghi dove i cristiani sono in minoranza, questi possono essere strumenti importanti per sostenere e nutrire il senso dell'identità cattolica e diffondere la conoscenza dei principi morali cattolici. 237

Faccio mie le raccomandazioni dei Padri sinodali circa l'evangelizzazione mediante le comunicazioni sociali, l'« areopago dei tempi moderni », nella speranza che ciò possa servire la promozione umana e la diffusione della verità di Cristo e dell'insegnamento della Chiesa. 238 Sarebbe d'aiuto se ogni Diocesi allestisse, dove possibile, un ufficio per le comunicazioni e per i media. L'educazione ai media, comprendente la valutazione critica dei prodotti mediatici, deve essere sempre più parte della formazione dei sacerdoti, dei seminaristi, dei religiosi, dei catechisti, dei professionisti laici, degli studenti nelle scuole cattoliche e delle comunità parrocchiali. Data l'ampia influenza e l'impatto straordinario dei mass media, i cattolici hanno bisogno di lavorare insieme con i membri di altre Chiese e Comunità ecclesiali, e con i seguaci di altre religioni per assicurare ai valori spirituali e morali un posto nei media. Con i Padri del Sinodo, incoraggio lo sviluppo di piani pastorali per le comunicazioni sia a livello nazionale che diocesano, sulla scia delle indicazioni dell'Istruzione pastorale Aetatis novae, prestando la dovuta attenzione alle circostanze prevalenti in Asia.

 

I martiri

49. Per quanto importanti possano essere i programmi di formazione e le strategie, alla fine è il martirio che rivela l'essenza più vera del messaggio cristiano. La parola stessa « martire » significa testimone, e quanti hanno sparso il proprio sangue per Cristo hanno dato la testimonianza estrema all'autentico valore del Vangelo. Nella Bolla di indizione del Grande Giubileo dell'Anno 2000, Incarnationis mysterium, ho sottolineato l'importanza vitale di ricordare i martiri. Ho scritto: « Dal punto di vista psicologico, il martirio è la prova più eloquente della verità della fede, che sa dare un volto umano anche alla più violenta delle morti e manifesta la sua bellezza anche nelle più atroci persecuzioni ». 239 Lungo i secoli, l'Asia ha dato alla Chiesa e al mondo un grande numero di questi eroi della fede, e dal cuore dell'Asia si innalza il grande canto di lode: « Te martyrum candidatus laudat exercitus ». E questo l'inno di coloro che sono morti per Cristo sul suolo dell'Asia nei primi secoli della Chiesa, ed è anche il grido gioioso di uomini e donne di tempi più recenti, come san Paolo Miki e compagni, san Lorenzo Ruiz e compagni, sant'Andrea Dung Lac e compagni, sant'Andrea Kim Taegon e compagni. Che la grande schiera di martiri dell'Asia, antichi e nuovi, non cessi mai di insegnare alla Chiesa in quel Continente cosa significhi rendere testimonianza all'Agnello nel cui sangue essi hanno lavato le loro vesti splendenti (cfr Ap 7, 14)! Siano essi testimoni indomiti del fatto che i cristiani sono chiamati a proclamare sempre e ovunque nient'altro che la potenza della Croce del Signore! E il sangue dei martiri dell'Asia sia, ora come sempre, seme di nuova vita per la Chiesa in ogni angolo del Continente!

 

CONCLUSIONE

 

Gratitudine e incoraggiamento

50. Al termine di questa Esortazione apostolica post-sinodale, che, nell'intento di discernere ciò che lo Spirito dice alle Chiese in Asia (cfr Ap 1, 11), ha cercato di delineare i frutti dell'Assemblea Speciale per l'Asia del Sinodo dei Vescovi, desidero esprimere la gratitudine della Chiesa a tutti voi, cari fratelli e sorelle dell'Asia, che avete in molti modi contribuito al successo di questo importante evento ecclesiale. In primo luogo, rendiamo lode a Dio per la ricchezza di culture, di lingue, di tradizioni e sensibilità religiose di questo grande Continente. Dio sia benedetto per i popoli dell'Asia, così ricchi nella loro diversità ed uniti nella ricerca della pace e della pienezza della vita. Ora specialmente, nell'immediata prossimità del duemillesimo anniversario della nascita di Gesù Cristo, ringraziamo Dio per aver scelto l'Asia quale dimora terrena del Figlio suo incarnato, Salvatore del mondo.

Non posso non esprimere il mio apprezzamento ai Vescovi dell'Asia per il loro profondo amore a Gesù Cristo, alla Chiesa e ai popoli dell'Asia e per la loro testimonianza di comunione e la generosa dedizione al compito dell'evangelizzazione. Sono grato a quanti formano la grande famiglia della Chiesa in quel Continente: i sacerdoti, i consacrati e le consacrate, i missionari, i laici, i giovani, i popoli indigeni, i lavoratori, i poveri e gli afflitti. Nel profondo del mio cuore vi è un posto speciale per quanti in Asia sono perseguitati a causa della fede in Cristo: essi sono i pilastri nascosti della Chiesa, ai quali Gesù stesso si rivolge con parole di consolazione: « Voi siete benedetti nel Regno dei cieli » (cfr Mt 5, 10).

Le parole di Gesù rassicurano la Chiesa in Asia: « Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno » (Lc 12, 32). I credenti in Cristo sono ancora una piccola minoranza in questo vasto e popoloso Continente. Ciononostante, lungi dall'essere una timida minoranza, sono vivi nella fede, ricolmi di quella speranza e vitalità che solo la fede può recare. Nella loro umile ma coraggiosa maniera, hanno influenzato le culture e le società dell'Asia, specialmente le vite dei poveri e degli indifesi, molti dei quali non condividono la fede cattolica. Offrono così un esempio ai cristiani di ogni luogo, perché siano pronti a condividere il tesoro della Buona Novella « in ogni occasione opportuno e non opportuna » (2 Tm 4, 2). Essi trovano forza nel mirabile potere dello Spirito Santo, il quale fa sì che la presenza della Chiesa in Asia, nonostante la sua in genere limitata diffusione, sia come il fermento che fa lievitare tutta la pasta in modo silenzioso e nascosto (cfr Mt 13, 33).

I popoli dell'Asia hanno bisogno di Gesù Cristo e del suo Vangelo, poiché il Continente ha sete dell'acqua viva che solo lui può dare (cfr Gv 4, 10-15). I discepoli di Cristo in Asia devono pertanto essere generosi nello sforzo di adempiere alla missione ricevuta dal Signore, il quale ha promesso di essere con loro sino alla fine dei tempi (cfr Mt 28, 20). Fiduciosa nel Signore che non abbandonerà quanti ha chiamato, la Chiesa in Asia compie con gioia il suo pellegrinaggio verso il Terzo Millennio. L'unico suo gaudio è quello che discende dal condividere con la moltitudine dei popoli dell'Asia l'immenso dono che anch'essa ha ricevuto, l'amore di Gesù Salvatore. L'unica sua ambizione è di continuarne la missione di servizio e d'amore, affinché tutti gli abitanti del Continente « abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza » (Gv 10, 10).

 

Preghiera alla Madre di Cristo

51. Di fronte a questa formidabile missione, ci rivolgiamo a Maria, Madre del Redentore, per la quale, come hanno affermato i Padri del Sinodo, i cristiani dell'Asia hanno grande amore e devozione venerandola quale loro Madre e Madre di Cristo. 240 In tutto il Continente vi sono centinaia di templi e santuari mariani nei quali si riuniscono non soltanto i fedeli cattolici, ma anche credenti di altre religioni.

A Maria, modello di tutti i discepoli e Stella luminosa della evangelizzazione, affido la Chiesa in Asia alle soglie del Terzo Millennio dell'era cristiana, confidando pienamente nel suo orecchio che sempre ascolta, nel suo cuore che sempre accoglie, nella sua preghiera che mai fallisce:

O Madre Santa, Figlia dell'Altissimo,
Vergine Madre del Salvatore e Madre nostra,
volgi il tuo tenero sguardo sulla Chiesa
che il tuo Figlio ha piantato sul suolo d'Asia.
Siile guida e modello, mentre continua la missione
di amore e di servizio del Figlio tuo in Asia.

Tu hai accettato pienamente e liberamente
l'invito del Padre ad essere Madre di Dio;
insegnaci a svuotare
il cuore da tutto ciò che non è di Dio,
sì da essere riempiti anche noi
di Spirito Santo dall'alto.
Tu hai contemplato i misteri della volontà di Dio
nel silenzio del tuo cuore;
aiutaci nel cammino di discernere
i segni della potente mano di Dio.
Tu ti sei prontamente recata a visitare Elisabetta
per aiutarla nei giorni dell'attesa;
ottieni per noi lo stesso spirito zelante e servizievole
nel compito dell'evangelizzazione.
Tu hai levato la voce
per cantare le lodi del Signore;
guidaci nel gioioso annuncio della fede
in Cristo Salvatore.
Tu hai avuto compassione
di quanti erano nel bisogno
ed hai implorato a loro nome il Figlio tuo;
insegnaci a non temere di parlare
del mondo a Gesù
e di Gesù al mondo.
Tu eri ai piedi della Croce,
quando tuo Figlio esalò l'ultimo respiro;
sii al nostro fianco mentre cerchiamo di essere uniti
nello spirito e nel servizio con quanti soffrono.
Tu hai pregato con i discepoli nel Cenacolo;
aiutaci ad attendere il dono dello Spirito,
per andare ovunque Egli ci conduce.

Proteggi la Chiesa da ogni potere che la minaccia.
Aiutala ad essere immagine vera
della Trinità Santissima.
Prega affinché,
mediante il servizio reso con amore dalla Chiesa,
tutti i popoli dell'Asia possano giungere a conoscere
il Figlio tuo Gesù Cristo,
unico Salvatore del mondo,
ed assaporare così la gioia della vita
nella sua pienezza.
O Maria, Madre della nuova creazione
e Madre dell'Asia
prega per noi, figli tuoi, ora e sempre!

 

Dato a Nuova Delhi, in India, il 6 novembre dell'anno 1999, ventiduesimo di Pontificato.

 

INDICE

 

INTRODUZIONE

Le meraviglie del piano di Dio in Asia [1]

La preparazione all'Assemblea Speciale [2]

La celebrazione dell'Assemblea Speciale [3]

Condividere i frutti dell'Assemblea Speciale [4]

 

CAPITOLO I

IL CONTESTO DELL'ASIA

L'Asia, luogo di nascita di Gesù e della Chiesa [5]

Realtà religiose e culturali [6]

Realtà economiche e sociali [7]

Realtà politiche [8]

La Chiesa in Asia: passato e presente [9]

 

CAPITOLO II

GESU SALVATORE:
UN DONO PER L'ASIA

Il dono della fede [10]

Gesù Cristo, l'Uomo-Dio che salva [11]

La persona e la missione del Figlio di Dio [12]

Cristo Gesù: verità dell'uomo [13]

L'unicità e l'universalità della salvezza in Gesù [14]

 

CAPITOLO III

LO SPIRITO SANTO:
SIGNORE E DATORE DI VITA

Lo Spirito di Dio nella creazione e nella storia [15]

Lo Spirito Santo e l'Incarnazione del Verbo [16]

Lo Spirito Santo e il Corpo di Cristo [17]

Lo Spirito Santo e la missione della Chiesa in Asia [18]

 

CAPITOLO IV

GESU SALVATORE:
PROCLAMARE IL MONDO

Il primato dell'annuncio [19]

Annunciare Gesù Cristo in Asia [20]

La sfida dell'inculturazione [21]

Aree chiave di inculturazione [22]

Vita cristiana come annuncio [23]

 

CAPITOLO V

COMUNIONE E DIALOGO
PER LA MISSIONE

Comunione e missione procedono di pari passo [24]

Comunione dentro la Chiesa [25]

Solidarietà tra le Chiese [26]

Le Chiese orientali cattoliche [27]

Condividere le speranze e i patimenti [28]

Una missione di dialogo [29]

Dialogo ecumenico [30]

Dialogo interreligioso [31]

 

CAPITOLO VI

IL SERVIZIO DELLA PROMOZIONE UMANA

La dottrina sociale della Chiesa [32]

La dignità della persona umana [33]

Amore preferenziale per i poveri [34]

Il Vangelo della vita [35]

La sanità [36]

L'educazione [37]

L'edificazione della pace [38]

La globalizzazione [39]

Il debito estero [40]

L'ambiente [41]

 

CAPITOLO VII

TESTIMONI DEL VANGELO

Una Chiesa che testimonia [42]

I Pastori [43]

La vita consacrata e le società missionarie [44]

I laici [45]

La famiglia [46]

I giovani [47]

Le comunicazioni sociali [48]

I martiri [49]

 

CONCLUSIONE

Gratitudine e incoraggiamento [50]

Preghiera alla Madre di Cristo [51]

 

(1) Giovanni Paolo II, Discorso alla sesta Assemblea plenaria della Federazione delle Conferenze Episcopali dell'Asia (FABC), Manila (15 gennaio 1995), 11: Insegnamenti XVIII, 1 (1995), 159.

(2) Lett. ap. Tertio millennio adveniente (10 novembre 1994), 38: AAS 87 (1995), 30.

(3) N. 11: Insegnamenti XVIII, 1 (1995), 159.

(4) Giovanni Paolo II, Lett. ap. Tertio millennio adveniente (10 novembre 1994), 38: AAS 87 (1995), 30.

(5) Cfr Assemblea Speciale per l'Asia del Sinodo dei Vescovi, Messaggio finale, 2.

(6) Discorso alla sesta Assemblea plenaria della Federazione delle Conferenze Episcopali dell'Asia (FABC), Manila (15 gennaio 1995), 10: Insegnamenti XVIII, 1 (1995), 159.

(7) Giovanni Paolo II, Lettera sul pellegrinaggio ai luoghi legati alla storia della salvezza (29 giugno 1999), 3: L'Osservatore Romano, 30 giugno – 1 luglio 1999, p. 8.

(8) Cfr Propositio 3.

(9) Propositio 1.

(10) Cfr Assemblea Speciale per l'Asia del Sinodo dei Vescovi, Lineamenta, 3.

(11) Cfr ibid.

(12) Cfr Propositio 32.

(13) Cfr Assemblea Speciale per l'Asia del Sinodo dei Vescovi, Instrumentum laboris, 9.

(14) Cfr Propositiones 36 e 50.

(15) Propositio 44.

(16) Propositio 27.

(17) Cfr Propositio 45.

(18) Assemblea Speciale per l'Asia del Sinodo dei Vescovi, Instrumentum laboris, 9.

(19) Cfr Propositio 39.

(20) Propositio 35.

(21) Cfr Propositio 38.

(22) Cfr Propositio 22.

(23) Cfr Propositio 52.

(24) Cfr Assemblea Speciale per l'Asia del Sinodo dei Vescovi, Lineamenta, 6.

(25) Cfr Propositio 56.

(26) Giovanni Paolo II, Lett. ap. Tertio millennio adveniente (10 novembre 1994), 18: AAS 87 (1995), 16.

(27) Cfr Propositio 29.

(28) Cfr Propositiones 29 e 31.

(29) Propositio 51.

(30) Cfr Propositiones 51, 52, 53.

(31) Propositio 57.

(32) Cfr ibid.

(33) Propositio 54.

(34) N. 3: AAS 83 (1991), 252.

(35) Cfr Propositio 5.

(36) Assemblea Speciale per l'Asia del Sinodo dei Vescovi, Relatio ante disceptationem: L'Osservatore Romano, 22 aprile 1998, p. 5.

(37) Assemblea Speciale per l'Asia del Sinodo dei Vescovi, Relatio post disceptationem, 3.

(38) Propositio 8.

(39) N. 11: AAS 83 (1991), 260.

(40) Ibid.

(41) Assemblea Speciale per l'Asia del Sinodo dei Vescovi, Relatio post disceptationem, 3.

(42) Cfr Messale Romano, Preghiera eucaristica della riconciliazione I.

(43) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptor hominis (4 marzo 1979), 10: AAS 71 (1979), 274.

(44) Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 22.

(45) N. 9: AAS 71 (1979), 272-273.

(46) Assemblea Speciale per l'Asia del Sinodo dei Vescovi, Relatio post disceptationem, 3.

(47) Cfr ibid.

(48) Ibid.

(49) Propositio 5.

(50) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 6: AAS 83 (1991), 255.

(51) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptor hominis (4 marzo 1979), 7: AAS 71 (1979), 269.

(52) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dominum et vivificantem (18 maggio 1986), 54: AAS 78 (1986), 875.

(53) Cfr ibid., 59, l.c., 885.

(54) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 28: AAS 83 (1991), 274; cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 26.

(55) Cfr Propositio 11; Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull'attività missionaria della Chiesa Ad gentes, 4, 15: Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 17; Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 11, 22, 38; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 28: AAS 83 (1991), 273-274.

(56) Cfr Assemblea Speciale per l'Asia del Sinodo dei Vescovi, Relatio ante disceptationem: L'Osservatore Romano 22 aprile 1998, p. 5.

(57) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dominum et vivificantem (18 maggio 1986), 50: AAS 78 (1986), 870; cfr S. Tommaso D'Aquino, Summa Theol. III, 2, 10-12; 6, 6; 7, 13.

(58) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dominum et vivificantem (18 maggio 1986), 50: AAS 78 (1986), 870.

(59) Cfr ibid., 24, l.c., 832.

(60) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 28: AAS 83 (1991), 274.

(61) N. 29: AAS 83 (1991), 275; cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 45.

(62) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 29: AAS 83 (1991), 275.

(63) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 13.

(64) Propositio 12.

(65) Cost. dogm. Lumen gentium, 17.

(66) Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 22: AAS 68 (1976), 20.

(67) Propositio 8.

(68) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 45: AAS 83 (1991), 292.

(69) Cfr ibid., 46: l.c., 292-293.

(70) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Dich. sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 3-4; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 39: AAS 83 (1991), 287; Propositio 40.

(71) Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 53: AAS 68 (1976), 41-42.

(72) Discorso a rappresentanti delle religioni non cristiane (5 febbraio 1986), 2: AAS 78 (1986), 767.

(73) Cfr Propositiones 11, 12; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 28: AAS 83 (1991), 273-274.

(74) Relatio ante disceptationem: L'Osservatore Romano, 22 aprile 1998, p. 5.

(75) Propositio 58.

(76) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Fides et ratio (14 settembre 1998), 72: AAS 91 (1999), 61.

(77) Assemblea Speciale per l'Asia del Sinodo dei Vescovi, Relatio post disceptationem, 15.

(78) Cfr ibid.

(79) Ibid.

(80) Propositio 6.

(81) Cfr Assemblea Speciale per l'Asia del Sinodo dei Vescovi, Relatio post disceptationem, 6.

(82) Ibid.

(83) Cfr Assemblea Speciale per l'Asia del Sinodo dei Vescovi, Relatio ante disceptationem: L'Osservatore Romano, 22 aprile 1998, p. 5.

(84) Cfr Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 20: AAS 68 (1976), 18-19.

(85) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 52: AAS 83 (1991), 300.

(86) Cfr Assemblea Speciale per l'Asia del Sinodo dei Vescovi, Relatio post disceptationem, 9.

(87) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 22; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 28: AAS 83 (1991), 273-274.

(88) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 56: AAS 83 (1991), 304.

(89) Giovanni Paolo II, Omelia alla Messa con i cattolici del Bengala occidentale (Calcutta, 4 febbraio 1986), 3: Insegnamenti IX1 (1986), 314.

(90) Cfr Propositio 43.

(91) Cfr Propositio 7.

(92) Ibid.

(93) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 54: AAS 83 (1991), 302.

(94) Cfr ibid., l.c., 301.

(95) Cfr Conc. Ecum Vat. II, Cost. sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum concilium, 2; Assemblea Speciale per l'Asia del Sinodo dei Vescovi, Relatio post disceptationem, 14.

(96) Assemblea Speciale per l'Asia del Sinodo dei Vescovi, Relatio post disceptationem, 14; Propositio 43.

(97) Cfr Propositio 43.

(98) Cfr Assemblea Speciale per l'Asia del Sinodo dei Vescovi, Relatio post disceptationem, 13.

(99) Cfr ibid.

(100) Cfr Propositio 18.

(101) Cfr Propositio 17.

(102) Cfr NN. 60, 62, 105: AAS 91 [1999], 52-53; 54; 85-86.

(103) Cfr Propositio 24.

(104) Cfr Propositio 25.

(105) Cfr ibid.

(106) Cfr Propositio 27.

(107) Cfr Propositio 29.

(108) Cfr Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 91: AAS 83 (1991), 338.

(109) Propositio 19.

(110) Propositio 8.

(111) Dich. sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 2.

(112) Propositio 6.

(113) S. Agostino, De civitate Dei, XVIII, 51, 2: PL 41, 614; cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 8.

(114) Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Sull'attività missionaria della Chiesa Ad gentes, 7; cfr Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 17.

(115) Paolo VI, Discorso ai Cardinali in occasione della propria festa onomastica (22 giugno 1973): AAS 65 (1973), 391.

(116) Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), 18: AAS 81 (1989), 421.

(117) Cfr ibid.; cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 4.

(118) Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 775.

(119) Cfr ibid.

(120) Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), 32: AAS 81 (1989), 451-452.

(121) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 16.

(122) Propositio 13.

(123) Ibid.

(124) Cfr Assemblea Speciale per l'Asia del Sinodo dei Vescovi, Relatio ante disceptationem: L'Osservatore Romano, 22 aprile 1998, p. 6.

(125) Propositio 13; cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 22.

(126) Cfr ibid.

(127) Cfr Propositio 15; Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica su alcuni aspetti della Chiesa come comunione Communionis notio (28 maggio 1992), 3-10: AAS 85 (1993), 839-844.

(128) Cfr Propositio 15.

(129) Cfr. ibid.

(130) Cfr Propositio 16.

(131) Propositio 34.

(132) Cfr Propositio 30; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 51: AAS 83 (1991), 298.

(133) Cfr Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 58: AAS 68 (1976), 46-49; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 51: AAS 83 (1991), 299.

(134) Cfr Propositio 31.

(135) Cfr Propositio 14.

(136) Cfr Assemblea Speciale per l'Asia del Sinodo dei Vescovi, Relatio ante disceptationem: L'Osservatore Romano, 22 aprile 1998, p. 6.

(137) Cfr Propositio 50.

(138) Cfr Propositiones 36; 50.

(139) Cfr Giovanni Paolo II, Discorso al Sinodo dei Vescovi della Chiesa Siro-Malabarese (8 gennaio 1996), 6: AAS 88 (1996), 41.

(140) Cfr Propositio 50.

(141) Cfr Propositio 56.

(142) Cfr Propositio 51.

(143) Cfr Propositio 52.

(144) Propositio 53.

(145) Cfr Propositio 57.

(146) Cfr Giovanni Paolo II, Lettera sul pellegrinaggio ai luoghi legati alla storia della salvezza (29 giugno 1999), 7: L'Osservatore Romano, 30 giugno – 1 luglio 1999, p. 9.

(147) AAS 56 (1964), 613.

(148) Cfr Propositio 42.

(149) Ibid.

(150) Giovanni Paolo II, Discorso all'Udienza generale del 26 luglio 1995, 4: Insegnamenti XVIII, 2 (1995), 138.

(151) Cfr Giovanni Paolo II, Discorso all'Udienza generale del 20 gennaio 1982, 2: Insegnamenti V, 1 (1982), 162.

(152) Cfr n. 53: AAS 87 (1995), 37.

(153) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 55: AAS 83 (1991), 302.

(154) Cfr ibid., l.c., 304.

(155) N. 4: AAS 83 (1991), 101-102.

(156) N. 56: AAS 83 (1991), 304.

(157) Propositio 41.

(158) Ibid.

(159) Cfr ibid.

(160) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 57: AAS 83 (1991), 305.

(161) Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Vita consecrata (25 marzo 1996), 8: AAS 88 (1996), 383.

(162) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis (30 dicembre 1987), 47: AAS 80 (1988), 582.

(163) Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 1.

(164) Per molti aspetti il punto di partenza fu la Lettera enciclica Rerum novarum di Papa Leone XIII (15 maggio 1891) che introdusse una serie di solenni dichiarazioni su vari aspetti della questione sociale. Fra queste vi è stata la Lettera enciclica Populorum progressio (26 marzo 1967) che Papa Paolo VI pubblicò come risposta agli insegnamenti del Concilio Vaticano II e alle mutate situazioni del mondo. Per commemorare il 20 anniversario di questo Documento ho scritto la Lettera enciclica Sollicitudo rei socialis (30 dicembre 1987) nella quale, seguendo il Magistero precedente, ho invitato tutti i fedeli a considerarsi chiamati ad una missione di servizio che include necessariamente la promozione dello sviluppo umano integrale.

(165) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis (30 dicembre 1987), 41: AAS 80 (1988), 570-571.

(166) Cfr Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. sulla libertà cristiana e sulla liberazione Libertatis conscientia (22 marzo 1986), 72: AAS 79 (1987), 586.

(167) Cfr Propositio 22.

(168) Cfr Propositio 21.

(169) Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), 5: AAS 81 (1989), 400-402; Lett. enc. Evangelium vitae (25 marzo 1995), 18: AAS 87 (1995), 419 ss.

(170) Propositio 22; cfr Propositio 39.

(171) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis (30 dicembre 1987), 42: AAS 80 (1988), 573; cfr Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. sulla libertà cristiana e sulla liberazione Libertatis conscientia (22 marzo 1986), 68: AAS 79 (1987), 583.

(172) Cfr Propositio 44.

(173) Cfr ibid.

(174) Cfr Propositio 39.

(175) Cfr Propositio 22.

(176) Cfr Propositio 36.

(177) Cfr Propositio 38.

(178) Cfr ibid.

(179) Cfr Propositio 33.

(180) Cfr ibid.

(181) Cfr Propositio 35.

(182) Cfr ibid.

(183) Cfr Propositio 32.

(184) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Salvifici doloris (11 febbraio 1984), 28-29: AAS 76 (1984), 242-244.

(185) Cfr Propositio 20.

(186) Cfr ibid.

(187) Cfr Propositio 21.

(188) Cfr ibid.

(189) Cfr ibid.

(190) Cfr Propositio 23.

(191) Cfr ibid.

(192) Cfr Propositio 55.

(193) 3 Cfr Propositio 49.

(194) Giovanni Paolo II, Messaggio per la giornata mondiale della pace del 1o gennaio 1998, 3: AAS 90 (1998), 50.

(195) Cfr Propositio 49.

(196) Cfr Propositio 48.

(197) Cfr ibid.; Giovanni Paolo II, Lett. ap. Tertio millennio adveniente (10 novembre 1994), 51: AAS 87 (1995), 36.

(198) Cfr Propositio 48.

(199) Cfr Propositio 22; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis (30 dicembre 1987), 44: AAS 80 (1988), 576 ss.

(200) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptor hominis (4 marzo 1979), 15: AAS 71 (1979), 287.

(201) Cfr ibid.

(202) Cfr Propositio 47.

(203) Hom. in Matth., 50, 3-4: PG 58, 508-509.

(204) Cfr Decr. sull'attività missionaria della Chiesa Ad gentes, 2 e 35.

(205) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 31: AAS 83 (1991), 277.

(206) Ibid., 42; l.c., 289.

(207) Ibid.

(208) Cfr Propositio 25.

(209) Cfr ibid.

(210) Cfr Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 46.

(211) Cfr Propositio 27.

(212) Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Vita consecrata (25 marzo 1996), 103: AAS 88 (1996), 479.

(213) Cfr Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 69: AAS 68 (1976), 59.

(214) Cfr Propositio 27.

(215) Cfr ibid.

(216) Cfr ibid.

(217) Cfr Propositio 28.

(218) Ibid.

(219) Cfr Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 31.

(220) Cfr Propositio 29.

(221) Cfr ibid.

(222) Cfr ibid.

(223) Giovanni Paolo II, Discorso all'Udienza generale del 13 luglio 1994, 4: Insegnamenti XVII, 2 (1994), 40.

(224) Cfr Propositio 35.

(225) Cfr ibid.

(226) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 11.

(227) Cfr Assemblea Speciale per l'Asia del Sinodo dei Vescovi, Relatio ante disceptationem: L'Osservatore Romano, 22 aprile 1998, p. 6.

(228) Cfr Propositio 32.

(229) Cfr Propositio 33.

(230) Discorso alla Confederazione dei Consultorii cristiani (29 novembre 1980), 4: Insegnamenti III, 2 (1980), 1454.

(231) Cfr Propositio 34.

(232) Ibid.

(233) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 37: AAS 83 (1991), 285.

(234) Ibid.

(235) Ibid.

(236) Cfr Propositio 45.

(237) Cfr ibid.

(238) Cfr ibid.

(239) N. 13: AAS 91 (1999), 142.

(240) Cfr Propositio 59.

 

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IN AMERICA

INTRODUZIONE

1. La Chiesa in America, piena di gioia per la fede ricevuta e riconoscente a Cristo per questo immenso dono, ha da poco celebrato il quinto centenario dell'inizio della predicazione del Vangelo sul proprio territorio. Questa commemorazione ha reso tutti i cattolici americani più coscienti del desiderio di Cristo di incontrare gli abitanti del cosiddetto Nuovo Mondo per incorporarli alla sua Chiesa e così rendersi presente nella storia del Continente. L'evangelizzazione dell'America non è soltanto un dono del Signore; è anche sorgente di nuove responsabilità. Grazie all'azione di quanti hanno evangelizzato in lungo e in largo il Continente, sono nati dalla Chiesa e dallo Spirito innumerevoli figli.(1) Nei loro cuori, nel passato come nel presente, continuano a risuonare le parole dell'Apostolo: « Non è infatti per me un vanto predicare il Vangelo; per me è un dovere: guai a me se non predicassi il Vangelo! » (1 Cor 9, 16). Tale dovere si fonda sul mandato conferito dal Signore risorto agli Apostoli prima della sua Ascensione al cielo: « Predicate il Vangelo ad ogni creatura » (Mc 16, 15).

Questo mandato riguarda tutta la Chiesa, e la Chiesa che è in America, in questo particolare momento della sua storia, è chiamata ad accoglierlo e a rispondere con amorosa generosità al fondamentale compito dell'evangelizzazione. Lo sottolineava a Bogotá il mio predecessore Paolo VI, il primo Papa a visitare l'America: « Competerà a noi, [Signore Gesù], in quanto tuoi rappresentanti e amministratori dei tuoi divini misteri (cfr 1 Cor 4, 1; 1 Pt 4, 10), diffondere i tesori della tua parola, della tua grazia, dei tuoi esempi tra gli uomini ».(2) Il dovere della evangelizzazione costituisce, per il discepolo di Cristo, una urgenza di carità: « L'amore del Cristo ci spinge » (2 Cor 5, 14), afferma l'Apostolo Paolo, ricordando quanto il Figlio di Dio ha fatto per noi nel suo sacrificio redentore: « Uno è morto per tutti [...], perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro » (2 Cor 5, 14-15).

La commemorazione di ricorrenze particolarmente evocatrici dell'amore di Cristo per noi suscita nell'animo, insieme con la riconoscenza, il bisogno di « annunciare le meraviglie di Dio », il bisogno cioè di evangelizzare. Così, il ricordo della recente celebrazione dei cinquecento anni dell'arrivo del messaggio evangelico in America, cioè, del momento in cui Cristo chiamò l'America alla fede, e il prossimo Giubileo nel quale la Chiesa celebrerà i 2000 anni dell'incarnazione del Figlio di Dio, sono occasioni privilegiate nelle quali, in modo spontaneo, sale con più forza dal cuore l'espressione della nostra gratitudine al Signore. Consapevole della grandezza dei doni ricevuti, la Chiesa pellegrina in America desidera rendere partecipe della ricchezza della fede e della comunione in Cristo tutta la società e ciascuno degli uomini e delle donne che abitano in terra americana.

L'idea di celebrare questa Assemblea sinodale

2. Proprio nel giorno stesso nel quale si compivano i cinquecento anni dell'inizio della evangelizzazione dell'America, il 12 ottobre 1992, desiderando aprire nuovi orizzonti e dare rinnovato impulso all'evangelizzazione, nell'allocuzione con la quale aprii i lavori della IV Conferenza generale dell'Episcopato Latino-americano a Santo Domingo, feci la proposta di un incontro sinodale « con lo scopo di incrementare la cooperazione tra le diverse Chiese particolari » per affrontare insieme, all'interno del compito della nuova evangelizzazione e come espressione di comunione episcopale, « i problemi relativi alla giustizia ed alla solidarietà tra tutte le Nazioni dell'America ».(3) L'accoglienza positiva con cui gli Episcopati dell'America corrisposero a questa mia indicazione mi permise di annunciare nella Lettera apostolica Tertio millennio adveniente il proposito di convocare un'assemblea sinodale « sulle problematiche della nuova evangelizzazione in due parti dello stesso Continente tanto diverse tra loro per origine e storia, e sulle tematiche della giustizia e dei rapporti economici internazionali, tenendo conto dell'enorme divario tra il Nord e il Sud ».(4) Fu allora possibile iniziare i lavori preparatori propriamente detti, per giungere finalmente alla celebrazione della Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per l'America, svoltasi in Vaticano dal 16 novembre al 12 dicembre del 1997.

Il tema dell'Assemblea

3. In coerenza con l'idea iniziale, e dopo aver ascoltato i suggerimenti del Consiglio pre-sinodale, viva espressione del sentire di molti Pastori del Popolo di Dio nel Continente americano, enunciai il tema dell'Assemblea Speciale del Sinodo per l'America con le parole seguenti: « Incontro con Gesù Cristo vivo, via per la conversione, la comunione e la solidarietà in America ». Il tema così formulato manifesta chiaramente la centralità della persona di Gesù Cristo risorto, presente nella vita della Chiesa, che invita alla conversione, alla comunione e alla solidarietà. Il punto di partenza di tale programma di evangelizzazione è certamente l'incontro con il Signore. Lo Spirito Santo, dono di Cristo nel mistero pasquale, ci guida verso le mete pastorali che la Chiesa in America deve raggiungere nel terzo millennio cristiano.

La celebrazione dell'Assemblea come esperienza di incontro

4. L'esperienza vissuta durante l'Assemblea ebbe, senza dubbio, il carattere di un incontro con il Signore. Ricordo con piacere, in modo particolare, le due concelebrazioni solenni che io stesso ho presieduto nella Basilica di San Pietro per l'inaugurazione e per la chiusura dei lavori dell'Assemblea. Il contatto con il Signore Risorto veramente, realmente e sostanzialmente presente nella Eucaristia, costituì l'atmosfera spirituale che permise a tutti i Vescovi dell'Assemblea sinodale di riconoscersi, non solo come fratelli nel Signore, ma anche come membri del Collegio episcopale, desiderosi di seguire, sotto la presidenza del Successore di Pietro, le orme del Buon Pastore, servendo la Chiesa, pellegrina in tutte le regioni del Continente. Fu evidente a tutti la gioia dei partecipanti all'Assemblea, che scoprivano in essa un'occasione eccezionale di incontro con il Signore, con il Vicario di Cristo, con tanti Vescovi, sacerdoti, consacrati e laici venuti da tutte le parti del Continente.

Senza dubbio, alcuni fattori precedenti contribuirono, in modo mediato ma efficace, ad assicurare questo clima di incontro fraterno nell'Assemblea sinodale. In primo luogo, occorre segnalare le esperienze di comunione vissute precedentemente nelle Assemblee generali dell'Episcopato Latino-americano in Rio de Janeiro (1955), Medellin (1968), Puebla (1979) e Santo Domingo (1992). In esse i Pastori della Chiesa che è in America Latina avevano avuto modo di riflettere insieme come fratelli sulle questioni pastorali più urgenti in quella regione del Continente. A tali Assemblee occorre aggiungere le periodiche riunioni interamericane di Vescovi, nelle quali i partecipanti hanno la possibilità di aprirsi all'orizzonte dell'intero Continente, dialogando circa i problemi e le sfide comuni che riguardano la Chiesa nei Paesi americani.

Contribuire all'unità del Continente

5. Nella prima proposta che feci a Santo Domingo, circa la possibilità di celebrare un'Assemblea Speciale del Sinodo, segnalai che « la Chiesa, ormai alle soglie del terzo millennio cristiano ed in un'epoca in cui sono cadute molte barriere e frontiere ideologiche, avverte come un dovere ineludibile l'unire spiritualmente in modo ancor maggiore tutti i popoli che formano questo grande Continente e, allo stesso tempo, partendo dalla missione religiosa che le è propria, il promuovere uno spirito di solidarietà fra di essi ».(5) Gli elementi comuni a tutti i popoli dell'America, tra i quali risalta una medesima identità cristiana come pure un'autentica ricerca del consolidamento dei legami di solidarietà e di comunione tra le diverse espressioni del ricco patrimonio culturale del Continente, sono il motivo decisivo per il quale ho chiesto che l'Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi dedicasse le sue riflessioni all'America come ad una realtà unica. La scelta di usare la parola al singolare voleva esprimere non solo l'unità sotto certi aspetti già esistente, ma anche quel vincolo più stretto al quale i popoli del Continente aspirano e che la Chiesa desidera favorire, nell'ambito della propria missione, volta a promuovere la comunione di tutti nel Signore.

Nel contesto della nuova evangelizzazione

6. Nella prospettiva del Grande Giubileo dell'anno 2000, ho voluto che si tenesse un'Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per ciascuno dei cinque Continenti: dopo quelle dedicate all'Africa (1994), all'America (1997), all'Asia (1998) e, molto recentemente, all'Oceania (1998), in questo anno 1999 con l'aiuto del Signore sarà celebrata una nuova Assemblea Speciale per l'Europa. In tal modo, durante l'anno giubilare, sarà possibile un'Assemblea Generale Ordinaria che sintetizzi e tragga le conclusioni dei preziosi materiali che le diverse Assemblee continentali sono andate elaborando. Ciò sarà facilitato dal fatto che in tutti questi Sinodi si sono avute preoccupazioni simili e centri di interesse comuni. In tal senso, riferendomi a questa serie di Assemblee sinodali, ho segnalato come in tutte « il tema di fondo è l'evangelizzazione, meglio, quello della nuova evangelizzazione, le cui basi furono gettate dall'Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi di Paolo VI ».(6) Perciò, tanto nella mia prima indicazione sulla celebrazione di questa Assemblea Speciale del Sinodo come più tardi nell'annuncio esplicito della medesima, dopo che tutti gli Episcopati dell'America avevano fatto propria l'idea, indicai che le sue deliberazioni dovevano muoversi « nell'ambito della nuova evangelizzazione »,(7) affrontando i problemi in essa emergenti.(8)

Questa preoccupazione era tanto più ovvia, in quanto io stesso avevo formulato il primo programma di una nuova evangelizzazione in terra americana. In effetti, quando la Chiesa in tutta l'America si preparava per ricordare i cinquecento anni dell'inizio della prima evangelizzazione del Continente, parlando al Consiglio Episcopale Latino-americano in Port-au-Prince (Haiti), affermai: « La commemorazione del mezzo millennio di evangelizzazione avrà il suo pieno significato se costituirà un impegno vostro come Vescovi, insieme con il vostro presbiterio ed i fedeli, impegno non certo di rievangelizzazione, bensì di una nuova evangelizzazione. Nuova nell'ardore, nei metodi e nelle espressioni ».(9) Successivamente invitai tutta la Chiesa a portare a compimento tale esortazione, benché il programma di evangelizzazione, estendendosi alla grande diversità che presenta oggi il mondo intero, deve diversificarsi alla luce innanzitutto di due situazioni chiaramente differenti: quella dei Paesi fortemente toccati dal secolarismo e quella degli altri dove « si conservano tuttora molto vive tradizioni di pietà e di religiosità popolare cristiana ».(10) Si tratta senza dubbio di due situazioni presenti, in grado diverso, in differenti Paesi o, forse meglio, in diversi ambienti concreti all'interno degli stessi Paesi del Continente americano.

Con la presenza e l'aiuto del Signore

7. Il mandato di evangelizzare, che il Signore risorto ha lasciato alla sua Chiesa, è accompagnato dalla certezza, fondata sulla sua promessa, che Egli continua ad essere vivo ed operante tra noi: « Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo » (Mt 28, 20). Questa misteriosa presenza di Cristo nella sua Chiesa è per essa garanzia di riuscita nella realizzazione del compito affidatole. Nel medesimo tempo, tale presenza rende possibile il nostro incontro con Lui, come Figlio inviato dal Padre, come Signore della Vita che ci comunica il suo Spirito. Un incontro rinnovato con Gesù Cristo renderà tutti i membri della Chiesa in America consapevoli del fatto che sono chiamati a continuare la missione del Redentore nelle loro terre.

L'incontro personale con il Signore, se è autentico, porterà con sé anche il rinnovamento ecclesiale: le Chiese particolari del Continente, come Chiese sorelle e tra loro vicine, accresceranno i vincoli di cooperazione e di solidarietà per prolungare e rendere più incisiva l'opera salvatrice di Cristo nella storia dell'America. In atteggiamento di apertura all'unità, frutto di un'autentica comunione con il Signore risorto, le Chiese particolari, ed in esse i singoli membri, scopriranno, attraverso la propria esperienza spirituale, che l'« incontro con Gesù Cristo vivo » è « via di conversione, di comunione e di solidarietà ». E, nella misura in cui queste mete saranno raggiunte, si renderà possibile una dedizione sempre maggiore alla nuova evangelizzazione dell'America.

CAPITOLO I

L'INCONTRO
CON GESÙ CRISTO VIVO

« Abbiamo trovato il Messia » (Gv 1, 41)

Gli incontri con il Signore nel Nuovo Testamento

8. I Vangeli riferiscono numerosi incontri di Gesù con uomini e donne del suo tempo. Una caratteristica, comune a tutti questi racconti, è la forza trasformante che racchiudono e manifestano gli incontri con Gesù, poiché « aprono un autentico processo di conversione, comunione e solidarietà ».(11) Tra i più significativi vi è quello con la samaritana (cfr Gv 4, 5-42). Gesù la chiama per saziare la sua sete, che non era soltanto materiale: in realtà, « colui che chiedeva da bere, aveva sete della fede della donna stessa ».(12) Dicendole « Dammi da bere » (Gv 4, 7) e parlandole di acqua viva, il Signore suscita nella samaritana una domanda, quasi una preghiera, il cui obiettivo vero supera ciò che essa in quel momento è in grado di comprendere: « Signore... dammi di quest'acqua perché non abbia più sete » (Gv 4, 15). La samaritana, anche se « ancora non capisce »,(13) sta in realtà chiedendo l'acqua viva di cui le parla il suo divino Interlocutore. Quando Gesù le rivela la propria messianicità (cfr Gv 4, 26), la samaritana si sente spinta ad annunciare ai suoi concittadini la scoperta del Messia (cfr Gv 4, 28-30). Allo stesso modo, quando Gesù incontra Zaccheo (cfr Lc 19, 1-10), il frutto più prezioso è la conversione del pubblicano, che diventa consapevole delle ingiustizie commesse e decide di restituire in abbondanza — « il quadruplo » —, a chi aveva defraudato. Assume, inoltre, un atteggiamento di distacco dai beni materiali e di carità verso i bisognosi, che lo porta a dare ai poveri la metà dei suoi averi.

Una menzione speciale meritano gli incontri con Cristo risorto, narrati nel Nuovo Testamento. Grazie al suo incontro col Risorto, Maria Maddalena supera lo scoraggiamento e la tristezza causati dalla morte del Maestro (cfr Gv 20, 11-18). Nella sua nuova dimensione pasquale, Gesù la invia ad annunciare ai discepoli che Egli è risorto: « Va' dai miei fratelli » (Gv 20, 17). Per tale motivo, Maria Maddalena ha potuto essere chiamata « l'apostola degli apostoli ».(14) Da parte loro, i discepoli di Emmaus, dopo aver incontrato e riconosciuto il Signore risorto, tornano a Gerusalemme per raccontare agli apostoli e agli altri discepoli quanto era loro accaduto (cfr Lc 24, 13-35). Gesù « cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui » (Lc 24, 27). Essi riconosceranno più tardi che il loro cuore ardeva mentre il Signore conversava con loro lungo il cammino spiegando le Scritture (cfr Lc 24, 32). Non vi è dubbio che san Luca, nel narrare questo episodio, e specialmente il momento decisivo nel quale i due discepoli riconoscono Gesù, fa allusione esplicita ai racconti della istituzione dell'Eucaristia, cioè al comportamento di Gesù nell'Ultima Cena (cfr Lc 24, 30). L'evangelista, per riferire ciò che i discepoli di Emmaus raccontano agli Undici, utilizza un'espressione, che nella Chiesa nascente possedeva un significato eucaristico preciso: « L'avevano riconosciuto nello spezzare il pane » (Lc 24, 35).

Fra gli incontri con il Signore risorto, uno di quelli che hanno avuto un influsso decisivo nella storia del cristianesimo è senza dubbio la conversione di Saulo, il futuro Paolo apostolo delle genti, sulla via di Damasco. E lì che è avvenuto il cambiamento radicale della sua esistenza, da persecutore ad apostolo (cfr At 9, 3-30; 22, 6-11; 26, 12-18). Lo stesso Paolo parla di questa straordinaria esperienza come di una rivelazione del Figlio di Dio « perché lo annunziassi in mezzo ai pagani » (Gal 1, 16).

L'invito del Signore rispetta sempre la libertà dei chiamati. Ci sono casi in cui l'uomo, incontrando Gesù, si chiude al cambiamento di vita al quale Egli lo invita. I casi di persone contemporanee di Gesù che lo videro e lo udirono e tuttavia non si aprirono alla sua parola, sono numerosi. Il Vangelo di san Giovanni indica nel peccato la causa che impedisce all'essere umano di aprirsi alla luce che è Cristo: « La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie » (Gv 3, 19). I testi evangelici insegnano che l'attaccamento alla ricchezza costituisce un ostacolo all'accoglienza della chiamata ad una sequela piena e generosa di Gesù. Tipico, al riguardo, è il caso del giovane ricco (cfr Mt 19, 16-22; Mc 10, 17-22; Lc 18, 18-23).

Incontri personali e incontri comunitari

9. Alcuni incontri con Gesù, riferiti dai Vangeli, sono chiaramente personali come, ad esempio, le chiamate vocazionali (cfr Mt 4, 19; 9, 9; Mc 10, 21; Lc 9, 59). In essi, Gesù tratta con intimità i suoi interlocutori: « Rabbi (che significa Maestro) dove abiti? » [...] « Venite e vedrete » (Gv 1, 38-39). Altre volte, invece, gli incontri acquistano un carattere comunitario. Tali sono, in particolare, quelli con gli Apostoli, che hanno fondamentale importanza per la costituzione della Chiesa. In effetti, gli Apostoli, scelti da Gesù in una cerchia più ampia di discepoli (cfr Mc 3, 13-19; Lc 6, 12-16), sono oggetto di speciale formazione e di una più intima comunicazione. Alle folle Gesù parla in parabole, che però spiega ai Dodici: « Perché a voi è dato di conoscere i misteri del Regno dei cieli, ma a loro non è dato » (Mt 13, 11). Essi sono chiamati ad essere gli annunciatori della Buona Novella ed a svolgere una speciale missione per costruire la Chiesa con la grazia dei Sacramenti. A tale fine, essi ricevono la potestà necessaria: Gesù conferisce loro il potere di perdonare i peccati, richiamandosi alla pienezza dello stesso potere che il Padre gli ha dato in cielo ed in terra (cfr Mt 28, 18). Essi saranno i primi a ricevere il dono dello Spirito Santo (cfr At 2, 1-4), dono in seguito dispensato a quanti, in virtù dei Sacramenti di iniziazione, saranno incorporati nella Comunità cristiana (cfr At 2, 38).

L'incontro con Cristo nel tempo della Chiesa

10. La Chiesa costituisce il luogo nel quale gli uomini, incontrando Gesù, possono scoprire l'amore del Padre: chi, infatti, ha visto Gesù, ha visto il Padre (cfr Gv 14, 9). Dopo la sua ascensione al cielo, Gesù agisce mediante l'intervento potente dello Spirito Paraclito (cfr Gv 16, 7), che trasforma i credenti dando loro la vita nuova. E così che essi diventano capaci di amare con l'amore stesso di Dio, che « è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato » (Rm 5, 5). La grazia divina abilita inoltre i cristiani a farsi operatori della trasformazione del mondo, per instaurare in esso una nuova civiltà che il mio predecessore Paolo VI opportunamente chiamò « la civiltà dell'amore ».(15)

In effetti, « il Verbo di Dio, assumendo in tutto la natura umana escluso il peccato (cfr Eb 4, 15), manifesta il piano del Padre di rivelare alla persona umana il modo di giungere alla pienezza della propria vocazione [...]. Così Gesù non solo riconcilia l'uomo con Dio, ma lo riconcilia anche con se stesso, rivelandogli la propria natura ».(16) Con queste parole i Padri sinodali, sulla scorta del Concilio Vaticano II, hanno ribadito che Gesù è la via da seguire per giungere alla piena realizzazione personale, culminante nell'incontro definitivo ed eterno con Dio. « Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me » (Gv 14, 6). Dio ci « ha predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli » (Rm 8, 29). Gesù Cristo è, dunque, la risposta definitiva alla domanda sul senso della vita, agli interrogativi fondamentali che assillano anche oggi tanti uomini e donne del Continente americano.

Per mezzo di Maria incontriamo Gesù

11. Alla nascita di Gesù, dall'Oriente i magi giunsero a Betlemme e « videro il Bambino con Maria sua Madre » (Mt 2, 11). All'inizio della vita pubblica, alle nozze di Cana, quando il Figlio di Dio realizza il primo dei segni, suscitando la fede dei discepoli (cfr Gv 2, 11), è Maria che interviene ed orienta i servi verso suo Figlio con queste parole: « Fate quello che vi dirà » (Gv 2, 5). Al riguardo, ho scritto in un'altra occasione: « La Madre di Cristo si presenta davanti agli uomini come portavoce della volontà del Figlio, indicatrice di quelle esigenze che devono essere soddisfatte affinché la potenza salvifica del Messia possa manifestarsi ».(17) Per tale ragione, Maria è via sicura all'incontro con Cristo. La pietà verso la Madre del Signore, quando è autentica, spinge sempre ad orientare la propria vita secondo lo spirito ed i valori del Vangelo.

E come non porre in luce il ruolo che la Vergine riveste nei confronti della Chiesa pellegrina in America, in cammino verso l'incontro con il Signore? In effetti, la Santissima Vergine « in modo speciale è legata alla nascita della Chiesa nella storia [...] dei popoli dell'America, che attraverso Maria giunsero ad incontrare il Signore ».(18)

In ogni parte del Continente, la presenza della Madre di Dio è stata molto intensa sin dai giorni della prima evangelizzazione, grazie alle fatiche dei missionari. Nella loro predicazione, « il Vangelo è stato annunciato presentando la Vergine Maria come la sua realizzazione più alta. Sin dalle origini — nella sua invocazione sotto il titolo di Nostra Signora di Guadalupe — Maria costituì un grande segno, dal volto materno e misericordioso, della vicinanza del Padre e di Cristo con i quali ci invita ad entrare in comunione ».(19)

L'apparizione di Maria all'indio Juan Diego sulla collina di Tepeyac, nel 1531, ebbe una ripercussione decisiva per l'evangelizzazione.(20) Questo influsso supera di molto i confini della nazione messicana, raggiungendo l'intero Continente. E l'America, che storicamente è stata ed è crogiolo di popoli, ha riconosciuto nel volto meticcio della Vergine di Tepeyac, « in Santa Maria di Guadalupe, un grande esempio di evangelizzazione perfettamente inculturata ».(21) Per questo, non solo nel Centro e nel Sud, ma anche nel Nord del Continente, la Vergine di Guadalupe è venerata come Regina di tutta l'America.(22)

Sempre più nel tempo è andata crescendo nei Pastori e nei fedeli la consapevolezza del ruolo svolto dalla Vergine nell'evangelizzazione del Continente. Nella preghiera composta per l'Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per l'America, Maria Santissima di Guadalupe è invocata come « Patrona di tutta l'America e Stella della prima e della nuova evangelizzazione ». In questa prospettiva, accolgo con gioia la proposta dei Padri sinodali che il giorno 12 dicembre si celebri nell'intero Continente la festa di Nostra Signora di Guadalupe, Madre ed Evangelizzatrice dell'America.(23) Coltivo nel mio cuore la ferma speranza che Ella, alla cui intercessione si deve il fortificarsi della fede nei primi discepoli (cfr Gv 2, 11), guidi con la sua materna intercessione la Chiesa in questo Continente, ottenendole l'effusione dello Spirito Santo come già sulla Chiesa nascente (cfr At 1, 14), affinché la nuova evangelizzazione produca una splendida fioritura di vita cristiana.

Luoghi di incontro con Cristo

12. Facendo affidamento sull'aiuto di Maria, la Chiesa in America desidera condurre gli uomini e le donne del Continente all'incontro con Cristo, punto di partenza per un'autentica conversione e per una rinnovata comunione e solidarietà. Tale incontro contribuirà efficacemente a rinsaldare la fede di molti cattolici, favorendone la maturazione in fede convinta, viva ed operante.

Perché la ricerca di Cristo presente nella sua Chiesa non si riduca a qualcosa di meramente astratto, è necessario mostrare i luoghi ed i momenti concreti nei quali, all'interno della Chiesa, è possibile incontrarlo. La riflessione dei Padri sinodali al riguardo è stata ricca di suggerimenti e di osservazioni.

Essi hanno indicato, innanzitutto, « la Sacra Scrittura letta alla luce della Tradizione, dei Padri e del Magistero, approfondita attraverso la meditazione e la orazione ».(24) Si è raccomandato di promuovere la conoscenza dei Vangeli, nei quali è proclamato, con parole facilmente accessibili a tutti, il modo in cui Gesù visse tra gli uomini. La lettura di questi testi sacri, quando ci si pone in ascolto con la stessa attenzione con cui le folle ascoltavano Gesù sul pendio del monte delle Beatitudini, o sulla sponda del lago di Tiberiade mentre predicava dalla barca, produce autentici frutti di conversione del cuore.

Un secondo luogo d'incontro con Gesù è la sacra Liturgia.(25) Al Concilio Vaticano II dobbiamo una ricchissima esposizione della molteplice presenza di Cristo nella Liturgia, la cui importanza deve indurre a farne oggetto di predicazione costante: Cristo è presente nel celebrante che rinnova sull'altare lo stesso ed unico Sacrificio della Croce; è presente nei Sacramenti nei quali esercita la sua forza efficace. Quando viene proclamata la sua parola, è Lui stesso che ci parla. Egli è presente, inoltre, nella comunità in virtù della promessa: « Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro » (Mt 18, 20). Presente è egli « soprattutto sotto le specie eucaristiche ».(26) Il mio predecessore Paolo VI ritenne necessario spiegare la singolarità della presenza reale di Cristo nella Eucaristia, che « è chiamata “reale” non per esclusione, come se le altre presenze non fossero “reali”, ma per antonomasia, perché è sostanziale ».(27) Sotto le specie del pane e del vino, « Cristo tutto intero è presente nella sua “realtà fisica” anche corporalmente ».(28)

La Scrittura e l'Eucaristia, quali luoghi di incontro con Cristo, sono richiamati dal racconto dell'apparizione del Risorto ai discepoli di Emmaus. Ma il testo del Vangelo sul giudizio finale (cfr Mt 25, 31-46), in cui viene detto che saremo giudicati sull'amore verso i bisognosi, nei quali misteriosamente è presente il Signore Gesù, indica che non bisogna trascurare un terzo luogo di incontro con Cristo: « le persone, specialmente i poveri, con i quali Cristo si identifica ».(29) Alla chiusura del Concilio Vaticano II, il Papa Paolo VI ricordava che « nel volto d'ogni uomo, specialmente se reso trasparente dalle sue lacrime e dai suoi dolori, possiamo e dobbiamo ravvisare il volto di Cristo (cfr Mt 25, 40), il Figlio dell'uomo ».(30)

CAPITOLO II

L'INCONTRO CON GESÙ CRISTO
NELL'OGGI DELL'AMERICA

« A chiunque fu dato molto,
molto sarà chiesto »
(Lc 12, 48)

La situazione degli uomini e delle donne d'America
e il loro incontro con il Signore

13. Nei Vangeli vengono narrati gli incontri con Cristo di persone in situazioni molto diverse. A volte si tratta di situazioni di peccato, che lasciano trasparire il bisogno della conversione e del perdono del Signore. In altre circostanze emergono atteggiamenti positivi di ricerca della verità, di autentica fiducia in Gesù, che favoriscono lo stabilirsi di una relazione di amicizia con Lui e stimolano il desiderio di imitarlo. Né possono essere dimenticati i doni con i quali il Signore prepara alcuni ad un incontro successivo. Così Dio, rendendo Maria « piena di grazia » (Lc 1, 28) sin dal primo momento, la preparò in vista della realizzazione in lei del suo più alto incontro con la natura umana: il mistero ineffabile dell'Incarnazione.

Poiché i peccati come le virtù sociali non esistono in astratto, ma sono il risultato di atti personali,(31) è necessario tener presente che l'America è oggi una realtà complessa, frutto delle tendenze e dei modi di procedere degli uomini e delle donne che la abitano. E in questa situazione reale e concreta che essi devono incontrarsi con Gesù.

L'identità cristiana dell'America

14. Il dono più grande che l'America ha ricevuto dal Signore è la fede, che ne ha forgiato l'identità cristiana. Sono già più di cinquecento anni che il nome di Cristo è stato annunciato nel Continente. Frutto dell'evangelizzazione che ha accompagnato i movimenti migratori dall'Europa è la fisionomia religiosa americana, segnata dai valori morali che, anche se non sempre vissuti coerentemente e in alcune occasioni messi in discussione, possono considerarsi in un certo modo patrimonio di tutti gli abitanti dell'America, anche di coloro che esplicitamente non vi si riconoscono. E chiaro che l'identità cristiana dell'America non può considerarsi come sinonimo di identità cattolica. La presenza di altre confessioni cristiane, in grado maggiore o minore nelle diverse parti dell'America, rende particolarmente urgente l'impegno ecumenico, per ricercare l'unità tra tutti i credenti in Cristo.(32)

Frutti di santità

15. L'espressione e i frutti più alti dell'identità cristiana dell'America sono i Santi. In essi, l'incontro con Cristo vivo « è tanto profondo e impegnativo [...] che diventa fuoco che li consuma totalmente e li spinge a costruire il suo Regno, a far sì che Lui e la nuova alleanza siano il senso e l'anima [...] della vita personale e comunitaria ».(33) L'America ha visto fiorire i frutti della santità sin dagli inizi della sua evangelizzazione. E il caso di santa Rosa da Lima (1586-1617), « il primo fiore di santità nel Nuovo Mondo », proclamata patrona principale dell'America nel 1670 dal Papa Clemente X.(34) A partire da lei, il santorale americano è andato crescendo fino a raggiungere la sua attuale ampiezza.(35) Le beatificazioni e le canonizzazioni con le quali non pochi figli e figlie del Continente sono stati elevati all'onore degli altari offrono modelli eroici di vita cristiana secondo la diversità degli stati e degli ambienti sociali. La Chiesa, beatificandoli o canonizzandoli, addita in essi dei potenti intercessori uniti a Cristo, sommo ed eterno Sacerdote, mediatore tra Dio e gli uomini. I Beati ed i Santi d'America accompagnano con sollecitudine fraterna gli uomini e le donne loro conterranei, tra gioie e sofferenze, fino all'incontro definitivo con il Signore.(36) Per favorire una sempre maggiore loro imitazione ed un più frequente e fruttuoso ricorso da parte dei fedeli alla loro intercessione, considero molto opportuna la proposta dei Padri sinodali di preparare « una collezione di brevi biografie dei Santi e Beati americani. Ciò può illuminare e stimolare in America la risposta alla vocazione universale alla santità ».(37)

Tra i suoi Santi, « la storia della evangelizzazione dell'America riconosce numerosi martiri, uomini e donne, vescovi e presbiteri, religiosi e laici che con il loro sangue irrigarono [...] [queste] nazioni. Essi, come nubi di testimoni (cfr Eb 12, 1), ci stimolano a farci carico oggi, senza timore e con ardore, della nuova evangelizzazione ».(38) E necessario che i loro esempi di dedizione senza limite alla causa del Vangelo siano non solo preservati dall'oblio, ma più conosciuti e diffusi tra i fedeli del Continente. Scrivevo, in proposito, nella Tertio millennio adveniente: « Le Chiese locali facciano di tutto per non lasciar perire la memoria di quanti hanno subito il martirio, raccogliendo la necessaria documentazione ».(39)

La pietà popolare

16. Una caratteristica particolare dell'America è l'esistenza di una intensa pietà popolare radicata nelle diverse Nazioni. Si incontra a tutti i livelli e in tutti i settori sociali, rivestendo un'importanza speciale come luogo di incontro con Cristo per quanti con spirito di povertà ed umiltà di cuore cercano sinceramente Dio (cfr Mt 11, 25). Le espressioni di tale pietà sono numerose: « I pellegrinaggi ai santuari di Cristo, della Beata Vergine e dei Santi, la preghiera per le anime del purgatorio, l'uso dei sacramentali (acqua, olio, ceri...). Queste e tante altre espressioni della pietà popolare offrono ai fedeli l'opportunità di incontrare il Cristo vivente ».(40) I Padri sinodali hanno sottolineato l'urgenza di scoprire, nelle manifestazioni della religiosità popolare, i veri valori spirituali, per arricchirli con gli elementi della genuina dottrina cattolica, affinché tale religiosità possa condurre ad un impegno sincero di conversione e ad un'esperienza concreta di carità.(41) La pietà popolare, se convenientemente orientata, contribuisce anche ad accrescere nei fedeli la consapevolezza della propria appartenenza alla Chiesa, alimentandone il fervore ed offrendo così una risposta valida alle attuali sfide della secolarizzazione.(42)

Dal momento che in America, la pietà popolare è espressione della inculturazione della fede cattolica e molte delle sue manifestazioni hanno assunto forme religiose autoctone, non deve essere sottovalutata la possibilità di trarre anche di lì, con prudenza illuminata, indicazioni valide per una maggiore inculturazione del Vangelo.(43) Ciò riveste rilevante importanza specialmente fra le popolazioni indigene, perché « i semi del Verbo » presenti nella loro cultura giungano alla loro pienezza in Cristo.(44) Simile discorso può farsi per gli americani di origine africana. La Chiesa « riconosce che ha l'obbligo di avvicinarsi a questi americani a partire dalla loro cultura, considerando seriamente le ricchezze spirituali e umane di tale cultura che segna il loro modo di celebrare il culto, il loro senso di gioia e di solidarietà, la loro lingua e le loro tradizioni ».(45)

Presenza cattolico-orientale

17. L'immigrazione in America costituisce quasi una costante della sua storia dall'inizio dell'evangelizzazione fino ai nostri giorni. All'interno di questo complesso fenomeno va segnalato che, negli ultimi tempi, diverse regioni dell'America hanno accolto numerosi membri delle Chiese cattoliche orientali i quali, per diversi motivi, hanno abbandonato i loro territori d'origine. Un primo movimento migratorio proveniva soprattutto dall'Ucraina occidentale; in seguito, esso si è allargato alle nazioni del Medio Oriente. Si è così resa pastoralmente necessaria la creazione di una gerarchia cattolica orientale per questi fedeli immigrati e per i loro discendenti. Le norme emanate dal Concilio Vaticano II, che i Padri sinodali hanno ricordato, riconoscono che le Chiese Orientali « hanno il diritto e il dovere di reggersi secondo le proprie discipline particolari », avendo la missione di rendere testimonianza ad un'antichissima tradizione dottrinale, liturgica e monastica. D'altra parte, queste Chiese devono conservare le proprie discipline, essendo queste « più corrispondenti ai costumi dei loro fedeli e sono ritenute più adatte a provvedere al bene delle anime ».(46) Se alla Comunità ecclesiale universale è necessaria la sinergia tra le Chiese particolari di Oriente e di Occidente per permetterle di respirare con i due polmoni, nella speranza di giungere a farlo pienamente attraverso la perfetta comunione tra la Chiesa cattolica e quelle orientali separate,(47) non c'è che da gioire della recente implantazione in America delle Chiese orientali accanto a quelle latine, ivi presenti sin dall'inizio, perché in tal modo può meglio manifestarsi la cattolicità della Chiesa del Signore.(48)

La Chiesa nel campo dell'educazione e dell'azione sociale

18. Tra i fattori che favoriscono l'influsso della Chiesa sulla formazione cristiana degli americani va segnalata la sua vasta presenza nel campo dell'educazione e, specialmente, nel mondo universitario. Le numerose Università cattoliche disseminate nel Continente costituiscono un tratto caratteristico della vita ecclesiale in America. Così pure nell'ambito dell'insegnamento primario e secondario, l'alto numero di scuole cattoliche offre la possibilità di un'azione evangelizzatrice di portata molto ampia, sempre che sia accompagnata da una decisa volontà di impartire una educazione veramente cristiana.(49)

Altro campo importante in cui la Chiesa è presente in ogni parte d'America è l'assistenza caritativa e sociale. Le molteplici iniziative a favore degli anziani, degli infermi e di quanti sono nel bisogno mediante asili, ospedali, dispensari, mense gratuite e altri centri sociali, sono palpabile testimonianza dell'amore preferenziale per i poveri che la Chiesa in America nutre mossa dall'amore del Signore e consapevole che « Gesù si è identificato con loro (cfr Mt 25, 31-46) ».(50) In questo compito che non conosce frontiere, essa ha saputo creare una coscienza di solidarietà concreta tra le diverse comunità del Continente e del mondo intero, manifestando così la fraternità che deve caratterizzare i cristiani di ogni tempo e luogo.

Il servizio ai poveri, perché sia evangelico ed evangelizzatore, deve essere riflesso fedele dell'atteggiamento di Gesù, che venne « per annunciare ai poveri la Buona Novella » (Lc 4, 18). Se svolto con questo spirito, esso diventa manifestazione dell'amore infinito di Dio per tutti gli uomini e modo eloquente di trasmettere la speranza di salvezza che Cristo ha portato al mondo, e che risplende in modo particolare quando è comunicata agli abbandonati o ai rifiutati dalla società.

Questa costante dedizione ai poveri ed ai diseredati si riflette nel Magistero sociale della Chiesa, che non si stanca di invitare la comunità cristiana ad impegnarsi per il superamento di ogni forma di sfruttamento e di oppressione. Si tratta, infatti, non soltanto di alleviare i bisogni più gravi e urgenti mediante azioni individuali o sporadiche, ma di evidenziare le radici del male, proponendo interventi che diano alle strutture sociali, politiche ed economiche una configurazione più giusta e solidale.

Crescente rispetto dei diritti umani

19. Nell'ambito civile, ma con implicazioni morali immediate, si devono segnalare, tra gli aspetti positivi dell'America di oggi, la crescente affermazione in tutto il Continente di sistemi politici democratici e la progressiva riduzione dei regimi dittatoriali. La Chiesa guarda con simpatia a questa evoluzione, nella misura in cui ciò favorisce un sempre più chiaro rispetto dei diritti di ciascuno, compresi quelli dell'inquisito e del reo, nei cui confronti non è legittimo il ricorso a metodi di detenzione e di indagine — il pensiero va in particolare alla tortura — lesivi della dignità umana. « Lo stato di diritto è, in effetti, la condizione necessaria per stabilire una vera democrazia ».(51)

L'esistenza di uno stato di diritto, peraltro, implica nei cittadini, e molto più nella classe dirigente, la convinzione che la libertà non può essere svincolata dalla verità.(52) In effetti, « i gravi problemi che minacciano la dignità della persona umana, la famiglia, il matrimonio, l'educazione, l'economia e le condizioni di lavoro, la qualità della vita e la vita stessa, propongono la questione del diritto ».(53) I Padri sinodali con ragione hanno sottolineato che « i diritti fondamentali della persona umana sono scritti nella stessa natura, che sono voluti da Dio e che perciò esigono una universale osservanza e accettazione. Nessuna autorità umana può trasgredirli appellandosi alla maggioranza o al consenso politico, con il pretesto che in tal modo vengono rispettati il pluralismo e la democrazia. Perciò, la Chiesa deve impegnarsi nel formare e accompagnare i laici che sono presenti nell'ambito legislativo, nel governo e nell'amministrazione della giustizia, perché le leggi esprimano sempre principi e valori morali che siano conformi ad una sana antropologia e che tengano presente il bene comune ».(54)

Il fenomeno della globalizzazione

20. Caratteristica del mondo contemporaneo è la tendenza alla globalizzazione, fenomeno che, pur non essendo esclusivamente americano, è più percettibile ed ha maggiori ripercussioni in America. Si tratta di un processo che si impone a motivo della maggiore comunicazione delle diverse parti del mondo tra loro, conducendo in pratica al superamento delle distanze, con effetti evidenti in campi molto differenti.

I risvolti dal punto di vista etico possono essere positivi o negativi. C'è in realtà una globalizzazione economica che porta con sé alcune conseguenze positive come il fenomeno della efficienza e l'incremento della produzione e che, con lo sviluppo delle relazioni tra i diversi paesi in ambito economico, può rinforzare il processo di unità dei popoli e rendere migliore il servizio alla famiglia umana. Se però la globalizzazione è retta dalle pure leggi del mercato applicate secondo la convenienza dei potenti, le conseguenze non possono essere che negative. Tali sono, ad esempio, l'attribuzione di un valore assoluto all'economia, la disoccupazione, la diminuzione e il deterioramento di alcuni servizi pubblici, la distruzione dell'ambiente e della natura, l'aumento delle differenze tra ricchi e poveri, la concorrenza ingiusta che pone le Nazioni povere in una situazione di inferiorità sempre più marcata.(55) La Chiesa, sebbene stimi i valori positivi che la globalizzazione comporta, guarda con inquietudine agli aspetti negativi da essa veicolati.

E che dire della globalizzazione culturale prodotta dalla forza dei mezzi di comunicazione sociale? Essi impongono dappertutto nuove scale di valori, sovente arbitrari e nel fondo materialistici, di fronte ai quali è difficile mantenere viva l'adesione ai valori del Vangelo.

La crescente urbanizzazione

21. In crescita in America è pure il fenomeno dell'urbanizzazione. Già da alcuni lustri il Continente sta vivendo un esodo costante dalle campagne alla città. Si tratta di un fenomeno complesso già descritto dal mio predecessore Paolo VI.(56) Diverse sono le cause, ma tra queste emergono principalmente la povertà ed il sottosviluppo delle zone rurali, dove frequentemente mancano servizi, comunicazioni, strutture educative e sanitarie. La città, inoltre, con le connotazioni di divertimento e di benessere con cui viene presentata non poche volte dai mezzi di comunicazione sociale, esercita un'attrazione speciale per la gente semplice dell'ambiente rurale.

La frequente mancanza di pianificazione in questo processo è fonte di molti mali. Come hanno segnalato i Padri sinodali, « in certi casi, talune zone delle città sono come delle isole nelle quali si accumula la violenza, la delinquenza giovanile e l'atmosfera di disperazione ».(57) Il fenomeno dell'urbanizzazione presenta poi grandi sfide per l'azione pastorale della Chiesa, che deve far fronte allo sradicamento culturale, alla perdita di consuetudini familiari, al distacco dalle proprie tradizioni religiose, con la conseguenza non infrequente del naufragio della fede, privata di quelle manifestazioni che contribuivano a sostenerla.

Evangelizzare la cultura urbana costituisce una sfida formidabile per la Chiesa, che come per secoli seppe evangelizzare la cultura rurale, così è chiamata oggi a portare a compimento un'evangelizzazione urbana metodica e capillare mediante la catechesi, la liturgia e il modo stesso di organizzare le proprie strutture pastorali.(58)

Il peso del debito estero

22. I Padri sinodali hanno manifestato preoccupazione per il debito estero che affligge non poche Nazioni americane, esprimendo solidarietà nei loro confronti. Essi richiamano con forza l'attenzione dell'opinione pubblica sulla complessità del tema, riconoscendo che « il debito è frequentemente frutto della corruzione e della cattiva amministrazione ».(59) Nello spirito della riflessione sinodale tale riconoscimento non pretende di concentrare in un solo polo le responsabilità di un fenomeno sommamente complesso nella sua origine e nelle sue soluzioni.(60)

In effetti, tra le cause che hanno contribuito al formarsi di un debito estero schiacciante, vanno segnalati non solo gli elevati interessi, frutto di politiche finanziarie speculative, ma anche l'irresponsabilità di alcuni governanti che, nel contrarre il debito, non hanno riflettuto sufficientemente sulle reali possibilità di estinguerlo, con l'aggravante che somme ingenti ottenute grazie a prestiti internazionali vanno talora ad arricchire persone singole, invece che essere destinate a sostenere i cambiamenti necessari per lo sviluppo del Paese. D'altra parte, sarebbe ingiusto far pesare le conseguenze di tali decisioni irresponsabili su chi non le ha assunte. La gravità della situazione è ancor più comprensibile se si tien conto che « già il solo pagamento degli interessi costituisce per l'economia delle Nazioni povere un peso che toglie alle autorità la disponibilità del denaro necessario per lo sviluppo sociale, l'educazione, la sanità e la istituzione di un fondo per creare lavoro ».(61)

La corruzione

23. La corruzione, frequentemente presente tra le cause del debito pubblico opprimente, è un problema grave che va attentamente considerato. La corruzione « senza rispettare confini, riguarda persone, strutture pubbliche e private di potere e le classi dirigenti ». Si tratta di una situazione che « favorisce l'impunità e l'accumulo illecito del denaro, la mancanza di fiducia verso le istituzioni politiche, soprattutto nell'amministrazione della giustizia e negli investimenti pubblici, non sempre chiari, uguali per tutti e efficaci ».(62)

A tale proposito, desidero ricordare quanto ho scritto nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1998, che cioè la piaga della corruzione va denunciata e combattuta con forza da coloro che detengono l'autorità e con il « sostegno generoso di tutti i cittadini, sorretti da una forte coscienza morale ».(63) Gli adeguati organismi di controllo e la trasparenza delle transazioni economiche e finanziarie prevengono ulteriormente ed evitano in molti casi il dilagare della corruzione, le cui nefaste conseguenze ricadono principalmente sui più poveri e derelitti. Sono ancora i poveri a soffrire per primi i ritardi, l'inefficienza, l'assenza di una difesa adeguata e le carenze strutturali, quando ad essere corrotta è l'amministrazione della giustizia.

Il commercio e il consumo di droga

24. Il commercio col conseguente consumo di sostanze stupefacenti costituisce una seria minaccia per le strutture sociali delle Nazioni in America. Esso « contribuisce ai crimini ed alla violenza, alla distruzione della vita familiare, alla distruzione fisica ed emotiva di molti individui e comunità, soprattutto tra i giovani. Corrode inoltre la dimensione etica del lavoro e contribuisce ad aumentare il numero di persone nelle carceri, in una parola, al degrado della persona creata ad immagine di Dio ».(64) Un tale nefasto commercio porta inoltre a « distruggere governi, corrodendo la sicurezza economica e la stabilità delle Nazioni ».(65) Siamo qui in presenza di una delle sfide più urgenti con cui devono misurarsi molte Nazioni nel mondo: è infatti una sfida che pone in forse gran parte dei vantaggi ottenuti negli ultimi tempi per il progresso dell'umanità. Per alcune Nazioni in America, la produzione, il traffico ed il consumo di droghe costituiscono fattori compromettenti per il loro prestigio internazionale, perché riducono la loro credibilità e rendono più difficile quell'auspicata collaborazione con altri Paesi, che è tanto necessaria nei nostri giorni per lo sviluppo armonico di ogni popolo.

La preoccupazione per l'ecologia

25. « E Dio vide che era cosa buona » (Gn 1, 25). Queste parole che leggiamo nel primo capitolo del libro della Genesi, offrono il senso dell'opera da lui realizzata. Il Creatore affida all'uomo, coronamento di tutto il processo creativo, la cura della terra (cfr Gn 2, 15). Nascono da qui obblighi concreti per ogni persona in ordine all'ecologia. Il loro adempimento suppone l'apertura ad una prospettiva spirituale ed etica che superi gli atteggiamenti e « gli stili di vita egoistici che portano all'esaurimento delle risorse naturali ».(66)

Anche in questo settore, oggi tanto attuale, l'intervento dei credenti è quanto mai importante. E necessaria la collaborazione di tutti gli uomini di buona volontà con le istanze legislative e di governo per conseguire una protezione efficace dell'ambiente, considerato come dono di Dio. Quanti abusi e danni ecologici anche in molte regioni americane! Basti pensare all'incontrollata emissione di gas nocivi o al drammatico fenomeno degli incendi forestali, provocati talvolta intenzionalmente da persone mosse da interessi egoistici. Tali devastazioni possono condurre ad una reale desertificazione in non poche zone dell'America con le inevitabili conseguenze di fame e di miseria. Il problema si pone, con speciale intensità, nella foresta amazzonica, immenso territorio che interessa varie nazioni: dal Brasile alla Guyana, al Suriname, al Venezuela, alla Colombia, all'Ecuador, al Perù ed alla Bolivia.(67) E uno degli spazi naturali più apprezzati nel mondo per la sua diversità biologica, che lo rende vitale per l'equilibrio ambientale di tutto il pianeta.

CAPITOLO III

CAMMINO DI CONVERSIONE

« Pentitevi dunque e cambiate vita » (At 3, 19)

Urgenza della chiamata alla conversione

26. « Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo » (Mc 1, 15). Queste parole, con le quali Gesù diede inizio al suo ministero in Galilea, continuamente risuonano alle orecchie di Vescovi, presbiteri, diaconi, persone consacrate e fedeli laici di tutta l'America. Come la recente celebrazione del quinto centenario dell'inizio dell'evangelizzazione dell'America, così anche la commemorazione dei 2000 anni della nascita di Gesù, il grande Giubileo appunto che ci apprestiamo a celebrare, costituiscono altrettanti richiami ad approfondire la propria vocazione cristiana. La grandezza dell'evento dell'Incarnazione e la gratitudine per il dono del primo annuncio del Vangelo in America invitano a rispondere prontamente a Cristo con una più convinta conversione personale e, al tempo stesso, stimolano a sempre più generosa fedeltà evangelica. L'esortazione di Cristo a convertirsi trova eco in quella dell'Apostolo: « E ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché la nostra salvezza è più vicina ora di quando diventammo credenti » (Rm 13, 11). L'incontro con Gesù vivo spinge alla conversione.

Nel Nuovo Testamento per parlare di conversione viene utilizzata la parola metanoia, che significa cambiamento di mentalità. Non si tratta solo di un diverso modo di pensare a livello intellettuale, ma della revisione alla luce dei criteri evangelici delle proprie convinzioni operative. San Paolo parla, a questo proposito, di « fede che opera per mezzo della carità » (Gal 5, 6). Per questo l'autentica conversione va preparata e coltivata mediante la lettura orante della Sacra Scrittura e la pratica dei sacramenti della Riconciliazione e dell'Eucaristia. La conversione conduce alla comunione fraterna, perché fa comprendere che Cristo è il capo della Chiesa, suo mistico corpo; spinge alla solidarietà, perché rende consapevoli che quanto facciamo agli altri, specialmente ai più bisognosi, è rivolto a Cristo. Essa favorisce, pertanto, una vita nuova, nella quale non vi sia separazione tra fede ed opere nella quotidiana risposta all'universale chiamata alla santità. Superare la frattura tra la fede e la vita è indispensabile, perché si possa effettivamente parlare di conversione. In presenza, infatti, di tale divisione, il cristianesimo diventa soltanto nominale. Per essere vero discepolo del Signore, il credente dev'essere testimone della propria fede ed « il testimone rende la sua testimonianza non solo con le parole, ma anche con la propria vita ».(68) Dobbiamo tener presenti le parole di Gesù: « Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli » (Mt 7, 21). L'apertura alla volontà del Padre suppone una totale disponibilità, che non escluda nemmeno il dono della vita: « La massima testimonianza è il martirio ».(69)

Dimensione sociale della conversione

27. La conversione non è però completa se manca la coscienza delle esigenze della vita cristiana e se non ci si sforza di realizzarle. A questo proposito i Padri sinodali hanno rilevato che purtroppo « esistono grandi carenze di ordine personale e comunitario riguardo sia ad una conversione più profonda che alle relazioni tra gli ambienti, le istituzioni e i gruppi nella Chiesa ».(70) « Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede » (1 Gv 4, 20).

La carità fraterna implica attenzione a tutte le necessità del prossimo. « Se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l'amore di Dio? » (1 Gv 3, 17). Per questo, convertirsi al Vangelo per il popolo cristiano che vive in America significa rivedere « tutti gli ambienti e le dimensioni della vita, specialmente tutto ciò che concerne l'ordine sociale ed il conseguimento del bene comune ».(71) In modo speciale, occorrerà « coltivare la crescente coscienza sociale della dignità di ogni persona e, perciò, promuovere nella comunità la sensibilità al dovere di partecipare all'azione politica secondo il Vangelo ».(72) E chiaro infatti che anche l'attività in campo politico fa parte della vocazione e dell'azione dei fedeli laici.(73)

A questo proposito, tuttavia, si rivela di grande importanza, soprattutto in una società pluralistica, avere una giusta visione dei rapporti tra la comunità politica e la Chiesa ed una chiara distinzione tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in proprio nome, come cittadini, guidati dalla coscienza cristiana, e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro Pastori. La Chiesa, che, in ragione del suo ufficio e della sua competenza, in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico, è insieme il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana.(74)

Conversione permanente

28. La conversione quaggiù è traguardo mai pienamente raggiunto: nel cammino che il discepolo è chiamato a percorrere sulle orme di Gesù, essa è impegno che investe tutta la vita. D'altro canto, mentre siamo in questo mondo, il nostro proposito di conversione è sempre insidiato dalle tentazioni. Dal momento che « nessuno può servire a due padroni » (Mt 6, 24), il cambiamento di mentalità (metanoia) consiste nello sforzo di assimilare i valori evangelici, che contrastano con le tendenze dominanti nel mondo. E necessario, pertanto, rinnovare costantemente « l'incontro con Gesù Cristo vivo », via questa che, come hanno messo in luce i Padri sinodali, « ci conduce alla conversione permanente ».(75)

La chiamata universale alla conversione acquista sfumature particolari per la Chiesa che è in America, impegnata anch'essa nel rinnovamento della propria fede. I Padri sinodali hanno così formulato quest'impegno concreto ed esigente: « Questa conversione esige specialmente da noi Vescovi un'autentica identificazione con lo stile personale di Gesù Cristo, che ci conduce alla semplicità, alla povertà, al farci prossimo, alla rinuncia ai vantaggi, affinché, come Lui, senza riporre la nostra fiducia nei mezzi umani, traiamo dalla forza dello Spirito e dalla Parola tutta l'efficacia del Vangelo, rimanendo aperti anzitutto a quanti sono maggiormente lontani ed esclusi ».(76) Per essere Pastori secondo il cuore di Dio (cfr Ger 3, 15), è indispensabile assumere un modo di vivere che assimili a Colui che disse di se stesso: « Io sono il buon pastore » (Gv 10, 11), e che san Paolo pone in evidenza quando scrive: « Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo » (1 Cor 11, 1).

Guidati dallo Spirito Santo verso un nuovo stile di vita

29. La proposta di un nuovo stile di vita non è solo per i Pastori, bensì per tutti i cristiani che vivono in America. Ad essi viene chiesto di approfondire e fare propria l'autentica spiritualità cristiana. « In effetti, col termine spiritualità si intende uno stile o una forma di vita secondo le esigenze cristiane. Spiritualità è “vita in Cristo” e “nello Spirito”, che si accetta nella fede, si esprime nell'amore e, animata di speranza, si traduce nel quotidiano della comunità ecclesiale ».(77) In questo senso, per spiritualità, che è la meta a cui conduce la conversione, si intende non « una parte della vita, bensì la vita intera guidata dallo Spirito Santo ».(78) Tra gli elementi di spiritualità che ogni cristiano deve fare propri, spicca la preghiera. Essa lo « condurrà a poco a poco ad acquisire uno sguardo contemplativo sulla realtà, che gli permetterà di riconoscere Dio in ogni momento e in ogni cosa; di contemplarlo in ogni persona; di cercare la sua volontà negli avvenimenti ».(79)

La preghiera sia personale che liturgica è dovere di ogni cristiano. « Gesù Cristo, vangelo del Padre, ci avverte che senza di Lui non possiamo far nulla (cfr Gv 15, 5). Egli stesso, nei momenti decisivi della sua vita, prima di agire, si ritirava in un luogo solitario per dedicarsi alla preghiera ed alla contemplazione, e domandò agli Apostoli che facessero altrettanto ».(80) Ai suoi discepoli, senza eccezioni, egli ricorda: « Entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto » (Mt 6, 6). Questa intensa vita di preghiera dev'essere adattata alle capacità e condizioni di ogni cristiano, così che ciascuno nelle diverse situazioni della vita possa attingere « alla fonte del suo incontro con Cristo per abbeverarsi all'unico Spirito (cfr 1 Cor 12, 13) ».(81) In questo senso, la dimensione contemplativa non è un privilegio riservato a pochi; al contrario nelle parrocchie, nelle comunità e all'interno dei movimenti va promossa una spiritualità aperta e orientata alla contemplazione delle verità fondamentali della fede: i misteri della Trinità, dell'Incarnazione del Verbo, della Redenzione degli uomini, e le altre grandi opere salvifiche di Dio.(82)

Gli uomini e le donne dediti esclusivamente alla contemplazione svolgono una missione fondamentale nella Chiesa che è in America. Essi costituiscono, secondo l'espressione del Concilio Vaticano II, « una gloria per la Chiesa e una sorgente di grazie celesti ».(83) Per questo, i monasteri disseminati in ogni parte del Continente devono essere « oggetto di speciale amore da parte dei Pastori, i quali siano pienamente persuasi che le anime dedite alla vita contemplativa ottengono abbondanza di grazia, mediante la preghiera, la penitenza e la contemplazione, a cui consacrano la vita. I contemplativi devono esser consapevoli che sono inseriti nella missione della Chiesa nel tempo presente e che, con la testimonianza della propria vita, cooperano al bene spirituale dei fedeli aiutandoli a cercare il volto di Dio nell'esistenza quotidiana ».(84)

La spiritualità cristiana si alimenta anzitutto di costante vita sacramentale, essendo i Sacramenti radice e fonte inesauribile della grazia di Dio necessaria per sostenere il credente nel suo pellegrinaggio terreno. Tale vita dev'essere integrata con i valori della pietà popolare, valori che a loro volta risulteranno arricchiti dalla pratica sacramentale ed affrancati dal pericolo di degenerare inconsuetudini ripetitive. Va inoltre notato che questa spiritualità non si contrappone alla dimensione sociale dell'impegno cristiano. Al contrario, attraverso un cammino di preghiera il credente si rende più cosciente delle esigenze del Vangelo e dei suoi doveri nei confronti dei fratelli, ottenendo la forza della grazia indispensabile per perseverare nel bene. Per maturare spiritualmente, il cristiano farà bene a ricorrere al consiglio dei sacri ministri o di altre persone esperte in questo campo mediante la direzione spirituale, pratica tradizionalmente presente nella Chiesa. I Padri sinodali hanno creduto necessario raccomandare ai sacerdoti questo ministero tanto importante.(85)

Vocazione universale alla santità

30. « Siate santi, perché io, il Signore, Dio vostro, sono santo » (Lv 19, 2). L'Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per l'America ha voluto ricordare con vigore a tutti i cristiani l'importanza della dottrina della universale vocazione alla santità nella Chiesa.(86) Si tratta di uno dei punti centrali della Costituzione dogmatica sulla Chiesa del Concilio Vaticano II.(87) La santità è la meta del cammino di conversione, poiché essa « non è fine a se stessa, bensì itinerario verso Dio, che è santo. Essere santi è imitare Dio e glorificare il suo nome nelle opere che realizziamo nella nostra vita (cfr Mt 5, 16) ».(88) Nel cammino della santità, Gesù Cristo è il punto di riferimento e il modello da imitare: Egli è « il Santo di Dio e fu riconosciuto come tale (cfr Mc 1, 24). E Lui stesso ad insegnarci che il cuore della santità è l'amore, che conduce anche a dare la vita per gli altri (cfr Gv 15, 13). Per questo, imitare la santità di Dio, così come si è manifestato in Gesù Cristo, suo Figlio, non è altro che prolungare il suo amore nella storia, specialmente nei confronti dei poveri, dei malati, degli indigenti (cfr Lc 10, 25ss) ».(89)

Gesù, unica via alla santità

31. « Io sono la Via, la Verità e la Vita » (Gv 14, 6). Con queste parole, Gesù si presenta come l'unica via che conduce alla santità. Ma la conoscenza concreta di tale itinerario avviene principalmente mediante la Parola di Dio che la Chiesa proclama con la sua predicazione. Per questo, la Chiesa in America « deve assegnare una chiara priorità alla riflessione orante sulla Sacra Scrittura, da parte di tutti i fedeli ».(90) Questa lettura della Bibbia, accompagnata dalla preghiera, è nota nella tradizione della Chiesa con il nome di Lectio divina, pratica da incoraggiare fra tutti i cristiani. Per i presbiteri, essa deve costituire un elemento fondamentale nella preparazione delle loro omelie, specialmente di quelle domenicali.(91)

Penitenza e riconciliazione

32. La conversione (metanoia), a cui ogni essere umano è chiamato, porta ad accettare e fare propria la nuova mentalità proposta dal Vangelo. Questo chiede l'abbandono del modo di pensare e di agire mondano, che tante volte condiziona pesantemente l'esistenza. Come ricorda la Sacra Scrittura, è necessario che muoia l'uomo vecchio e nasca l'uomo nuovo, cioè, che tutto l'essere umano si rinnovi « per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore » (Col 3, 10). In tale cammino di conversione e di ricerca della santità « si devono raccomandare i mezzi ascetici da sempre presenti nella prassi della Chiesa, che culminano nel Sacramento del perdono, ricevuto e celebrato con le debite disposizioni ».(92) Solo chi è riconciliato con Dio è protagonista di autentica riconciliazione con e tra i fratelli.

L'attuale crisi del sacramento della Penitenza, da cui non è esente la Chiesa che è in America e circa la quale ho espresso la mia preoccupazione fin dall'inizio del mio Pontificato,(93) potrà essere superata grazie anche ad un'azione pastorale assidua e paziente.

Al riguardo, i Padri sinodali chiedono giustamente « che i sacerdoti dedichino il debito tempo alla celebrazione del sacramento della Penitenza, ed invitino con insistenza e con forza i fedeli a riceverlo, senza che i Pastori trascurino la loro frequente confessione personale ».(94) I Vescovi ed i sacerdoti sperimentano personalmente il misterioso incontro con Cristo che perdona nel sacramento della Penitenza e sono del suo amore misericordioso testimoni privilegiati.

La Chiesa cattolica, che abbraccia uomini e donne « di ogni nazione, razza, popolo e lingua » (Ap 7, 9), è chiamata ad essere, « in un mondo segnato da divisioni ideologiche, etniche, economiche e culturali », il « segno vivo dell'unità della famiglia umana ».(95) L'America, sia nella complessa realtà delle singole Nazioni e nella varietà dei diversi gruppi etnici, sia nei tratti caratterizzanti l'intero Continente, presenta molte differenze che non vanno ignorate ed alle quali è doveroso prestare attenzione. Grazie ad un'efficace opera di integrazione tra i membri del Popolo di Dio all'interno d'ogni Paese e tra i membri delle Chiese particolari delle diverse Nazioni, le differenze di oggi potranno essere fonte di mutuo arricchimento. Come affermano giustamente i Padri sinodali, « è di grande importanza che la Chiesa in tutta l'America sia segno vivo di una comunione riconciliata, appello permanente alla solidarietà, testimonianza sempre presente nei nostri diversi sistemi politici, economici e sociali ».(96) Ecco un significativo contributo che i credenti possono offrire all'unità del Continente americano.

CAPITOLO IV

VIA ALLA COMUNIONE

« Come tu, Padre, sei in me e io in te,
siano anch'essi in noi una cosa sola »
(Gv 17, 21)

La Chiesa, sacramento di comunione

33. « Davanti ad un mondo diviso e desideroso di unità è necessario proclamare con gioia e fermezza di fede che Dio è comunione, Padre, Figlio e Spirito Santo, unità nella distinzione, il quale chiama tutti gli uomini a partecipare alla medesima comunione trinitaria. E necessario proclamare che questa comunione è il progetto magnifico di Dio [Padre]; che Gesù Cristo, fattosi uomo, è il centro di questa stessa comunione, e che lo Spirito Santo opera costantemente per creare la comunione e restaurarla quando si è rotta. E necessario proclamare che la Chiesa è segno e strumento della comunione voluta da Dio, iniziata nel tempo e destinata alla perfezione nella pienezza del Regno ».(97) La Chiesa è segno di comunione perché i suoi membri, come i tralci, sono partecipi della stessa vita di Cristo, la vera vite (cfr Gv 15, 5). In effetti, mediante la comunione con Cristo, Capo del Corpo mistico, entriamo in comunione viva con tutti i credenti.

Questa comunione, esistente nella Chiesa ed essenziale alla sua natura,(98) deve manifestarsi attraverso segni concreti, « come potrebbero essere: la preghiera in comune gli uni per gli altri, l'impulso alle relazioni tra le Conferenze Episcopali, i legami tra Vescovo e Vescovo, le relazioni di fraternità tra le diocesi e le parrocchie, e la mutua comunicazione tra operatori pastorali per attività missionarie specifiche ».(99) Essa chiede di conservare il deposito della fede nella sua purezza ed integrità, nonché l'unità dell'intero Collegio dei Vescovi sotto l'autorità del Successore di Pietro. In tale contesto, i Padri sinodali hanno rilevato che « il rafforzamento del ministero petrino è fondamentale per la preservazione dell'unità della Chiesa », e che « il pieno esercizio del primato di Pietro è fondamentale per l'identità e la vitalità della Chiesa in America ». (100) Per mandato del Signore, a Pietro ed ai suoi Successori appartiene il compito di confermare nella fede i fratelli (cfr Lc 22, 32) e di pascere l'intero gregge di Cristo (cfr Gv 21, 15-17). Così pure, il Successore del principe degli Apostoli è chiamato ad essere la pietra sulla quale la Chiesa è edificata, ed a esercitare il ministero derivante dall'essere egli depositario delle chiavi del Regno (cfr Mt 16, 18-19). Il Vicario di Cristo è, infatti, « il perpetuo principio di [...] unità e il fondamento visibile » della Chiesa. (101)

Iniziazione cristiana e comunione

34. La comunione di vita nella Chiesa si ottiene mediante i sacramenti dell'iniziazione cristiana: Battesimo, Confermazione ed Eucaristia. Il Battesimo è « la porta d'ingresso alla vita spirituale; per mezzo di esso diventiamo membra del Cristo ed entriamo a far parte del corpo della Chiesa ». (102) I battezzati, ricevendo la Confermazione, « vengono vincolati più perfettamente alla Chiesa, sono arricchiti di una speciale forza dallo Spirito Santo e in questo modo sono più strettamente obbligati a diffondere e a difendere con la parola e con l'opera la fede come veri testimoni di Cristo ». (103) L'itinerario dell'iniziazione cristiana raggiunge il suo perfezionamento ed il suo culmine con l'Eucaristia, per la quale il battezzato si inserisce pienamente nel Corpo di Cristo. (104)

« Questi sacramenti sono un'eccellente opportunità per una buona evangelizzazione e catechesi, quando la loro preparazione è affidata ad operatori dotati di fede e competenza ». (105) Benché nelle diverse Diocesi dell'America vi sia stato un innegabile progresso nella preparazione ai Sacramenti dell'iniziazione cristiana, i Padri sinodali hanno tuttavia lamentato che « sono molti coloro che li ricevono senza la sufficiente formazione ». (106) Nel caso poi del Battesimo di bambini, non si deve omettere uno sforzo catechistico nei confronti dei genitori e dei padrini.

L'Eucaristia, centro di comunione con Dio e con i fratelli

35. La realtà dell'Eucaristia non si esaurisce nel fatto di essere il Sacramento in cui culmina l'iniziazione cristiana. Mentre il Battesimo e la Confermazione hanno la funzione di iniziare ed introdurre alla vita propria della Chiesa, e non sono reiterabili, (107) l'Eucaristia costituisce il centro vivo permanente intorno al quale si raduna l'intera comunità ecclesiale. (108) I diversi aspetti di questo Sacramento ne mostrano l'inesauribile ricchezza: esso è, al tempo stesso, Sacramento-sacrificio, Sacramento-comunione, Sacramento-presenza. (109)

L'Eucaristia è il luogo privilegiato per l'incontro con Cristo vivo. Per questo, i Pastori del Popolo di Dio in America, mediante la predicazione e la catechesi, devono sforzarsi di « dare alla celebrazione eucaristica domenicale una nuova forza, come fonte e culmine della vita della Chiesa, garanzia della comunione nel Corpo di Cristo e invito alla solidarietà come espressione del mandato del Signore: “Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13, 34) ». (110) Come suggeriscono i Padri sinodali, tale sforzo deve tener conto di varie dimensioni fondamentali. Anzitutto, è necessario risvegliare nei fedeli la consapevolezza che l'Eucaristia è un immenso dono: ciò li porterà a fare il possibile per parteciparvi in modo attivo e degno almeno la domenica e i giorni di festa. Al tempo stesso, devono essere incoraggiati « gli sforzi dei sacerdoti per facilitare questa partecipazione e renderla possibile alle comunità più lontane ». (111) Occorre richiamare ai fedeli che « la partecipazione piena, cosciente ed attiva, benché essenzialmente distinta dall'ufficio del sacerdote ordinato, è un'attuazione del sacerdozio comune ricevuto nel Battesimo ». (112)

La necessità che i fedeli partecipino all'Eucaristia e le difficoltà connesse con la scarsità di sacerdoti sottolineano l'urgenza di promuovere le vocazioni sacerdotali. (113) Occorre pure ricordare a tutta la Chiesa in America « il legame esistente tra l'Eucaristia e la carità », (114) legame che la Chiesa primitiva esprimeva unendo l'agape con la Cena eucaristica. (115) La partecipazione all'Eucaristia deve condurre ad un'azione caritativa più intensa, come frutto della grazia ricevuta in questo sacramento.

I Vescovi, promotori di comunione

36. La comunione nella Chiesa, proprio perché segno di vita, deve crescere continuamente. Di conseguenza, i Vescovi, ricordando che « singolarmente presi, sono il principio visibile e il fondamento dell'unità nelle loro Chiese particolari », (116) non possono non sentirsi impegnati a promuovere la comunione nelle loro Diocesi, perché più efficace risulti lo sforzo per la nuova evangelizzazione in America. La tensione comunitaria risulta favorita dagli organismi previsti dal Concilio Vaticano II a sostegno dell'attività del Vescovo diocesano, organismi che la legislazione post-conciliare ha più dettagliatamente definito. (117) « Spetta al Vescovo, con la cooperazione di sacerdoti, diaconi, consacrati e laici [...], realizzare un piano di azione pastorale coordinata, che sia organico e partecipato e che raggiunga tutti i membri della Chiesa e susciti la loro coscienza missionaria ». (118)

Ogni Ordinario non mancherà di promuovere nei sacerdoti e nei fedeli la consapevolezza che la Diocesi è l'espressione visibile della comunione ecclesiale, che si forma alla mensa della Parola e dell'Eucaristia intorno al Vescovo, unito con il Collegio episcopale e sotto il suo Capo, il Romano Pontefice. Essa, in quanto Chiesa particolare, ha il mandato di iniziare ed incrementare l'incontro di tutti i membri del Popolo di Dio con Gesù Cristo, (119) nel rispetto e nella promozione di quella pluralità e di quella diversificazione che non ostacolano l'unità, ma le conferiscono il carattere di comunione. (120) Lo spirito di partecipazione e di corresponsabilità nella vita degli organismi diocesani sarà certamente favorito da una conoscenza più approfondita della natura della Chiesa particolare. (121)

Una comunione più intensa tra le Chiese particolari

37. L'Assemblea Speciale per l'America del Sinodo dei Vescovi, la prima nella storia ad aver riunito Vescovi di tutto il Continente, è stata da tutti percepita come una grazia speciale del Signore alla Chiesa pellegrina in America. Essa ha rafforzato la comunione che deve esistere tra le Comunità ecclesiali del Continente, facendo percepire a tutti l'urgenza di incrementarla ulteriormente. Le esperienze di comunione episcopale, frequenti soprattutto dopo il Concilio Vaticano II per il consolidarsi e il diffondersi delle Conferenze Episcopali, sono da intendersi come incontri con Cristo vivo, presente nei fratelli riuniti nel suo nome (cfr Mt 18, 20).

L'esperienza sinodale ha mostrato altresì le ricchezze di una comunione che si estende oltre gli ambiti della singola Conferenza Episcopale. Benché già esistano forme di dialogo che superano tali confini, i Padri sinodali hanno sottolineato l'opportunità di intensificare le riunioni interamericane, già promosse dalle Conferenze Episcopali delle diverse Nazioni americane, come espressione di solidarietà effettiva e come luogo di incontro e di studio delle comuni sfide all'evangelizzazione in America. (122) Sarà ugualmente opportuno definire con esattezza il carattere di tali incontri, in modo che siano, sempre più, espressione di comunione tra tutti i Pastori. Oltre a queste riunioni più ampie, può essere utile, quando le circostanze lo richiedano, creare commissioni specifiche per approfondire i temi comuni che riguardano tutta l'America. Settori nei quali sembra particolarmente necessario « che si dia impulso alla cooperazione sono le mutue comunicazioni pastorali, la cooperazione missionaria, l'educazione, le migrazioni, l'ecumenismo ». (123)

I Vescovi, ai quali incombe il dovere di promuovere la comunione tra le loro Chiese particolari, non mancheranno di stimolare i fedeli a vivere in misura crescente la dimensione comunitaria, assumendosi « la responsabilità di sviluppare i vincoli di comunione con le Chiese locali in altre zone dell'America mediante l'educazione, la mutua comunicazione, l'unione fraterna tra parrocchie e diocesi, progetti di cooperazione e di prevenzione comune in temi di maggiore importanza, soprattutto in quelli che riguardano i poveri ». (124)

Comunione fraterna con le Chiese cattoliche orientali

38. Il recente fenomeno dell'impiantarsi e dello svilupparsi in America di Chiese particolari cattoliche orientali, dotate di gerarchia propria, è stato oggetto di speciale attenzione da parte di alcuni Padri sinodali. Un sincero desiderio di abbracciare cordialmente ed efficacemente questi fratelli nella fede e nella comunione gerarchica sotto il Successore di Pietro, ha condotto l'Assemblea sinodale a proporre iniziative concrete di aiuto fraterno da parte delle Chiese particolari latine nei confronti di quelle cattoliche orientali presenti nel Continente. Così, per esempio, è stata avanzata l'ipotesi che sacerdoti di rito latino, soprattutto se di origine orientale, possano offrire la loro cooperazione liturgica alle comunità orientali, sprovviste di un numero sufficiente di presbiteri. Ugualmente per gli edifici sacri, i fedeli orientali potranno utilizzare, nei casi in cui ciò apparirà conveniente, le chiese di rito latino.

In questo spirito di comunione meritano di essere considerate varie proposte dei Padri sinodali: che, là dove è necessario, si dia vita, nelle Conferenze Episcopali nazionali e negli organismi internazionali di cooperazione episcopale, ad una commissione mista incaricata di studiare i problemi pastorali comuni; che la catechesi e la formazione teologica per i laici ed i seminaristi della Chiesa latina includano la conoscenza della tradizione viva dell'Oriente cristiano; che i Vescovi delle Chiese cattoliche orientali partecipino alle Conferenze Episcopali latine delle rispettive Nazioni. (125) Non c'è dubbio che questa cooperazione fraterna, mentre offrirà un aiuto prezioso alle Chiese orientali, di recente fondazione in America, permetterà alle Chiese particolari latine di arricchirsi con il patrimonio spirituale della tradizione dell'Oriente cristiano.

Il presbiterio come segno di unità

39. « Come membro di una Chiesa particolare, ogni sacerdote dev'essere segno di comunione con il Vescovo essendo suo immediato collaboratore, unito ai suoi fratelli nel presbiterio. Con carità pastorale esercita il suo ministero, principalmente nella comunità che gli è stata affidata, e la conduce all'incontro con Cristo Buon Pastore. La sua vocazione richiede che egli sia segno di unità. Per questo deve evitare qualunque partecipazione all'attività politica di tipo partitico, che dividerebbe la comunità ». (126) E auspicio dei Padri sinodali che « si sviluppi un'azione pastorale a favore del clero diocesano, che renda più solida la sua spiritualità, la sua missione e la sua identità, il cui centro consiste nella sequela di Cristo Sommo ed Eterno Sacerdote, sempre teso al compimento della volontà del Padre. Egli è il modello della dedizione generosa, della vita austera e del servizio fino alla morte. Il sacerdote sia cosciente del fatto che, in forza del sacramento dell'Ordine, è portatore di grazia, che distribuisce ai fratelli nei sacramenti. Egli stesso si santifica nell'esercizio del ministero ». (127)

Immenso è il campo in cui si svolge l'azione dei sacerdoti. Conviene, pertanto, « che essi pongano al centro della loro attività ciò che è essenziale per il ministero: lasciarsi configurare a Cristo Capo e Pastore, fonte della carità pastorale, offrendo se stessi quotidianamente con Cristo nell'Eucaristia, per aiutare i fedeli a vivere l'incontro personale e comunitario con Gesù Cristo vivo ». (128) Come testimoni e discepoli di Cristo misericordioso, essi sono chiamati a farsi strumenti di perdono e di riconciliazione, impegnandosi generosamente al servizio dei fedeli secondo lo spirito del Vangelo.

I presbiteri, in quanto pastori del Popolo di Dio in America, devono inoltre essere attenti alle sfide del mondo attuale e sensibili ai problemi e alle speranze della loro gente, condividendone le vicissitudini e, soprattutto, assumendo un atteggiamento di solidarietà con i poveri. Avranno cura di discernere i carismi e le qualità dei fedeli capaci di contribuire all'animazione della comunità, ascoltandoli e dialogando con essi, per stimolarne così la partecipazione e la corresponsabilità. Questo favorirà una migliore distribuzione dei compiti, permettendo loro di « dedicarsi a ciò che è più strettamente connesso con l'incontro e l'annuncio di Gesù Cristo, così da rappresentare al meglio, in seno alla comunità, la presenza di Gesù che raduna il suo popolo ». (129)

Quest'opera di discernimento dei carismi s'estenderà anche alla valorizzazione di quei sacerdoti che appaiono atti a compiere particolari ministeri. A tutti i sacerdoti, peraltro, si chiede di prestare il loro aiuto fraterno nel presbiterio e di ricorrere ad esso con fiducia in caso di bisogno.

Di fronte alla splendida realtà di tanti sacerdoti in America che, con la grazia di Dio, si sforzano di far fronte ad una mole di lavoro veramente notevole, faccio mio il desiderio dei Padri sinodali di riconoscere e lodare il loro « infaticabile impegno di pastori, evangelizzatori e animatori della comunione ecclesiale, esprimendo loro gratitudine ed incoraggiandoli a continuare ad offrire la loro vita al servizio del Vangelo ». (130)

Promuovere la pastorale vocazionale

40. Il ruolo indispensabile del sacerdote in seno alla comunità deve render consapevoli tutti i figli della Chiesa in America dell'importanza della pastorale vocazionale. Il Continente americano possiede una gioventù numerosa, ricca di valori umani e religiosi. Per questo, occorre coltivare gli ambienti in cui nascono le vocazioni al sacerdozio ed alla vita consacrata, e invitare le famiglie cristiane ad aiutare i figli qualora si sentano chiamati a seguire tale cammino. (131) In effetti, le vocazioni « sono un dono di Dio » e « nascono nelle comunità di fede, anzitutto nella famiglia, nella parrocchia, nelle scuole cattoliche e in altre organizzazioni della Chiesa. I Vescovi e i presbiteri hanno la speciale responsabilità di stimolare tali vocazioni mediante l'invito personale, e principalmente con la testimonianza di una vita di fedeltà, gioia, entusiasmo e santità. La responsabilità di promuovere vocazioni al sacerdozio compete a tutto il Popolo di Dio e trova il suo principale compimento nella preghiera costante e umile per le vocazioni ». (132)

I seminari, quali luoghi di accoglienza e di formazione dei chiamati al sacerdozio, devono preparare i futuri ministri della Chiesa a vivere « in una solida spiritualità di comunione con Cristo Pastore e di docilità all'azione dello Spirito, che li renderà capaci in modo speciale di discernere le attese del Popolo di Dio e i diversi carismi, e di lavorare insieme ». (133) Per questo, nei seminari « si deve insistere specialmente sulla formazione specificamente spirituale, in modo che con la costante conversione, l'atteggiamento di preghiera, l'accostamento ai sacramenti dell'Eucaristia e della Penitenza, i candidati si formino all'incontro con il Signore e si preoccupino di fortificarsi per il generoso impegno pastorale ». (134) I formatori abbiano cura di accompagnare e guidare i seminaristi verso una maturità affettiva che li renda atti ad abbracciare il celibato sacerdotale e capaci di vivere in comunione con i confratelli nella vocazione sacerdotale. Inoltre, promuovano in essi la capacità di osservazione critica della realtà circostante, così che siano in grado di discernere valori e disvalori, essendo questo un requisito indispensabile per stabilire un dialogo costruttivo con il mondo di oggi.

Particolare attenzione sarà riservata alle vocazioni sbocciate tra gli indigeni: occorre curare una formazione inculturata nel loro ambiente. Questi candidati al sacerdozio, mentre ricevono l'adeguata formazione teologica e spirituale per il loro futuro ministero, non devono smarrire le radici che hanno nella loro cultura. (135)

I Padri sinodali hanno poi voluto ringraziare e benedire tutti coloro che consacrano la vita alla formazione dei futuri presbiteri nei seminari. Hanno pure invitato i Vescovi a destinare a tale compito i sacerdoti più adatti, dopo averli preparati mediante una formazione specifica atta ad abilitarli ad una missione così delicata. (136)

Rinnovare l'istituzione parrocchiale

41. La parrocchia è un luogo privilegiato in cui è possibile per i fedeli fare l'esperienza concreta della Chiesa. (137) Oggi, in America come altrove nel mondo, la parrocchia attraversa talora alcune difficoltà nello svolgimento della propria missione. Essa ha bisogno di un rinnovamento continuo partendo dal principio fondamentale che « la parrocchia deve continuare ad essere primariamente comunità eucaristica ». (138) Tale principio implica che « le parrocchie sono chiamate ad essere accoglienti e solidali, luogo dell'iniziazione cristiana, dell'educazione e della celebrazione della fede, aperte alla varietà di carismi, servizi e ministeri, organizzate in modo comunitario e responsabile, capaci di coinvolgere i movimenti di apostolato già esistenti, attente alla diversità culturale degli abitanti, aperte ai progetti pastorali e sovraparrocchiali ed alle realtà circostanti ». (139)

Una speciale attenzione meritano, per le loro problematiche specifiche, le parrocchie nei grandi agglomerati urbani, dove le difficoltà sono così grandi che le normali strutture pastorali risultano inadeguate e le possibilità di azione apostolica notevolmente ridotte. L'istituzione parrocchiale, tuttavia, conserva la sua importanza e va mantenuta. Per ottenere questo obiettivo, occorre « continuare la ricerca di mezzi con i quali la parrocchia e le sue strutture pastorali giungano ad essere più efficaci nelle zone urbane ». (140) Una via di rinnovamento parrocchiale, particolarmente urgente nelle parrocchie delle grandi città, si può forse trovare considerando la parrocchia come comunità di comunità e di movimenti. (141) Appare perciò opportuno il formarsi di comunità e di gruppi ecclesiali di dimensione tale da permettere vere relazioni umane: ciò consentirà di vivere più intensamente la comunione, avendo cura di coltivarla non solo « ad intra », ma anche con la comunità parrocchiale alla quale tali raggruppamenti appartengono, e con l'intera Chiesa diocesana e universale. Sarà inoltre più facile, all'interno di un simile contesto umano, raccogliersi in ascolto della Parola di Dio, per riflettere alla sua luce sui vari problemi umani, e maturare scelte responsabili ispirate all'amore universale di Cristo. (142) L'istituzione parrocchiale così rinnovata « può suscitare una grande speranza. Può formare la gente in comunità, offrire aiuto alla vita familiare, superare la condizione di anonimato, accogliere le persone e aiutarle ad inserirsi nell'ambito del vicinato e della società ». (143) In tal modo, ogni parrocchia oggi, e particolarmente quelle operanti nelle città, potrà promuovere un'evangelizzazione più personale, e al tempo stesso incrementare le relazioni positive con gli altri operatori sociali, educativi e comunitari. (144)

Inoltre, « questo tipo di parrocchia rinnovata richiede una figura di pastore che, anzitutto, coltivi una profonda esperienza di Cristo vivo, spirito missionario, cuore paterno, sia animatore della vita spirituale ed evangelizzatore capace di promuovere la partecipazione. La parrocchia rinnovata ha bisogno della collaborazione dei laici, di un animatore dell'attività pastorale e della capacità del pastore di lavorare con gli altri. Le parrocchie in America debbono segnalarsi per lo spirito missionario, che le spinga ad estendere la loro azione ai lontani ». (145)

I diaconi permanenti

42. Per seri motivi pastorali e teologici, il Concilio Vaticano II ha deciso di ristabilire il diaconato come grado permanente della gerarchia nella Chiesa latina, lasciando alle Conferenze Episcopali, con l'approvazione del Sommo Pontefice, di valutare l'opportunità di istituire i diaconi permanenti e in quali luoghi. (146) Si tratta di un'esperienza assai varia non solo tra le diverse zone dell'America, ma addirittura tra le diocesi di una medesima regione. « Alcune diocesi hanno formato e ordinato non pochi diaconi, e sono pienamente soddisfatte della loro integrazione e del loro ministero ». (147) Qui si vede con gioia come i diaconi, « sostenuti dalla grazia sacramentale, nel ministero (diaconia) della liturgia, della parola e della carità sono al servizio del Popolo di Dio, in comunione col Vescovo e il suo presbiterio ». (148) Altre diocesi non hanno intrapreso questo cammino, mentre altrove esistono difficoltà nell'integrazione dei diaconi permanenti all'interno della struttura gerarchica.

Fatta salva la libertà delle Chiese particolari di ristabilire, consentendolo il Sommo Pontefice, il diaconato come grado permanente, è chiaro che il buon esito di tale ripristino implica un diligente processo di selezione, una formazione seria ed un'attenzione scrupolosa ai candidati, come pure un sollecito accompagnamento non solo di questi sacri ministri, ma, nel caso dei diaconi sposati, anche della loro famiglia, della loro moglie e dei loro figli. (149)

La vita consacrata

43. La storia dell'evangelizzazione in America costituisce un'eloquente testimonianza dello sforzo missionario compiuto da tante persone consacrate, che, fin dall'inizio, hanno annunciato il Vangelo, hanno difeso i diritti degli indigeni e, con amore eroico a Cristo, si sono dedicati al servizio del Popolo di Dio nel Continente. (150) L'apporto delle persone consacrate all'annuncio del Vangelo in America continua ad essere di enorme importanza; si tratta di un apporto differenziato secondo i carismi propri di ogni gruppo: « gli Istituti di vita contemplativa che testimoniano l'assoluto di Dio, gli Istituti apostolici e missionari che rendono presente Cristo nei più svariati campi dell'esistenza umana, gli Istituti secolari che aiutano a risolvere la tensione tra apertura reale ai valori del mondo moderno e profonda offerta del cuore a Dio. Nascono inoltre nuovi Istituti e nuove forme di vita consacrata, che richiedono discernimento evangelico ». (151)

Poiché « il futuro della nuova evangelizzazione [...] è impensabile senza un rinnovato contributo delle donne, specialmente delle donne consacrate », (152) è urgente favorirne la partecipazione in vari settori della vita ecclesiale, inclusi i processi nei quali si elaborano le decisioni, soprattutto in ciò che le riguarda direttamente. (153)

« Anche oggi la testimonianza della vita pienamente consacrata a Dio è un'eloquente proclamazione del fatto che Egli basta a dare pienezza all'esistenza di qualunque persona ». (154) Questa consacrazione al Signore deve prolungarsi nel generoso servizio alla diffusione del Regno di Dio. Per tale ragione, alle soglie del terzo millennio occorre far sì « che la vita consacrata sia maggiormente stimata e promossa da Vescovi, sacerdoti, e comunità cristiane, e che i consacrati, consapevoli della gioia e della responsabilità della loro vocazione, si integrino pienamente nella Chiesa particolare alla quale appartengono e promuovano la comunione e la mutua collaborazione ». (155)

I fedeli laici e il rinnovamento della Chiesa

44. « La dottrina del Concilio Vaticano II sull'unità della Chiesa, come Popolo di Dio radunato nell'unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, sottolinea che sono comuni alla dignità di tutti i battezzati l'imitazione e la sequela di Cristo, la comunione reciproca ed il mandato missionario ». (156) E necessario, pertanto, che i fedeli laici siano consapevoli della loro dignità di battezzati. Da parte loro, i Pastori abbiano profonda stima « della testimonianza e dell'azione evangelizzatrice dei laici che, inseriti nel Popolo di Dio con spiritualità di comunione, conducono i fratelli all'incontro con Gesù Cristo vivo. Il rinnovamento della Chiesa in America non sarà possibile senza la presenza attiva dei laici. Per questo, appartiene in gran parte ad essi la responsabilità per il futuro della Chiesa ». (157)

Due sono gli ambiti in cui si realizza la vocazione dei fedeli laici. Il primo, e più proprio del loro stato laicale, è quello delle realtà temporali, che sono chiamati ad ordinare secondo la volontà di Dio. (158) Infatti, « col loro peculiare modo di agire, il Vangelo è portato dentro le strutture del mondo e “operando santamente dappertutto consacrano a Dio il mondo stesso” ». (159) Grazie ai fedeli laici, « la presenza e la missione della Chiesa nel mondo si realizza, in modo speciale, nella varietà di carismi e ministeri che possiede il laicato. La secolarità è la nota caratteristica e propria del laico e della sua spiritualità, che lo porta ad agire nei vari ambiti della vita familiare, sociale, professionale, culturale e politica, in vista della loro evangelizzazione. In un Continente nel quale si riscontrano la competizione e l'aggressività, il consumo sregolato e la corruzione, i laici sono chiamati ad incarnare valori profondamente evangelici come la misericordia, il perdono, l'onestà, la trasparenza di cuore e la pazienza nelle situazioni difficili. Si attende dai laici una grande forza creativa in gesti e opere che manifestino una vita coerente con il Vangelo ». (160)

L'America ha bisogno di laici cristiani in grado di assumere ruoli direttivi nella società. E urgente formare uomini e donne capaci di incidere, secondo la propria vocazione, nella vita pubblica, orientandola al bene comune. Nell'esercizio della politica, vista nel suo senso più nobile ed autentico di amministrazione del bene comune, essi possono trovare la via della propria santificazione. A tale scopo, è necessario che siano formati sia nei principi e nei valori della dottrina sociale della Chiesa, che nelle nozioni fondamentali della teologia del laicato. La conoscenza approfondita dei principi etici e dei valori morali cristiani consentirà loro di farsene paladini nel loro ambiente, proclamandoli anche nei confronti della cosiddetta « neutralità dello Stato ». (161)

Vi è un secondo ambito nel quale molti fedeli laici sono chiamati a lavorare, ed è quello che si potrebbe definire « intraecclesiale ». Non sono pochi i laici in America che nutrono la legittima aspirazione di contribuire con i loro talenti e carismi « alla costruzione della comunità ecclesiale, come delegati della Parola, catechisti, visitatori di malati o di carcerati, animatori di gruppi, ecc. ». (162) I Padri sinodali hanno espresso l'auspicio che la Chiesa riconosca alcuni di questi compiti come ministeri laicali, fondati nei sacramenti del Battesimo e della Confermazione, ferma restando la specificità dei ministeri propri del sacramento dell'Ordine. Si tratta di un tema vasto e complesso per il cui studio, già da qualche tempo, ho costituito un'apposita Commissione (163) e circa il quale gli organismi della Santa Sede sono andati offrendo di volta in volta alcune linee direttive. (164) E necessario promuovere la proficua collaborazione di fedeli laici ben preparati, uomini e donne, nelle diverse attività all'interno della Chiesa, evitando tuttavia che ci sia confusione con i ministeri ordinati e con le azioni proprie del sacramento dell'Ordine, al fine di ben distinguere il sacerdozio comune dei fedeli da quello ministeriale.

A questo riguardo, i Padri sinodali hanno raccomandato che i compiti affidati ai laici siano ben « distinti da quelli che costituiscono tappe verso il ministero ordinato », (165) e che i candidati al sacerdozio ricevono prima del presbiterato. Come pure è stato osservato che tali compiti laicali « non devono essere conferiti se non a persone, uomini e donne, che abbiano acquisito la formazione richiesta, secondo precisi criteri: una certa permanenza, una reale disponibilità nei confronti di un determinato gruppo di persone, l'obbligo di rendere conto al proprio Pastore ». (166) In ogni caso, benché l'apostolato intraecclesiale dei laici debba essere stimolato, occorre far sì che esso coesista con l'attività propria dei laici nella quale essi non possono essere sostituiti dai sacerdoti: il campo cioè delle realtà temporali.

Dignità della donna

45. Speciale attenzione va riservata alla vocazione della donna. In altre occasioni ho voluto esprimere il mio apprezzamento per lo specifico apporto della donna al progresso dell'umanità e riconoscere la legittimità delle sue aspirazioni a partecipare in modo pieno alla vita ecclesiale, culturale, sociale ed economica. (167) Senza tale contributo verrebbero a mancare alcune ricchezze che solo il « genio femminile » (168) può apportare alla vita della Chiesa e della società stessa. Non riconoscerlo costituirebbe un'ingiustizia storica specialmente in America, se si tien conto del contributo dato dalle donne allo sviluppo materiale e culturale del Continente, come pure nella trasmissione e conservazione della fede. In effetti, « il loro ruolo fu decisivo soprattutto nella vita consacrata, nell'educazione, nell'assistenza sanitaria ». (169)

Purtroppo, in non poche regioni del Continente americano la donna è ancora oggetto di discriminazioni. Per questo, si può dire che il volto dei poveri in America è anche il volto di molte donne. Ecco perché i Padri sinodali hanno parlato di un « aspetto femminile della povertà ». (170) La Chiesa si sente in dovere di insistere sulla dignità umana comune ad ogni persona. Essa « denuncia la discriminazione, l'abuso sessuale e la prepotenza maschile come azioni contrarie al piano di Dio ». (171) In particolare, deplora come abominevole la sterilizzazione, a volte programmata, delle donne, soprattutto delle più povere ed emarginate, che viene praticata spesso in maniera surrettizia, all'insaputa delle stesse interessate; ciò è tanto più grave quando vien fatto per ottenere aiuti economici a livello internazionale.

La Chiesa nel Continente si sente impegnata ad intensificare l'attenzione per le donne e a difenderle « affinché la società in America aiuti maggiormente la vita familiare fondata sul matrimonio, protegga maggiormente la maternità ed abbia più rispetto per la dignità di tutte le donne ». (172) Occorre aiutare le donne americane a prendere parte attiva e responsabile alla vita ed alla missione della Chiesa, (173) come pure bisogna riconoscere la necessità della saggezza e della collaborazione delle donne nei ruoli dirigenziali della società americana.

Le sfide per la famiglia cristiana

46. « Dio Creatore, formando il primo uomo e la prima donna, e comandando loro “siate fecondi e moltiplicatevi” (Gn 1, 28), costituì definitivamente la famiglia. In questo santuario nasce la vita ed è accolta come dono di Dio. La Parola divina, letta assiduamente nella famiglia, la costruisce a poco a poco come chiesa domestica e la rende feconda in umanità e virtù cristiane; lì si trova la sorgente delle vocazioni. La devozione mariana, alimentata dalla preghiera, conserverà la famiglia unita e in attitudine orante con Maria, come i discepoli di Gesù prima della Pentecoste (cfr At 1, 14) ». (174) Molte sono le insidie che minacciano la solidità dell'istituzione familiare nella maggior parte dei Paesi dell'America, e costituiscono altrettante sfide per i cristiani. Vanno menzionate, tra le altre, l'aumento dei divorzi, la diffusione dell'aborto, dell'infanticidio e della mentalità contraccettiva. Di fronte a questa situazione occorre ribadire « che il fondamento della vita umana è la relazione coniugale tra il marito e la moglie, relazione che tra i cristiani è sacramentale ». (175)

E perciò urgente un'ampia opera di catechesi circa l'ideale cristiano della comunione coniugale e della vita familiare, che includa una spiritualità della paternità e della maternità. Maggior attenzione pastorale va dedicata al ruolo degli uomini come mariti e padri, così come alla responsabilità che condividono con le mogli riguardo al matrimonio, alla famiglia ed all'educazione dei figli. Né va omessa una seria preparazione dei giovani prima del matrimonio, nella quale sia presentata con chiarezza la dottrina cattolica su questo sacramento, a livello teologico, antropologico e spirituale. In un Continente caratterizzato da un notevole sviluppo demografico, com'è l'America, devono essere continuamente incrementate le iniziative pastorali rivolte alle famiglie.

Per essere veramente « chiesa domestica », (176) la famiglia cristiana è chiamata a costituire l'ambito in cui i genitori trasmettono la fede, dovendo essere « per i loro figli, con la parola e con l'esempio, i primi annunciatori della fede ». (177) Non manchi nella famiglia la pratica della preghiera, nella quale si ritrovino uniti i coniugi tra loro e con i figli. Sono, in proposito, da favorire momenti di vita spirituale in comune: la partecipazione all'Eucaristia nei giorni di festa, la pratica del sacramento della Riconciliazione, la preghiera quotidiana in famiglia e gesti concreti di carità. Si consoliderà così la fedeltà nel matrimonio e l'unità della famiglia. In un ambiente familiare con queste caratteristiche non sarà difficile che i figli sappiano scoprire la loro vocazione al servizio della comunità e della Chiesa e che apprendano, specialmente guardando all'esempio dei loro genitori, che la vita familiare è una via per realizzare l'universale vocazione alla santità. (178)

I giovani, speranza del futuro

47. I giovani sono una grande forza sociale e di evangelizzazione. Essi « costituiscono una parte numerosissima della popolazione in molte Nazioni dell'America. Nel loro incontro con Cristo vivo si fondano le speranze e le aspettative di un futuro di maggior comunione e solidarietà per la Chiesa e le società in America ». (179) Sono evidenti gli sforzi che le Chiese particolari compiono nel Continente per accompagnare gli adolescenti nell'itinerario catechetico prima della Confermazione e degli altri supporti che loro offrono perché crescano nell'incontro con Cristo e nella conoscenza del Vangelo. L'itinerario formativo dei giovani dev'essere costante e dinamico, atto ad aiutarli a trovare il loro posto nella Chiesa e nel mondo. Pertanto, la pastorale giovanile deve essere tra le preoccupazioni primarie dei Pastori e delle comunità. In realtà, molti sono i giovani americani in cerca d'un significato vero da dare alla vita ed assetati di Dio, ma molto spesso mancano le condizioni adatte per mettere a frutto le loro capacità e realizzare le loro aspirazioni. Purtroppo, la carenza di lavoro e di prospettive di futuro li conduce a volte all'emarginazione ed alla violenza. La sensazione di frustrazione, che sperimentano a causa di tutto ciò, non di rado li conduce ad abbandonare la ricerca di Dio. Dinanzi a così complessa situazione, « la Chiesa si impegna a mantenere la sua opzione pastorale e missionaria per i giovani, perché possano incontrare oggi Gesù Cristo vivo ». (180)

L'azione pastorale della Chiesa raggiunge molti di questi adolescenti e giovani mediante l'animazione cristiana della famiglia, la catechesi, le istituzioni educative cattoliche e la vita comunitaria nella parrocchia. Ma ve ne sono molti altri, specialmente tra quanti soffrono varie forme di povertà, che rimangono fuori del raggio di attività ecclesiale. Devono essere i giovani cristiani, formati ad una matura coscienza missionaria, gli apostoli dei loro coetanei. E necessaria un'azione pastorale che raggiunga i giovani nei loro vari ambienti: nei collegi, nelle università, nel mondo del lavoro, negli ambienti rurali, con appropriato adattamento alla loro sensibilità. In ambito parrocchiale e diocesano sarà opportuno sviluppare pure un'attività pastorale della gioventù che tenga conto dell'evoluzione del mondo dei giovani, che cerchi il dialogo con loro, che non tralasci le occasioni propizie per incontri più ampi, che animi le iniziative locali e valorizzi ciò che già si realizza a livello interdiocesano ed internazionale.

E che fare di fronte ai giovani che indugiano in atteggiamenti adolescenziali di una certa incostanza e difficoltà ad assumere impegni seri e definitivi? Davanti a questa carenza di maturità è necessario invitare i giovani ad avere coraggio, formandoli ad apprezzare il valore dell'impegno per tutta la vita, quale si ha nel caso del sacerdozio, della vita consacrata e del matrimonio cristiano. (181)

Accompagnare il bambino nel suo incontro con Cristo

48. I bambini sono dono e segno della presenza di Dio. « Occorre accompagnare il bambino nel suo incontro con Cristo, dal Battesimo fino alla prima Comunione, giacché fa parte della comunità vivente di fede, speranza e carità ». (182) La Chiesa è riconoscente per le fatiche dei genitori, degli insegnanti, degli operatori pastorali, sociali e sanitari, e di tutti coloro che sono al servizio della famiglia e dei bambini con il medesimo atteggiamento di Gesù Cristo che dice: « Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio » (Mt 19, 14).

A ragione i Padri sinodali lamentano e condannano la condizione dolorosa di molti bambini in tutta l'America, privati della dignità, dell'innocenza e persino della vita. « Questa condizione include la violenza, la povertà, la carenza di casa, la mancanza di adeguata assistenza sanitaria e di educazione, i danni delle droghe e dell'alcool, e altri stati di abbandono e di abuso ». (183) A questo proposito, nel Sinodo si è fatta speciale menzione della problematica dell'abuso sessuale dei bambini e della prostituzione infantile, ed i Padri hanno lanciato un accorato appello « a tutti coloro che sono investiti di autorità nella società, perché, come realtà prioritaria, facciano tutto ciò che è in loro potere per alleviare la sofferenza dei bambini in America ». (184)

Elementi di comunione con le altre Chiese e Comunità ecclesiali

49. Tra la Chiesa cattolica e le altre Chiese e Comunità ecclesiali esiste uno sforzo di comunione che ha la sua radice nel Battesimo amministrato in ognuna di esse. (185) E uno sforzo che si alimenta mediante la preghiera, il dialogo e l'azione comune. I Padri sinodali hanno voluto esprimere una speciale volontà di « collaborazione al dialogo già avviato con la Chiesa ortodossa, con la quale abbiamo in comune molti elementi di fede, di vita sacramentale e di pietà ». (186) Le proposte concrete dell'Assemblea sinodale circa l'insieme delle Chiese e Comunità ecclesiali cristiane non cattoliche sono molteplici. Si suggerisce, in primo luogo, « che i cristiani cattolici, pastori e fedeli, promuovano l'incontro dei cristiani delle diverse confessioni, nella collaborazione, in nome del Vangelo, per rispondere al grido dei poveri, con la promozione della giustizia, la preghiera comune per l'unità e la partecipazione alla Parola di Dio ed all'esperienza della fede in Cristo vivo ». (187) Vanno altresì favorite, quando sia opportuno e conveniente, le riunioni di persone esperte delle diverse Chiese e Comunità ecclesiali per facilitare il dialogo ecumenico. L'ecumenismo dev'essere oggetto di riflessione e di comunicazione di esperienze tra le diverse Conferenze Episcopali cattoliche del Continente.

Sebbene il Concilio Vaticano II si riferisca a tutti i battezzati e i credenti in Cristo come a « fratelli nel Signore », (188) è necessario saper distinguere con chiarezza le comunità cristiane, con le quali è possibile stabilire relazioni ispirate alla dinamica ecumenica, dalle sette, culti ed altri fallaci movimenti religiosi.

Rapporto della Chiesa con le comunità ebraiche

50. Nella società americana esistono altresì comunità di ebrei, con le quali la Chiesa ha instaurato in questi ultimi anni una collaborazione crescente. (189) Nella storia della salvezza è evidente la nostra speciale relazione con il popolo ebreo. Del popolo ebreo fa parte Gesù, che diede inizio alla sua Chiesa all'interno della Nazione giudaica. Gran parte della Sacra Scrittura, che noi cristiani leggiamo come Parola di Dio, costituisce un patrimonio spirituale comune con gli ebrei. (190) Va, pertanto, evitato ogni atteggiamento negativo nei loro confronti, poiché « per benedire il mondo è necessario che gli ebrei e i cristiani siano prima benedizione gli uni per gli altri ». (191)

Religioni non cristiane

51. Quanto alle religioni non cristiane, la Chiesa cattolica nulla rigetta di ciò che in esse vi è di vero e di santo. (192) Per questo, nei confronti delle altre religioni i cattolici intendono sottolineare gli elementi di verità dovunque possano trovarsi, ma al tempo stesso testimoniano fortemente la novità della rivelazione di Cristo, custodita nella sua integrità dalla Chiesa. (193) Coerentemente con questo atteggiamento, essi rifiutano come estranea allo spirito di Cristo ogni discriminazione o persecuzione contro persone a motivo della razza, del colore o della condizione di vita o della religione. La differenza di religione mai deve essere causa di violenza o di guerra. Al contrario, persone di credenze diverse devono sentirsi portate, proprio in ragione della loro adesione ad esse, a lavorare unite per la pace e per la giustizia.

« I musulmani, come i cristiani e gli ebrei, chiamano Abramo loro padre. Questo fatto deve assicurare che in tutta l'America queste tre comunità vivano in armonia e lavorino insieme per il bene comune. Ugualmente, la Chiesa in America deve sforzarsi di aumentare il mutuo rispetto e le buone relazioni con le religioni native americane ». (194) Analogo atteggiamento va promosso verso i gruppi induisti e buddisti o di altre religioni che i recenti flussi immigratori, provenienti da paesi orientali, hanno condotto in terra americana.

CAPITOLO V

VIA ALLA SOLIDARIETÀ

« Da questo tutti sapranno
che siete miei discepoli,
se avrete amore gli uni per gli altri »

(Gv 13, 35)

La solidarietà, frutto della comunione

52. « In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me » (Mt 25, 40; cfr 25, 45). La consapevolezza della comunione con Cristo e con i fratelli, che è a sua volta frutto della conversione, conduce a servire il prossimo in tutte le sue necessità, sia materiali che spirituali, perché in ogni uomo risplende il volto di Cristo. Per questo, « la solidarietà è frutto della comunione che si fonda nel mistero di Dio uno e trino, e nel Figlio di Dio incarnato e morto per tutti. Si esprime nell'amore del cristiano che cerca il bene degli altri, specialmente dei più bisognosi ». (195)

Da qui scaturisce per le Chiese particolari del Continente americano l'impegno alla reciproca solidarietà e alla condivisione dei doni spirituali e dei beni materiali con cui Dio le ha benedette, favorendo la disponibilità delle persone a lavorare dove necessario. Partendo dal Vangelo, occorre promuovere una cultura della solidarietà che incentivi opportune iniziative di sostegno ai poveri ed agli emarginati, in modo speciale ai rifugiati, i quali si vedono forzati a lasciare i loro villaggi e le loro terre per sfuggire alla violenza. La Chiesa in America deve stimolare gli organismi internazionali del Continente, affinché si stabilisca un ordine economico nel quale non domini soltanto il criterio del profitto, ma anche quelli della ricerca del bene comune nazionale ed internazionale, dell'equa distribuzione dei beni e della promozione integrale dei popoli. (196)

La dottrina della Chiesa, espressione delle esigenze della conversione

53. Mentre il relativismo ed il soggettivismo conoscono nel campo della dottrina morale una diffusione preoccupante, la Chiesa in America è chiamata ad annunciare con rinnovato vigore che la conversione consiste nell'adesione alla persona di Gesù Cristo, con tutte le implicazioni teologiche e morali illustrate dal Magistero ecclesiale. Occorre riconoscere « il ruolo che svolgono, in questa linea, i teologi, i catechisti e gli insegnanti di religione che, esponendo la dottrina della Chiesa in fedeltà al Magistero, cooperano direttamente alla retta formazione della coscienza dei fedeli ». (197) Se crediamo che Gesù è la Verità (cfr Gv 14, 6), non possiamo non desiderare ardentemente d'essere suoi testimoni per avvicinare i fratelli alla verità piena che dimora nel Figlio di Dio fatto uomo, morto e risorto per la salvezza del genere umano. « In tal modo potremo essere, in questo mondo, lampade viventi di fede, speranza e carità ». (198)

La dottrina sociale della Chiesa

54. Davanti ai gravi problemi di ordine sociale che, con caratteristiche diverse, sono presenti in tutta l'America, il cattolico sa di poter trovare nella dottrina sociale della Chiesa la risposta da cui partire per individuare le soluzioni concrete. Diffondere tale dottrina costituisce, pertanto, un'autentica priorità pastorale. Perciò è importante « che in America gli operatori di evangelizzazione (Vescovi, sacerdoti, insegnanti, animatori pastorali, ecc.) assimilino questo tesoro che è la dottrina sociale della Chiesa e, da essa illuminati, si rendano capaci di leggere la realtà attuale e di cercare delle vie per l'azione ». (199) A tale proposito, va privilegiata la formazione dei fedeli laici capaci di lavorare, in nome della fede in Cristo, per la trasformazione delle realtà terrene. Inoltre, sarà opportuno promuovere e sostenere lo studio di questa dottrina in tutti gli ambiti delle Chiese particolari in America e, soprattutto, in quello universitario, perché sia conosciuta con maggior profondità ed applicata alla società americana. La complessa realtà sociale di questo Continente è un campo fecondo per l'analisi e l'applicazione dei principi universali di tale dottrina.

Per raggiungere questo obiettivo sarebbe assai utile un compendio o una sintesi autorizzata della dottrina sociale cattolica, compreso un « catechismo », che mostri la relazione esistente tra di essa e la nuova evangelizzazione. La parte che il Catechismo della Chiesa Cattolica dedica a tale materia, a proposito del settimo comandamento del decalogo, potrebbe costituire il punto di partenza di questo « Catechismo di dottrina sociale cattolica ». Naturalmente, com'è avvenuto per il Catechismo della Chiesa Cattolica, anche questo si limiterebbe a formulare i principi generali, lasciando a successivi sviluppi applicativi la trattazione dei problemi collegati con le diverse situazioni locali. (200)

Nella dottrina sociale della Chiesa occupa un posto importante il diritto a un lavoro dignitoso. Per questo, di fronte agli alti tassi di disoccupazione che affliggono molti Paesi americani e di fronte alle dure condizioni in cui versano non pochi lavoratori nell'industria e nelle campagne, « è necessario apprezzare il lavoro come elemento di realizzazione e di dignità della persona umana. E responsabilità etica di una società organizzata promuovere e sostenere una cultura del lavoro ». (201)

Globalizzazione della solidarietà

55. Il complesso fenomeno della globalizzazione, come ho ricordato in precedenza, è una delle caratteristiche del mondo attuale, particolarmente riscontrabile in America. Entro tale realtà multiforme, grande importanza riveste l'aspetto economico. Con la sua dottrina sociale, la Chiesa offre un valido contributo alla problematica che presenta l'attuale economia globalizzata. La sua visione morale in tale materia « poggia sulle tre pietre angolari fondamentali della dignità umana, della solidarietà e della sussidiarietà ». (202) L'economia globalizzata dev'essere analizzata alla luce dei principi della giustizia sociale, rispettando l'opzione preferenziale per i poveri, che devono esser messi in grado di difendersi in un'economia globalizzata, e le esigenze del bene comune internazionale. In realtà, « la dottrina sociale della Chiesa è la visione morale che mira a stimolare i governi, le istituzioni e le organizzazioni private affinché configurino un futuro congruente con la dignità di ogni persona. In questa prospettiva si possono considerare le questioni che si riferiscono al debito estero, alla corruzione politica interna ed alla discriminazione sia all'interno delle Nazioni che tra di loro ». (203)

La Chiesa in America è chiamata non solo a promuovere una maggiore integrazione tra le Nazioni, contribuendo così a creare un'autentica cultura globalizzata della solidarietà, (204) bensì a collaborare con ogni mezzo legittimo alla riduzione degli effetti negativi della globalizzazione, quali il dominio dei più forti sui più deboli, specialmente in campo economico, e la perdita dei valori delle culture locali in favore di una male intesa omogeneizzazione.

Peccati sociali che gridano al cielo

56. Alla luce della dottrina sociale della Chiesa si valuta più chiaramente anche la gravità dei « peccati sociali che gridano al cielo, perché generano violenza, rompono la pace e l'armonia tra le comunità di una stessa Nazione, tra le Nazioni e tra le diverse zone del Continente ». (205) Tra questi si devono ricordare « il commercio di droghe, il riciclaggio di guadagni illeciti, la corruzione in qualunque ambiente, il terrore della violenza, la corsa agli armamenti, la discriminazione razziale, le disuguaglianze tra i gruppi sociali, l'irragionevole distruzione della natura ». (206) Questi peccati manifestano una profonda crisi dovuta alla perdita del senso di Dio ed all'assenza di quei principi morali che devono guidare la vita di ogni uomo. Senza riferimenti morali si cade nella bramosia illimitata della ricchezza e del potere, che offusca ogni visione evangelica della realtà sociale.

Non di rado, questo porta alcune istanze pubbliche a trascurare la situazione sociale. Sempre più, in molti Paesi americani, domina un sistema noto come « neoliberismo »; sistema che, facendo riferimento ad una concezione economicista dell'uomo, considera il profitto e le leggi del mercato come parametri assoluti a scapito della dignità e del rispetto della persona e del popolo. Tale sistema si è tramutato, talvolta, in giustificazione ideologica di alcuni atteggiamenti e modi di agire in campo sociale e politico, che causano l'emarginazione dei più deboli. Di fatto, i poveri sono sempre più numerosi, vittime di determinate politiche e strutture spesso ingiuste. (207)

La migliore risposta, a partire dal Vangelo, per questa drammatica situazione è la promozione della solidarietà e della pace, in vista dell'effettiva realizzazione della giustizia. A tal fine occorre incoraggiare e aiutare quanti sono esempio di onestà nell'amministrazione delle finanze pubbliche e della giustizia. Come pure occorre appoggiare il processo di democratizzazione in atto in America, (208) poiché in un sistema democratico sono maggiori le possibilità di controllo che permettono di evitare gli abusi.

« Lo Stato di diritto è la condizione necessaria per stabilire un'autentica democrazia ». (209) Perché questa si possa sviluppare, è necessaria l'educazione civica e la promozione dell'ordine pubblico e della pace. In effetti, « non vi è democrazia autentica e stabile senza giustizia sociale. Per questo è necessario che la Chiesa ponga maggior attenzione alla formazione delle coscienze, prepari dirigenti sociali per la vita pubblica a tutti i livelli, promuova l'educazione civica, l'osservanza della legge e dei diritti umani, ed attui un maggior sforzo per la formazione etica della classe politica ». (210)

Il fondamento ultimo dei diritti umani

57. E opportuno ricordare che il fondamento su cui poggiano tutti i diritti umani è la dignità della persona. « Il capolavoro divino, l'uomo, è immagine e somiglianza di Dio. Gesù ha assunto la nostra natura eccetto il peccato; ha promosso e difeso la dignità di ogni persona umana senza alcuna eccezione; è morto per la libertà di tutti. Il Vangelo ci mostra come Cristo ha esaltato la centralità della persona umana nell'ordine naturale (cfr Lc 12, 22-29), nell'ordine sociale e nell'ordine religioso, anche nei confronti della Legge (cfr Mc 2, 27); difendendo l'uomo ed anche la donna (cfr Gv 8, 11) e i bambini (cfr Mt 19, 13-15), che nel suo tempo e nella sua cultura occupavano un posto secondario nella società. Dalla dignità dell'uomo in quanto figlio di Dio nascono i diritti umani e i relativi doveri ». (211) Per questa ragione, « ogni offesa alla dignità dell'uomo è offesa a Dio stesso, di cui è immagine ». (212) Tale dignità è comune a tutti gli uomini senza eccezione, poiché tutti sono stati creati ad immagine di Dio (cfr Gn 1, 26). La risposta di Gesù alla domanda « Chi è il mio prossimo? » (Lc 10, 29) esige da ciascuno un atteggiamento di rispetto per la dignità dell'altro e di sollecita cura per lui, si trattasse anche di uno straniero o di un nemico (cfr Lc 10, 30-37). In ogni parte dell'America la consapevolezza che i diritti umani vanno rispettati è andata crescendo in questi ultimi tempi, tuttavia rimane ancora molto da fare, se si considerano le violazioni dei diritti di persone e di gruppi sociali ancora in atto nel Continente.

Amore preferenziale per i poveri e gli emarginati

58. « La Chiesa in America deve incarnare nelle sue iniziative pastorali la solidarietà della Chiesa universale verso i poveri e gli emarginati di ogni genere. Il suo atteggiamento deve comprendere l'assistenza, la promozione, la liberazione e l'accoglienza fraterna. L'obiettivo della Chiesa è che non vi sia alcun emarginato ». (213) Il ricordo dei capitoli oscuri della storia dell'America, concernenti la pratica della schiavitù e altre situazioni di discriminazione sociale, non può non suscitare un sincero desiderio di conversione che conduca alla riconciliazione ed alla comunione.

L'attenzione ai più bisognosi scaturisce dalla scelta di amare in modo preferenziale i poveri. Si tratta di un amore che non è esclusivo e non può essere pertanto interpretato come segno di parzialità o di settarismo; (214) amando i poveri il cristiano segue gli atteggiamenti del Signore, il quale nella sua vita terrena si dedicò con sentimenti di particolare compassione alle necessità delle persone indigenti spiritualmente e materialmente.

L'opera della Chiesa in favore dei poveri in tutte le zone del Continente è importante; si deve però continuare a lavorare perché questa linea di azione pastorale sia sempre più finalizzata all'incontro con Cristo, il quale, da ricco che era, si fece povero per noi al fine di arricchirci per mezzo della sua povertà (cfr 2 Cor 8, 9). Occorre intensificare ed estendere quanto già si va facendo in questo campo, al fine di raggiungere il maggior numero di poveri. La Sacra Scrittura ricorda che Dio ascolta il grido dei poveri (cfr Sal 34 [33], 7) e la Chiesa dev'essere attenta al grido dei più bisognosi. Ascoltando la loro voce, essa « deve vivere con i poveri e partecipare dei loro dolori. [...] Col suo stile di vita, le sue priorità, le sue parole e le sue azioni essa deve testimoniare di essere in comunione e in solidarietà con loro ». (215)

Il debito estero

59. L'esistenza di un debito estero che soffoca non pochi popoli del Continente americano costituisce un problema complesso. Pur senza entrare nei suoi numerosi aspetti, la Chiesa nella sua sollecitudine pastorale non può ignorare tale problema, poiché esso riguarda la vita di tante persone. Per questo, diverse Conferenze Episcopali in America, consapevoli della sua gravità, hanno organizzato in proposito incontri di studio ed hanno pubblicato documenti tesi a indicare soluzioni operative. (216) Anch'io ho espresso più volte la mia preoccupazione per questa situazione, diventata in alcuni casi insostenibile. Nella prospettiva dell'ormai prossimo Grande Giubileo dell'anno 2000 e ricordando il significato sociale che i giubilei rivestivano nell'Antico Testamento, ho scritto: « Nello spirito del Libro del Levitico (25, 8-12), i cristiani dovranno farsi voce di tutti i poveri del mondo, proponendo il Giubileo come un tempo opportuno per pensare, tra l'altro, ad una consistente riduzione, se non proprio al totale condono, del debito internazionale, che pesa sul destino di molte nazioni ». (217)

Ribadisco l'auspicio, fatto proprio dai Padri sinodali, che il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, insieme con altri organismi competenti, come la sezione per i rapporti con gli Stati, della Segreteria di Stato, « cerchi, nello studio e nel dialogo con rappresentanti del Primo Mondo e con responsabili della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, vie di soluzione al problema del debito estero e normative che impediscano il ripetersi di simili situazioni in occasione di prestiti futuri ». (218) Al livello più ampio possibile, sarebbe opportuno che « esperti in economia e in questioni monetarie, di fama internazionale, procedessero ad un'analisi critica dell'ordine economico mondiale, nei suoi aspetti positivi e negativi, così da correggere l'ordine attuale, e proponessero un sistema e dei meccanismi in grado di assicurare lo sviluppo integrale e solidale delle persone e dei popoli ». (219)

Lotta contro la corruzione

60. Anche in America il fenomeno della corruzione è notevolmente esteso. La Chiesa può contribuire efficacemente a sradicare questo male dalla società civile con « una maggior presenza di laici cristiani qualificati che, per la loro educazione familiare, scolastica e parrocchiale, promuovano la pratica di valori come la verità, l'onestà, la laboriosità ed il servizio del bene comune ». (220) Per raggiungere questo obiettivo, come pure per illuminare tutti gli uomini di buona volontà desiderosi di porre fine ai mali derivati dalla corruzione, occorre insegnare e diffondere il più possibile la parte che corrisponde a questo tema nel Catechismo della Chiesa Cattolica, promuovendo al tempo stesso tra i cattolici delle singole Nazioni la conoscenza dei documenti pubblicati al riguardo dalle Conferenze Episcopali delle altre Nazioni. (221) I cristiani così formati contribuiranno in modo significativo alla soluzione del problema segnalato, impegnandosi a tradurre in pratica la dottrina sociale della Chiesa in tutti gli aspetti che toccano la loro vita e in quelli dove può giungere il loro apporto.

Il problema delle droghe

61. Circa il grave problema del commercio di droghe, la Chiesa in America può collaborare efficacemente con i responsabili delle Nazioni, i dirigenti di imprese private, le organizzazioni non governative e le istanze internazionali per sviluppare progetti tesi ad abolire tale commercio, che minaccia l'integrità dei popoli in America. (222) Questa collaborazione deve estendersi agli organi legislativi, appoggiando le iniziative che impediscono il « riciclaggio di denaro », favoriscono il controllo dei beni di coloro che sono coinvolti in tale traffico e fanno sì che la produzione ed il commercio delle sostanze chimiche da cui si ottengono le droghe avvengano secondo le norme di legge. L'urgenza e la gravità del problema rendono impellente un appello ai diversi ambienti e gruppi della società civile per lottare uniti contro il commercio della droga. (223) Per quanto concerne specificamente i Vescovi, è necessario — secondo un suggerimento dei Padri sinodali — che loro stessi, come Pastori del Popolo di Dio, denuncino con coraggio e con forza l'edonismo, il materialismo e quegli stili di vita che facilmente inducono alla droga. (224)

Occorre, altresì, tener presente che bisogna aiutare gli agricoltori poveri, affinché non cadano nella tentazione del denaro facile, ottenibile con la coltivazione delle piante da cui si ricavano le droghe. In proposito gli Organismi internazionali possono offrire una preziosa collaborazione ai Governi favorendo con vari incentivi le produzioni agricole alternative. Va pure incoraggiata l'opera di quanti si sforzano di recuperare coloro che fanno uso di droga, dedicando un'attenzione pastorale a chi è vittima della tossicodipendenza. Di fondamentale importanza è offrire il giusto « senso della vita » alle nuove generazioni, che in mancanza di esso finiscono per cadere non di rado nella spirale perversa degli stupefacenti. Questo lavoro di ricupero e di riabilitazione sociale può costituire, come l'esperienza insegna, un vero e proprio impegno di evangelizzazione. (225)

La corsa agli armamenti

62. Un fattore che paralizza gravemente il progresso di non poche Nazioni in America è la corsa agli armamenti. Dalle Chiese particolari d'America deve alzarsi una voce profetica che denunci sia il riarmo che lo scandaloso commercio di armi da guerra, il quale assorbe ingenti somme di denaro che dovrebbero essere, invece, destinate a combattere la miseria ed a promuovere lo sviluppo. (226) D'altra parte, l'accumulo di armamenti costituisce una causa di instabilità ed una minaccia per la pace. (227) Ecco perché la Chiesa rimane vigilante di fronte al rischio di conflitti armati anche tra Nazioni sorelle. Essa, quale segno e strumento di riconciliazione e di pace, deve cercare « con tutti i mezzi possibili, anche con la via della mediazione e dell'arbitrato, di agire in favore della pace e della fraternità tra i popoli ». (228)

Cultura della morte e società dominata dai potenti

63. In America, come in altre parti del mondo, sembra oggi profilarsi un modello di società in cui dominano i potenti, emarginando e persino eliminando i deboli: penso qui ai bambini non nati, vittime indifese dell'aborto; agli anziani ed ai malati incurabili, talora oggetto di eutanasia; ed ai tanti altri esseri umani messi ai margini dal consumismo e dal materialismo. Né posso dimenticare il non necessario ricorso alla pena di morte, quando altri « mezzi incruenti sono sufficienti per difendere dall'aggressore e per proteggere la sicurezza delle persone [...]. Oggi, infatti, a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere efficacemente il crimine rendendo inoffensivo colui che l'ha commesso, senza togliergli definitivamente la possibilità di redimersi, i casi di assoluta necessità di soppressione del reo “sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti” ». (229) Un simile modello di società è improntato alla cultura della morte ed è perciò in contrasto col messaggio evangelico. Dinanzi a tale desolante realtà, la Comunità ecclesiale intende sempre più impegnarsi a difesa della cultura della vita.

In proposito, i Padri sinodali, facendo eco ai recenti documenti del Magistero della Chiesa, hanno ribadito con vigore l'incondizionata venerazione e la totale dedizione in favore della vita umana dal momento del concepimento fino a quello della morte naturale, ed esprimono la condanna di mali come l'aborto e l'eutanasia. Per mantenere questi insegnamenti della legge divina e naturale, è essenziale promuovere la conoscenza della dottrina sociale della Chiesa, ed impegnarsi affinché i valori della vita e della famiglia siano riconosciuti e difesi nel costume sociale e negli ordinamenti dello Stato. (230) Accanto alla tutela della vita, va intensificata, mediante molteplici istituzioni pastorali, un'attiva promozione delle adozioni ed una costante assistenza alle donne con gravidanze problematiche, sia prima che dopo la nascita del figlio. Speciale attenzione pastorale va, inoltre, riservata alle donne che hanno subito o attivamente procurato l'aborto. (231)

Come non rendere grazie a Dio e come non esprimere vivo apprezzamento ai fratelli e sorelle nella fede che in America, uniti ad altri cristiani e ad innumerevoli persone di buona volontà, sono impegnati nel difendere con ogni mezzo legale la vita e nel tutelare il nascituro, il malato incurabile e i disabili? La loro azione è ancor più meritoria se si considerano l'indifferenza di molti, le minacce eugenetiche e gli attentati alla vita e alla dignità umana, che vengono quotidianamente perpetrati dappertutto. (232)

Questa stessa premura va diretta agli anziani, talora trascurati e lasciati in balia di se stessi. Essi vanno rispettati come persone; è importante realizzare per loro iniziative di accoglienza e di assistenza, che promuovano i loro diritti e assicurino per quanto possibile il loro benessere fisico e spirituale. Gli anziani vanno protetti dalle situazioni e pressioni che potrebbero spingerli verso il suicidio; in particolare, essi vanno oggi sostenuti contro la tentazione del suicidio assistito e dell'eutanasia.

Insieme con i Pastori del Popolo di Dio in America, faccio appello ai « cattolici che operano nel campo medico-sanitario ed a quanti ricoprono cariche pubbliche, come pure a quanti sono impegnati nell'insegnamento, affinché facciano tutto il possibile per difendere le vite che corrono maggior pericolo, agendo con una coscienza rettamente formata secondo la dottrina cattolica. I Vescovi e i presbiteri hanno, in questo campo, la speciale responsabilità di dare instancabile testimonianza a favore del Vangelo della vita e nell'esortare i fedeli ad agire conseguentemente ». (233) Al tempo stesso, è indispensabile che la Chiesa in America illumini con opportuni interventi l'elaborazione delle decisioni delle assemblee legislative, stimolando i cittadini, sia i cattolici che le altre persone di buona volontà, a costituire organizzazioni per promuovere validi progetti di legge ed opporsi a quanti minacciano la famiglia e la vita, che sono due realtà inseparabili. Ai nostri giorni occorre in modo speciale tener presente quanto si riferisce alla diagnosi prenatale, perché non si leda in alcuna maniera la dignità umana.

I popoli indigeni e gli americani di origine africana

64. Se la Chiesa in America, fedele al Vangelo di Cristo, intende percorrere la via della solidarietà, deve dedicare una speciale attenzione a quelle etnie che ancor oggi sono oggetto di ingiuste discriminazioni. In effetti, occorre sradicare ogni tentativo di emarginazione nei confronti delle popolazioni indigene. Questo implica, in primo luogo, che si devono rispettare i loro territori e i patti stabiliti con esse; ugualmente, occorre rispondere ai loro legittimi bisogni sociali, sanitari, culturali. E come dimenticare l'esigenza di riconciliazione tra i popoli indigeni e le società in cui vivono?

Vorrei qui ricordare che anche gli americani di origine africana continuano a subire, in alcune zone, pregiudizi etnici, che costituiscono per loro un serio ostacolo all'incontro con Cristo. Dal momento che ogni persona, di qualunque razza e condizione, è stata creata da Dio a sua immagine, occorre promuovere programmi concreti, in cui non deve mancare la preghiera in comune, i quali favoriscano la comprensione e la riconciliazione tra popoli diversi, costituendo ponti di amore cristiano, di pace e di giustizia tra tutti gli uomini. (234)

Per raggiungere questi obiettivi è indispensabile formare competenti operatori pastorali, capaci di servirsi, nella catechesi e nella liturgia, di metodi già legittimamente « inculturati », evitando sincretismi che facciano ricorso ad un'esposizione parziale della genuina dottrina cristiana. Così pure, si otterrà più facilmente un numero adeguato di Pastori che svolgano la loro attività tra gli indigeni, se ci si preoccuperà di promuovere le vocazioni al sacerdozio ed alla vita consacrata tra questi popoli. (235)

La problematica degli immigrati

65. Il Continente americano ha conosciuto nella sua storia molti movimenti di immigrazione, con schiere di uomini e di donne giunti nelle varie regioni con la speranza di un futuro migliore. Il fenomeno continua anche oggi ed interessa, in particolare, numerose persone e famiglie provenienti da Nazioni latino-americane, che si sono stanziate nelle regioni del Nord del Continente, fino a costituire in alcuni casi una parte considerevole della popolazione. Spesso esse recano con sé un patrimonio culturale e religioso ricco di significativi elementi cristiani. La Chiesa è consapevole dei problemi suscitati da questa situazione ed è impegnata a sviluppare con ogni sforzo la propria azione pastorale tra tali immigrati, per favorirne l'insediamento nel territorio e per suscitare allo stesso tempo un atteggiamento di accoglienza da parte delle popolazioni locali, nella convinzione che dalla mutua apertura deriverà un arricchimento per tutti.

Le comunità ecclesiali non mancheranno di vedere nel fenomeno una specifica chiamata a vivere il valore evangelico della fraternità ed insieme l'invito ad imprimere rinnovato slancio alla propria religiosità per una più incisiva azione evangelica. In questo senso i Padri sinodali hanno ricordato che « la Chiesa in America deve essere avvocata vigilante che difende, contro ogni ingiusta restrizione, il diritto naturale di ogni persona a muoversi liberamente all'interno della sua Nazione e da una Nazione all'altra. Bisogna porre attenzione ai diritti dei migranti e delle loro famiglie ed al rispetto della loro dignità umana, anche nei casi di immigrazioni non legali ». (236)

Nei confronti dei migranti occorre un comportamento ospitale ed accogliente, che li incoraggi ad inserirsi nella vita ecclesiale, fatte salve sempre la loro libertà e la loro peculiare identità culturale. A tal fine, risulta quanto mai proficua la collaborazione tra le Diocesi da cui essi provengono e quelle in cui sono accolti, anche mediante specifiche strutture pastorali previste nella legislazione e nella prassi della Chiesa. (237) Si può assicurare così una cura pastorale il più possibile adeguata e completa. La Chiesa in America deve essere mossa dalla costante sollecitudine di non far mancare un'efficace evangelizzazione a quanti sono arrivati di recente e ancora non conoscono Cristo. (238)

CAPITOLO VI

LA MISSIONE DELLA CHIESA
OGGI IN AMERICA:
LA NUOVA EVANGELIZZAZIONE

« Come il Padre ha mandato me,
anch'io mando voi »
(Gv 20, 21)

Mandati da Cristo

66. Cristo risorto, prima della sua ascensione al cielo, inviò gli Apostoli ad annunciare il Vangelo al mondo intero (cfr Mc 16, 15), conferendo loro i poteri necessari per realizzare tale missione. E significativo che, prima di affidare l'ultimo mandato missionario, Gesù faccia riferimento al potere universale ricevuto dal Padre (cfr Mt 28, 18). In effetti, Cristo ha trasmesso agli Apostoli la missione ricevuta dal Padre (cfr Gv 20, 21), e li ha resi così partecipi dei suoi poteri.

Ma anche i « fedeli laici, proprio perché membri della Chiesa, hanno la vocazione e la missione di essere annunciatori del Vangelo: per quest'opera sono abilitati e impegnati dai Sacramenti dell'iniziazione cristiana e dai doni dello Spirito Santo ». (239) Essi, infatti, sono stati « resi partecipi nella loro misura della funzione sacerdotale, profetica e regale di Cristo ». (240) Di conseguenza, « i fedeli laici, in forza della loro partecipazione all'ufficio profetico di Cristo, sono pienamente coinvolti in questo compito della Chiesa » (241) e, pertanto, devono sentirsi chiamati ed inviati a proclamare la Buona Novella del Regno. Le parole di Gesù: « Andate anche voi nella mia vigna » (Mt 20, 4) (242) devono intendersi rivolte non solo agli Apostoli, ma a tutti coloro che desiderano essere autentici discepoli del Signore.

Il compito fondamentale per il quale Gesù invia i suoi discepoli è l'annuncio della Buona Novella, vale a dire l'evangelizzazione (cfr Mc 16, 15-18). Ne deriva che « evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda ». (243) Come ho detto in altre occasioni, la singolarità e la novità della situazione in cui il mondo e la Chiesa si trovano, alle porte del terzo millennio, e le esigenze che ne derivano, fanno sì che la missione evangelizzatrice richieda oggi anche un nuovo programma, che si può definire nel suo insieme « nuova evangelizzazione ». (244) Come supremo Pastore della Chiesa desidero ardentemente invitare tutti i membri del Popolo di Dio, e particolarmente quanti vivono nel Continente americano — dal quale per la prima volta feci appello ad un impegno nuovo « nel suo fervore, nei suoi metodi, nella sua espressione » (245) — a fare proprio questo progetto e a collaborare ad esso. Accettando questa missione, ognuno ricordi che il nucleo vitale della nuova evangelizzazione dev'essere l'annuncio chiaro e inequivocabile della persona di Gesù Cristo, cioè l'annuncio del suo nome, della sua dottrina, della sua vita, delle sue promesse e del Regno che Egli ci ha conquistato attraverso il suo mistero pasquale. (246)

Gesù Cristo, « buona novella » e primo evangelizzatore

67. Gesù Cristo è la « buona novella » della salvezza comunicata agli uomini di ieri, di oggi e di sempre; ma al tempo stesso Egli è anche il primo e supremo evangelizzatore. (247) La Chiesa deve porre il centro della sua attenzione pastorale e della sua azione evangelizzatrice in Cristo crocifisso e risorto. « Tutto quello che si progetta in campo ecclesiale deve partire da Cristo e dal suo Vangelo ». (248) Perciò, « la Chiesa in America deve parlare sempre più di Gesù Cristo, volto umano di Dio e volto divino dell'uomo. E questo annuncio che veramente scuote gli uomini, risveglia e trasforma gli animi, vale a dire, converte. Bisogna annunciare Cristo con gioia e con forza, ma soprattutto con la testimonianza della propria vita ». (249)

Ogni cristiano potrà compiere efficacemente la sua missione nella misura in cui assume la vita del Figlio di Dio fatto uomo come il modello perfetto della sua azione evangelizzatrice. La semplicità del suo stile e le sue scelte devono essere normative per tutti nell'impresa dell'evangelizzazione. In questa prospettiva, i poveri saranno certamente considerati tra i primi destinatari dell'evangelizzazione, sull'esempio di Cristo, che diceva di se stesso: « Lo Spirito del Signore [...] mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio » (Lc 4, 18). (250)

Come ho già rilevato in precedenza, l'amore per i poveri dev'essere preferenziale, ma non esclusivo. L'aver impostato la cura pastorale verso i poveri con un certo esclusivismo — hanno segnalato i Padri sinodali — ha talvolta portato a trascurare gli ambienti dirigenziali della società e ciò ha avuto come conseguenza l'allontanamento dalla Chiesa di non pochi di essi. (251) I danni derivati dalla diffusione del secolarismo in tali ambienti, sia politici che economici, sindacali, militari, sociali, culturali, mostrano l'urgenza di una loro evangelizzazione, animata e guidata dai Pastori che si sentono chiamati da Dio a prendersi cura di tutti. Essi potranno contare sull'apporto di quanti — e per fortuna sono ancora numerosi — sono restati fedeli ai valori cristiani: a questo proposito, i Padri sinodali hanno ricordato « l'impegno di non pochi [...] dirigenti per costruire una società giusta e solidale ». (252) Con il loro sostegno i Pastori affronteranno il non facile compito dell'evangelizzazione di questi settori della società: con fervore rinnovato e metodi aggiornati si volgeranno ai dirigenti, uomini e donne, per portare loro l'annuncio di Cristo, insistendo principalmente sulla formazione delle coscienze mediante la dottrina sociale della Chiesa. Tale formazione costituirà il miglior antidoto contro i non pochi casi di incoerenza e, talvolta, di corruzione che segnano le strutture sociopolitiche. Viceversa, se si trascura questa evangelizzazione dei dirigenti, non deve sorprendere che molti di essi seguano criteri estranei al Vangelo e, talvolta, ad esso apertamente contrari.

L'incontro con Cristo spinge ad evangelizzare

68. L'incontro con il Signore produce una profonda trasformazione di quanti non si chiudono a Lui. Il primo impulso che nasce da tale trasformazione è comunicare agli altri la ricchezza scoperta nell'esperienza di questo incontro. Non si tratta solo di insegnare quello che abbiamo conosciuto, ma anche di far sì, come la donna samaritana, che gli altri incontrino personalmente Gesù: « Venite a vedere » (Gv 4, 29). Il risultato sarà lo stesso che si verificò nel cuore dei samaritani, che dissero alla donna: « Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo » (Gv 4, 42). La Chiesa, che vive della presenza permanente e misteriosa del suo Signore risorto, ha come centro della sua missione l'impegno di « condurre tutti gli uomini all'incontro con Cristo ». (253)

Essa è chiamata ad annunciare che davvero Cristo è il Vivente, il Figlio di Dio, che si fece uomo, morì e risuscitò. Egli è l'unico Salvatore di tutti gli uomini e di tutto l'uomo e, come Signore della storia, agisce continuamente nella Chiesa e nel mondo per mezzo del suo Spirito fino alla fine dei secoli. Questa presenza del Risorto nella Chiesa rende possibile il nostro incontro con Lui, grazie all'azione invisibile del suo Spirito vivificante. Tale incontro si realizza nella fede ricevuta e vissuta nella Chiesa, corpo mistico di Cristo. Esso, pertanto, possiede essenzialmente una dimensione ecclesiale e porta ad un impegno di vita. Infatti, « incontrare Cristo vivo significa accogliere il suo amore preveniente, scegliere Lui, aderire liberamente alla sua persona e al suo progetto, che consiste nell'annuncio e nella realizzazione del Regno di Dio ». (254)

La chiamata suscita la ricerca di Gesù: « “Rabbi (che significa maestro), dove abiti?”. Disse loro: “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui » (Gv 1, 38-39). « Questo “fermarsi” non si limita al giorno della vocazione, bensì si estende a tutta la vita. Seguirlo comporta vivere come Lui ha vissuto, accettare il suo messaggio, fare propri i suoi criteri, abbracciare il suo destino, condividere il suo progetto che è il disegno del Padre: invitare tutti alla comunione trinitaria ed alla comunione con i fratelli in una società giusta e solidale ». (255) L'ardente desiderio di invitare gli altri a incontrare Colui che noi abbiamo incontrato, sta alla radice della missione evangelizzatrice alla quale è chiamata tutta la Chiesa, ma che si fa particolarmente urgente oggi in America, dopo aver celebrato i 500 anni della prima evangelizzazione e mentre ci prepariamo a commemorare con riconoscenza i 2000 anni della venuta del Figlio unigenito di Dio nel mondo.

Importanza della catechesi

69. La nuova evangelizzazione, nella quale tutto il Continente è impegnato, indica che la fede non può essere presupposta, ma che dev'essere proposta esplicitamente in tutta la sua ampiezza e ricchezza. Questo è l'obiettivo principale della catechesi, la quale, per sua stessa natura, è una dimensione essenziale della nuova evangelizzazione. « La catechesi è un itinerario di formazione nella fede, nella speranza e nella carità, che informa la mente e tocca il cuore, conducendo la persona ad abbracciare Cristo in modo pieno e completo. Introduce più pienamente il credente nell'esperienza della vita cristiana, che comprende la celebrazione liturgica del mistero della redenzione e il servizio cristiano agli altri ». (256)

Ben conoscendo la necessità di una catechesi completa, ho fatto mia la proposta dei Padri dell'Assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi del 1985, di elaborare « un catechismo o compendio di tutta la dottrina cattolica per quanto riguarda sia la fede che la morale », che potesse essere « punto di riferimento per i catechismi o compendi che vengono preparati nelle diverse regioni ». (257) Tale proposta è stata realizzata con la pubblicazione dell'edizione tipica del Catechismus Catholicae Ecclesiae. (258) Oltre al testo ufficiale del Catechismo, e per un migliore utilizzo dei suoi contenuti, ho voluto che si elaborasse e si pubblicasse altresì un Direttorio generale per la catechesi. (259) Raccomando vivamente l'uso di questi due strumenti, di valore universale, a quanti in America si dedicano alla catechesi. E auspicabile che entrambi i documenti vengano utilizzati « nella preparazione e nella verifica di tutti i programmi parrocchiali e diocesani di catechesi, tenendo presente che la situazione religiosa dei giovani e degli adulti richiede una catechesi più kerigmatica e più organica nella presentazione dei contenuti della fede ». (260)

E necessario riconoscere e incoraggiare la benemerita missione che svolgono tanti catechisti in tutto il Continente americano, come autentici messaggeri del Regno: « La loro fede e la loro testimonianza di vita sono parte integrante della catechesi ». (261) Desidero incoraggiare sempre più i fedeli ad assumere con impegno ed amore al Signore questo servizio alla Chiesa, offrendo generosamente il loro tempo e i loro talenti. Da parte loro, i Vescovi si preoccupino di offrire ai catechisti un'adeguata formazione perché possano svolgere questo compito così indispensabile nella vita della Chiesa.

Nella catechesi sarà opportuno tener presente, soprattutto in un Continente come l'America, dove la questione sociale costituisce un aspetto rilevante, che « la crescita nella comprensione della fede e la sua espressione pratica nella vita sociale stanno in intima correlazione. Le forze che si adoperano per favorire l'incontro con Cristo non possono non avere un favorevole contraccolpo nella promozione del bene comune in una società giusta ». (262)

Evangelizzazione della cultura

70. Il mio predecessore Paolo VI, con sapiente ispirazione, rilevava che la « rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca ». (263) Giustamente, pertanto, i Padri sinodali hanno ritenuto che « la nuova evangelizzazione richiede uno sforzo lucido, serio e ordinato per evangelizzare la cultura ». (264) Il Figlio di Dio, nell'assumere la natura umana, si incarnò in un determinato popolo, benché la sua morte redentrice abbia portato la salvezza a tutti gli uomini, di qualsiasi cultura, razza e condizione. Il dono del suo Spirito ed il suo amore sono diretti a tutti e singoli i popoli e le culture per unirli tra loro sull'esempio della perfetta unità che esiste in Dio Uno e Trino. Perché ciò sia possibile, è necessario inculturare la predicazione, in modo che il Vangelo sia annunciato nel linguaggio e nella cultura di quanti lo ascoltano. (265) Al tempo stesso, però, occorre non dimenticare che solo il mistero pasquale di Cristo, somma manifestazione del Dio infinito nella finitezza della storia, può essere punto di riferimento valido per tutta l'umanità pellegrina alla ricerca dell'autentica unità e della vera pace.

Il volto meticcio della Vergine di Guadalupe sin dall'inizio fu nel Continente un simbolo dell'inculturazione della evangelizzazione, della quale è stata la stella e la guida. Con la sua potente intercessione, l'evangelizzazione potrà penetrare il cuore degli uomini e delle donne d'America, e permeare le loro culture trasformandole dal di dentro. (266)

Evangelizzare i centri educativi

71. Il mondo dell'educazione è un campo privilegiato per promuovere l'inculturazione del Vangelo. Tuttavia, i centri educativi cattolici, e quelli che, pur non essendo confessionali, hanno una chiara ispirazione cattolica, potranno sviluppare un'azione di autentica evangelizzazione soltanto se a tutti i livelli, compreso quello universitario, sapranno conservare con chiarezza il loro orientamento cattolico. I contenuti del progetto educativo dovranno fare riferimento costante a Gesù Cristo e al suo messaggio, così come lo presenta la Chiesa nel suo insegnamento sia dogmatico che morale. Solo così si potranno formare dirigenti autenticamente cristiani nei diversi campi dell'attività umana e della società, specialmente nella politica, nell'economia, nella scienza, nell'arte e nella riflessione filosofica. (267) In questo senso, « è essenziale che l'Università Cattolica sia, nello stesso tempo, veramente e realmente entrambe le cose: Università e Cattolica. [...] L'indole cattolica è un elemento costitutivo della Università in quanto istituzione, e non dipende pertanto dalla semplice decisione degli individui che dirigono l'Università in un determinato tempo ». (268) Il lavoro pastorale nelle Università Cattoliche sarà, quindi, oggetto di particolare sollecitudine: si deve suscitare l'impegno apostolico degli studenti, perché diventino essi stessi evangelizzatori del mondo universitario. (269) E inoltre « occorre stimolare la cooperazione tra le Università Cattoliche di tutta l'America, perché si arricchiscano a vicenda », (270) contribuendo in tal modo a realizzare anche a livello universitario il principio della solidarietà e dell'interscambio tra i popoli di tutto il Continente.

Qualcosa di simile si deve dire anche a proposito delle scuole cattoliche, in particolare per quanto concerne l'insegnamento secondario: « Occorre fare uno sforzo speciale per rafforzare l'identità cattolica delle scuole, che fondano la loro natura specifica in un progetto educativo che ha la sua origine nella persona di Cristo e la sua radice nella dottrina del Vangelo. Le scuole cattoliche devono cercare non soltanto di impartire un'educazione qualificata dal punto di vista tecnico e professionale, ma anche e soprattutto di curare la formazione integrale della persona umana ». (271) Data l'importanza del compito che svolgono gli educatori cattolici, mi unisco ai Padri sinodali nell'incoraggiare con animo riconoscente tutti coloro che si dedicano all'insegnamento nelle scuole cattoliche: sacerdoti, uomini e donne consacrati, e laici impegnati, « perché perseverino nella loro missione così importante ». (272) Occorre far sì che l'influsso di questi centri d'insegnamento arrivi a tutti i settori della società, senza distinzioni né esclusivismi. E indispensabile che si faccia ogni sforzo possibile affinché le scuole cattoliche, nonostante le difficoltà economiche, continuino ad impartire « l'educazione cattolica ai poveri ed agli emarginati nella società ». (273) Non sarà mai possibile liberare gli indigenti dalla loro povertà, se prima non li si libera dalla miseria dovuta alla carenza di una degna educazione.

Nel progetto globale della nuova evangelizzazione, il settore dell'educazione occupa un posto privilegiato. Per questo, va incoraggiata l'attività di tutti i docenti cattolici, anche di quelli impegnati in scuole non confessionali. Rivolgo pure un appello urgente ai consacrati ed alle consacrate, perché non abbandonino questo campo tanto importante per la nuova evangelizzazione. (274)

Come frutto ed espressione della comunione tra tutte le Chiese particolari d'America, certamente rafforzata dall'esperienza spirituale dell'Assemblea sinodale, non si tralascerà di promuovere convegni per gli educatori cattolici in ambito nazionale e continentale, procurando di ordinare ed incrementare l'azione pastorale educativa in tutti gli ambienti. (275)

Per adempiere a tutti questi compiti, la Chiesa in America ha bisogno nel campo dell'insegnamento di un suo spazio di libertà, che non va inteso come un privilegio, ma come un diritto, in virtù della missione evangelizzatrice affidatale dal Signore. Inoltre, i genitori hanno il diritto fondamentale e primario di decidere dell'educazione dei loro figli e, per tale motivo, i genitori cattolici devono avere la possibilità di scegliere l'educazione consona con le proprie convinzioni religiose. La funzione dello Stato in questo ambito è sussidiaria. Esso ha l'obbligo « di garantire a tutti l'educazione e di rispettare e difendere la libertà d'insegnamento. Il monopolio dello Stato in questo campo va denunciato come una forma di totalitarismo lesivo dei diritti fondamentali che deve difendere, specialmente del diritto dei genitori all'educazione religiosa dei propri figli. La famiglia è il primo spazio educativo della persona ». (276)

Evangelizzare con i mezzi di comunicazione sociale

72. E fondamentale, per l'efficacia della nuova evangelizzazione, una profonda conoscenza della cultura attuale nella quale i mezzi di comunicazione sociale hanno grande influenza. Conoscere e usare questi mezzi, sia nelle loro forme tradizionali che in quelle più recenti introdotte dal progresso tecnologico, è, pertanto, indispensabile. L'odierna realtà richiede che si sappia dominare il linguaggio, la natura e le caratteristiche dei mass media. Usandoli in maniera corretta e competente, si può portare a compimento un'autentica inculturazione del Vangelo. D'altra parte, questi stessi mezzi contribuiscono a modellare la cultura e la mentalità degli uomini e delle donne del nostro tempo; ragion per cui gli operatori nel campo degli strumenti di comunicazione sociale devono essere destinatari di una speciale azione pastorale. (277)

Al riguardo, i Padri sinodali hanno indicato numerose iniziative concrete per una presenza efficace del Vangelo nel mondo dei mezzi di comunicazione sociale: la formazione di operatori pastorali per tale ambito; la promozione di centri di produzione qualificata; l'uso prudente e mirato di satelliti e delle nuove tecnologie; la formazione dei fedeli perché siano utenti « critici »; l'unione degli sforzi per acquisire e per poi gestire insieme nuove emittenti e reti radiotelevisive, come pure il coordinamento di quelle già esistenti. Quanto poi alle pubblicazioni cattoliche, esse meritano di essere sostenute ed hanno bisogno di raggiungere un auspicato sviluppo qualitativo.

Occorre incoraggiare gli imprenditori perché sostengano economicamente prodotti di qualità che promuovono i valori umani e cristiani. (278) Tuttavia, un programma tanto vasto supera di molto le possibilità delle singole Chiese particolari del Continente americano. Per questo, gli stessi Padri sinodali hanno proposto il coordinamento interamericano delle attività esistenti nel campo dei mezzi di comunicazione sociale per aiutare la reciproca conoscenza e cooperazione delle realizzazioni già esistenti nel settore. (279)

La sfida delle sette

73. L'attività di proselitismo, che le sette e nuovi gruppi religiosi sviluppano in non poche regioni d'America, costituisce un grave ostacolo per l'impegno evangelizzatore. La parola « proselitismo » ha un senso negativo quando riflette un modo di conquistare adepti non rispettoso della libertà di coloro ai quali si rivolge una determinata propaganda religiosa. (280) La Chiesa cattolica in America critica il proselitismo delle sette e, per questa stessa ragione, nella sua azione evangelizzatrice esclude il ricorso a metodi simili. Proponendo il Vangelo di Cristo in tutta la sua integrità, l'attività evangelizzatrice deve rispettare il santuario della coscienza di ciascun individuo, nel quale si sviluppa il dialogo decisivo, assolutamente personale, tra la grazia e la libertà dell'uomo.

Questo deve esser tenuto presente specialmente nei confronti dei fratelli cristiani delle Chiese e Comunità ecclesiali separate dalla Chiesa cattolica, stabilite già da molto tempo in determinate regioni. I vincoli di vera comunione, anche se imperfetta, che, secondo la dottrina del Concilio Vaticano II, (281) queste Comunità già hanno con la Chiesa cattolica, devono illuminare gli atteggiamenti di questa e di tutti i suoi membri nei confronti di esse. (282) Questi atteggiamenti, tuttavia, non potranno essere tali da pregiudicare la ferma convinzione che soltanto nella Chiesa cattolica vi sia la pienezza dei mezzi di salvezza stabiliti da Gesù Cristo. (283)

I successi del proselitismo delle sette e dei nuovi gruppi religiosi in America non possono essere guardati con indifferenza. Essi esigono dalla Chiesa in questo Continente uno studio approfondito, da realizzare in ogni Nazione ed anche a livello internazionale, per scoprire i motivi per i quali non pochi cattolici abbandonano la Chiesa. E necessario rivedere i metodi pastorali adottati, in modo che ogni Chiesa particolare offra ai fedeli un'attenzione religiosa più personalizzata, fortifichi le strutture di comunione e missione ed usi le possibilità evangelizzatrici che offre una religiosità popolare purificata, così da rendere più viva la fede di tutti i cattolici in Gesù Cristo, attraverso la preghiera e la meditazione della Parola di Dio opportunamente commentata. (284) A nessuno sfugge l'urgenza di una tempestiva azione evangelizzatrice nei confronti di quei settori del Popolo di Dio che risultano più esposti al proselitismo delle sette: le fasce degli immigrati, i quartieri periferici delle città o i paesi della campagna privi di una sistematica presenza del sacerdote e perciò segnati da diffusa ignoranza religiosa, le famiglie di persone semplici provate da difficoltà materiali di vario genere. Di grande utilità si rivelano, anche da questo punto di vista, le comunità di base, i movimenti, i gruppi di famiglie ed altre forme associative in cui è più facile coltivare relazioni interpersonali di reciproco sostegno spirituale ed anche economico.

E tuttavia necessario tenere sempre presente il rischio segnalato da alcuni Padri sinodali: una pastorale orientata in modo quasi esclusivo alle necessità materiali dei destinatari finisce per deludere la fame di Dio che hanno questi popoli, lasciandoli così in una situazione vulnerabile davanti a qualsiasi presunta offerta spirituale. Per questo, « è indispensabile che tutti si tengano uniti a Cristo mediante l'annuncio kerigmatico gioioso e trasformante, specialmente quello della predicazione nella liturgia ». (285) Una Chiesa che viva intensamente la dimensione spirituale e contemplativa, e che si prodighi generosamente nel servizio della carità, sarà in maniera sempre più eloquente testimone credibile di Dio per uomini e donne alla ricerca di un senso per la propria vita. (286) A tal fine è quanto mai necessario che i fedeli passino da una fede abitudinaria, sostenuta forse solo dall'ambiente, ad una fede consapevole, vissuta personalmente. Rinnovarsi nella fede sarà sempre la via migliore per condurre tutti alla Verità che è Cristo.

Affinché la risposta alla sfida delle sette sia efficace, si richiede un adeguato coordinamento delle iniziative a livello sovradiocesano, allo scopo di realizzare una cooperazione attraverso progetti comuni che potranno dare maggiori frutti. (287)

La missione ad gentes

74. Gesù Cristo ha affidato alla sua Chiesa la missione di evangelizzare tutte le Nazioni: « Andate dunque e ammaestrate tutte le Nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato » (Mt 28, 19-20). La coscienza dell'universalità della missione evangelizzatrice che la Chiesa ha ricevuto deve rimanere viva, come ha sempre dimostrato la storia del Popolo di Dio peregrinante in America. L'evangelizzazione si fa più urgente nei confronti di quanti, vivendo in questo Continente, ancora non conoscono il nome di Gesù, l'unico nome dato agli uomini per salvarsi (cfr At 4, 12). Questo nome, purtroppo, è sconosciuto in una vasta parte dell'umanità e in molti ambienti della società americana. Basti pensare alle etnie indigene tuttora non cristianizzate o alla presenza di religioni non cristiane come l'Islam, il Buddismo, o l'Induismo, soprattutto tra gli immigrati provenienti dall'Asia.

Questo obbliga la Chiesa in America a rimanere aperta alla missione ad gentes. (288) Il programma di una nuova evangelizzazione nel Continente, obiettivo di molti progetti pastorali, non può limitarsi a rivitalizzare la fede dei credenti abitudinari, ma deve cercare anche di annunciare Cristo negli ambienti nei quali è sconosciuto.

Inoltre, le Chiese particolari d'America sono chiamate ad estendere il loro slancio evangelizzatore oltre le frontiere continentali. Non possono tenere per sé le immense ricchezze del loro patrimonio cristiano. Devono portarlo al mondo intero e comunicarlo a quanti ancora lo ignorano. Si tratta di molti milioni di uomini e di donne che, senza la fede, patiscono la più grave delle povertà. Davanti a questa povertà sarebbe un errore non favorire un'attività evangelizzatrice fuori del Continente con il pretesto che c'è ancora molto da fare in America o nell'attesa di giungere prima ad una situazione, in fondo utopica, di piena realizzazione della Chiesa in America.

Con l'auspicio che il Continente americano, in sintonia con la sua vitalità cristiana, partecipi al grande compito della missione ad gentes, faccio mie le proposte concrete che i Padri sinodali hanno presentato: quelle cioè di « sostenere una maggiore cooperazione tra le Chiese sorelle; di inviare missionari (sacerdoti, consacrati e fedeli laici) dentro e fuori il Continente; di rafforzare o creare Istituti missionari; di favorire la dimensione missionaria della vita consacrata e contemplativa; di dare un maggior impulso all'animazione, alla formazione e all'organizzazione missionaria ». (289) Sono sicuro che lo zelo pastorale dei Vescovi e degli altri figli della Chiesa in tutta l'America saprà trovare iniziative concrete, anche a livello internazionale, che portino a realizzare con grande dinamismo e creatività questi propositi missionari.

CONCLUSIONE

Con speranza e gratitudine

75. « Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo » (Mt 28, 20). Confidando in questa promessa del Signore, la Chiesa pellegrina nel Continente americano si dispone con entusiasmo ad affrontare le sfide del mondo attuale e quelle che il futuro potrà presentare. Nel Vangelo la buona notizia della resurrezione del Signore è accompagnata dall'invito a non temere (cfr Mt 28, 5.10). La Chiesa in America desidera camminare nella speranza, come hanno affermato i Padri sinodali: « Con fiducia serena nel Signore della storia, la Chiesa si dispone a superare la soglia del Terzo Millennio senza pregiudizi, né pusillanimità, senza egoismo, senza timore né dubbi, persuasa del servizio fondamentale e primario che deve prestare come testimonianza di fedeltà a Dio e agli uomini e alle donne del Continente ». (290)

Inoltre, la Chiesa in America si sente particolarmente spinta a camminare nella fede, rispondendo con gratitudine all'amore di Gesù, « manifestazione incarnata dell'amore misericordioso di Dio (cfr Gv 3, 16) ». (291) La celebrazione dell'inizio del terzo millennio cristiano può essere un'occasione opportuna perché il popolo di Dio in America rinnovi « la sua gratitudine per il gran dono della fede », (292) che cominciò a ricevere cinque secoli fa. Il 1492, al di là degli aspetti storici e politici, fu il grande anno di grazia per la fede accolta in America: una fede che annuncia il supremo beneficio dell'Incarnazione del Figlio di Dio, avvenuta 2000 anni fa, come solennemente ricorderemo nel Grande Giubileo ormai vicino.

Questo duplice sentimento di speranza e di gratitudine deve accompagnare tutta l'azione pastorale della Chiesa nel Continente, permeando di spirito giubilare le diverse iniziative delle diocesi, delle parrocchie, delle comunità di vita consacrata, dei movimenti ecclesiali, come pure le attività che potranno organizzarsi a livello regionale e continentale. (293)

Preghiera a Gesù Cristo per le famiglie d'America

76. Pertanto, invito tutti i cattolici d'America a prendere parte attiva nelle iniziative evangelizzatrici che lo Spirito Santo va suscitando in ogni parte di questo immenso Continente, così pieno di potenzialità e di speranze per il futuro. In special modo invito le famiglie cattoliche ad essere « chiese domestiche », (294) dove si vive e si trasmette alle nuove generazioni la fede cristiana come un tesoro, e dove si prega insieme. Le famiglie cattoliche, se sapranno realizzare in se stesse l'ideale che Dio affida loro, si convertiranno in autentici focolai di evangelizzazione.

A conclusione di questa Esortazione apostolica, con la quale ho ripreso le proposte dei Padri sinodali, accolgo volentieri il loro suggerimento di redigere una preghiera per le famiglie in America. (295) Invito singoli, comunità e gruppi ecclesiali, dove due o più si riuniscono nel nome del Signore, a rafforzare mediante l'orazione il legame spirituale di unione tra tutti i cattolici americani. Si uniscano tutti alla supplica del Successore di Pietro nell'invocare Cristo, che è « la via per la conversione, per la comunione e per la solidarietà in America »:

Signore Gesù, ti ringraziamo
perché il Vangelo dell'Amore del Padre,
con il quale sei venuto a salvare il mondo,
è stato ampiamente proclamato in America
come dono dello Spirito Santo
che fa fiorire la nostra gioia.

Ti rendiamo grazie per il dono della tua vita,
che ci hai offerto amandoci fino alla fine:
essa ci rende figli di Dio e fratelli tra noi.
Aumenta, Signore, la nostra fede e l'amore per Te,
che sei presente nei tanti tabernacoli
del Continente.

Concedici di essere testimoni fedeli
della tua Resurrezione
davanti alle nuove generazioni d'America,
perché conoscendoti ti seguano
e trovino in Te la loro pace e la loro gioia.
Solo così potranno sentirsi fratelli
di tutti i figli di Dio, dispersi nel mondo.

Tu, che facendoti uomo, hai voluto essere
membro di una famiglia umana,
insegna alle famiglie le virtù che rifulsero
nella casa di Nazaret.
Fa' che esse restino unite,
come Tu e il Padre siete Uno,
e siano testimonianza viva di amore,
di giustizia e di solidarietà;
fa' che siano scuola di rispetto,
di perdono e di aiuto vicendevole,
perché il mondo creda;
fa' che siano sorgente di vocazioni
al sacerdozio, alla vita consacrata
e a tutti gli altri modi
di forte impegno cristiano.

Proteggi la tua Chiesa e il Successore di Pietro,
al quale Tu, Buon Pastore, hai affidato
l'incarico di pascere tutto il tuo gregge.
Fa' che la tua Chiesa fiorisca in America
e moltiplichi i suoi frutti di santità.

Insegnaci ad amare tua Madre, Maria,
come l'amasti Tu.
Dacci forza di annunciare coraggiosamente
la tua Parola
nell'impegno della nuova evangelizzazione,
per corroborare nel mondo la speranza.

Nostra Signora di Guadalupe, Madre dell'America,
prega per noi!

Dato a Città del Messico, il 22 gennaio dell'anno 1999, ventunesimo di Pontificato.


INDICE

Introduzione [n. 1]

L'idea di celebrare questa Assemblea sinodale [n. 2]

Il tema dell'Assemblea [n. 3]

La celebrazione dell'Assemblea come esperienza di incontro [n. 4]

Contribuire all'unità del Continente [n. 5]

Nel contesto della nuova evangelizzazione [n. 6]

Con la presenza e l'aiuto del Signore [n. 7]

CAPITOLO I
L'INCONTRO CON GESU CRISTO VIVO

Gli incontri con il Signore nel Nuovo Testamento [n. 8]

Incontri personali e incontri comunitari [n. 9]

L'incontro con Cristo nel tempo della Chiesa [n. 10]

Per mezzo di Maria incontriamo Gesù [n. 11]

Luoghi di incontro con Cristo [n. 12]

CAPITOLO II
L'INCONTRO CON GESU CRISTO NELL'OGGI DELL'AMERICA

La situazione degli uomini e delle donne d'America e il loro incontro con il Signore [n. 13]

L'identità cristiana dell'America [n. 14]

Frutti di santità [n. 15]

La pietà popolare [n. 16]

Presenza cattolico-orientale [n. 17]

La Chiesa nel campo dell'educazione e dell'azione sociale [n. 18]

Crescente rispetto dei diritti umani [n. 19]

Il fenomeno della globalizzazione [n. 20]

La crescente urbanizzazione [n. 21]

Il peso del debito estero [n. 22]

La corruzione [n. 23]

Il commercio e il consumo di droga [n. 24]

La preoccupazione per l'ecologia [n. 25]

CAPITOLO III
CAMMINO DI CONVERSIONE

Urgenza della chiamata alla conversione [n. 26]

Dimensione sociale della conversione [n. 27]

Conversione permanente [n. 28]

Guidati dallo Spirito Santo verso un nuovo stile di vita [n. 29]

Vocazione universale alla santità [n. 30]

Gesù, unica via alla santità [n. 31]

Penitenza e riconciliazione [n. 32]

CAPITOLO IV
VIA ALLA COMUNIONE

La Chiesa, sacramento di comunione [n. 33]

Iniziazione cristiana e comunione [n. 34]

L'Eucaristia, centro di comunione con Dio e con i fratelli [n. 35]

I Vescovi, promotori di comunione [n. 36]

Una comunione più intensa tra le Chiese particolari [n. 37]

Comunione fraterna con le Chiese cattoliche orientali [n. 38]

Il presbiterio come segno di unità [n. 39]

Promuovere la pastorale vocazionale [n. 40]

Rinnovare l'istituzione parrocchiale [n. 41]

I diaconi permanenti [n. 42]

La vita consacrata [n. 43]

I fedeli laici e il rinnovamento della Chiesa [n. 44]

Dignità della donna [n. 45]

Le sfide per la famiglia cristiana [n. 46]

I giovani, speranza del futuro [n. 47]

Accompagnare il bambino nel suo incontro con Cristo [n. 48]

Elementi di comunione con le altre Chiese e Comunità ecclesiali [n. 49]

Rapporto della Chiesa con le comunità ebraiche [n. 50]

Religioni non cristiane [n. 51]

CAPITOLO V
VIA ALLA SOLIDARIETA

La solidarietà, frutto della comunione [n. 52]

La dottrina della Chiesa, espressione delle esigenze della conversione [n. 53]

La dottrina sociale della Chiesa [n. 54]

Globalizzazione della solidarietà [n. 55]

Peccati sociali che gridano al cielo [n. 56]

Il fondamento ultimo dei diritti umani [n. 57]

Amore preferenziale per i poveri e gli emarginati [n. 58]

Il debito estero [n. 59]

Lotta contro la corruzione [n. 60]

Il problema delle droghe [n. 61]

La corsa agli armamenti [n. 62]

Cultura della morte e società dominata dai potenti [n. 63]

I popoli indigeni e gli americani di origine africana [n. 64]

La problematica degli immigrati [n. 65]

CAPITOLO VI
LA MISSIONE DELLA CHIESA OGGI IN AMERICA: LA NUOVA EVANGELIZZAZIONE

Mandati da Cristo [n. 66]

Gesù Cristo, « buona novella » e primo evangelizzatore [n. 67]

L'incontro con Cristo spinge ad evangelizzare [n. 68]

Importanza della catechesi [n. 69]

Evangelizzazione della cultura [n. 70]

Evangelizzare i centri educativi [n. 71]

0Evangelizzare con i mezzi di comunicazione sociale [n. 72]

La sfida delle sette [n. 73]

La missione ad gentes [n. 74]

CONCLUSIONE

Con speranza e gratitudine [n. 75]

Preghiera a Gesù Cristo per le famiglie d'America [n. 76]


(1) Eloquente, al riguardo, l'antica iscrizione posta nel battistero di San Giovanni in Laterano: « Virgineo foetu Genitrix Ecclesia natos quos spirante Deo concipit amne parit » (E. Diehl, Inscriptiones latinae christianae veteres, n. 1513, I.I: Berolini 1925, p. 289).

(2) Omelia in occasione delle ordinazioni diaconali e presbiterali a Bogotá (22 agosto 1968): AAS 60 (1968), 614-615.

(3) N. 17: AAS 85 (1993), 820.

(4) N. 38: AAS 87 (1995), 30.

(5) Discorso di apertura della IV Conferenza generale dell'Episcopato Latino-americano (12 ottobre 1992), 17: AAS 85 (1993), 820-821.

(6) Giovanni Paolo II, Lett. ap. Tertio millennio adveniente (10 novembre 1994), 21: AAS 87 (1995), 17.

(7) Discorso di apertura della IV Conferenza Generale dell'Episcopato Latino-americano (12 ottobre 1992), 17: AAS 85 (1993), 820.

(8) Cfr Lett. ap. Tertio millennio adveniente (10 novembre 1994), 38: AAS 87 (1995), 30.

(9) Discorso all'Assemblea del CELAM (9 marzo 1983), III: AAS 75 (1983), 778.

(10) Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), 34: AAS 81 (1989), 454.

(11) Propositio 3.

(12) S. Agostino, Tract. in Joh. 15, 11: CCL 36, 154.

(13) Ibid., 15, 17: l.c., 156.

(14) « Salvator... ascensionis suae eam (Mariam Magdalenam) ad apostolos instituit apostolam ». Rabano Mauro, De vita beatae Mariae Magdalenae, 27: PL 112, 1574. Cfr S. Pier Damiani, Sermo 56: PL 144, 820; Ugo Di Cluny, Commonitorium: PL 159, 952; S. Tommaso d'Aquino, In Joh. Evang. expositio, 20, 3.

(15) Allocuzione per la chiusura dell'Anno Santo (25 dicembre 1975): AAS 68 (1976), 145.

(16) Propositio 9; cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 22.

(17) Lett. enc. Redemptoris Mater (25 marzo 1987), 21: AAS 79 (1987), 369.

(18) Propositio 5.

(19) III Conferenza Generale dell'Episcopato Latino-americano, Puebla, febbraio 1979, Messaggio ai popoli dell'America Latina, n. 282. Per gli Stati Uniti d'America, cfr National Conference of Catholic Bishops, Behold Your Mother Woman of Faith (Washington 1973), pp. 53-55.

(20) Cfr Propositio 6.

(21) Giovanni Paolo II, Discorso di apertura della IV Conferenza Generale dell'Episcopato latino-americano (12 ottobre 1992), 24: AAS 85 (1993), 826.

(22) Cfr National Conference of Catholic Bishops, Behold Your Mother Woman of Faith (Washington 1973), p. 37.

(23) Cfr Propositio 6.

(24) Propositio 4.

(25) Cfr ibid.

(26) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 7.

(27) Lett. enc. Mysterium fidei (3 settembre 1965): AAS 57 (1965), 764.

(28) Ibid., l.c., 766.

(29) Propositio 4.

(30) Allocuzione durante l'ultima sessione pubblica del Concilio Vaticano II (7 dicembre 1965): AAS 58 (1966), 58.

(31) Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. Reconciliatio et paenitentia (2 dicembre 1984), 16: AAS 77 (1985), 214-217.

(32) Cfr Propositio 61.

(33) Propositio 29.

(34) Cfr Bolla Sacrosancti apostolatus cura (11 agosto 1670), § 3: Bullarium Romanum, 26VII, 42.

(35) Tra gli altri giova citare: i martiri Giovanni Brébeuf e i suoi sette compagni, Rocco Gonzales e i suoi due compagni; i santi: Elisabetta Ann Seton, Margherita Bourgeoys, Pietro Claver, Giovanni del Castillo, Rosa Filippina Duchesne, Margherita d'Youville, Francesco Febres Cordero, Teresa Fernández Solar delle Ande, Giovanni Macías, Toribio de Mogrovejo, Ezechiele Moreno y Díaz, Giovanni Nepomuceno Neumann, Maria Anna di Gesù Paredes y Flores, Martino de Porres, Alfonso Rodriguez, Francesco Solano, Francesca Saverio Cabrini; i beati: Giuseppe de Anchieta, Pietro di San José de Betancur, Juan Diego, Caterina Drexel, Maria della Incarnazione Rosal, Raffaele Guizar Valencia, Dina Bélanger, Alberto Hurtado Cruchaga, Elia del Socorro Nieves, Maria Francesca di Gesù Rubatto, Mercede di Gesù Molina, Narcisa di Gesù Martillo Morán, Michele Agostino Pro, Maria di San José Alvarado Cardozo, Junípero Serra, Kateri Tekakwitha, Laura Vicuña, Antonio de sant'Ana Galvão e tanti altri beati che sono invocati con fede e devozione dai popoli dell'America (cfr Instrumentum laboris, 17).

(36) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 50.

(37) Propositio 31.

(38) Propositio 30.

(39) N. 37: AAS 87 (1995), 29; cfr Propositio 31.

(40) Propositio 21.

(41) Cfr ibid.

(42) Cfr ibid.

(43) Cfr ibid.

(44) Cfr Propositio, 18.

(45) Propositio 19.

(46) Decr. sulle Chiese orientali cattoliche Orientalium Ecclesiarum, 5; cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 28; Propositio 60.

(47) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater (25 marzo 1987), 34: AAS 79 (1987), 406; Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per l'Europa, Dich. Ut testes simus Christi qui nos liberavit (13 dicembre 1991) III, 7: Ench. Vat. 13, nn. 647-652.

(48) Cfr Propositio 60.

(49) Cfr Propositiones 23 e 24.

(50) Propositio 73.

(51) Propositio 72; cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus (1 maggio 1991), 46: AAS 83 (1991), 850.

(52) Cfr Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per l'Europa, Dich. Ut testes simus Christi qui nos liberavit (13 dicembre 1991), I, 1; II, 4; IV, 10: Ench. Vat. 13, nn. 613-615; 627-633; 660-669.

(53) Propositio 72.

(54) Ibid.

(55) Cfr Propositio 74.

(56) Cfr Ep. ap. Octogesima adveniens (14 maggio 1971), 8-9: AAS 63 (1971), 406-408.

(57) Propositio 35.

(58) Cfr ibid.

(59) Propositio 75.

(60) Cfr Pontificia Commissione « Iustitia et Pax », Al servizio della comunità umana: un approccio etico al debito internazionale (27 dicembre 1986): Ench. Vat. 10, nn. 1045-1128.

(61) Propositio 75.

(62) Propositio 37.

(63) N. 5: AAS 90 (1998), 152.

(64) Propositio 38.

(65) Ibid.

(66) Propositio 36.

(67) Cfr ibid.

(68) Sinodo dei Vescovi, Seconda Assemblea generale straordinaria, Relazione finale Ecclesia sub Verbo Dei mysteria Christi celebrans pro salute mundi (7 dicembre 1985), II, B, a, 2: Ench. Vat. 9, n. 1795.

(69) Propositio 30.

(70) Propositio 34.

(71) Ibid.

(72) Ibid.

(73) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 31.

(74) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 76; Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), 42: AAS 81 (1989), 472-474.

(75) Propositio 26.

(76) Ibid.

(77) Propositio 28.

(78) Ibid.

(79) Ibid.

(80) Propositio 27.

(81) Ibid.

(82) Cfr ibid.

(83) Decr. sul rinnovamento della vita religiosa Perfectae caritatis, 7; cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Vita consecrata (25 marzo 1996), 8: AAS 88 (1996), 382.

(84) Propositio 27.

(85) Cfr Propositio 28.

(86) Cfr Propositio 29.

(87) Cfr Lumen gentium, V; Sinodo dei Vescovi, Seconda Assemblea generale straordinaria, Relazione finale Ecclesia sub Verbo Dei mysteria Christi celebrans pro salute mundi (7 dicembre 1985), II, A, 4-5: Ench. Vat. 9, nn. 1791-1793.

(88) Propositio 29.

(89) Ibid.

(90) Propositio 32.

(91) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Dies Domini (31 maggio 1998), 40: AAS 90 (1998), 738.

(92) Propositio 33.

(93) Cfr Lett. enc. Redemptor hominis (4 marzo 1979), 20: AAS 71 (1979) 309-316.

(94) Propositio 33.

(95) Ibid.

(96) Ibid.

(97) Propositio 40; cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 2.

(98) Cfr Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica su alcuni aspetti della Chiesa come comunione Communionis notio (28 maggio 1992), 3-6: AAS 85 (1993), 839-841.

(99) Propositio 40.

(100) Ibid.

(101) Conc. Ecum. Vat. I, Cost. dogm. sulla Chiesa di Cristo Pastor aeternus, Prologo: DS 3051.

(102) Conc. Ecum. di Firenze, Bolla di unione Exultate Deo (22 novembre 1439): DS 1314.

(103) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 11.

(104) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sul ministero e la vita dei presbiteri Presbyterorum Ordinis, 5.

(105) Propositio 41.

(106) Ibid.

(107) Cfr Conc. Ecum. Tridentino, Sess. VII, Decr. sui sacramenti in genere, canone 9: DS 1609.

(108) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 26.

(109) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptor hominis (4 marzo 1979), 20: AAS 71 (1979), 309-316.

(110) Propositio 42; cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Dies Domini (31 maggio 1998), 69: AAS 90 (1998), 755-756.

(111) Propositio 41.

(112) Propositio 42; cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, 14; Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 10.

(113) Cfr Propositio 42.

(114) Propositio 41.

(115) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull'apostolato dei laici Apostolicam actuositatem, 8.

(116) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 23.

(117) Cfr Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 27; Decr. sul ministero e la vita dei presbiteri Presbyterorum Ordinis, 7; Paolo VI, Motu proprio Ecclesiae sanctae (6 agosto 1966), I, 15: AAS 58 (1966), 766-767; Codice di Diritto Canonico, cann. 495, 502, 511; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 264, 271, 272.

(118) Propositio 43.

(119) Cfr Propositio 45.

(120) Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica su alcuni aspetti della Chiesa come comunione Communionis notio (28 maggio 1992), 15-16: AAS 85 (1993), 847-848.

(121) Cfr Propositio 45.

(122) Cfr Propositio 44.

(123) Ibid.

(124) Ibid.

(125) Cfr Propositio 60.

(126) Propositio 49.

(127) Ibid.

(128) Ibid.; cfr Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sul ministero e la vita dei presbiteri Presbyterorum Ordinis, 14.

(129) Propositio 49.

(130) Ibid.

(131) Cfr Propositio 51.

(132) Propositio 48.

(133) Propositio 51.

(134) Propositio 52.

(135) Cfr ibid.

(136) Cfr ibid.

(137) Cfr Propositio 46.

(138) Ibid.

(139) Ibid.

(140) Propositio 35.

(141) Cfr IV Conferenza Generale dell'Episcopato Latino-americano, Santo Domingo, ottobre 1992: Nuova evangelizzazione, promozione umana e cultura cristiana, n. 58.

(142) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 51: AAS 83 (1991), 298-299.

(143) Propositio 35.

(144) Cfr Propositio 46.

(145) Ibid.

(146) Cfr Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 29; Paolo VI, Motu proprio Sacrum Diaconatus Ordinem (18 giugno 1967), I, 1: AAS 59 (1967), 699.

(147) Propositio 50.

(148) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 29.

(149) Cfr Propositio 50; Congregazione per l'Educazione Cattolica e Congregazione per il Clero, Istr. Ratio fundamentalis institutionis diaconorum permanentium e Directorium pro ministerio et vita diaconorum permanentium (22 febbraio 1998): AAS 90 (1998), 843-926.

(150) Cfr Propositio 53.

(151) Ibid.; cfr III Conferenza Generale dell'Episcopato Latino-americano, Puebla, febbraio 1979, Messaggio ai popoli dell'America Latina, n. 775.

(152) Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Vita consecrata (25 marzo 1996), 57: AAS 88 (1996), 429-430.

(153) Cfr ibid., 58, l.c., 430.

(154) Propositio 53.

(155) Ibid.

(156) Propositio 54.

(157) Ibid.

(158) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 31.

(159) Propositio 55; cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 34.

(160) Propositio 55.

(161) Cfr ibid.

(162) Propositio 56.

(163) Cfr Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), 23: AAS 81 (1989), 429-433.

(164) Cfr Congregazione per il Clero e altre, Istr. Ecclesiae de mysterio (15 agosto 1997): AAS 89 (1997), 852-877.

(165) Propositio 56.

(166) Ibid.

(167) Cfr Lett. ap. Mulieris dignitatem (15 agosto 1988): AAS 80 (1988), 1653-1729; Lettera alle donne (29 giugno 1995): AAS 87 (1995), 803-812; Propositio 11.

(168) Lett. ap. Mulieris dignitatem (15 agosto 1988), 31: AAS 80 (1988), 1728.

(169) Propositio 11.

(170) Ibid.

(171) Ibid.

(172) Ibid.

(173) Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), 49: AAS 81 (1989), 486-489.

(174) Propositio 12.

(175) Ibid.

(176) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 11.

(177) Ibid.

(178) Cfr Propositio 12.

(179) Propositio 14.

(180) Ibid.

(181) Cfr ibid.

(182) Propositio 15.

(183) Ibid.

(184) Ibid.

(185) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull'ecumenismo Unitatis redintegratio, 3.

(186) Propositio 61.

(187) Ibid.

(188) Decr. sull'ecumenismo Unitatis redintegratio, 3.

(189) Cfr Propositio 62.

(190) Cfr Sinodo dei Vescovi, Assemblea Speciale per l'Europa, Dich. Ut testes simus Christi qui nos liberavit (13 dicembre 1991), III, 8: Ench. Vat. 13, nn. 653-655.

(191) Propositio 62.

(192) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Dich. sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane Nostra aetate, 2.

(193) Cfr Propositio 63.

(194) Ibid.

(195) Propositio 67.

(196) Cfr ibid.

(197) Propositio 68.

(198) Ibid.

(199) Propositio 69.

(200) Cfr Sinodo dei Vescovi, Seconda Assemblea generale straordinaria, Relazione finale Ecclesia sub verbo Dei mysteria Christi celebrans pro salute mundi (7 dicembre 1985), II, B, a, 4: Ench. Vat. 9, n. 1797; Giovanni Paolo II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): AAS 86 (1994), 117; Catechismo della Chiesa Cattolica, 24.

(201) Propositio 69.

(202) Propositio 74.

(203) Ibid.

(204) Cfr Propositio 67.

(205) Propositio 70.

(206) Ibid.

(207) Cfr Propositio 73.

(208) Cfr Propositio 70.

(209) Propositio 72.

(210) Ibid.

(211) Ibid.

(212) III Conferenza Generale dell'Episcopato Latino-americano, Puebla, febbraio 1979, Messaggio ai popoli dell'America Latina, n. 306.

(213) Propositio 73.

(214) Cfr Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Libertatis conscientia (22 marzo 1986), 68: AAS 79 (1987), 583-584.

(215) Propositio 73.

(216) Cfr Propositio 75.

(217) Lett. ap. Tertio millennio adveniente (10 novembre 1994), 51: AAS 87 (1995), 36.

(218) Propositio 75.

(219) Ibid.

(220) Propositio 37.

(221) Cfr ibid. Sulla pubblicazione di questi testi, cfr. Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos (21 maggio 1998), IV: AAS 90 (1998), 657.

(222) Cfr Propositio 38.

(223) Cfr ibid.

(224) Cfr ibid.

(225) Cfr ibid.

(226) Cfr Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Il commercio internazionale delle armi. Una riflessione etica (1 maggio 1994): Ench. Vat. 14, nn. 1071-1154.

(227) Cfr Propositio 76.

(228) Ibid.

(229) Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2267, che cita Giovanni Paolo II, Lett. enc. Evangelium vitae (25 marzo 1995), 56: AAS 87 (1995), 463-464.

(230) Cfr Propositio 13.

(231) Cfr ibid.

(232) Cfr ibid.

(233) Ibid.

(234) Cfr Propositio 19.

(235) Cfr Propositio 18.

(236) Propositio 20.

(237) Cfr Congregazione per i Vescovi, Istr. Nemo est (22 agosto 1969), 16: AAS 61 (1969), 621-622; Codice di Diritto Canonico, cann. 294 e 518; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 280 § 1.

(238) Cfr Propositio 20.

(239) Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), 33: AAS 81 (1989), 453.

(240) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 31.

(241) Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), 34: AAS 81 (1989), 455.

(242) Cfr ibid., 2: l.c., 394-397.

(243) Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 14: AAS 68 (1976), 13.

(244) Cfr Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), 34: AAS 81 (1989), 455.

(245) Discorso all'Assemblea del CELAM (9 marzo 1983), III: AAS 75 (1983), 778.

(246) Cfr Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 22: AAS 68 (1976), 20.

(247) Cfr ibid., 7, l.c., 9-10.

(248) Giovanni Paolo II, Messaggio al CELAM (14 settembre 1997), 6: L'Osservatore Romano, 1 ottobre 1997, p. 4.

(249) Propositio 8.

(250) Cfr Propositio 57.

(251) Cfr Propositio 16.

(252) Ibid.

(253) Propositio 2.

(254) Ibid.

(255) Ibid.

(256) Propositio 10.

(257) Relazione finale Ecclesia sub verbo Dei mysteria Christi celebrans pro salute mundi (7 dicembre 1985), II, B, a, 4: Ench. Vat. 9, n. 1797.

(258) Cfr Lett. ap. Laetamur magnopere (15 agosto 1997): AAS 89 (1997), 819-821.

(259) Congregazione per il Clero, Direttorio generale per la catechesi (15 agosto 1997), Libreria Editrice Vaticana, 1997.

(260) Propositio 10.

(261) Ibid.

(262) Ibid.

(263) Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 20: AAS 68 (1976), 19.

(264) Propositio 17.

(265) Cfr ibid.

(266) Cfr ibid.

(267) Cfr Propositio 22.

(268) Propositio 23.

(269) Cfr ibid.

(270) Ibid.

(271) Propositio 24.

(272) Ibid.

(273) Ibid.

(274) Cfr Propositio 22.

(275) Cfr ibid.

(276) Ibid.

(277) Cfr Propositio 25.

(278) Cfr ibid.

(279) Cfr ibid.

(280) Cfr Instrumentum laboris, 45.

(281) Cfr Decr. sull'ecumenismo Unitatis redintegratio, 3.

(282) Cfr Propositio 64.

(283) Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull'ecumenismo Unitatis redintegratio, 3.

(284) Cfr Propositio 65.

(285) Ibid.

(286) Cfr IV Conferenza Generale dell'Episcopato Latino-americano, Santo Domingo, ottobre 1992, Nuova evangelizzazione, promozione umana e cultura cristiana, nn. 139-152.

(287) Cfr Propositio 65.

(288) Cfr Propositio 86.

(289) Ibid.

(290) Propositio 58.

(291) Ibid.

(292) Ibid.

(293) Cfr Ibid.

(294) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 11.

(295) Propositio 12.

 

 

Ecclesia in Africa

ESORTAZIONE APOSTOLICA
POST-SINODALE
ECCLESIA IN AFRICA
DEL SANTO PADRE
GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI
AI PRESBITERI E AI DIACONI
AI RELIGIOSI E ALLE RELIGIOSE
E A TUTTI I FEDELI LAICI
CIRCA LA CHIESA IN AFRICA
E LA SUA MISSIONE EVANGELIZZATRICE
VERSO L'ANNO 2000

INTRODUZIONE

1.La Chiesa che è in Africa ha celebrato con gioia e speranza, durante quattro settimane, la sua fede in Cristo risorto, nel corso di una Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi. Vivo ne resta ancora il ricordo nella memoria dell'intera comunità ecclesiale.

Fedeli alla tradizione dei primi secoli del cristianesimo in Africa, i Pastori di questo continente, in comunione con il Successore dell'apostolo Pietro ed i membri del Collegio episcopale venuti da altre regioni del mondo, hanno tenuto un Sinodo che s'è posto come evento di speranza e di risurrezione, nel momento stesso in cui le vicende umane sembravano piuttosto spingere l'Africa allo scoraggiamento e alla disperazione.

I Padri sinodali, assistiti da qualificati rappresentanti del clero, dei religiosi e del laicato, hanno sottoposto ad un esame approfondito e realistico le luci e le ombre, le sfide e le prospettive dell'evangelizzazione in Africa, all'approssimarsi del terzo millennio della fede cristiana.

I membri dell'Assemblea sinodale mi hanno domandato di portare a conoscenza di tutta la Chiesa i frutti delle loro riflessioni e delle loro preghiere, delle loro discussioni e dei loro scambi.1 Con letizia e con riconoscenza verso il Signore ho accolto tale richiesta, ed oggi, nel momento stesso in cui, in comunione con i Pastori e i fedeli della Chiesa cattolica in Africa, apro la fase celebrativa dell'Assemblea speciale per l'Africa, rendo noto il testo di questa Esortazione apostolica postsinodale, frutto di un lavoro collegiale intenso e prolungato.

Ma prima di addentrarmi nell'esposizione di quanto è maturato nel corso del Sinodo, ritengo opportuno ripercorrere, seppur velocemente, le varie fasi di un evento di così decisiva importanza per la Chiesa in Africa.

Il Concilio

2. Il Concilio Ecumenico Vaticano II può certamente considerarsi, dal punto di vista della storia della salvezza, come la pietra angolare di questo secolo, prossimo ormai a sfociare nel terzo millennio. Nel contesto di quel grande avvenimento, la Chiesa di Dio che è in Africa poté vivere, per parte sua, autentici momenti di grazia. In effetti, l'idea di un incontro, sotto una forma o l'altra, di Vescovi dell'Africa per discutere circa l'evangelizzazione del continente, risale al periodo del Concilio. Quello storico evento fu veramente il crogiuolo della collegialità e un'espressione peculiare della comunione affettiva ed effettiva dell'episcopato mondiale. I Vescovi, in tale occasione, cercarono di individuare gli strumenti adatti per meglio condividere e rendere efficace la loro sollecitudine nei confronti di tutte le Chiese (cfr 2 Cor 11, 28) ed iniziarono a proporre, a tale scopo, le opportune strutture a livello nazionale, regionale e continentale.

Il Simposio delle Conferenze episcopali d'Africa e Madagascar

3. È in tale clima che i Vescovi dell'Africa e del Madagascar, presenti al Concilio, decisero d'istituire un proprio Segretariato Generale col compito di coordinare i loro interventi, così da presentare in aula, per quanto possibile, un punto di vista comune. Questa iniziale cooperazione tra i Vescovi dell'Africa si istituzionalizzò poi con la creazione a Kampala del Simposio delle Conferenze Episcopali d'Africa e Madagascar (S.C.E.A.M.). Ciò avvenne in occasione della visita del Papa Paolo VI in Uganda nel luglio-agosto del 1969, prima visita in Africa di un Pontefice dei tempi moderni.

La convocazione dell'Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi

4. Le Assemblee generali del Sinodo dei Vescovi, che si susseguirono periodicamente dal 1967 in poi, offrirono alla Chiesa che è in Africa preziose opportunità di far sentire la propria voce nell'ambito universale della Chiesa. Così, nella seconda Assemblea generale ordinaria (1971), i Padri sinodali dell'Africa colsero con gioia l'occasione che loro si presentava per invocare una maggiore giustizia nel mondo. La terza Assemblea generale ordinaria sull'evangelizzazione nel mondo contemporaneo (1974) permise di prendere in esame particolarmente i problemi dell'evangelizzazione in Africa. Fu in tale circostanza che i Vescovi del continente, presenti al Sinodo, pubblicarono un importante messaggio dal titolo « Promozione dell'evangelizzazione nella corresponsabilità ».2 Poco dopo, durante l'Anno Santo del 1975, lo S.C.E.A.M. convocò la propria Assemblea plenaria a Roma, per approfondire il tema dell'evangelizzazione.

5. In seguito, dal 1977 al 1983, vari Vescovi, sacerdoti, persone consacrate, teologi e laici espressero il desiderio di un Concilio oppure di un Sinodo africano, avente lo scopo di fare il punto sull'evangelizzazione in Africa in ordine alle grandi scelte da compiere per il futuro del continente. Accolsi con favore ed incoraggiai l'idea di una « concertazione nell'una o nell'altra forma » dell'intero episcopato africano, « per esaminare i problemi religiosi comuni a tutto il continente ».3 Di conseguenza lo S.C.E.A.M. si preoccupò di cercare vie e mezzi per condurre a buon fine il progetto di un simile incontro continentale. Fu organizzata una consultazione delle Conferenze episcopali e di ciascun Vescovo dell'Africa e del Madagascar, in seguito alla quale potei convocare un'Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi. Il 6 Gennaio 1989, nel contesto della solennità dell'Epifania — ricorrenza liturgica nel corso della quale la Chiesa prende rinnovata coscienza dell'universalità della sua missione e del conseguente compito di portare la luce di Cristo a tutti i popoli —, annunciai di aver preso questa « iniziativa di grande importanza per la diffusione del Vangelo ». E precisai di averlo fatto accogliendo l'istanza molte volte e da diverso tempo espressa dai Vescovi dell'Africa, da sacerdoti, teologi ed esponenti del laicato, « perché sia promossa un'organica solidarietà pastorale nell'intero territorio africano ed isole attigue ».4

Un evento di grazia

6. L'Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi è stata un momento storico di grazia: il Signore ha visitato il suo popolo che è in Africa. In effetti, questo continente vive oggi ciò che può definirsi un segno dei tempi, un momento propizio, un giorno di salvezza per l'Africa. Sembra giunta un'« ora dell'Africa », un'ora favorevole che invita con insistenza i messaggeri di Cristo a prendere il largo e a gettare le reti per la pesca (cfr Lc 5, 4). Come agli inizi del cristianesimo l'alto funzionario di Candace, regina d'Etiopia, felice di avere ricevuto la fede mediante il Battesimo, proseguì il suo cammino divenendo testimone di Cristo (cfr At 8, 27-39), così oggi la Chiesa in Africa, piena di gioia e di riconoscenza per la fede ricevuta, deve proseguire la sua missione evangelizzatrice, per attrarre i popoli del continente al Signore, insegnando loro ad osservare quanto Egli ha comandato (cfr Mt 28, 20).

A partire dalla solenne liturgia eucaristica inaugurale che, il 10 Aprile 1994, ho celebrato nella Basilica Vaticana insieme con trentacinque Cardinali, un Patriarca, trentanove Arcivescovi, centoquarantasei Vescovi e novanta sacerdoti, la Chiesa, Famiglia di Dio,5 popolo dei credenti, si è raccolta attorno alla tomba di Pietro. Era presente l'Africa con la varietà dei suoi riti, insieme all'intero popolo di Dio: essa danzava la sua gioia, esprimendo la sua fede nella vita al suono dei tam-tam e di altri strumenti musicali africani. In tale occasione, l'Africa ha sentito di essere, secondo l'espressione di Paolo VI, « nuova patria di Cristo »,6 terra amata dall'eterno Padre.7 Ecco perché io stesso ho salutato quel momento di grazia con le parole del Salmista: « Questo è il giorno fatto dal Signore, rallegriamoci ed esultiamo in esso » (Sal 118 [117], 24).

Destinatari dell'Esortazione

7. Con questa Esortazione apostolica post- sinodale, in comunione con l'Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi, desidero rivolgermi in primo luogo ai Pastori ed ai fedeli cattolici, e poi ai fratelli delle altre Confessioni cristiane, a quanti professano le grandi religioni monoteiste, in particolare i seguaci della religione tradizionale africana, ed a tutti gli uomini di buona volontà che, in un modo o nell'altro, hanno a cuore lo sviluppo spirituale e materiale dell'Africa o tengono nelle loro mani le sorti di questo grande continente.

Innanzitutto il mio pensiero si rivolge naturalmente agli Africani stessi e a tutti coloro che abitano il continente; penso, in particolare, ai figli e alle figlie della Chiesa cattolica: Vescovi, sacerdoti, diaconi, seminaristi, membri degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, catechisti e tutti coloro che fanno del servizio ai loro fratelli l'ideale della loro esistenza. Desidero confermarli nella fede (cfr Lc 22, 32) ed esortarli a perseverare nella speranza che dona il Cristo risorto, vincendo ogni tentazione di scoraggiamento.

Piano dell'Esortazione

8. L'Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi ha esaminato in profondità il tema che le era stato proposto: « La Chiesa in Africa e la sua missione evangelizzatrice verso l'anno 2000: "Mi sarete testimoni" (At 1, 8) ». Questa Esortazione si sforzerà perciò di seguire da vicino questo stesso itinerario. Prenderà l'avvio dal momento storico, vero kairos, in cui s'è tenuto il Sinodo, esaminandone gli obiettivi, la preparazione, lo svolgimento. Si soffermerà sull'attuale situazione della Chiesa in Africa, ricordando le varie fasi dell'impegno missionario. Affronterà, poi, i vari aspetti della missione evangelizzatrice con cui la Chiesa deve misurarsi nel momento presente: l'evangelizzazione, l'inculturazione, il dialogo, la giustizia e la pace, i mezzi di comunicazione sociale. L'accenno alle urgenze e alle sfide, che interpellano la Chiesa in Africa nell'immediata vigilia dell'anno 2000, consentirà di tratteggiare i compiti del testimone di Cristo in Africa, in ordine ad un più efficace apporto all'edificazione del Regno di Dio. Sarà così possibile delineare, alla fine, gli impegni della Chiesa in Africa come Chiesa missionaria: una Chiesa di missione che diventa essa stessa missionaria: « Mi sarete testimoni [...] fino agli estremi confini della terra » (At 1, 8).

CAPITOLO I

UNO STORICO MOMENTO ECCLESIALE

9. « Questa Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi è un avvenimento provvidenziale, per il quale dobbiamo rendere grazie al Padre onnipotente e misericordioso mediante il Figlio nello Spirito, e glorificarlo ».8 È con queste parole che i Padri, nel corso della prima Congregazione generale, hanno solennemente aperto la discussione relativa al tema del Sinodo. In una precedente occasione, io stesso avevo già espresso una simile convinzione riconoscendo che « l'Assemblea speciale è un avvenimento ecclesiale di fondamentale importanza per l'Africa, un kairos, un momento di grazia, in cui Dio manifesta la sua salvezza. Tutta la Chiesa è invitata a vivere pienamente questo tempo di grazia, ad accogliere e a diffondere la Buona Novella. Lo sforzo di preparazione al Sinodo recherà beneficio non solo alla celebrazione sinodale stessa, ma si volgerà sin da ora a favore delle Chiese locali pellegrine in Africa, la cui fede e la cui testimonianza si rafforzano, rendendole sempre più mature ».9

Professione di fede

10. Questo momento di grazia si concretò innanzitutto in una solenne professione di fede. Raccolti intorno alla Tomba di Pietro per l'inaugurazione dell'Assemblea speciale, i Padri del Sinodo proclamarono la loro fede, la fede di Pietro che, rispondendo alla domanda di Cristo: « Forse anche voi volete andarvene? », rispose: « Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio » (Gv 6, 67-69). I Vescovi dell'Africa, nei quali la Chiesa cattolica trovava in quei giorni una sua particolare espressione presso la Tomba dell'Apostolo, ribadirono di credere fermamente che l'onnipotenza e la misericordia dell'unico Dio si sono manifestate soprattutto nell'Incarnazione redentrice del Figlio di Dio, Figlio che è consostanziale al Padre nell'unità dello Spirito Santo e che, in questa unità trinitaria, riceve in pienezza gloria e onore. Questa — affermarono i Padri — è la nostra fede, questa è la fede della Chiesa, questa è la fede di tutte le Chiese locali che, disseminate sul continente africano, sono in cammino verso la casa di Dio.

Questa fede in Gesù Cristo fu manifestata in modo costante, con forza e unanimità, negli interventi dei Padri del Sinodo lungo l'intero svolgimento dell'Assemblea speciale. Forti di questa fede i Vescovi dell'Africa affidarono il loro continente a Cristo Signore, convinti che lui solo, col suo Vangelo e con la sua Chiesa, può salvare l'Africa dalle attuali difficoltà e guarirla dai suoi numerosi mali.10

11. Al tempo stesso, in occasione dell'apertura solenne dell'Assemblea speciale, i Vescovi dell'Africa proclamarono pubblicamente la loro fede nell'« unica Chiesa di Cristo, che nel simbolo professiamo una, santa, cattolica e apostolica ».11 Questi attributi indicano tratti essenziali della Chiesa e della sua missione. Essa « non se li conferisce da se stessa; è Cristo che, per mezzo dello Spirito Santo, concede alla sua Chiesa di essere una, santa, cattolica e apostolica, ed è ancora lui che la chiama a realizzare ciascuna di queste caratteristiche ».12

Tutti coloro che hanno avuto il privilegio di assistere alla celebrazione dell'Assemblea speciale per l'Africa si sono rallegrati nel vedere che i cattolici africani vanno assumendo sempre più responsabilità nelle loro Chiese locali e si sforzano di meglio comprendere quel che significa essere cattolici ed insieme africani. La celebrazione dell'Assemblea speciale ha manifestato al mondo intero che le Chiese locali dell'Africa hanno un posto legittimo nella comunione della Chiesa, che esse hanno il diritto di conservare e sviluppare « proprie tradizioni, rimanendo integro il primato della Cattedra di Pietro, la quale presiede alla comunione universale della carità, tutela le varietà legittime, e insieme veglia affinché ciò che è particolare, non solo non nuoccia all'unità, ma piuttosto la serva ».13

Sinodo di risurrezione, Sinodo di speranza

12. Per un singolare disegno della Provvidenza, la solenne inaugurazione dell'Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi ebbe luogo la seconda domenica di Pasqua, a conclusione cioè dell'ottava di Pasqua. I Padri sinodali, riuniti quel giorno nella Basilica Vaticana, erano ben consapevoli del fatto che la gioia della loro Chiesa scaturiva dal medesimo evento che aveva colmato di letizia i cuori degli Apostoli nel giorno di Pasqua: la risurrezione del Signore Gesù (cfr Lc 24, 40-41). Essi erano profondamente coscienti della presenza in mezzo a loro del Signore risorto, che diceva loro come agli Apostoli: « Pace a voi! » (Gv 20, 21.26). Essi erano consapevoli della sua promessa di restare con la sua Chiesa per sempre (cfr Mt 28, 20) e, quindi, anche durante l'intero svolgimento dell'Assemblea sinodale. Il clima pasquale in cui l'Assemblea speciale iniziò il suo lavoro, con i suoi componenti uniti nel celebrare la loro fede in Cristo risorto, richiamava spontaneamente al mio spirito le parole rivolte da Gesù all'apostolo Tommaso: « Beati quelli che pur non avendo visto crederanno! » (Gv 20, 29).

13. È stato, in effetti, il Sinodo della risurrezione e della speranza, come hanno dichiarato con gioia ed entusiasmo i Padri sinodali nelle prime frasi del loro Messaggio indirizzato al popolo di Dio. Sono parole che volentieri faccio mie: « Come Maria Maddalena la mattina della Risurrezione, come i discepoli di Emmaus dal cuore ardente e dall'intelligenza illuminata, l'Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi proclama: Cristo nostra speranza è risuscitato. Ci ha raggiunti, ha camminato con noi. Ha commentato per noi le Scritture ed ecco quello che ci ha detto: "Io sono il Primo e l'Ultimo e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi" (Ap 1, 17-18) [...]. E come san Giovanni a Patmos, in tempi particolarmente difficili, ha ricevuto profezie di speranza per il popolo di Dio, anche noi annunciamo la speranza. In questo stesso momento in cui tanti odi fratricidi, provocati da interessi politici, lacerano i nostri popoli, nel momento in cui il peso del debito internazionale o della svalutazione li schiaccia, noi, Vescovi dell'Africa, assieme a tutti i partecipanti a questo santo Sinodo, uniti al Santo Padre e a tutti i nostri Fratelli nell'episcopato che ci hanno eletti, vogliamo pronunciare una parola di speranza e di conforto nei tuoi confronti, Famiglia di Dio che sei in Africa: nei tuoi confronti, Famiglia di Dio sparsa nel mondo: Cristo nostra speranza è vivo, noi vivremo! ».14

14. Esorto tutto il popolo di Dio in Africa ad accogliere con animo aperto il messaggio di speranza che gli è stato indirizzato dall'Assembla sinodale. Durante le loro discussioni, i Padri del Sinodo, pienamente consapevoli di esser portatori delle attese non soltanto dei cattolici africani, ma anche di tutti gli uomini e di tutte le donne di quel continente, hanno affrontato con chiarezza i molteplici mali che opprimono l'Africa di oggi. Essi hanno esplorato tutta la complessità e l'estensione di ciò che la Chiesa è chiamata a compiere per favorire l'auspicato cambiamento, ma l'hanno fatto con un atteggiamento libero da pessimismo o da disperazione. Nonostante il panorama prevalentemente negativo che oggi presentano numerose regioni dell'Africa e malgrado le tristi esperienze che non pochi paesi attraversano, la Chiesa ha il dovere di affermare con forza che è possibile superare queste difficoltà. Essa deve rinvigorire in tutti gli Africani la speranza in una vera liberazione. La sua fiducia è fondata, in ultima istanza, sulla consapevolezza della promessa divina, la quale ci assicura che la nostra storia non è chiusa in se stessa, ma è aperta al Regno di Dio. Ecco perché né la disperazione né il pessimismo possono essere giustificati quando si pensa al futuro sia dell'Africa che di ogni altra parte del mondo.

Collegialità affettiva ed effettiva

15. Prima di inoltrarmi nella trattazione dei vari argomenti, vorrei rilevare come il Sinodo dei Vescovi costituisca uno strumento quanto mai propizio per favorire la comunione ecclesiale. Quando, verso la fine del Concilio Vaticano II, il Papa Paolo VI di v.m. istituì il Sinodo, indicò chiaramente che una delle sue finalità essenziali sarebbe stata quella di esprimere e promuovere, sotto la guida del Successore di Pietro, la comunione reciproca dei Vescovi sparsi nel mondo.15 Il principio soggiacente all'istituzione del Sinodo dei Vescovi è semplice: più è salda la comunione dei Vescovi tra loro, più risulta arricchita la comunione della Chiesa stessa nel suo insieme. La Chiesa in Africa è testimone della verità di queste parole, perché ha fatto l'esperienza dell'entusiasmo e dei concreti risultati che hanno accompagnato i preparativi dell'Assemblea del Sinodo dei Vescovi a lei dedicata.

16. In occasione del mio primo incontro con il Consiglio della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, radunato in vista dell'Assemblea speciale per l'Africa, indicai la ragione per la quale era parso opportuno convocare questa Assemblea: la promozione di « una solidarietà pastorale organica in tutto il territorio africano e nelle isole adiacenti ».16 Con questa espressione intendevo abbracciare gli scopi e gli obiettivi principali verso i quali detta Assemblea avrebbe dovuto orientarsi. Per meglio chiarire le mie aspettative, aggiunsi che le riflessioni in preparazione dell'Assemblea avrebbero dovuto riguardare « tutti gli aspetti importanti della vita della Chiesa in Africa, comprendendo, in particolare, l'evangelizzazione, l'inculturazione, il dialogo, la cura pastorale in campo sociale e i mezzi di comunicazione sociale ».17

17. Durante le mie visite pastorali in Africa, mi sono riferito di frequente all'Assemblea speciale per l'Africa ed ai principali obiettivi per i quali essa era stata convocata. Quando ho partecipato, per la prima volta sul suolo africano, ad una riunione del Consiglio del Sinodo, non ho mancato di sottolineare la mia convinzione che un'Assemblea sinodale non può ridursi ad una consultazione su argomenti pratici. La sua vera ragion d'essere sta nel fatto che la Chiesa non può crescere se non rafforzando la comunione tra i suoi membri, a cominciare dai suoi Pastori.18

Ogni Assemblea sinodale manifesta e sviluppa la solidarietà tra i capi delle Chiese particolari nel compimento della loro missione oltre i confini delle rispettive diocesi. Come ha insegnato il Concilio Vaticano II, « i Vescovi, sia come legittimi successori degli Apostoli sia come membri del collegio episcopale, sappiano essere sempre tra loro uniti e dimostrarsi solleciti di tutte le Chiese; pensando che per divina disposizione e comando del dovere apostolico ognuno di essi, insieme con gli altri Vescovi, è garante della Chiesa ».19

18. Il tema che ho assegnato all'Assemblea speciale — « La Chiesa in Africa e la sua missione evangelizzatrice verso l'anno 2000: "Mi sarete testimoni" (At 1, 8) » — manifesta il mio desiderio che questa Chiesa viva il tempo fino al Grande Giubileo come un « nuovo Avvento », tempo di attesa e di preparazione. Considero infatti la preparazione all'anno 2000 come una delle chiavi di interpretazione del mio Pontificato.20

Le Assemblee sinodali che si sono succedute nell'arco di quasi trent'anni — le Assemblee Generali e quelle Speciali continentali, regionali o nazionali — si situano tutte in questa prospettiva di preparazione del Grande Giubileo. Il fatto che l'evangelizzazione sia il tema di tutte queste Assemblee sinodali sta ad indicare quanto viva sia oggi nella Chiesa la coscienza della missione salvifica ricevuta da Cristo. Tale presa di coscienza si manifesta con una particolare evidenza nelle Esortazioni apostoliche post-sinodali dedicate all'evangelizzazione, alla catechesi, alla famiglia, alla penitenza ed alla riconciliazione nella vita della Chiesa e dell'intera umanità, alla vocazione e alla missione dei laici, alla formazione dei presbiteri.

In piena comunione con la Chiesa universale

19. Sin dall'inizio della preparazione dell'Assemblea speciale è stato mio vivo desiderio, pienamente condiviso dal Consiglio della Segreteria Generale, di far sì che questo Sinodo fosse autenticamente africano, senza equivoci. Era al tempo stesso di fondamentale importanza che l'Assemblea speciale fosse celebrata in piena comunione con la Chiesa universale. In effetti, l'Assemblea ha sempre tenuto conto della Chiesa universale. Reciprocamente, quando venne il momento di pubblicare i Lineamenta, non mancai di invitare i miei Fratelli nell'episcopato e tutto il popolo di Dio sparso per il mondo a ricordare nella preghiera l'Assemblea speciale per l'Africa ed a sentirsi coinvolti nelle attività promosse in vista di tale evento.

Questa Assemblea, come ho spesso avuto modo di ribadire, riveste notevole importanza per la Chiesa universale, non solamente a motivo dell'interesse che la sua convocazione ha suscitato dappertutto, ma anche per la natura stessa della comunione ecclesiale che trascende ogni frontiera di tempo e di spazio. Di fatto, l'Assemblea speciale ha ispirato molte preghiere e buone opere, con le quali i singoli fedeli e le comunità della Chiesa negli altri continenti hanno accompagnato lo svolgimento del Sinodo. E come dubitare che, nel mistero della comunione ecclesiale, ad esso siano venute in sostegno anche le preghiere dei santi nel Cielo?

Quando ho disposto che la prima fase dei lavori dell'Assemblea speciale si tenesse a Roma, l'ho deciso per sottolineare ancor più eloquentemente la comunione che lega la Chiesa che è in Africa con la Chiesa universale, sì da evidenziare l'impegno di tutti i fedeli in favore dell'Africa.

20. La solenne concelebrazione eucaristica di apertura del Sinodo, che ho presieduto nella Basilica di san Pietro, ha posto in rilievo l'universalità della Chiesa in modo meraviglioso e commovente. Questa universalità, « che non è uniformità ma comunione di differenze compatibili con il Vangelo »,21 è stata vissuta da tutti i Vescovi. Tutti avevano consapevolezza di essere stati consacrati in quanto membri del corpo episcopale che succede al Collegio degli Apostoli, non solo per una diocesi, ma per la salvezza del mondo intero.22

Rendo grazie a Dio Onnipotente per l'occasione che ci ha donato di sperimentare, grazie all'Assemblea speciale, ciò che comporta un'autentica cattolicità. « In virtù di questa cattolicità, le singole parti portano i propri doni alle altre parti e a tutta la Chiesa ».23

Un messaggio pertinente e credibile

21. Secondo i Padri sinodali, la questione principale che la Chiesa in Africa deve affrontare consiste nel descrivere con tutta la chiarezza possibile ciò che essa è e ciò che deve realizzare in pienezza, perché il suo messaggio sia pertinente e credibile.24 Tutte le discussioni in Assemblea hanno fatto riferimento a tale esigenza veramente essenziale e fondamentale, che è un'autentica sfida per la Chiesa in Africa.

È senz'altro vero « che lo Spirito Santo è l'agente principale dell'evangelizzazione: è Lui che spinge ad annunciare il Vangelo e che nell'intimo delle coscienze fa accogliere e comprendere la parola della salvezza ».25 Ma, riaffermata questa verità, l'Assemblea speciale ha voluto giustamente aggiungere che l'evangelizzazione è anche una missione che il Signore Gesù ha affidato alla sua Chiesa sotto la guida e la potenza dello Spirito. È necessaria la nostra cooperazione mediante la preghiera fervente, una grande riflessione, adeguati progetti e la mobilitazione delle risorse.26

Il dibattito sinodale sul tema della pertinenza e della credibilità del messaggio della Chiesa in Africa non poteva non implicare una riflessione sulla credibilità stessa degli annunciatori di tale messaggio. I Padri hanno affrontato la questione in modo diretto, con profonda sincerità, aliena da ogni indulgenza. Di questo s'era già occupato il Papa Paolo VI che, con parole memorabili, aveva ricordato: « Si ripete spesso, oggi, che il nostro secolo ha sete di autenticità. Soprattutto a proposito dei giovani, si afferma che hanno orrore del fittizio, del falso, e ricercano sopra ogni cosa la verità e la trasparenza. Questi segni dei tempi dovrebbero trovarci all'erta. Tacitamente o con alte grida, ma sempre con forza, ci domandano: Credete veramente a quello che annunziate? Vivete quello che credete? Predicate veramente quello che vivete? La testimonianza della vita è divenuta più che mai una condizione essenziale per l'efficacia profonda della predicazione. Per questo motivo, eccoci responsabili, fino ad un certo punto, della riuscita del Vangelo che proclamiamo ».27

Ecco perché, in riferimento alla missione evangelizzatrice della Chiesa nel campo della giustizia e della pace, io stesso ho detto: « Oggi più che mai la Chiesa è cosciente che il suo messaggio sociale troverà credibilità nella testimonianza delle opere, prima che nella sua coerenza e logica interna ».28

22. Come non richiamare qui che l'ottava Assemblea Plenaria dello S.C.E.A.M., tenutasi a Lagos, in Nigeria, nel 1987, aveva già preso in considerazione con notevole chiarezza la questione della credibilità e della pertinenza del messaggio della Chiesa in Africa? Quella stessa Assemblea aveva dichiarato che la credibilità della Chiesa in Africa dipendeva da Vescovi e sacerdoti capaci di dare, sulle orme di Cristo, la testimonianza di una vita esemplare; da religiosi realmente fedeli, autentici testimoni con il loro modo di vivere i consigli evangelici; da un laicato dinamico, con genitori profondamente credenti, educatori coscienti delle loro responsabilità, dirigenti politici animati da profondo senso morale.29

Famiglia di Dio in cammino sinodale

23. Rivolgendomi il 23 giugno 1989 ai Membri del Consiglio della Segreteria Generale, insistei molto sulla partecipazione dell'intero popolo di Dio, a tutti i livelli, specialmente in Africa, alla preparazione dell'Assemblea speciale. « Se è ben preparata, dissi, la sessione del Sinodo permetterà di coinvolgere tutti i settori della comunità cristiana: singoli, piccole comunità, parrocchie, diocesi ed istituzioni locali, nazionali ed internazionali ».30

Tra l'inizio del mio Pontificato e l'inaugurazione dell'Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi, ho potuto effettuare dieci Visite pastorali in Africa e in Madagascar, raggiungendo trentasei nazioni. In occasione dei Viaggi apostolici successivi alla convocazione dell'Assemblea speciale, il tema del Sinodo e quello della necessità per tutti i fedeli di prepararsi all'Assemblea sinodale sono sempre stati presenti in maniera preminente nei miei incontri con il popolo di Dio in Africa. Ho anche approfittato delle visite ad limina dei Vescovi di quel continente per sollecitare la collaborazione di tutti alla preparazione dell'Assemblea speciale per l'Africa. In tre occasioni diverse, poi, ho tenuto, insieme al Consiglio della Segreteria Generale del Sinodo, sessioni di lavoro sul suolo africano: a Yamoussoukro, in Costa d'Avorio (1990), a Luanda, in Angola (1992) e a Kampala, in Uganda (1993), sempre in vista di chiamare gli Africani a prendere parte attiva e corale alla preparazione dell'Assemblea sinodale.

24. La presentazione, il 25 luglio 1990, dei Lineamenta a Lomé, in Togo, in occasione della nona Assemblea generale dello S.C.E.A.M., è stata senz'altro una tappa nuova e importante dell'iter preparatorio all'Assemblea speciale. Si può ben dire che la pubblicazione dei Lineamenta ha avviato decisamente i preparativi del Sinodo in tutte le Chiese particolari dell'Africa. L'Assemblea dello S.C.E.A.M. a Lomé ha adottato una Preghiera per l'Assemblea speciale ed ha chiesto che fosse recitata, sia in pubblico che in privato, in tutte le parrocchie africane fino alla celebrazione del Sinodo. Questa iniziativa dello S.C.E.A.M. è stata veramente felice e non è passata inosservata nella Chiesa universale.

Per favorire, poi, la diffusione dei Lineamenta, parecchie Conferenze episcopali e diocesi hanno tradotto il documento nella loro lingua, come, per esempio, in swahili, arabo, malgascio ed altri idiomi. « Pubblicazioni, conferenze e simposi sui temi del Sinodo sono stati organizzati da diverse Conferenze episcopali, Istituti di teologia e seminari, Associazioni di Istituti di vita consacrata, diocesi, alcuni importanti giornali e periodici, singoli Vescovi e teologi ».31

25. Rendo vivamente grazie a Dio Onnipotente per la cura attenta con cui sono stati redatti i Lineamenta e l'Instrumentum laboris 32 del Sinodo. È stato un impegno affrontato e svolto da africani, Vescovi ed esperti, a cominciare dalla Commissione antepreparatoria del Sinodo, nel gennaio e nel marzo 1989. La Commissione fu poi rilevata dal Consiglio della Segreteria Generale dell'Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi, da me istituito il 20 giugno 1989.

Sono profondamente riconoscente, inoltre, al gruppo di lavoro che ha così ben curato le liturgie eucaristiche per l'apertura e la chiusura del Sinodo. Il gruppo, che contava tra i suoi membri teologi, liturgisti ed esperti in canti e strumenti africani d'espressione liturgica, ha voluto far sì, secondo il mio desiderio, che esse fossero segnate da un chiaro carattere africano.

26. Ora devo aggiungere che la risposta degli Africani al mio appello a partecipare alla preparazione del Sinodo è stata veramente ammirevole. L'accoglienza riservata ai Lineamenta, sia all'interno che al di fuori delle comunità ecclesiali africane, ha superato largamente ogni previsione. Molte Chiese locali si sono servite dei Lineamenta per mobilitare i fedeli e, fin d'ora, possiamo senz'altro dire che i frutti del Sinodo cominciano a manifestarsi in un nuovo impegno e in una rinnovata presa di coscienza dei cristiani d'Africa.33

Lungo le diverse fasi della preparazione dell'Assemblea speciale, numerosi membri della Chiesa in Africa — clero, religiosi, religiose, laici — si sono inseriti in maniera esemplare nell'itinerario sinodale, « camminando insieme », mettendo ciascuno i propri talenti al servizio della Chiesa e pregando insieme con fervore per il successo del Sinodo. Più d'una volta gli stessi Padri del Sinodo hanno segnalato, nel corso dell'Assemblea sinodale, che il loro lavoro veniva facilitato grazie proprio alla « preparazione accurata e minuziosa di questo Sinodo, svoltasi con il coinvolgimento attivo di tutta la Chiesa in Africa ad ogni livello ».34

Dio vuole salvare l'Africa

27. L'Apostolo dei Gentili ci dice che Dio « vuole che tutti gli uomini siano salvati ed arrivino alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Gesù Cristo, che ha dato se stesso in riscatto per tutti » (1 Tm 2, 4-6). Poiché Dio chiama tutti gli uomini ad un unico e medesimo destino, che è divino, « dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale ».35 L'amore redentore di Dio abbraccia l'intera umanità, ogni razza, tribù e nazione: abbraccia quindi anche le popolazioni del continente africano. La Provvidenza divina volle che l'Africa fosse presente durante la Passione di Cristo nella persona di Simone di Cirene, costretto dai soldati romani ad aiutare il Signore nel portare la Croce (cfr Mc 15, 21).

28. La liturgia della sesta domenica di Pasqua del 1994, durante la solenne Celebrazione eucaristica per la conclusione della Sessione di lavoro dell'Assemblea speciale, mi offrì l'occasione di sviluppare una riflessione sul disegno salvifico di Dio nei confronti dell'Africa. Una delle letture bibliche, tratta dagli Atti degli Apostoli, rievocava un avvenimento che può essere considerato come il primo passo nella missione della Chiesa verso i pagani: il racconto della visita fatta da Pietro, sotto l'impulso dello Spirito Santo, alla casa di un pagano, il centurione Cornelio. Fino a quel momento il Vangelo era stato proclamato soprattutto tra gli ebrei. Dopo aver esitato non poco, Pietro, illuminato dallo Spirito, decise di recarsi nella casa di un pagano. Arrivato colà, fu gioiosamente sorpreso per il fatto che il centurione attendeva Cristo e il Battesimo. Il libro degli Atti degli Apostoli riferisce: « I fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si meravigliavano che anche sopra i pagani si effondesse il dono dello Spirito Santo; li sentivano infatti parlare lingue e glorificare Dio » (10, 45-46).

In casa di Cornelio, in un certo senso, si riprodusse il miracolo della Pentecoste. Pietro disse allora: « In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto [...]. Forse che si può proibire che siano battezzati con l'acqua questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo al pari di noi? » (At 10, 34-35.47).

Cominciò così la missione della Chiesa ad gentes, della quale Paolo di Tarso diventerà il principale araldo. I primi missionari arrivati nel cuore dell?Africa hanno certamente conosciuto una meraviglia simile a quella sperimentata dai cristiani dei tempi apostolici davanti all'effusione dello Spirito Santo.

29. Il disegno di Dio per la salvezza dell'Africa sta all'origine della diffusione della Chiesa nel continente africano. Essendo tuttavia la Chiesa, secondo la volontà di Cristo, per sua natura missionaria, ne segue che la Chiesa in Africa è chiamata ad assumere essa stessa un ruolo attivo al servizio del progetto salvifico di Dio. Per questo ho spesso detto che « la Chiesa in Africa è la Chiesa missionaria e di missione ».36

L'Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi ha avuto il compito di esaminare gli strumenti mediante i quali gli Africani potranno meglio realizzare il mandato che il Signore risorto ha donato ai suoi discepoli: « Andate, dunque, ed ammaestrate tutte le nazioni » (Mt 28, 19).

CAPITOLO II

LA CHIESA IN AFRICA

I. Breve storia dell'Evangelizzazione nel Continente

30. Il giorno dell'apertura dell'Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi, prima assise del genere nella storia, i Padri sinodali hanno ricordato alcune delle meraviglie operate da Dio nel corso dell'evangelizzazione dell'Africa. È una storia che risale all'epoca della nascita stessa della Chiesa. La diffusione del Vangelo in Africa è avvenuta in fasi diverse. I primi secoli del cristianesimo videro l'evangelizzazione dell'Egitto e dell'Africa del Nord. Una seconda fase, riguardante le regioni di quel continente situate al sud del Sahara, ha avuto luogo nei secoli XV e XVI. Una terza fase, caratterizzata da uno sforzo missionario straordinario, è iniziata nel XIX secolo.

Prima fase

31. In un messaggio ai Vescovi e a tutti i popoli dell'Africa in ordine alla promozione del benessere materiale e spirituale del continente, il mio venerato predecessore Paolo VI richiamò con parole memorabili il glorioso splendore del passato cristiano dell'Africa. « Pensiamo alle Chiese cristiane d'Africa, l'origine delle quali risale ai tempi apostolici ed è legata, secondo la tradizione, al nome e all'insegnamento dell'evangelista Marco. Pensiamo alla schiera innumerevole di santi, martiri, confessori, vergini, che ad esse appartengono. In realtà, dal secolo II al secolo IV la vita cristiana nelle regioni settentrionali dell'Africa fu intensissima e all'avanguardia tanto nello studio teologico quanto nella espressione letteraria. Balzano alla memoria i nomi dei grandi dottori e scrittori, come Origene, sant'Atanasio, san Cirillo, luminari della Scuola alessandrina, e, sull'altro lembo della sponda mediterranea africana, Tertulliano, san Cipriano, e soprattutto sant'Agostino, una delle luci più fulgenti della cristianità. Ricorderemo i grandi santi del deserto, Paolo, Antonio, Pacomio, primi fondatori del monachesimo, diffusosi poi, sul loro esempio, in Oriente e in Occidente. E, tra i tanti altri, non vogliamo omettere il nome di san Frumenzio, chiamato Abba Salama, il quale, consacrato vescovo da sant'Atanasio, fu l'apostolo dell'Etiopia ».37 Durante questi primi secoli della Chiesa in Africa, anche alcune donne hanno reso la loro testimonianza a Cristo. Tra esse è doverosa una menzione particolare delle sante Felicita e Perpetua, di santa Monica e di santa Tecla.

« Questi luminosi esempi, come pure le figure dei santi Papi africani Vittore I, Melchiade e Gelasio I, appartengono al patrimonio comune della Chiesa, e gli scritti degli autori cristiani d'Africa ancor oggi sono fondamentali per approfondire, alla luce della Parola di Dio, la storia della salvezza. Nel ricordo delle antiche glorie dell'Africa cristiana, noi desideriamo esprimere il nostro profondo rispetto per le Chiese con le quali non siamo in piena comunione: la Chiesa greca del Patriarcato di Alessandria, la Chiesa copta dell'Egitto e la Chiesa etiopica, che hanno in comune con la Chiesa cattolica l'origine e l'eredità dottrinale e spirituale dei grandi Padri e Santi, non soltanto della loro terra, ma di tutta la Chiesa antica. Esse hanno molto operato e sofferto per mantenere vivo il nome cristiano in Africa attraverso le vicende dei tempi ».38 Tali Chiese recano ancora oggi la testimonianza della vitalità cristiana che esse attingono dalle loro radici apostoliche, particolarmente in Egitto e in Etiopia e, fino al XVII secolo, in Nubia. Sul resto del continente cominciava allora un'altra tappa dell'evangelizzazione.

Seconda fase

32. Nei secoli XV e XVI, l'esplorazione della costa africana da parte dei portoghesi fu ben presto accompagnata dall'evangelizzazione delle regioni dell'Africa situate a sud del Sahara. Tale sforzo riguardava, tra altre zone, le regioni dell'attuale Benin, di São Tomé, dell'Angola, del Mozambico e del Madagascar.

Il 7 giugno 1992, domenica di Pentecoste, in occasione della commemorazione dei 500 anni dell'evangelizzazione dell'Angola, a Luanda, ebbi a dire tra l'altro: « Gli Atti degli Apostoli indicano con il loro nome gli abitanti di diversi luoghi che presero direttamente parte alla nascita della Chiesa ad opera del soffio dello Spirito Santo. Ecco ciò che tutti dicevano: "Li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio" (At 2, 11). Cinquecento anni fa, a questo coro di lingue si sono aggiunti i popoli dell'Angola. In quel momento, nella vostra Patria africana, si è rinnovata la Pentecoste di Gerusalemme. I vostri antenati udirono il messaggio della Buona Novella, che è la lingua dello Spirito. I loro cuori accolsero per la prima volta questa parola ed essi chinarono il capo nell'acqua del fonte battesimale, in cui l'uomo, ad opera dello Spirito Santo, muore insieme a Cristo crocifisso e rinasce a nuova vita nella sua risurrezione [...]. Fu certamente lo stesso Spirito a spingere quegli uomini di fede, i primi missionari, che nel 1491 approdarono alla foce del fiume Zaire, a Pinda, dando inizio ad una vera e propria epopea missionaria. Fu ancora lo Spirito Santo, operante a modo suo nel cuore degli uomini, che spinse il grande re del Congo Nzinga-a-Nkuwu a sollecitare la venuta di missionari per annunciare il Vangelo. Fu lo Spirito Santo che sostenne la vita di quei quattro primi cristiani angolani che, di ritorno dall'Europa, testimoniarono il valore della fede cristiana. Dopo i primi missionari, molti altri vennero dal Portogallo e da altri paesi europei per continuare, ampliare e consolidare l'opera iniziata».39

Un certo numero di sedi episcopali fu eretto durante tale periodo, e una delle primizie di questo impegno missionario fu la consacrazione a Roma, nel 1518, da parte di Leone X, di Don Enrico, figlio di Don Alfonso I, re del Congo, come vescovo titolare di Utica. Don Enrico diventò così il primo vescovo autoctono dell'Africa nera.

Fu in quel periodo, esattamente nell'anno 1622, che il mio predecessore Gregorio XV eresse stabilmente la Congregazione De Propaganda Fide con lo scopo di meglio organizzare e sviluppare le missioni.

A causa di difficoltà di vario genere, la seconda fase dell'evangelizzazione dell'Africa si concluse nel XVIII secolo con l'estinzione di pressoché tutte le missioni nelle regioni situate a sud del Sahara.

Terza fase

33. La terza fase di evangelizzazione sistematica dell'Africa cominciò nel XIX secolo, periodo caratterizzato da uno sforzo straordinario, promosso dai grandi apostoli e animatori della missione africana. Fu un periodo di rapida crescita, come mostrano chiaramente le statistiche presentate all'Assemblea sinodale dalla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli.40 L'Africa ha risposto molto generosamente alla chiamata di Cristo. In questi ultimi decenni numerosi paesi africani hanno celebrato il primo centenario dell'inizio della loro evangelizzazione. Veramente la crescita della Chiesa in Africa, da cent'anni a questa parte, costituisce una meraviglia della grazia di Dio.

La gloria e lo splendore del periodo contemporaneo dell'evangelizzazione in Africa sono illustrati in modo mirabile dai santi che l'Africa moderna ha donato alla Chiesa. Papa Paolo VI ebbe modo di esprimere con eloquenza questa realtà quando canonizzò i martiri dell'Uganda nella Basilica di San Pietro, in occasione della Giornata Missionaria Mondiale del 1964: « Questi martiri africani aggiungono all'albo dei vittoriosi, qual è il Martirologio, una pagina tragica e magnifica, veramente degna di aggiungersi a quelle meravigliose dell'Africa antica [...]. L'Africa, bagnata dal sangue di questi Martiri, primi dell'èra nuova (oh, Dio voglia che siano gli ultimi, tanto il loro olocausto è grande e prezioso!), risorge libera e redenta ».41

34. La lista dei santi che l'Africa dona alla Chiesa, lista che è il suo più grande titolo di onore, continua ad allungarsi. Come potremmo non menzionare, tra i più recenti, Clementina Anwarite, vergine e martire dello Zaire, che ho beatificato in terra africana nel 1985, Vittoria Rasoamanarivo, del Madagascar e Giuseppina Bakhita, del Sudan, beatificate anch'esse durante il mio Pontificato? E come non ricordare il beato Isidoro Bakanja, martire dello Zaire, che ho avuto il privilegio di elevare all'onore degli altari durante l'Assemblea speciale per l'Africa?

« Altre cause stanno maturando. La Chiesa in Africa deve provvedere a redigere il suo proprio Martirologio, aggiungendo alle magnifiche figure dei primi secoli [...] i martiri e i santi degli ultimi tempi ».42

Di fronte alla formidabile crescita della Chiesa in Africa durante gli ultimi cent'anni, di fronte ai frutti di santità che sono stati ottenuti, non vi è che un'unica spiegazione possibile: tutto ciò è dono di Dio, poiché nessuno sforzo umano avrebbe potuto compiere una simile opera in un periodo relativamente così breve. Tuttavia, non c'è posto per un trionfalismo umano. Facendo memoria dello splendore glorioso della Chiesa in Africa, i Padri sinodali hanno voluto soltanto celebrare le meraviglie compiute da Dio per la liberazione e la salvezza dell'Africa.

« Ecco l'opera del Signore,
una meraviglia ai nostri occhi » (Sal 118 [117], 23).
« Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente
e Santo è il suo nome » (Lc 1, 49).

Omaggio ai missionari

35. La splendida crescita e le realizzazioni della Chiesa in Africa sono dovute in gran parte all'eroica e disinteressata dedizione di generazioni di missionari. Ciò è da tutti riconosciuto. La terra benedetta dell'Africa è, in effetti, disseminata di tombe di valorosi araldi del Vangelo.

Quando i Vescovi dell'Africa si sono incontrati a Roma per l'Assemblea speciale, erano ben consapevoli del debito di riconoscenza che il loro continente ha verso i suoi antenati nella fede.

Nel discorso rivolto alla prima Assemblea dello S.C.E.A.M. a Kampala, il 31 luglio 1969, Papa Paolo VI fece riferimento a questo debito di riconoscenza: « Voi Africani siete oramai i missionari di voi stessi. La Chiesa di Cristo è davvero piantata in questa terra benedetta (cfr Decr. Ad gentes, 6). Un dovere dobbiamo noi compiere: noi dobbiamo ricordare coloro che hanno in Africa, prima di voi ed ancora oggi con voi, predicato il Vangelo, come ci ammonisce la Sacra Scrittura: "Ricordatevi dei vostri predecessori, che vi hanno annunciato la parola di Dio, e considerando la fine della loro vita, imitate la loro fede" (Eb 13, 7). È una storia che non dobbiamo dimenticare. Essa conferisce alla Chiesa locale la nota della sua autenticità e della sua nobiltà, la nota "apostolica"; essa è un dramma di carità, di eroismo, di sacrificio, che fa grande e santa, fin dall'origine, la Chiesa africana ».43

36. L'Assemblea speciale ha degnamente assolto questo debito di riconoscenza in occasione della sua prima Congregazione generale, quando ha dichiarato: « È il caso qui di rendere un vibrante omaggio ai missionari, uomini e donne di tutti gli Istituti religiosi e secolari, e a tutti i paesi che, nel corso dei 2000 anni circa di evangelizzazione del continente africano [...] si sono dedicati intensamente a trasmettere la fiamma della fede cristiana [...]. Ecco perché noi, felici eredi di questa meravigliosa avventura, vogliamo rendere grazie a Dio in questa solenne circostanza ».44

Nel Messaggio al popolo di Dio i Padri sinodali hanno rinnovato con vigore l'omaggio ai missionari, ma non hanno dimenticato di rendere omaggio ai figli ed alle figlie dell'Africa, specialmente ai catechisti ed agli interpreti, che hanno collaborato con loro.45

37. È grazie alla grande epopea missionaria, di cui il continente africano è stato teatro particolarmente durante gli ultimi due secoli, che abbiamo potuto incontrarci a Roma per celebrare l'Assemblea speciale per l'Africa. Il seme a suo tempo sparso ha recato frutti abbondanti. I miei Fratelli nell'episcopato, figli dei popoli dell'Africa, ne sono eloquenti testimoni. Insieme con i loro presbiteri, essi portano ormai sulle spalle gran parte del lavoro dell'evangelizzazione. L'attestano anche i numerosi figli e figlie dell'Africa che aderiscono alle antiche Congregazioni missionarie o che entrano nei nuovi Istituti nati in terra africana, raccogliendo nelle loro mani la fiaccola della consacrazione totale al servizio di Dio e del Vangelo.

Radicamento e crescita della Chiesa

38. Il fatto che nell'arco di quasi due secoli il numero dei cattolici in Africa sia rapidamente cresciuto costituisce di per sé un risultato notevole sotto ogni punto di vista. Confermano, in particolare, il consolidamento della Chiesa nel continente elementi quali il sensibile e rapido aumento del numero delle circoscrizioni ecclesiastiche, la crescita del clero autoctono, dei seminaristi e dei candidati negli Istituti di vita consacrata, la progressiva estensione della rete dei catechisti, il cui contributo alla diffusione del Vangelo fra le popolazioni africane è a tutti ben noto. Di fondamentale rilievo è, infine, l'alta percentuale di Vescovi nativi, che compongono ormai la Gerarchia nel continente.

I Padri sinodali hanno preso atto di numerosi passi assai significativi compiuti dalla Chiesa in Africa nei campi dell'inculturazione e del dialogo ecumenico.46 Le notevoli e meritorie realizzazioni nel campo dell'educazione sono universalmente riconosciute.

Anche se i cattolici costituiscono solo il quattordici per cento della popolazione africana, le istituzioni cattoliche nel campo della sanità rappresentano il diciassette per cento dell'insieme delle strutture sanitarie di tutto il continente.

Le iniziative intraprese con coraggio dalle giovani Chiese dell'Africa per portare il Vangelo « fino agli estremi confini della terra » (At 1, 8) sono sicuramente degne di nota. Gli Istituti missionari sorti in Africa si sono numericamente accresciuti ed hanno iniziato a fornire missionari non solo per i paesi del continente, ma anche per altre regioni della terra. Sacerdoti diocesani d'Africa, il cui numero sta lentamente crescendo, cominciano a rendersi disponibili, per periodi limitati, come presbiteri fidei donum, in altre diocesi, povere di personale, nella loro nazione o altrove. Le province africane degli Istituti religiosi di diritto pontificio, sia maschili che femminili, hanno anch'esse visto aumentare i loro membri. In tal modo la Chiesa si pone al servizio dei popoli africani; essa accetta inoltre di essere coinvolta nello « scambio di doni » con altre Chiese particolari nell'ambito dell'intero popolo di Dio. Tutto questo manifesta, in modo tangibile, la maturità raggiunta dalla Chiesa in Africa: è questo che ha reso possibile la celebrazione dell'Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi.

Che cosa è diventata l'Africa?

39. Poco meno di trent'anni fa, non pochi paesi africani si rendevano indipendenti rispetto alle potenze coloniali. Questo ha suscitato grandi attese per quanto riguarda lo sviluppo politico, economico, sociale e culturale dei popoli africani. Benché « in alcuni paesi la situazione interna, purtroppo, non si sia ancora consolidata, e la violenza abbia avuto o abbia ancora talvolta il sopravvento, ciò non può dar luogo ad una condanna generale che coinvolga tutto un popolo o tutta una nazione o, peggio ancora, tutto un continente ».47

40. Ma qual è la situazione reale d'insieme del continente africano oggi, specialmente dal punto di vista della missione evangelizzatrice della Chiesa? I Padri sinodali, in proposito, si sono posti innanzitutto una domanda: « In un continente saturo di cattive notizie, in che modo il messaggio cristiano costituisce una "buona novella" per il nostro popolo? In mezzo ad una disperazione che invade ogni cosa, dove sono la speranza e l'ottimismo che il Vangelo reca con sé? L'evangelizzazione promuove molti di quei valori essenziali che tanto mancano al nostro continente: speranza, pace, gioia, armonia, amore e unità ».48

Dopo aver sottolineato, giustamente, che l'Africa è un immenso continente con situazioni molto diverse e che occorre per questo evitare di generalizzare sia nel valutare problemi che nel suggerire soluzioni, l'Assemblea sinodale ha dovuto con dolore rilevare: « Una situazione comune è, senza dubbio, il fatto che l'Africa sia piena di problemi: in quasi tutte le nostre nazioni c'è una miseria spaventosa, cattiva amministrazione delle scarse risorse disponibili, instabilità politica e disorientamento sociale. Il risultato è sotto i nostri occhi: squallore, guerre, disperazione. In un mondo controllato dalle nazioni ricche e potenti, l'Africa è praticamente divenuta un'appendice senza importanza, spesso dimenticata e trascurata da tutti ».49

41. Per molti Padri sinodali l'Africa di oggi può essere paragonata a quell'uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico; egli cadde nelle mani dei briganti che lo spogliarono, lo percossero e se ne andarono lasciandolo mezzo morto (cfr Lc 10, 30-37). L'Africa è un continente in cui innumerevoli esseri umani — uomini e donne, bambini e giovani — sono distesi, in qualche modo, sul bordo della strada, malati, feriti, impotenti, emarginati e abbandonati. Essi hanno un bisogno estremo di buoni Samaritani che vengano loro in aiuto.

Da parte mia, auspico che la Chiesa continui pazientemente ed instancabilmente la sua opera di buon Samaritano. In effetti per un lungo periodo regimi, oggi scomparsi, hanno posto a dura prova gli Africani ed hanno indebolito la loro capacità di reazione: l'uomo ferito deve ritrovare tutte le risorse della propria umanità. I figli e le figlie dell'Africa hanno bisogno di presenza comprensiva e di sollecitudine pastorale. Occorre aiutarli a raccogliere le proprie energie, per porle al servizio del bene comune.

Valori positivi della cultura africana

42. L'Africa, malgrado le sue grandi ricchezze naturali, permane in una situazione economica di povertà. Essa possiede, tuttavia, una molteplice varietà di valori culturali e di inestimabili qualità umane, che può offrire alle Chiese e all'intera umanità. I Padri sinodali hanno posto in evidenza alcuni di tali valori culturali, che certamente costituiscono una preparazione provvidenziale alla trasmissione del Vangelo; sono valori che possono favorire un'evoluzione positiva della drammatica situazione del continente, ed avviare quella ripresa globale da cui dipende l'auspicato sviluppo delle singole nazioni.

Gli Africani hanno un profondo senso religioso, il senso del sacro, il senso dell'esistenza di Dio creatore e di un mondo spirituale. La realtà del peccato nelle sue forme individuali e sociali è assai presente alla coscienza di quei popoli, e sentito è pure il bisogno di riti di purificazione e di espiazione.

43. Nella cultura e nella tradizione africane, il ruolo della famiglia è universalmente considerato come fondamentale. Aperto a questo senso della famiglia, dell'amore e del rispetto della vita, l'Africano ama i figli, che sono accolti gioiosamente come un dono di Dio. « I figli e le figlie dell'Africa amano la vita. È proprio l'amore per la vita a comandare loro di attribuire così grande importanza alla venerazione degli avi. Credono istintivamente che quei morti continuino a vivere e rimangono in comunione con loro. Non è questa, in qualche modo, una preparazione alla fede nella comunione dei santi? I popoli dell'Africa rispettano la vita che viene concepita e nasce. Gioiscono di questa vita. Rifiutano l'idea che possa essere annientata, anche quando a ciò vorrebbero indurli le cosiddette "civiltà progressiste". E le pratiche ostili alla vita vengono loro imposte per mezzo di sistemi economici al servizio dell'egoismo dei ricchi ».50 Gli Africani manifestano rispetto per la vita fino al suo termine naturale e riservano in seno alla famiglia un posto agli anziani e ai parenti.

Le culture africane hanno un senso acuto della solidarietà e della vita comunitaria. Non si concepisce in Africa una festa che non venga condivisa con l'intero villaggio. Di fatto, la vita comunitaria nelle società africane è espressione della famiglia allargata. Con ardente desiderio prego e chiedo di pregare perché l'Africa conservi sempre tale preziosa eredità culturale e perché mai soccomba alla tentazione dell'individualismo, così estraneo alle sue migliori tradizioni.

Alcune opzioni dei popoli africani

44. Anche se non vanno affatto minimizzati gli aspetti tragici della situazione africana più sopra evocati, vale la pena di ricordare qui talune realizzazioni positive dei popoli del continente che meritano di essere lodate e incoraggiate. I Padri sinodali nel loro Messaggio al popolo di Dio hanno, ad esempio, ricordato con gioia l'avvio del processo democratico in tanti paesi africani, ed hanno auspicato che esso si consolidi e siano prontamente rimossi gli ostacoli e le resistenze allo Stato di diritto, grazie alla collaborazione di tutti i protagonisti ed al loro senso del bene comune.51

I « venti di cambiamento » soffiano con vigore in molti luoghi del continente, e il popolo chiede con sempre maggiore insistenza il riconoscimento e la promozione dei diritti e delle libertà dell'uomo. Al riguardo, rilevo con soddisfazione che la Chiesa in Africa, fedele alla sua vocazione, si colloca con decisione al fianco degli oppressi, dei popoli senza voce ed emarginati. L'incoraggio fermamente a continuare nel rendere tale testimonianza. L'opzione preferenziale per i poveri è « una forma speciale di primato nell'esercizio della carità cristiana, testimoniata da tutta la tradizione della Chiesa [...]. La preoccupazione stimolante verso i poveri — i quali, secondo la significativa formula, sono i « poveri del Signore » — deve tradursi, a tutti i livelli, in atti concreti e giungere con decisione a una serie di necessarie riforme ».52

45. Nonostante la povertà e i pochi mezzi a disposizione, la Chiesa in Africa riveste un ruolo di primo piano in ciò che concerne lo sviluppo umano integrale; le sue notevoli realizzazioni in questo campo sono spesso riconosciute dai governi e dagli esperti internazionali.

L'Assemblea speciale per l'Africa ha espresso profonda riconoscenza verso « tutti i cristiani e tutti gli uomini di buona volontà che lavorano nel campo dell'assistenza e della promozione umana con la nostra Caritas o con le nostre organizzazioni per lo sviluppo ».53 L'assistenza che essi, come buoni Samaritani, danno alle vittime africane delle guerre e delle catastrofi, ai rifugiati ed ai profughi, merita ammirazione, riconoscenza e sostegno da parte di tutti.

Ritengo doveroso manifestare un vivo ringraziamento alla Chiesa in Africa per il ruolo che essa ha svolto, nel corso degli anni, a favore della pace e della riconciliazione in non poche situazioni di conflitto, di sconvolgimento politico o di guerra civile.

II. Problemi attuali della Chiesa in Africa

46. I Vescovi d'Africa si trovano di fronte a due quesiti di fondo: come deve la Chiesa portare avanti la sua missione evangelizzatrice all'approssimarsi dell'anno 2000? Come i cristiani africani potranno divenire testimoni sempre più fedeli del Signore Gesù? Per offrire a tali quesiti adeguate risposte i Vescovi, prima e durante l'Assemblea speciale, hanno passato in rassegna le principali sfide alle quali la comunità ecclesiale africana deve oggi far fronte.

Evangelizzazione in profondità

47. Il primo, fondamentale dato rilevato dai Padri sinodali è la sete di Dio dei popoli africani. Per non mandare delusa una simile attesa, i membri della Chiesa devono anzitutto approfondire la loro fede.54 In effetti, proprio perché evangelizzatrice, la Chiesa deve cominciare « con l'evangelizzare se stessa ».55 Occorre che essa raccolga la sfida contenuta in « questo tema della Chiesa che si evangelizza mediante una conversione e un rinnovamento costanti, per evangelizzare il mondo con credibilità ».56

Il Sinodo ha preso atto dell'urgenza di proclamare in Africa la Buona Novella a milioni di persone non ancora evangelizzate. La Chiesa sicuramente rispetta e stima le religioni non cristiane professate da numerosissime persone sul continente africano, perché esse costituiscono l'espressione vivente dell'anima di larghi settori della popolazione, tuttavia « né il rispetto e la stima verso queste religioni, né la complessità dei problemi sollevati costituiscono per la Chiesa un invito a tacere l'annuncio di Cristo di fronte ai non cristiani. Al contrario, essa pensa che queste moltitudini hanno il diritto di conoscere la ricchezza del mistero di Cristo (cfr Ef 3, 8), nella quale noi crediamo che tutta l'umanità può trovare, in una pienezza insospettabile, tutto ciò che essa cerca a tentoni su Dio, sull'uomo e sul suo destino, sulla vita e sulla morte, sulla verità ».57

48. I Padri sinodali affermano con ragione che « un interesse profondo per un'inculturazione vera ed equilibrata del Vangelo si rivela necessario per evitare la confusione e l'alienazione nella nostra società, sottoposta ad una rapida evoluzione ».58 Visitando il Malawi, io stesso ebbi modo di dire: « Io vi lancio una sfida oggi, una sfida che consiste nel rigettare un modo di vivere che non corrisponde al meglio delle vostre tradizioni locali e della fede cristiana. Molte persone in Africa guardano al di là dell'Africa, verso la cosiddetta "libertà del modo di vivere moderno". Oggi io vi raccomando caldamente di guardare in voi stessi. Guardate alle ricchezze delle vostre tradizioni, guardate alla fede che abbiamo celebrato in questa assemblea. Là voi troverete la vera libertà, là troverete il Cristo che vi condurrà alla verità ».59

Superamento delle divisioni

49. Un'altra sfida evidenziata dai Padri sinodali riguarda le diverse forme di divisione che occorre comporre grazie ad una sincera pratica del dialogo.60 È stato a ragione rilevato che, all'interno delle frontiere ereditate dalle potenze coloniali, la coesistenza di gruppi etnici, di tradizioni, di lingue ed anche di religioni diverse incontra spesso ostacoli dovuti a gravi ostilità reciproche. « Le opposizioni tribali mettono a volte in pericolo se non la pace, almeno il perseguimento del bene comune della società nel suo insieme, e creano anche difficoltà alla vita delle Chiese e all'accoglienza dei Pastori di altre etnie ».61 Ecco perché la Chiesa in Africa si sente interpellata dal preciso compito di ridurre tali fratture. Anche da questo punto di vista l'Assemblea speciale ha sottolineato l'importanza del dialogo ecumenico con le altre Chiese e Comunità ecclesiali, come pure del dialogo con la religione tradizionale africana e con l'Islam. I Padri si sono domandati, inoltre, con quali mezzi si possa raggiungere tale meta.

Matrimonio e vocazioni

50. Una sfida importante, sottolineata quasi unanimemente dalle Conferenze episcopali d'Africa nelle risposte ai Lineamenta, concerne il Matrimonio cristiano e la vita familiare.62 La posta in gioco è altissima: infatti « il futuro del mondo e della Chiesa passa attraverso la famiglia ».63

Un altro fondamentale compito che l'Assemblea speciale ha posto in evidenza è costituito dalla cura delle vocazioni al sacerdozio ed alla vita consacrata: occorre discernerle con saggezza, farle accompagnare da formatori capaci, controllare la qualità della formazione di fatto offerta. Dalla sollecitudine posta nella soluzione di questo problema dipende l'avverarsi della speranza di una fioritura di vocazioni missionarie africane, quale è richiesta dall'annunzio del Vangelo in ogni parte del continente ed anche oltre i suoi confini.

Difficoltà socio-politiche

51. « In Africa, la necessità di applicare il Vangelo alla vita concreta è fortemente sentita. Come si potrebbe annunciare Cristo in quell'immenso continente, dimenticando che esso coincide con una delle aree più povere del mondo? Come non tener conto della storia intrisa di sofferenze di una terra dove molte nazioni sono tuttora alle prese con la fame, la guerra, le tensioni razziali e tribali, l'instabilità politica e la violazione dei diritti umani? Tutto ciò costituisce una sfida all'evangelizzazione ».64

Tutti i documenti preparatori, come anche le discussioni durante lo svolgimento dell'Assemblea, hanno messo ampiamente in evidenza il fatto che questioni come la povertà crescente in Africa, l'urbanizzazione, il debito internazionale, il commercio delle armi, il problema dei rifugiati e dei profughi, i problemi demografici e le minacce che pesano sulla famiglia, l'emancipazione delle donne, la propagazione dell'AIDS, la sopravvivenza in alcuni luoghi della pratica della schiavitù, l'etnocentrismo e le opposizioni tribali, fanno parte delle sfide fondamentali esaminate dal Sinodo.

Invadenza dei mass-media

52. Infine, l'Assemblea speciale si è preoccupata dei mezzi di comunicazione sociale, questione di enorme importanza poiché si tratta, al tempo stesso, di strumenti di evangelizzazione e di mezzi di diffusione di una nuova cultura che ha bisogno di essere evangelizzata.65 I Padri sinodali sono stati, così, messi di fronte al triste fatto che « i paesi in via di sviluppo, più che trasformarsi in nazioni autonome, preoccupate del proprio cammino verso la giusta partecipazione ai beni ed ai servizi destinati a tutti, diventano pezzi di un meccanismo, parti di un ingranaggio gigantesco. Ciò si verifica spesso anche nel campo dei mezzi di comunicazione sociale, i quali, essendo per lo più gestiti da centri nella parte Nord del mondo, non tengono sempre nella dovuta considerazione le priorità e i problemi propri di questi paesi né rispettano la loro fisionomia culturale, ma anzi, non di rado, essi impongono una visione distorta della vita e dell'uomo, e così non rispondono alle esigenze del vero sviluppo ».66

III. Formazione degli operatori dell'Evangelizzazione

53. Con quali risorse la Chiesa in Africa riuscirà a rilevare le sfide appena menzionate? « La più importante, dopo la grazia di Cristo, è evidentemente quella del popolo. Il popolo di Dio — inteso nel senso teologico della Lumen gentium, questo popolo che comprende i membri del Corpo di Cristo nella sua totalità — ha ricevuto il mandato, che è allo stesso tempo un onore e un dovere, di proclamare il messaggio evangelico [...]. La comunità intera ha bisogno di essere preparata, motivata e rafforzata per l'evangelizzazione, ognuno secondo il proprio ruolo specifico all'interno della Chiesa ».67 Per questo il Sinodo ha messo fortemente l'accento sulla formazione degli operatori dell'evangelizzazione in Africa. Ho già ricordato la necessità di una formazione appropriata dei candidati al sacerdozio e di quelli che sono chiamati alla vita consacrata. L'Assemblea ha ugualmente prestato dovuta attenzione alla formazione dei fedeli laici, ben riconoscendone il ruolo insostituibile nell'evangelizzazione dell'Africa. In particolare, si è messo l'accento, giustamente, sulla formazione dei catechisti laici.

54. Un'ultima domanda s'impone: la Chiesa in Africa ha formato sufficientemente i laici ad assumere con competenza le loro responsabilità civili ed a considerare i problemi d'ordine socio-politico alla luce del Vangelo e della fede in Dio? È questo sicuramente un compito che interpella i cristiani; esercitare sul tessuto sociale un influsso volto a trasformare non soltanto le mentalità, ma le stesse strutture della società in modo che vi si rispecchino meglio i disegni di Dio sulla famiglia umana. Proprio per questo ho auspicato per i laici una formazione completa che li aiuti a condurre una vita pienamente coerente. La fede, la speranza e la carità non possono non orientare il comportamento dell'autentico discepolo di Cristo in ogni sua attività, situazione e responsabilità. Giacché « evangelizzare per la Chiesa è portare la Buona Novella in tutti gli strati dell'umanità e, con il suo influsso, trasformare dal di dentro, rendere nuova l'umanità stessa »,68 i cristiani devono essere formati a vivere le implicazioni sociali del Vangelo in modo che la loro testimonianza divenga una sfida profetica nei confronti di tutto ciò che nuoce al vero bene degli uomini e delle donne dell'Africa, come di ogni altro continente.

CAPITOLO III

EVANGELIZZAZIONE E INCULTURAZIONE

Missione della Chiesa

55. « Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura » (Mc 16, 15). Tale è il mandato che, prima di salire al Padre, Cristo risorto lasciò agli Apostoli: « Allora essi partirono e predicarono dappertutto » (Mc 16, 20).

« Il mandato di evangelizzare tutti gli uomini costituisce la missione essenziale della Chiesa [...]. Evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare ».69 Nata dall'azione evangelizzatrice di Gesù e dei Dodici, essa è a sua volta inviata, « depositaria della Buona Novella che si deve annunziare [...]. La Chiesa comincia con l'evangelizzare se stessa ». In seguito, « la Chiesa, a sua volta, invia gli evangelizzatori. Mette nella loro bocca la parola che salva ».70 Come l'Apostolo dei Gentili, la Chiesa può dire: « Predicare il Vangelo è per me un dovere: guai a me se non predicassi il Vangelo! » (1 Cor 9, 16).

La Chiesa annuncia la Buona Novella non solamente attraverso la proclamazione della parola che ha ricevuto dal Signore, ma anche mediante la testimonianza della vita, grazie alla quale i discepoli di Cristo rendono ragione della fede, della speranza e dell'amore che sono in essi (cfr 1 Pt 3, 15).

Questa testimonianza che il cristiano rende a Cristo e al Vangelo può condurre fino al sacrificio supremo: il martirio (cfr Mc 8, 35). La Chiesa e il cristiano, infatti, annunciano Colui che è « segno di contraddizione » (Lc 2, 34). Proclamano « un Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani » (1 Cor 1, 23). Come ho avuto modo di dire più sopra, oltre agli illustri martiri dei primi secoli, l'Africa può gloriarsi dei suoi martiri e santi dell'epoca moderna.

L'evangelizzazione ha per scopo di « trasformare dal di dentro, rendere nuova l'umanità stessa ».71 Nell'unico Figlio e attraverso di Lui, saranno rinnovati i rapporti degli uomini con Dio, con gli altri uomini, con la creazione tutta intera. Per questo l'annuncio del Vangelo può contribuire all'interiore trasformazione di tutte le persone di buona volontà che hanno il cuore aperto all'azione dello Spirito Santo.

56. Testimoniare il Vangelo con le parole e con gli atti: ecco la consegna che l'Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi ha ricevuto e che trasmette ora alla Chiesa del continente. « Mi sarete testimoni » (At 1, 8): questa è la posta in gioco, questi dovranno essere in Africa i frutti del Sinodo in ogni ambito della vita umana.

Nata dalla predicazione di coraggiosi Vescovi e sacerdoti missionari, efficacemente aiutati dai catechisti — « degna di lode è anche quella schiera tanto benemerita dell'opera missionaria tra le genti »72 —, la Chiesa in Africa, terra divenuta « nuova Patria di Cristo »,73 è ormai responsabile della missione nel continente e nel mondo: « Africani, voi siete ormai missionari di voi stessi », diceva a Kampala il mio predecessore Paolo VI.74 Poiché la grande maggioranza degli abitanti del continente africano non ha ancora ricevuto l'annuncio della Buona Novella della salvezza, il Sinodo raccomanda che siano incoraggiate le vocazioni missionarie e domanda che sia favorita e attivamente sostenuta l'offerta di preghiere, di sacrifici e di aiuti concreti in favore del lavoro missionario della Chiesa.75

Annuncio

57. « Il Sinodo ricorda che evangelizzare è annunciare attraverso la parola e la vita la Buona Novella di Gesù Cristo, crocifisso, morto e risuscitato, via, verità e vita ».76 All'Africa, pressata d'ogni parte da germi d'odio e di violenza, da conflitti e da guerre, gli evangelizzatori devono proclamare la speranza della vita radicata nel mistero pasquale. È proprio quando, umanamente parlando, la sua vita sembrava destinata alla sconfitta, che Gesù instituì l'Eucaristia, « pegno dell'eterna gloria »,77 per perpetuare nel tempo e nello spazio la sua vittoria sulla morte. Ecco perché l'Assemblea speciale per l'Africa, in questo periodo in cui il continente africano per certi aspetti versa in condizioni critiche, ha voluto presentarsi come « Sinodo della risurrezione, Sinodo della speranza [...]. Cristo, nostra Speranza, è vivo, noi vivremo! ».78 L'Africa non è votata alla morte, ma alla vita!

È dunque necessario « che la nuova evangelizzazione sia centrata sull'incontro con la persona vivente di Cristo ».79 « Il primo annuncio deve mirare a far fare questa esperienza sconvolgente ed entusiasmante di Gesù Cristo che chiama e trascina al suo seguito in un'avventura di fede ».80 Compito, questo, singolarmente facilitato dal fatto che « l'Africano crede in Dio creatore a partire dalla sua vita e dalla sua religione tradizionale. È dunque aperto anche alla piena e definitiva rivelazione di Dio in Gesù Cristo, Dio con noi, Verbo fatto carne. Gesù, la Buona Novella, è Dio che salva l'Africano [...] dall'oppressione e dalla schiavitù ».81

L'evangelizzazione deve raggiungere « l'uomo e la società a tutti i livelli della loro esistenza. Essa si manifesta in attività diverse, in particolare in quelle specificamente prese in considerazione dal Sinodo: annuncio, inculturazione, dialogo, giustizia e pace, mezzi di comunicazione sociale ».82

Perché questa missione riesca pienamente, occorre fare in modo che « nell'evangelizzazione il ricorso allo Spirito Santo sia insistente, così che si realizzi una continua Pentecoste, nella quale Maria, come già nella prima, avrà il suo posto ».83 In effetti, la forza dello Spirito Santo guida la Chiesa alla verità tutta intera (cfr Gv 16, 13) e le dona di andare incontro al mondo per testimoniare Cristo con fiduciosa sicurezza.

58. La parola che esce dalla bocca di Dio è viva ed efficace, e non ritorna mai a Lui senza effetto (cfr Is 55, 11; Eb 4, 12-13). Bisogna dunque proclamarla senza sosta, insistere « in ogni occasione opportuna e non opportuna [...] con ogni magnanimità e dottrina » (2 Tm 4, 2). Affidata in primo luogo alla Chiesa, la parola di Dio scritta « non va soggetta a privata spiegazione » (2 Pt 1, 20); spetta alla Chiesa di offrirne l'autentica interpretazione.84

Per far sì che la parola di Dio sia conosciuta, amata, meditata e serbata nel cuore dei fedeli (cfr Lc 2, 19.51) è necessario intensificare gli sforzi per facilitare l'accesso alla Sacra Scrittura, specialmente mediante traduzioni integrali o parziali della Bibbia, fatte per quanto possibile in collaborazione con le altre Chiese e Comunità ecclesiali e accompagnate da guide di lettura per la preghiera, lo studio in famiglia o in comunità. Occorre inoltre promuovere la formazione biblica per i membri del clero, per i religiosi, per i catechisti e per gli stessi laici in generale; predisporre adeguate celebrazioni della Parola; favorire l'apostolato biblico con l'aiuto del Centro Biblico per l'Africa e il Madagascar e di altre strutture simili, da incoraggiare ad ogni livello. In breve, si dovrà cercare di porre la Sacra Scrittura nelle mani di tutti i fedeli sin dall'infanzia.85

Urgenza e necessità dell'inculturazione

59. I Padri sinodali hanno a più riprese sottolineato l'importanza particolare che riveste per l'evangelizzazione l'inculturazione, quel processo cioè mediante il quale la « catechesi "s'incarna" nelle differenti culture ».86 L'inculturazione comprende una duplice dimensione: da una parte, « l'intima trasformazione degli autentici valori culturali mediante l'integrazione nel cristianesimo » e, dall'altra, « il radicamento del cristianesimo nelle varie culture ».87 Il Sinodo considera l'inculturazione come una priorità e un'urgenza nella vita delle Chiese particolari per un reale radicamento del Vangelo in Africa,88 « un'esigenza dell'evangelizzazione »,89 « un cammino verso una piena evangelizzazione »,90 una delle maggiori sfide per la Chiesa nel continente all'approssimarsi del terzo millennio.91

Fondamenti teologici

60. « Ma quando venne la pienezza del tempo » (Gal 4, 4), il Verbo, seconda Persona della Santissima Trinità, Figlio unico di Dio, « si è incarnato per opera dello Spirito Santo nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo ».92 È il sublime mistero dell'Incarnazione del Verbo, un mistero che ha avuto luogo nella storia: in circostanze di tempo e di luogo ben definite, in mezzo ad un popolo con una sua propria cultura, che Dio aveva eletto ed accompagnato lungo l'intera storia della salvezza allo scopo di mostrare, mediante quanto operava in esso, ciò che intendeva fare per tutto il genere umano.

Dimostrazione evidente dell'amore di Dio per gli uomini (cfr Rm 5, 8), Gesù Cristo, con la sua vita, con la Buona Novella annunciata ai poveri, con la passione, la morte e la gloriosa risurrezione, ha operato la remissione dei nostri peccati e la nostra riconciliazione con Dio, suo Padre e, grazie a Lui, nostro Padre. La Parola che la Chiesa annuncia è precisamente il Verbo di Dio fatto uomo, soggetto e oggetto Egli stesso di tale Parola. La Buona Novella è Gesù Cristo.

Come « il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi » (Gv 1, 14), così la Buona Novella, la parola di Gesù Cristo annunciata alle nazioni, deve calarsi dentro l'ambiente di vita dei suoi ascoltatori. L'inculturazione è precisamente questo inserimento del messaggio evangelico nelle culture.93 In effetti, l'Incarnazione del Figlio di Dio, proprio perché integrale e concreta,94 è stata anche incarnazione in una specifica cultura.

61. Data la stretta e organica relazione che esiste tra Gesù Cristo e la parola che annuncia la Chiesa, l'inculturazione del messaggio rivelato non potrà non seguire la « logica » propria del mistero della Redenzione. L'Incarnazione del Verbo, in effetti, non costituisce un momento isolato, ma tende verso « l'Ora » di Gesù e il mistero pasquale: « Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto » (Gv 12, 24). « Io, dice Gesù, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me » (Gv 12, 32). Questo annientamento di sé, questa kenosi necessaria all'esaltazione, itinerario di Gesù e di ciascuno dei suoi discepoli (cfr Fil 2, 6-9), è illuminante per l'incontro delle culture con Cristo e il suo Vangelo. « Ogni cultura ha bisogno di essere trasformata dai valori del Vangelo alla luce del mistero pasquale ».95

È guardando al mistero dell'Incarnazione e della Redenzione che si deve operare il discernimento dei valori e degli anti-valori delle culture. Come il Verbo di Dio è divenuto in tutto simile a noi, ad eccezione del peccato, così l'inculturazione della Buona Novella assume tutti gli autentici valori umani purificandoli dal peccato e restituendoli al loro pieno significato.

L'inculturazione ha profondi legami anche con il mistero della Pentecoste. Grazie all'effusione e all'azione dello Spirito, che unifica doni e talenti, tutti i popoli della terra, entrando nella Chiesa, vivono una nuova Pentecoste, professano nella loro lingua l'unica fede in Gesù Cristo e proclamano le meraviglie che il Signore ha operato per loro. Lo Spirito, che sul piano naturale è sorgente originaria della saggezza dei popoli, conduce con un'illuminazione soprannaturale la Chiesa alla conoscenza della Verità tutta intera. A sua volta la Chiesa, assumendo i valori delle diverse culture, diviene la « sponsa ornata monilibus suis », la « sposa che si adorna dei suoi gioielli » (cfr Is 61, 10).

Criteri e ambiti dell'inculturazione

62. È un compito difficile e delicato, poiché pone in questione la fedeltà della Chiesa al Vangelo e alla Tradizione apostolica nell'evoluzione costante delle culture. Giustamente, quindi, i Padri sinodali hanno osservato: « Circa i rapidi cambiamenti culturali, sociali, economici e politici, le nostre Chiese locali dovranno lavorare ad un processo d'inculturazione sempre rinnovato, rispettando i due criteri seguenti: la compatibilità con il messaggio cristiano e la comunione con la Chiesa universale [...]. In ogni caso si avrà cura di evitare ogni sincretismo ».96

« Come cammino verso una piena evangelizzazione, l'inculturazione mira a porre l'uomo in condizione di accogliere Gesù Cristo nell'integralità del proprio essere personale, culturale, economico e politico, in vista della piena adesione a Dio Padre, e di una vita santa mediante l'azione dello Spirito Santo ».97

Nel rendere grazie a Dio per i frutti che gli sforzi dell'inculturazione hanno già portato alla vita delle Chiese del continente, particolarmente alle antiche Chiese orientali d'Africa, il Sinodo ha raccomandato « ai Vescovi e alle Conferenze episcopali di tenere conto che l'inculturazione ingloba tutti gli ambiti della vita della Chiesa e dell'evangelizzazione: teologia, liturgia, vita e struttura della Chiesa. Tutto ciò sottolinea il bisogno di una ricerca nell'ambito delle culture africane in tutta la loro complessità ». Proprio per questo il Sinodo ha invitato i Pastori « a sfruttare al massimo le molteplici possibilità che la disciplina attuale della Chiesa già accorda al riguardo ».98

Chiesa come Famiglia di Dio

63. Non solo il Sinodo ha parlato dell'inculturazione, ma l'ha anche concretamente applicata, assumendo come idea-guida per l'evangelizzazione dell'Africa quella di Chiesa come Famiglia di Dio.99 In essa i Padri sinodali hanno riconosciuto una espressione della natura della Chiesa particolarmente adatta per l'Africa. L'immagine pone, in effetti, l'accento sulla premura per l'altro, sulla solidarietà, sul calore delle relazioni, sull'accoglienza, il dialogo e la fiducia.100 La nuova evangelizzazione tenderà dunque ad edificare la Chiesa come famiglia, escludendo ogni etnocentrismo e ogni particolarismo eccessivo, cercando invece di promuovere la riconciliazione e una vera comunione tra le diverse etnie, favorendo la solidarietà e la condivisione per quanto concerne il personale e le risorse tra le Chiese particolari, senza indebite considerazioni di ordine etnico.101 « È vivamente auspicabile che i teologi elaborino la teologia della Chiesa-Famiglia in tutta la ricchezza insita in tale concetto, sviluppandone la complementarietà mediante altre immagini della Chiesa ».102

Ciò suppone una riflessione approfondita sul patrimonio biblico e tradizionale che il Concilio Vaticano II ha raccolto nella Costituzione dogmatica Lumen gentium. Il mirabile testo espone la dottrina sulla Chiesa ricorrendo ad immagini, tratte dalla Sacra Scrittura, quali Corpo mistico, popolo di Dio, tempio dello Spirito, gregge ed ovile, casa in cui Dio dimora con gli uomini. Secondo il Concilio, la Chiesa è sposa di Cristo ed è madre nostra, città santa e primizia del Regno venturo. Di queste suggestive immagini occorrerà tener conto nello sviluppare, secondo il suggerimento del Sinodo, una ecclesiologia centrata sul concetto di Chiesa-famiglia di Dio.103 Si potrà allora apprezzare in tutta la sua ricchezza e densità l'affermazione da cui prende le mosse la Costituzione conciliare: « La Chiesa è in Cristo come il sacramento, cioè segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano ».104

Campi di applicazione

64. Nella pratica, senza alcun pregiudizio per le tradizioni proprie di ciascuna Chiesa, latina o orientale, « dovrà essere perseguita l'inculturazione della liturgia, avendo cura che nulla cambi quanto agli elementi essenziali, affinché il popolo fedele possa meglio comprendere e vivere le celebrazioni liturgiche ».105

Il Sinodo ha inoltre riaffermato che, anche quando la dottrina è difficilmente assimilabile nonostante un lungo periodo di evangelizzazione, o, ancora, quando la sua pratica pone seri problemi pastorali, soprattutto nella vita sacramentale, occorre restare fedeli all'insegnamento della Chiesa e, al tempo stesso, rispettare le persone nella giustizia e con vera carità pastorale. Ciò presupposto, il Sinodo ha espresso l'auspicio che le Conferenze episcopali, in collaborazione con le Università e gli Istituti cattolici, creino delle commissioni di studio, specialmente per quanto riguarda il Matrimonio, la venerazione degli antenati e il mondo degli spiriti, al fine di esaminare a fondo tutti gli aspetti culturali dei problemi posti dal punto di vista teologico, sacramentale, rituale e canonico.106

Dialogo

65. « L'atteggiamento di dialogo è il modo d'essere del cristiano all'interno della sua comunità, come nei confronti degli altri credenti e degli uomini e donne di buona volontà ».107 Il dialogo anzitutto va praticato all'interno della Chiesa-Famiglia, a tutti i livelli: tra Vescovi, Conferenze episcopali o Assemblee della Gerarchia e Sede Apostolica, fra le Conferenze o Assemblee episcopali delle varie nazioni dello stesso continente e quelle degli altri continenti e, in ciascuna Chiesa particolare, tra il Vescovo, il presbiterio, le persone consacrate, gli operatori pastorali ed i fedeli laici; come pure tra i differenti riti all'interno della stessa Chiesa. Sarà cura dello S.C.E.A.M. dotarsi « di strutture e di mezzi che garantiscano l'esercizio di questo dialogo »,108 in particolare per favorire una solidarietà pastorale organica.

« Uniti a Cristo nella loro testimonianza in Africa, i cattolici sono invitati a sviluppare un dialogo ecumenico con tutti i fratelli battezzati delle altre Confessioni cristiane, affinché si realizzi l'unità per la quale Cristo ha pregato ed in tal modo il loro servizio alle popolazioni del continente renda il Vangelo più credibile agli occhi di quanti e di quante cercano Dio ».109 Tale dialogo potrà concretizzarsi in iniziative come la traduzione ecumenica della Bibbia, l'approfondimento teologico dell'uno o dell'altro aspetto della fede cristiana, o ancora offrendo insieme una testimonianza evangelica a favore della giustizia, della pace e del rispetto della dignità umana. Ci si preoccuperà per questo di creare commissioni nazionali e diocesane per l'ecumenismo.110 Insieme, i cristiani sono responsabili della testimonianza da rendere al Vangelo nel continente. I progressi dell'ecumenismo hanno anche come scopo quello di dare maggiore efficacia a questa testimonianza.

66. « L'impegno del dialogo deve abbracciare pure i musulmani di buona volontà. I cristiani non possono dimenticare che molti musulmani intendono imitare la fede di Abramo e vivere le esigenze del Decalogo ».111 A questo riguardo, il Messaggio del Sinodo sottolinea che il Dio vivo, Creatore del cielo e della terra e Signore della storia, è il Padre della grande famiglia umana che noi formiamo. Come tale, Egli vuole che gli rendiamo testimonianza nel rispetto dei valori e delle tradizioni religiose proprie di ognuno, lavorando insieme per la promozione umana e lo sviluppo a tutti i livelli. Lungi dal desiderare di essere colui in nome del quale si uccidono altri uomini, Egli impegna i credenti a mettersi insieme al servizio della vita nella giustizia e nella pace.112 Si farà dunque particolare attenzione a che il dialogo islamico-cristiano rispetti da una parte e dall'altra l'esercizio della libertà religiosa, con tutto ciò che questo comporta, comprese anche le manifestazioni esteriori e pubbliche della fede.113 Cristiani e musulmani sono chiamati ad impegnarsi nel promuovere un dialogo immune dai rischi derivanti da un irenismo di cattiva lega o da un fondamentalismo militante, e nel levare la loro voce contro politiche e pratiche sleali, così come contro ogni mancanza di reciprocità in fatto di libertà religiosa.114

67. Quanto alla religione tradizionale africana, un dialogo sereno e prudente potrà, da una parte, garantire da influssi negativi che condizionano il modo di vivere di molti cattolici e, dall'altra, assicurare l'assimilazione di valori positivi quali la credenza in un Essere Supremo, Eterno, Creatore, Provvidente e giusto Giudice che ben s'armonizzano col contenuto della fede. Essi possono anzi essere visti come una preparazione al Vangelo, poiché contengono preziosi semina Verbi in grado di condurre, come già è avvenuto nel passato, un grande numero di persone ad « aprirsi alla pienezza della Rivelazione in Gesù Cristo attraverso la proclamazione del Vangelo ».115

Occorre, pertanto, trattare con molto rispetto e stima quanti aderiscono alla religione tradizionale, evitando ogni linguaggio inadeguato ed irrispettoso. A tal fine, nelle case di formazione sacerdotali e religiose verranno date opportune istruzioni sulla religione tradizionale.116

Sviluppo umano integrale

68. Lo sviluppo umano integrale — sviluppo di ogni uomo e di tutto l'uomo, specialmente di chi è più povero ed emarginato nella comunità — si pone nel cuore stesso dell'evangelizzazione. « Tra evangelizzazione e promozione umana — sviluppo e liberazione — ci sono infatti dei legami profondi. Legami d'ordine antropologico, perché l'uomo da evangelizzare non è un essere astratto, ma condizionato dalle questioni sociali ed economiche. Legami di ordine teologico, poiché non si può dissociare il piano della creazione da quello della redenzione che arriva fino alle situazioni molto concrete dell'ingiustizia da combattere e della giustizia da restaurare. Legami dell'ordine eminentemente evangelico, quale è quello della carità: come infatti proclamare il comandamento nuovo senza promuovere nella giustizia e nella pace la vera, autentica crescita dell'uomo? ».117

Così, quando inaugurò il ministero pubblico nella sinagoga di Nazaret, il Signore Gesù scelse, per illustrare la sua missione, il testo messianico del libro di Isaia: « Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio; per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore » (Lc 4, 18-19; cfr Is 61, 1-2).

Il Signore si considera, dunque, come inviato per alleviare la miseria degli uomini e combattere ogni forma di emarginazione. È venuto a liberare l'uomo; è venuto a prendere le nostre infermità e a caricarsi delle nostre malattie: « Di fatto tutto il ministero di Gesù è legato all'attenzione di quanti, attorno a lui, erano toccati dalla sofferenza: persone nel dolore, paralitici, lebbrosi, ciechi, sordi, muti (cfr Mt 8, 17) ».118 « È impossibile accettare che nell'evangelizzazione si possa o si debba trascurare l'importanza dei problemi, oggi così dibattuti, che riguardano la giustizia, la liberazione, lo sviluppo e la pace del mondo »: 119 la liberazione che l'evangelizzazione annuncia « non può limitarsi alla semplice e ristretta dimensione economica, politica, sociale o culturale, ma deve mirare all'uomo intero, in ogni sua dimensione, compresa la sua apertura verso l'assoluto, anche l'Assoluto che è Dio ».120

Giustamente afferma il Concilio Vaticano II: « La Chiesa, perseguendo il suo proprio fine di salvezza, non solo comunica all'uomo la vita divina, ma anche diffonde la sua luce con ripercussione, in qualche modo, su tutto il mondo, soprattutto per il fatto che risana ed eleva la dignità della persona umana, consolida la compagine della umana società, e immette nel lavoro quotidiano degli uomini un più profondo senso e significato. Così la Chiesa, con i singoli suoi membri e con tutta intera la sua comunità, crede di poter contribuire molto a rendere più umana la famiglia degli uomini e la sua storia ».121 La Chiesa annuncia e comincia ad attuare il Regno di Dio sulle orme di Gesù, poiché « la natura del Regno è la comunione di tutti gli esseri umani tra di loro e con Dio ».122 Così « il Regno è fonte di liberazione piena e di salvezza totale per gli uomini: con questi la Chiesa cammina e vive, realmente e intimamente solidale con la loro storia ».123

69. La storia degli uomini assume il proprio autentico senso nell'Incarnazione del Verbo di Dio che è il fondamento della ripristinata dignità umana. È mediante Cristo, « immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura » (Col 1, 15), che l'uomo è stato redento; anzi, « con l'Incarnazione, il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo ».124 Come non gridare con san Leone Magno: « Cristiano, prendi coscienza della tua dignità »? 125

Annunciare Cristo è dunque rivelare all'uomo la sua dignità inalienabile, che Dio ha riscattato mediante l'incarnazione del suo unico Figlio. Il Concilio Vaticano II così prosegue: « Poiché la Chiesa ha ricevuto l'incarico di manifestare il mistero di Dio, il quale è il fine ultimo personale dell'uomo, essa al tempo stesso svela all'uomo il senso della sua propria esistenza, vale a dire la verità profonda sull'uomo ».126

Dotato di tale incomparabile dignità, l'uomo non può vivere in condizioni di vita sociale, economica, culturale e politica infra-umane. Ecco il fondamento teologico della lotta per la difesa della dignità personale, per la giustizia e la pace sociale, per la promozione umana, la liberazione e lo sviluppo integrale dell'uomo e di ogni uomo. Ecco anche perché, tenendo conto di questa dignità, lo sviluppo dei popoli — all'interno di ciascuna nazione e nelle relazioni internazionali — deve realizzarsi in maniera solidale, come osservava in modo quanto mai appropriato il mio predecessore Paolo VI.127 È precisamente in questa prospettiva che egli poteva affermare: « Lo sviluppo è il nuovo nome della pace ».128 Si può, dunque, a giusto titolo dire che « lo sviluppo integrale suppone il rispetto della dignità umana, la quale non può realizzarsi che nella giustizia e nella pace ».129

Farsi voce di chi non ha voce

70. Forti della fede e della speranza nella potenza salvifica di Gesù, i Padri del Sinodo hanno concluso i lavori rinnovando l'impegno ad accettare la sfida di essere strumenti della salvezza in ogni differente ambito della vita dei popoli africani. « La Chiesa — hanno dichiarato — deve continuare ad esercitare il suo ruolo profetico ed essere la voce di coloro che non hanno voce »,130 affinché ovunque la dignità umana sia riconosciuta ad ogni persona, e l'uomo sia sempre al centro di ogni programma dei governi. Il Sinodo « interpella la coscienza dei capi di Stato e dei responsabili della cosa pubblica, perché garantiscano sempre più la liberazione e lo sviluppo delle loro popolazioni ».131 Solo a questo prezzo si costruisce la pace tra le nazioni.

L'evangelizzazione deve promuovere quelle iniziative che contribuiscono a sviluppare e a nobilitare l'uomo nella sua esistenza spirituale e materiale. Si tratta dello sviluppo di ogni uomo e di tutto l'uomo, preso non soltanto in modo isolato, ma anche e specialmente nel quadro di uno sviluppo solidale ed armonioso di tutti i membri di una nazione e di tutti i popoli della terra.132

Infine, l'evangelizzazione deve denunciare e combattere quanto avvilisce e distrugge l'uomo. « All'esercizio del ministero dell'evangelizzazione in campo sociale, che è un aspetto della funzione profetica della Chiesa, appartiene pure la denuncia dei mali e delle ingiustizie. Ma conviene chiarire che l'annuncio è sempre più importante della denuncia, e questa non può prescindere da quello, che le offre la vera solidità e la forza della motivazione più alta ».133

Mezzi di comunicazione sociale

71. « Da sempre Dio si caratterizza per la sua volontà di comunicare. Egli lo compie in modi differenti. A tutte le creature animate o inanimate egli dona l'essere. Con l'uomo particolarmente egli intreccia delle relazioni privilegiate. "Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio" (Eb 1, 1-2) ».134 Il Verbo di Dio è, per sua natura, parola, dialogo e comunicazione. Egli è venuto a restaurare, da una parte, la comunicazione e la relazione fra Dio e gli uomini, e, dall'altra, quella degli uomini tra di loro.

I mass-media hanno attirato l'attenzione del Sinodo sotto due aspetti importanti e complementari: come universo culturale nuovo ed emergente e come un insieme di mezzi al servizio della comunicazione. Essi costituiscono dall'inizio una cultura nuova che ha il suo linguaggio proprio e soprattutto i suoi valori e controvalori specifici. A questo titolo hanno bisogno, come tutte le culture, di essere evangelizzati.135

In effetti, ai nostri giorni i mass-media costituiscono non solamente un mondo, ma una cultura e una civiltà. Ed è anche a questo mondo che la Chiesa è inviata a portare la Buona Novella della salvezza. Gli araldi del Vangelo devono dunque entrarvi per lasciarsi permeare da tale nuova civiltà e cultura, al fine però di sapersene opportunamente servire. « Il primo areopago del tempo moderno è il mondo della comunicazione, che sta unificando l'umanità rendendola — come si suol dire — "un villaggio globale". I mezzi di comunicazione sociale hanno raggiunto una tale importanza da essere per molti il principale strumento informativo e formativo, di guida e di ispirazione per i comportamenti individuali, familiari e sociali ».136

La formazione all'uso dei mass-media è dunque una necessità, non soltanto per chi annuncia il Vangelo, il quale deve, tra l'altro, possedere lo stile della comunicazione, ma anche per il lettore, il recettore ed il telespettatore che, formati alla comprensione del tipo di comunicazione, devono saperne cogliere gli apporti con discernimento e spirito critico.

In Africa, dove la trasmissione orale è una delle caratteristiche della cultura, tale formazione riveste una capitale importanza. Questo stesso tipo di comunicazione deve ricordare ai Pastori, specialmente ai Vescovi ed ai sacerdoti, che la Chiesa è inviata per parlare, per predicare il Vangelo mediante la parola ed i gesti. Essa non può dunque tacere, col rischio di venir meno alla sua missione; a meno che, in certe circostanze, il silenzio non sia esso stesso un modo di parlare e di testimoniare. Noi dobbiamo dunque sempre annunciare in ogni occasione opportuna e non opportuna (cfr 2 Tm 4, 2), allo scopo di edificare nella carità e nella verità.

CAPITOLO IV

NELLA PROSPETTIVA DEL TERZO MILLENNIO CRISTIANO

I. Le sfide attuali

72. L'Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi è stata convocata per dare modo alla Chiesa di Dio, diffusa sul continente, di riflettere sulla sua missione evangelizzatrice in vista del terzo millennio, e di predisporre, come ebbi a ricordare, « un'organica solidarietà pastorale nell'intero territorio africano e nelle isole attigue ».137 Tale missione comporta, come già s'è rilevato, urgenze e sfide dovute ai profondi e rapidi mutamenti delle società africane ed agli effetti derivanti dall'affermarsi di una civiltà planetaria.

La necessità del Battesimo

73. La prima urgenza è naturalmente l'evangelizzazione stessa. Da un lato, la Chiesa deve assimilare e vivere sempre meglio il messaggio di cui il Signore l'ha costituita depositaria. Dall'altro, essa deve testimoniare ed annunciare questo messaggio a quanti ancora non conoscono Gesù Cristo. È infatti per loro che il Signore ha detto agli Apostoli: « Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni » (Mt 28, 19).

Come nella Pentecoste, la predicazione del kérigma ha come scopo naturale di condurre chi ascolta alla metànoia e al Battesimo: « L'annuncio della parola di Dio mira alla conversione cristiana, cioè all'adesione piena e sincera a Cristo e al suo Vangelo mediante la fede ».138 La conversione a Cristo, peraltro, « è connessa col Battesimo: lo è non solo per la prassi della Chiesa, ma per volere di Cristo, che ha inviato la sua Chiesa a far discepole tutte le genti e a battezzarle (cfr Mt 28, 19); lo è anche per l'intrinseca esigenza di ricevere la pienezza della vita in Lui: "In verità, in verità ti dico — Gesù insegna a Nicodemo — se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel Regno di Dio" (Gv 3, 5). Il Battesimo, infatti, ci rigenera alla vita dei figli di Dio, ci unisce a Gesù Cristo, ci unge nello Spirito Santo: esso non è un semplice suggello della conversione, quasi un segno esteriore che la dimostri e la attesti, bensì è sacramento che significa e opera questa nuova nascita dallo Spirito, instaura vincoli reali e inscindibili con la Trinità, rende membri del Corpo di Cristo, che è la Chiesa ».139 Pertanto, un itinerario di conversione che non giungesse al Battesimo si fermerebbe a metà strada.

In verità, gli uomini di buona volontà che, senza alcuna loro colpa, non sono raggiunti dall'annuncio evangelico, ma vivono in armonia con la loro coscienza secondo la legge di Dio, saranno salvati da Cristo e in Cristo. Per ogni essere umano, infatti, c'è sempre in atto la chiamata di Dio, che attende di essere riconosciuta ed accolta (cfr 1 Tm 2, 4). È proprio per facilitare questo riconoscimento e questa accoglienza che ai discepoli di Cristo è richiesto di non darsi pace finché a tutti non sia portato il lieto annuncio della salvezza.

Urgenza dell'evangelizzazione

74. Il Nome di Gesù Cristo, infatti, è il solo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati (cfr At 4, 12). Poiché vi sono in Africa milioni di persone non ancora evangelizzate, la Chiesa si trova di fronte al compito, necessario ed urgente, di proclamare la Buona Novella a tutti, e di condurre coloro che ascoltano al Battesimo e alla vita cristiana. « L'urgenza dell'attività missionaria emerge dalla radicale novità di vita, portata da Cristo e vissuta dai suoi discepoli. Questa nuova vita è dono di Dio, e all'uomo è richiesto di accoglierlo e di svilupparlo, se vuole realizzarsi secondo la sua vocazione integrale in conformità a Cristo ».140 Questa vita nuova nell'originalità radicale del Vangelo comporta anche delle rotture rispetto ai costumi ed alla cultura di qualunque popolo della terra, poiché il Vangelo non è mai un prodotto interno di un determinato paese, ma viene sempre « da fuori », viene dall'Alto. Per i battezzati la grande sfida sarà sempre costituita dalla coerenza di un'esistenza cristiana conforme agli impegni del Battesimo, che significa morte al peccato e risurrezione quotidiana ad una vita nuova (cfr Rm 6, 4-5). Senza tale coerenza, i discepoli di Cristo difficilmente potranno essere « sale della terra » e « luce del mondo » (Mt 5, 13.14). Se la Chiesa in Africa s'impegna con vigore e senza esitazioni su questa via, la Croce potrà essere piantata in ogni parte del continente per la salvezza dei popoli che non hanno paura di aprire le porte al Redentore.

Importanza della formazione

75. In tutti i settori della vita ecclesiale la formazione è di capitale importanza. Nessuno, infatti, può realmente conoscere le verità di fede che non ha mai avuto modo di apprendere, né è in grado di porre atti ai quali non è mai stato iniziato. Ecco perché « la comunità intera ha bisogno di essere preparata, motivata e rafforzata per l'evangelizzazione, ognuno secondo il proprio ruolo specifico all'interno della Chiesa ».141 Questo concerne pure i Vescovi, i presbiteri, i membri degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, quelli degli Istituti secolari e tutti i fedeli laici.

La formazione missionaria non può non occupare un posto privilegiato. Essa è « opera della Chiesa locale con l'aiuto dei missionari e dei loro Istituti, nonché del personale delle giovani Chiese. Questo lavoro deve essere inteso non come marginale, ma come centrale nella vita cristiana ».142 Il programma di formazione includerà, in modo particolare, la formazione dei laici a svolgere appieno il loro ruolo di animazione cristiana dell'ordine temporale (politico, culturale, economico, sociale), che è impegno caratteristico della vocazione secolare del laicato. Non si mancherà, a questo proposito, di incoraggiare laici competenti e motivati ad impegnarsi nell'azione politica,143 nella quale, mediante un degno esercizio delle cariche pubbliche, potranno « provvedere al bene comune e al tempo stesso aprire la via al Vangelo ».144

Approfondire la fede

76. La Chiesa in Africa, per essere evangelizzatrice, deve « cominciare con l'evangelizzare se stessa [...]. Essa ha bisogno di ascoltare di continuo ciò che deve credere, le ragioni della sua speranza, il comandamento nuovo dell'amore. Popolo di Dio immerso nel mondo, e spesso tentato dagli idoli, essa ha sempre bisogno di sentir proclamare le grandi opere di Dio ».145

Oggi in Africa, « la formazione alla fede [...] è rimasta troppo spesso allo stadio elementare, e le sètte traggono facilmente vantaggio da questa ignoranza ».146 È perciò urgente un serio approfondimento della fede, perché la rapida evoluzione della società ha fatto sorgere nuove sfide, legate in particolare ai fenomeni di sradicamento familiare, di urbanizzazione, di disoccupazione, come pure alle molteplici seduzioni materialiste, ad una certa secolarizzazione e a quella sorta di trauma intellettuale che provoca la valanga di idee insufficientemente vagliate, diffuse dai media.147

La forza della testimonianza

77. La formazione deve mirare a dare ai cristiani non soltanto un'abilità tecnica per trasmettere meglio i contenuti della fede, ma anche una convinzione personale profonda per testimoniarli efficacemente nella vita. Tutti coloro che sono chiamati a proclamare il Vangelo cercheranno dunque di agire con totale docilità allo Spirito, il quale « oggi come agli inizi della Chiesa, opera in ogni evangelizzatore che si lasci possedere e condurre da Lui ».148 « Le tecniche dell'evangelizzazione sono buone, ma neppure le più perfette tra di esse potrebbero sostituire l'azione discreta dello Spirito. Anche la preparazione più raffinata dell'evangelizzatore, non opera nulla senza di Lui. Senza di Lui la dialettica più convincente è impotente sullo spirito degli uomini. Senza di Lui, i più elaborati schemi a base sociologica o psicologica si rivelano vuoti e privi di valore ».149

Una vera testimonianza da parte dei credenti è oggi essenziale in Africa per proclamare in maniera autentica la fede. In particolare, è necessario che essi offrano la testimonianza di un sincero amore reciproco. « La vita eterna è che "conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo" (Gv 17, 3). Scopo ultimo della missione è di far partecipare alla comunione che esiste tra il Padre e il Figlio: i discepoli devono vivere l'unità tra loro, rimanendo nel Padre e nel Figlio, perché il mondo conosca e creda (cfr Gv 17, 21-23). È, questo, un significativo testo missionario, il quale fa capire che si è missionari anzitutto per ciò che si è, come Chiesa che vive profondamente l'unità nell'amore, prima di esserlo per ciò che si dice o si fa ».150

Inculturare la fede

78. A motivo della profonda convinzione che « la sintesi tra cultura e fede non è solo un'esigenza della cultura, ma anche della fede », perché « una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta »,151 l'Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi ha ritenuto l'inculturazione una priorità ed un'urgenza nella vita delle Chiese particolari in Africa: solo così il Vangelo può porre salde radici nelle comunità cristiane del continente. Sulla scia del Concilio Vaticano II,152 i Padri sinodali hanno interpretato l'inculturazione come un processo comprendente tutta l'estensione della vita cristiana — teologia, liturgia, consuetudini, strutture della Chiesa —, senza ovviamente intaccare il diritto divino e la grande disciplina della Chiesa, avvalorata nel corso dei secoli da straordinari frutti di virtù e di eroismo.153

La sfida dell'inculturazione in Africa consiste nel far sì che i discepoli di Cristo possano assimilare sempre meglio il messaggio evangelico, pur restando fedeli a tutti i valori africani autentici. Inculturare la fede in tutti i settori della vita cristiana ed umana si pone quindi come compito arduo, per il cui assolvimento è necessaria l'assistenza dello Spirito del Signore che conduce la Chiesa alla verità tutta intera (cfr Gv 16, 13).

Una comunità riconciliata

79. La sfida del dialogo è, in fondo, la sfida della trasformazione delle relazioni tra gli uomini, tra le nazioni e tra i popoli nella vita religiosa, politica, economica, sociale e culturale. È la sfida dell'amore di Cristo per tutti gli uomini, amore che il discepolo deve riprodurre nella sua vita: « Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri » (Gv 13, 35).

« L'evangelizzazione continua il dialogo di Dio con l'umanità, un dialogo che tocca il suo vertice nella persona di Gesù Cristo ».154 Per mezzo della Croce, Egli ha distrutto in se stesso l'inimicizia (cfr Ef 2, 16) che divide ed allontana gli uomini gli uni dagli altri.

Ora, nonostante la civiltà contemporanea del « villaggio globale », in Africa come altrove nel mondo lo spirito di dialogo, di pace e di riconciliazione è lungi dall'abitare il cuore di tutti gli uomini. Le guerre, i conflitti, gli atteggiamenti razzisti e xenofobi dominano ancora troppo il mondo delle relazioni umane.

La Chiesa in Africa avverte l'esigenza di diventare per tutti, grazie alla testimonianza resa dai suoi figli e dalle sue figlie, luogo di autentica riconciliazione. Così, perdonati e riconciliati vicendevolmente, essi potranno recare al mondo il perdono e la riconciliazione che Cristo, nostra pace (cfr Ef 2, 14), offre all'umanità mediante la sua Chiesa. Altrimenti il mondo assomiglierà sempre più ad un campo di battaglia, dove contano solo gli interessi egoistici e dove regna la legge della forza, che allontana fatalmente l'umanità dall'auspicata civiltà dell'amore.

II. La famiglia

Evangelizzare la famiglia

80. « Il futuro del mondo e della Chiesa passa attraverso la famiglia ».155 In effetti, non solamente la famiglia è la prima cellula della comunità ecclesiale viva, ma lo è anche della società. In Africa, in particolare, la famiglia rappresenta il pilastro su cui è costruito l'edificio della società. Ecco perché il Sinodo considera l'evangelizzazione della famiglia africana come una delle priorità maggiori, se si vuole che essa assuma, a sua volta, il ruolo di soggetto attivo nella prospettiva dell'evangelizzazione delle famiglie mediante le famiglie.

Dal punto di vista pastorale, ciò costituisce una vera sfida, date le difficoltà d'ordine politico, economico, sociale e culturale alle quali i nuclei familiari in Africa devono far fronte nel contesto dei grandi mutamenti della società contemporanea. Pur adottando i valori positivi della modernità, la famiglia africana dovrà pertanto salvaguardare i propri valori essenziali.

La Santa Famiglia come modello

81. A questo proposito la Santa Famiglia che, secondo il Vangelo (cfr Mt 2, 14-15), ha vissuto per qualche tempo in Africa, è « prototipo ed esempio di tutte le famiglie cristiane »,156 modello e sorgente spirituale per ogni famiglia cristiana.157

Per riprendere le parole di Papa Paolo VI, pellegrino in Terra Santa, « Nazaret è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù: la scuola del Vangelo [...]. Qui, a questa scuola si comprende la necessità di avere una disciplina spirituale, se si vuole [...] diventare discepoli di Cristo ».158 Nella sua profonda meditazione sul mistero di Nazaret, Paolo VI invita a raccogliere una triplice lezione: di silenzio, di vita familiare, di lavoro. Nella casa di Nazaret ciascuno vive la propria missione in perfetta armonia con gli altri membri della Santa Famiglia.

Dignità e ruolo dell'uomo e della donna

82. La dignità dell'uomo e della donna deriva dal fatto che, quando Dio creò l'uomo, « a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò » (Gn 1, 27). Sia l'uomo che la donna sono creati « ad immagine di Dio », dotati cioè d'intelligenza e di volontà e, conseguentemente, di libertà. Lo dimostra il racconto relativo al peccato dei progenitori (cfr Gn 3). Il Salmista canta così la dignità incomparabile dell'uomo: « Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi » (Sal 8, 6-7).

Creati l'uno e l'altro ad immagine di Dio, l'uomo e la donna, pur differenti, sono essenzialmente uguali dal punto di vista dell'umanità. « Ambedue sin dall'inizio sono persone, a differenza degli altri esseri viventi del mondo che li circonda. La donna è un altro "io" nella loro comune umanità »,159 e ciascuno costituisce un aiuto per l'altro (cfr Gn 2, 18-25).

« Creando l'uomo "maschio e femmina", Dio dona la dignità personale in eguale modo all'uomo e alla donna, arricchendoli dei diritti inalienabili e delle responsabilità che sono proprie della persona umana ».160 Il Sinodo ha deplorato quei costumi africani e quelle pratiche « che privano le donne dei loro diritti e del rispetto che è loro dovuto » 161 e ha chiesto che la Chiesa nel continente si sforzi di promuovere la salvaguardia di tali diritti.

Dignità e ruolo del Matrimonio

83. Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, è Amore (cfr 1 Gv 4, 8). « La comunione tra Dio e gli uomini trova il suo definitivo compimento in Gesù Cristo, lo sposo che ama e si dona come Salvatore dell'umanità, unendola a sé come suo proprio corpo. Egli rivela la verità originaria del Matrimonio, la verità del "principio" e, liberando l'uomo dalla durezza del cuore, lo rende capace di realizzarla interamente. Questa rivelazione raggiunge la sua pienezza definitiva nel dono d'amore che il Verbo di Dio fa all'umanità assumendo la natura umana e nel sacrificio che Gesù Cristo fa di se stesso sulla croce per la sua Sposa, la Chiesa. In questo sacrificio si svela interamente quel disegno che Dio ha impresso nell'umanità dell'uomo e della donna fin dalla loro creazione (cfr Ef 5, 32-33); il Matrimonio dei battezzati diviene così il simbolo reale della nuova ed eterna Alleanza, sancita nel sangue di Cristo ».162

L'amore reciproco fra gli sposi battezzati manifesta l'amore di Cristo e della Chiesa. Segno dell'amore di Cristo, il Matrimonio è un sacramento della Nuova Alleanza: « Gli sposi sono per la Chiesa il richiamo permanente di ciò che è accaduto sulla Croce; sono l'uno per l'altro, e per i figli, testimoni della salvezza, di cui il sacramento li rende partecipi. Di questo evento di salvezza il Matrimonio, come ogni sacramento, è memoriale, attualizzazione e profezia ».163

Esso dunque è uno stato di vita, una via di santità cristiana, una vocazione che deve condurre alla risurrezione gloriosa ed al Regno, dove « non si prende né moglie né marito » (Mt 22, 30). Per questo, il Matrimonio esige un amore indissolubile; grazie a questa sua stabilità può contribuire efficacemente a realizzare appieno la vocazione battesimale degli sposi.

Salvare la famiglia africana

84. Molti sono stati gli interventi nell'aula del Sinodo che hanno evidenziato le minacce attualmente incombenti sulla famiglia africana. Le preoccupazioni dei Padri sinodali erano tanto più giustificate in quanto il documento preparatorio di una Conferenza delle Nazioni Unite, tenutasi nel settembre del 1994 al Cairo, in terra africana, sembrava con tutta evidenza voler adottare risoluzioni in contrasto con non pochi valori familiari africani. Facendo proprie le preoccupazioni da me precedentemente manifestate alla Conferenza ed ai Capi di Stato del mondo intero,164 essi hanno lanciato un pressante appello perché sia salvaguardata la famiglia: « Non lasciate — essi hanno gridato — che la famiglia africana venga umiliata proprio sulla sua terra! Non permettete che l'Anno Internazionale della Famiglia divenga l'anno della distruzione della famiglia! ».165

La famiglia aperta alla società

85. Il matrimonio, per sua natura, trascende la coppia, avendo la speciale missione di perpetuare l'umanità. Allo stesso modo, per natura, la famiglia va oltre i limiti del focolare domestico: essa è orientata verso la società. « La famiglia possiede vincoli vitali ed organici con la società, perché ne costituisce il fondamento e l'alimento continuo mediante il suo compito di servizio alla vita: dalla famiglia infatti nascono i cittadini e nella famiglia essi trovano la prima scuola di quelle virtù sociali, che sono l'anima della vita e lo sviluppo della società stessa. Così in forza della sua natura e vocazione, lungi dal rinchiudersi in se stessa, la famiglia si apre alle altre famiglie e alla società, assumendo il suo compito sociale ».166

In tale linea, l'Assemblea speciale per l'Africa afferma che fine dell'evangelizzazione è edificare la Chiesa, come Famiglia di Dio, anticipazione, anche se imperfetta, del Regno sulla terra. Le famiglie cristiane dell'Africa diventeranno in questo modo vere « chiese domestiche », contribuendo al progresso della società verso una vita più fraterna. È così che si opererà la trasformazione delle società africane mediante il Vangelo!

CAPITOLO V

« MI SARETE TESTIMONI » IN AFRICA

Testimonianza e santità

86. Le sfide segnalate mostrano quanto opportuna sia stata l'Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi: il compito della Chiesa nel continente è immenso; per affrontarlo è necessaria la collaborazione di tutti. La testimonianza ne costituisce l'elemento centrale. Cristo interpella i suoi discepoli in Africa ed affida loro il mandato che diede agli Apostoli il giorno dell'Ascensione: « Mi sarete testimoni » (At 1, 8) in Africa.

87. L'annuncio della Buona Novella con la parola e le opere apre il cuore delle persone al desiderio della santità, della configurazione a Cristo. San Paolo, nella prima Lettera ai Corinti, si rivolge « a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, chiamati ad essere santi insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo » (1, 2). La predicazione del Vangelo ha pure come scopo la costruzione della Chiesa di Dio, nella prospettiva dell'avvento del Regno, che Cristo consegnerà al Padre alla fine dei tempi (cfr 1 Cor 15, 24).

« L'entrata nel Regno di Dio domanda una trasformazione di mentalità (metanoia) e di comportamento e una vita di testimonianza in parole e opere, nutrita in seno alla Chiesa dalla partecipazione ai sacramenti, particolarmente all'Eucarestia, sacramento della salvezza ».167

Costituisce una via alla santità anche l'inculturazione, mediante la quale la fede penetra nella vita delle persone e delle loro comunità originarie. Come nell'Incarnazione Cristo ha assunto la natura umana con esclusione solo del peccato, analogamente mediante l?inculturazione il messaggio cristiano assimila i valori della società alla quale è annunciato, scartando quanto è segnato dal peccato. Nella misura in cui la comunità ecclesiale sa integrare i valori positivi di una determinata cultura, diventa strumento della sua apertura alle dimensioni della santità cristiana. Una inculturazione condotta con saggezza purifica ed eleva le culture dei vari popoli.

Un ruolo importante, da questo punto di vista, è chiamata a svolgere la liturgia. In quanto modo efficace di proclamare e di vivere i misteri della salvezza, essa può validamente contribuire ad elevare ed arricchire specifiche manifestazioni della cultura di un certo popolo. Sarà pertanto compito dell'autorità competente curare l'inculturazione, secondo modelli artisticamente pregevoli, di quegli elementi liturgici che, alla luce delle norme vigenti, possono essere modificati.168

I. Operatori dell'Evangelizzazione

88. L'evangelizzazione ha bisogno di operatori. Infatti, « come potranno invocarlo [il Signore] senza aver prima creduto in lui? E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi? E come lo annunzieranno, senza essere prima inviati? » (Rm 10, 14-15). L'annuncio del Vangelo può realizzarsi pienamente solo con il contributo di tutti i credenti, ad ogni livello della Chiesa sia universale che locale.

Spetta in particolare a quest'ultima, la Chiesa locale posta sotto la responsabilità del Vescovo, di coordinare l'impegno dell'evangelizzazione, raccogliendo i fedeli, confermandoli nella fede mediante l'opera dei presbiteri e dei catechisti, sostenendoli nell'adempimento delle rispettive missioni. A questo scopo, la diocesi provvederà ad istituire le necessarie strutture di incontro, di dialogo, di programmazione. Valendosi di esse, il Vescovo potrà orientare opportunamente il lavoro di sacerdoti, religiosi e laici, accogliendo doni e carismi di ciascuno per metterli al servizio di una pastorale aggiornata ed incisiva. Di grande utilità saranno in tal senso i vari Consigli previsti dalle vigenti norme del Diritto Canonico.

Comunità ecclesiali vive

89. I Padri sinodali hanno subito riconosciuto che la Chiesa come Famiglia potrà dare la sua piena misura di Chiesa solo ramificandosi in comunità sufficientemente piccole per permettere strette relazioni umane. Le caratteristiche di tali comunità sono state così sintetizzate dall'Assemblea: esse dovranno essere luoghi in cui provvedere innanzitutto alla propria evangelizzazione per poi portare la Buona Novella agli altri; dovranno perciò essere luoghi di preghiera e di ascolto della Parola di Dio; di responsabilizzazione dei membri stessi; di apprendistato di vita ecclesiale; di riflessione sui vari problemi umani, alla luce del Vangelo. Soprattutto, in esse ci si impegnerà a vivere l'amore universale di Cristo, che trascende le barriere delle solidarietà naturali dei clan, delle tribù o di altri gruppi d'interesse.169

Laicato

90. I laici saranno aiutati a prendere sempre più coscienza del ruolo che devono occupare nella Chiesa, onorando così la missione che è loro peculiare in quanto battezzati e cresimati, conformemente all'insegnamento dell'Esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici 170 e dell'Enciclica Redemptoris missio.171 Essi devono conseguentemente essere formati a questo mediante appositi centri o scuole di formazione biblica e pastorale. In una prospettiva simile, i cristiani che occupano posti di responsabilità saranno accuratamente preparati al loro compito politico, economico e sociale con una solida formazione nella dottrina sociale della Chiesa, al fine di essere fedeli testimoni del Vangelo nel loro ambito d'azione.172

Catechisti

91. « Il ruolo dei catechisti è stato e rimane determinante nella fondazione e nell'espansione della Chiesa in Africa. Il Sinodo raccomanda che i catechisti non solo beneficino di una perfetta preparazione iniziale [...], ma continuino anche a ricevere una formazione dottrinale nonché un sostegno morale e spirituale ».173 Tanto i Vescovi che i sacerdoti abbiano perciò a cuore i loro catechisti, procurando che siano loro assicurate degne condizioni di vita e di lavoro, così che essi possano compiere bene la loro missione. Il loro compito sia riconosciuto e onorato all'interno della comunità cristiana.

La famiglia

92. Il Sinodo ha lanciato un esplicito appello affinché ciascuna famiglia cristiana divenga « un luogo privilegiato di testimonianza evangelica »,174 una vera « chiesa domestica »,175 una comunità che crede ed evangelizza,176 una comunità in dialogo con Dio 177 e generosamente aperta al servizio dell'uomo.178 « È in seno alla famiglia che i genitori devono essere per i loro figli, con la parola e con l'esempio, i primi annunciatori della fede ».179 « È qui che si esercita in maniera privilegiata il sacerdozio battesimale del padre di famiglia, della madre, dei figli, di tutti i membri della famiglia, "con la partecipazione ai sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l'abnegazione e l'operosa carità". Il focolare è così la prima scuola di vita cristiana e "una scuola di umanità più ricca" ».180

I genitori si prenderanno cura dell'educazione cristiana dei figli. Con l'aiuto concreto di famiglie cristiane salde, serene ed impegnate, le diocesi programmeranno l'apostolato familiare nel quadro della pastorale d'insieme. In quanto « chiesa domestica », costruita sulle solide basi culturali e sui ricchi valori della tradizione familiare africana, la famiglia cristiana è chiamata ad essere una valida cellula di testimonianza cristiana nella società segnata da mutamenti rapidi e profondi. Il Sinodo ha sentito quest'appello con particolare urgenza nel contesto dell'Anno della Famiglia, che la Chiesa stava allora celebrando insieme a tutta la comunità internazionale.

Giovani

93. La Chiesa in Africa sa bene che la gioventù non è solo il presente, ma soprattutto l'avvenire dell'umanità. Bisogna dunque aiutare i giovani a superare gli ostacoli che frenano il loro sviluppo: l'analfabetismo, l'oziosità, la fame, la droga.181 Per far fronte a queste sfide, si dovranno chiamare i giovani ad essere evangelizzatori del loro ambiente. Nessuno può esserlo meglio di loro. È necessario che la pastorale della gioventù sia esplicitamente presente nella pastorale complessiva delle diocesi e delle parrocchie, in modo da fornire ai giovani l'occasione di scoprire molto presto il valore del dono di sé, essenziale cammino di sviluppo della persona.182 A questo proposito, la celebrazione della Giornata Mondiale dei Giovani si presenta come un mezzo privilegiato di pastorale della gioventù, che ne favorisce la formazione mediante la preghiera, lo studio e la riflessione.

Uomini e donne consacrati

94. « In una Chiesa Famiglia di Dio, la vita consacrata riveste un ruolo particolare, non solo per indicare a tutti l'appello alla santità, ma anche per testimoniare la vita fraterna nella comunità. Di conseguenza i consacrati sono invitati a rispondere alla loro vocazione in spirito di comunione e di collaborazione con i rispettivi Vescovi, con il clero e i laici ».183

Nelle presenti condizioni della missione in Africa, è urgente promuovere le vocazioni religiose alla vita contemplativa ed attiva, operando innanzitutto scelte oculate e provvedendo poi ad impartire una solida formazione umana, spirituale e dottrinale, apostolica e missionaria, biblica e teologica. Questa formazione va rinnovata nel corso degli anni, con costanza e regolarità. Per la fondazione di nuovi Istituti religiosi, si deve procedere con grande prudenza ed illuminato discernimento, facendo riferimento ai criteri indicati dal Concilio Vaticano II ed alle norme canoniche vigenti.184 Gli Istituti, una volta fondati, vanno aiutati ad acquisire la personalità giuridica ed a raggiungere l'autonomia nella gestione tanto delle proprie opere che dei rispettivi cespiti finanziari.

L'Assemblea sinodale, dopo aver ammonito « gli Istituti religiosi che non hanno case in Africa » a non sentirsi autorizzati a « cercarvi nuove vocazioni senza un preventivo dialogo con l'Ordinario del luogo »,185 ha poi esortato i responsabili delle Chiese locali, come anche degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, a promuovere tra loro il dialogo per creare, nello spirito della Chiesa Famiglia, gruppi misti di concertazione quale testimonianza di fraternità e segno di unità a servizio della comune missione.186 In questa prospettiva, ho anche accolto l'invito dei Padri sinodali a rivedere, se necessario, qualche punto del documento Mutuae relationes 187 per una migliore definizione del ruolo della vita religiosa nella Chiesa locale.188

Futuri sacerdoti

95. « Oggi più che mai — hanno affermato i Padri sinodali — ci si preoccuperà di formare i futuri sacerdoti ai veri valori culturali dei rispettivi paesi, al senso dell'onestà, della responsabilità e della fedeltà alla parola data. Saranno formati in modo da rivestire le qualità di rappresentanti di Cristo, di veri servitori e animatori di comunità cristiane [...] così da essere sacerdoti spiritualmente solidi e disponibili, votati alla causa del Vangelo, capaci di gestire con trasparenza i beni della Chiesa e di condurre una vita semplice in conformità al loro ambiente ».189 Pur rispettando le tradizioni proprie delle Chiese orientali, i seminaristi siano formati in modo « che acquisiscano una vera maturità affettiva ed abbiano idee chiare e un'intima convinzione sull'indissociabilità del celibato e della castità del sacerdote »; 190 essi inoltre « ricevano una adeguata formazione sul senso e il posto della consacrazione a Cristo nel sacerdozio ».191

Diaconi

96. Laddove le condizioni pastorali si prestino alla stima e alla comprensione di questo antico ministero della Chiesa, le Conferenze e le Assemblee episcopali studieranno i modi più adatti per promuovere ed incoraggiare il diaconato permanente « come ministero ordinato e anche come mezzo di evangelizzazione ».192 E dove i diaconi esistono già, ci si adopererà per fornire loro un aggiornamento organico e completo.

Sacerdoti

97. Profondamente grata a tutti i sacerdoti, diocesani e membri di Istituti, per l'opera apostolica da essi svolta e cosciente delle esigenze poste dall'evangelizzazione dei popoli d'Africa e Madagascar, l'Assemblea sinodale li ha esortati a vivere la « fedeltà alla loro vocazione, nel dono totale di sé alla missione e in piena comunione con il proprio Vescovo ».193 Sarà compito dei Vescovi prendersi cura della formazione permanente dei sacerdoti, soprattutto nei primi anni di ministero,194 aiutandoli in particolare ad approfondire il senso del sacro celibato ed a perseverare nella fedele adesione ad esso, « sapendo apprezzare questo dono meraviglioso che il Padre ha loro concesso e che il Signore ha così esplicitamente esaltato, ed avendo anche presenti i grandi misteri che in esso sono significati e realizzati ».195 In tale iter formativo va pure riservata attenzione ai sani valori dell'ambiente di vita dei sacerdoti. È opportuno ricordare, inoltre, che il Concilio Vaticano II ha incoraggiato fra i presbiteri « una certa vita comune », ossia una qualche comunità di vita nelle diverse forme suggerite dai concreti bisogni personali e pastorali. Ciò contribuirà a fomentare la vita spirituale ed intellettuale, l'azione apostolica e pastorale, la carità e la sollecitudine reciproca, specie nei riguardi dei sacerdoti anziani, malati o in difficoltà.196

Vescovi

98. I Vescovi stessi porranno ogni cura nel pascere la Chiesa che Dio si è acquistata con il sangue del proprio Figlio, in adempimento dell'incarico loro affidato dallo Spirito Santo (cfr At 20, 28). Impegnati, secondo la raccomandazione conciliare, a « svolgere il loro dovere apostolico come testimoni di Cristo davanti a tutti gli uomini »,197 essi eserciteranno personalmente, in collaborazione fiduciosa col presbiterio e con gli altri operatori pastorali, l'insostituibile servizio dell'unità nella carità, attendendo con sollecitudine ai compiti di insegnamento, di santificazione e di governo pastorale. Non mancheranno, inoltre, di provvedere all'approfondimento della loro cultura teologica ed al corroboramento della loro vita spirituale, prendendo parte, per quanto possibile, alle sessioni di aggiornamento e di formazione organizzate dalle Conferenze episcopali o dalla Sede apostolica.198 Mai dimenticheranno, in particolare, l'ammonimento di san Gregorio Magno, secondo cui il Pastore è luce dei suoi fedeli soprattutto mediante una condotta morale esemplare e impregnata di santità.199

II. Strutture di evangelizzazione

99. È motivo di gioia e consolazione costatare che « i fedeli laici sono sempre più associati alla missione della Chiesa in Africa e Madagascar », grazie specialmente « al dinamismo dei movimenti di azione cattolica, delle associazioni di apostolato e dei nuovi movimenti di spiritualità. I Padri del Sinodo hanno caldamente auspicato che « questo slancio continui e si sviluppi a tutti i livelli del laicato, sia che si tratti degli adulti, che dei giovani, come pure dei bambini ».200

Parrocchie

100. La parrocchia è per sua natura l'abituale luogo di vita e di culto dei fedeli. Essi possono esprimervi ed attuarvi le iniziative che la fede e la carità cristiana suggeriscono alla comunità dei credenti. La parrocchia è il luogo dove si manifesta la comunione dei diversi gruppi e movimenti, che vi trovano sostegno spirituale e appoggio materiale. Sacerdoti e laici porranno ogni impegno perché la vita della parrocchia sia armoniosa, nel contesto di una Chiesa come Famiglia, dove tutti sono « assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli Apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere » (At 2, 42).

Movimenti e associazioni

101. L'unione fraterna per una testimonianza vivente del Vangelo sarà anche la finalità dei movimenti apostolici e delle associazioni a carattere religioso. I fedeli laici vi trovano, in effetti, un'occasione privilegiata per essere lievito nella pasta (cfr Mt 13, 33), specialmente per quanto riguarda la gestione delle cose temporali secondo Dio e la lotta per la promozione della dignità umana, della giustizia e della pace.

Scuole

102. « Le scuole cattoliche sono contemporaneamente luoghi di evangelizzazione, di educazione integrale, d'inculturazione e di apprendimento di un dialogo vitale tra giovani di religioni e ambienti sociali differenti ».201 La Chiesa in Africa e in Madagascar offrirà pertanto il proprio contributo alla promozione della « scuola per tutti » 202 nel quadro della scuola cattolica, senza trascurare « l'educazione cristiana degli alunni delle scuole non cattoliche. Agli universitari sarà fornito un programma di formazione religiosa corrispondente al loro livello di studio ».203 Tutto ciò, ovviamente, suppone la preparazione umana, culturale e religiosa degli educatori stessi.

Università e Istituti superiori

103. « Le Università e gli Istituti superiori cattolici in Africa svolgono un ruolo importante nella proclamazione della Parola salvifica di Dio. Sono un segno della crescita della Chiesa in quanto integrano nelle loro ricerche le verità e le esperienze della fede, ed aiutano ad interiorizzarle. Questi centri di studio sono così a servizio della Chiesa, fornendole personale ben preparato; studiando importanti questioni teologiche e sociali; sviluppando la teologia africana; promuovendo il lavoro d'inculturazione specialmente nella celebrazione liturgica; pubblicando libri e diffondendo il pensiero cattolico; intraprendendo le ricerche loro affidate dai Vescovi e contribuendo ad uno studio scientifico delle culture ».204

In questi tempi di capovolgimenti sociali generalizzati sul continente, la fede cristiana può illuminare efficacemente la società africana. « I centri culturali cattolici offrono alla Chiesa singolari possibilità di presenza e di azione nel campo dei mutamenti culturali. In effetti, essi costituiscono dei forum pubblici che permettono la larga diffusione, mediante il dialogo creativo, delle convinzioni cristiane sull'uomo, sulla donna, sulla famiglia, sul lavoro, sull'economia, sulla società, sulla politica, sulla vita internazionale, sull'ambiente ».205 Essi so no così luoghi d'ascolto, di rispetto e di tolleranza.

Mezzi materiali

104. Proprio in questa prospettiva, i Padri sinodali hanno messo in rilievo come sia necessario che ogni comunità cristiana sia posta in grado di provvedere da sola, per quanto è possibile, alle proprie necessità.206 L'evangelizzazione richiede, oltre a personale qualificato, mezzi materiali e finanziari cospicui, e le diocesi sono non di rado ben lungi dal disporne in misura sufficiente. È dunque urgente che le Chiese particolari d'Africa si propongano l'obiettivo di giungere quanto prima a provvedere esse stesse ai loro bisogni, assicurando così la loro autosufficienza. Di conseguenza, invito pressantemente le Conferenze episcopali, le diocesi e tutte le comunità cristiane delle Chiese del continente, in ciò che è di loro competenza, ad impegnarsi perché questa autosufficienza divenga sempre più reale. Al tempo stesso, faccio appello alle Chiese sorelle del mondo, affinché sostengano più generosamente le Pontificie Opere Missionarie così che, mediante i loro organismi di aiuto, esse possano offrire alle diocesi bisognose aiuti economici destinati a progetti d'investimento, capaci di produrre risorse che conducano al loro progressivo autofinanziamento.207 Non si deve, peraltro, dimenticare che una Chiesa può pervenire all'autosufficienza materiale e finanziaria solo se il popolo ad essa affidato non subisce condizioni di miseria estrema.

CAPITOLO VI

EDIFICARE IL REGNO DI DIO

Regno di giustizia e di pace

105. Il mandato che Gesù ha conferito ai discepoli al momento di salire al cielo è indirizzato alla Chiesa di Dio per tutti i tempi e tutti i luoghi. La Chiesa Famiglia di Dio in Africa deve testimoniare Cristo anche mediante la promozione della giustizia e della pace sul continente e nel mondo intero. « Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli » (Mt 5, 9-10), dice il Signore. La testimonianza della Chiesa deve essere accompagnata dall'impegno convinto di ciascun membro del popolo di Dio per la giustizia e la solidarietà. Ciò è particolarmente importante per i laici che occupano funzioni pubbliche, poiché questa testimonianza esige un atteggiamento spirituale permanente e uno stile di vita in armonia con la fede cristiana.

La dimensione ecclesiale della testimonianza

106. I Padri sinodali, sottolineando la dimensione ecclesiale di tale testimonianza, hanno solennemente dichiarato: « La Chiesa deve continuare a svolgere il suo ruolo profetico ed essere voce di chi non ha voce ».208

Ma per realizzare ciò in maniera efficace, la Chiesa, in quanto comunità di fede, dev'essere una testimone forte della giustizia e della pace nelle sue strutture e nelle relazioni tra i suoi membri. Il Messaggio del Sinodo coraggiosamente dichiara: « Le Chiese d'Africa hanno anche riconosciuto che nel loro seno la giustizia non è sempre rispettata nei confronti di quanti sono al loro servizio. La Chiesa deve essere testimone di giustizia e, perciò, riconosce che chiunque osi parlare agli uomini di giustizia deve sforzarsi egli stesso di essere giusto ai loro occhi. Bisogna perciò prendere in esame con cura le procedure, i beni e lo stile di vita della Chiesa ».209

Il suo apostolato, per quanto riguarda la promozione della giustizia e, in particolare, la difesa dei diritti umani fondamentali, non può essere lasciato all'improvvisazione. Cosciente del fatto che in numerosi paesi d'Africa vengono perpetrate flagranti violazioni della dignità e dei diritti dell'uomo, domando alle Conferenze episcopali d'istituire, laddove non esistano ancora, delle Commissioni « Giustizia e Pace » ai vari livelli. Queste dovranno sensibilizzare le comunità cristiane alle loro responsabilità evangeliche in merito alla difesa dei diritti umani.210

107. Se l'annuncio della giustizia e della pace è parte integrante del compito di evangelizzazione, ne deriva che la promozione di questi valori dovrà anche far parte del programma pastorale di ciascuna comunità cristiana. Ecco perché insisto sulla necessità di formare tutti gli operatori pastorali in modo adeguato in vista di tale apostolato: « La formazione del clero, dei religiosi e dei laici impartita nei campi propri del loro apostolato porrà l'accento sulla dottrina sociale della Chiesa. Ciascuno, secondo il proprio stato di vita, prenderà coscienza dei suoi diritti e dei suoi doveri, imparerà il senso e il servizio del bene comune, come pure i criteri di una onesta gestione dei beni pubblici e di una corretta presenza nella vita politica, così da poter intervenire in maniera credibile dinanzi alle ingiustizie sociali ».211

Come corpo organizzato all'interno della comunità e della nazione, la Chiesa ha il diritto e il dovere di partecipare pienamente all'edificazione di una società giusta e pacifica con tutti i mezzi a sua disposizione. Bisogna qui ricordare il suo apostolato nei campi dell'educazione, delle cure sanitarie, della sensibilizzazione sociale e di altri programmi di assistenza. Nella misura in cui con queste sue attività contribuisce a ridurre l'ignoranza, a migliorare la salute pubblica e favorire una maggiore partecipazione di tutti ai problemi della società in spirito di libertà e di corresponsabilità, la Chiesa crea le condizioni per il progresso della giustizia e della pace.

Il sale della terra

108. Ai nostri giorni, nel contesto di una società pluralista, è soprattutto grazie all'impegno dei cattolici nella vita pubblica che la Chiesa può esercitare un'influenza efficace. Dai cattolici, siano essi professionisti o insegnanti, uomini d'affari o funzionari, agenti di sicurezza o politici, ci si aspetta che testimonino bontà, verità, giustizia e amore di Dio nelle loro attività di ogni giorno. « Il compito del fedele laico [...] è quello di essere il sale e la luce nella vita quotidiana, specialmente laddove è il solo a poter intervenire ».212

Collaborare con gli altri credenti

109. L'obbligo di impegnarsi per lo sviluppo dei popoli non è un dovere soltanto individuale, né tanto meno individualistico, come se fosse possibile conseguirlo con gli sforzi isolati di ciascuno. Esso è un imperativo per ogni uomo ed ogni donna, come per le società e le nazioni; in particolare, esso è un imperativo per la Chiesa cattolica e per le altre Chiese e Comunità ecclesiali, con le quali i cattolici sono disposti a collaborare in questo campo.213 In tal senso, come i cattolici invitano i fratelli cristiani a partecipare alle loro iniziative, così, accogliendo gli inviti che sono loro rivolti, si dichiarano pronti a collaborare a quelle da questi avviate. Per favorire lo sviluppo integrale dell'uomo i cattolici possono fare molto anche con i credenti delle altre religioni, come del resto già stanno facendo in diversi luoghi.214

Una buona gestione degli affari pubblici

110. I Padri del Sinodo sono stati unanimi nel riconoscere che la più grande sfida per realizzare la giustizia e la pace in Africa consiste nel gestire bene gli affari pubblici nei due campi, tra loro connessi, della politica e dell'economia. Certi problemi hanno origine fuori dal continente e, per questo motivo, non sono interamente sotto il controllo dei governanti e dei dirigenti nazionali. Ma l'Assemblea sinodale ha riconosciuto che molte problematiche del continente sono la conseguenza di un modo di governare sovente inquinato dalla corruzione. È necessario un forte risveglio delle coscienze, unito ad una ferma determinazione della volontà, per porre in essere quelle soluzioni che non è ormai più possibile rimandare.

Costruire la nazione

111. Sul versante politico, l'arduo processo della costruzione di unità nazionali incontra nel continente africano particolari ostacoli, essendo la maggior parte degli Stati entità politiche relativamente recenti. Conciliare profonde differenze, superare antiche animosità di natura etnica e integrarsi in un ordine mondiale esige grande abilità nell'arte di governare. Per questo motivo, l'Assemblea sinodale ha elevato al Signore una fervente preghiera perché sorgano in Africa politici — uomini e donne — santi; perché si abbiano santi capi di Stato, che amino il proprio popolo fino in fondo e che desiderino servire piuttosto che servirsi.215

La via del diritto

112. Le fondamenta di un buon governo devono essere stabilite sulla solida base delle leggi, che proteggono i diritti e definiscono i doveri dei cittadini.216 Debbo constatare con grande tristezza che non poche nazioni africane soffrono ancora sotto regimi autoritari e oppressivi, che negano ai sudditi la libertà personale e i diritti umani fondamentali, in particolar modo la libertà di associazione e di espressione politica, e il diritto di scegliere i propri governanti mediante libere ed eque elezioni. Tali ingiustizie politiche provocano tensioni che sovente degenerano in conflitti armati e in guerre interne, recando con sé gravi conseguenze, quali carestie, epidemie, distruzioni, per non parlare degli stermini, dello scandalo e della tragedia dei rifugiati. Per questo motivo, il Sinodo ha sostenuto con ragione che un'autentica democrazia, nel rispetto del pluralismo, è « una delle vie principali sulle quali la Chiesa cammina con il popolo. [...] Il laico cristiano, impegnato nelle lotte democratiche secondo lo spirito del Vangelo, è il segno di una Chiesa che vuol essere presente alla costruzione di uno Stato di diritto, in tutta l'Africa ».217

Gestire il patrimonio comune

113. Il Sinodo, inoltre, fa appello ai governi africani affinché adottino politiche appropriate al fine di promuovere la crescita economica e gli investimenti, in vista della creazione di nuovi posti di lavoro.218 Ciò comporta l'impegno di perseguire politiche economiche sane, stabilendo corrette priorità per lo sfruttamento e la distribuzione delle risorse nazionali talora esigue, in modo da provvedere ai bisogni fondamentali delle persone e da assicurare un'onesta ed equa divisione dei benefici e degli oneri. I governi hanno, in particolare, l'inderogabile dovere di proteggere il patrimonio comune contro tutte le forme di spreco e di appropriazione indebita da parte di cittadini privi di senso civico o di stranieri senza scrupoli. Ai governi spetta pure di intraprendere adeguate iniziative per migliorare le condizioni del commercio internazionale.

I problemi economici dell'Africa sono resi più gravi dalla disonestà di taluni governanti corrotti, che, in connivenza con interessi privati locali o stranieri, stornano a loro profitto le risorse nazionali, trasferendo denaro pubblico su conti privati in banche estere. Si tratta di veri e propri furti, qualunque ne sia la copertura legale. Auspico vivamente che gli organismi internazionali e persone integre di paesi africani o di altri paesi del mondo sappiano apprestare i mezzi giuridici adeguati per far rientrare i capitali indebitamente sottratti. Anche nella concessione di prestiti è importante assicurarsi circa la responsabilità e la trasparenza dei destinatari.219

La dimensione internazionale

114. In quanto Assemblea di Vescovi della Chiesa universale presieduta dal Successore di Pietro, il Sinodo è stato una occasione provvidenziale per valutare in maniera positiva il posto e il ruolo dell'Africa nel contesto della Chiesa universale e della comunità mondiale. Essendo il mondo in cui viviamo sempre più interdipendente, i destini e i problemi delle varie regioni sono tra loro connessi. La Chiesa, in quanto Famiglia di Dio sulla terra, deve essere il segno vivente e lo strumento efficace della solidarietà universale, in vista dell'edificazione di una comunità di giustizia e di pace di dimensioni planetarie. Un mondo migliore sorgerà soltanto se verrà costruito sulle fondamenta solide di sani principi etici e spirituali.

Nell'attuale situazione mondiale, le nazioni africane sono tra le più svantaggiate. È necessario che i paesi ricchi prendano chiara coscienza del loro dovere di sostenere gli sforzi dei paesi che lottano per uscire dalla povertà e dalla miseria. Del resto, è nello stesso interesse delle nazioni ricche scegliere la via della solidarietà, perché solo così è possibile assicurare all'umanità una pace ed una armonia durevoli. La Chiesa, poi, che vive nei paesi sviluppati non può ignorare la responsabilità aggiuntiva che le deriva dall'impegno cristiano per la giustizia e la carità: poiché tutti, uomini e donne, portano in sé l'immagine di Dio e sono chiamati a far parte della stessa famiglia redenta dal sangue di Cristo, deve essere garantito a ciascuno un giusto accesso alle risorse della terra che Dio ha posto a disposizione di tutti.220

Non è difficile intravvedere le numerose implicazioni pratiche che una simile impostazione comporta. Occorre innanzitutto adoperarsi per migliori relazioni socio-politiche tra le nazioni, assicurando condizioni di maggiore giustizia e dignità per quelle tra di esse che, con la raggiunta indipendenza, sono entrate da minor tempo nel consesso internazionale. È necessario poi prestare ascolto con interiore partecipazione al grido angosciato delle nazioni povere, che chiedono aiuto in ambiti di particolare importanza: la denutrizione, il deterioramento generalizzato della qualità della vita, l'insufficienza dei mezzi per la formazione dei giovani, la carenza dei servizi sanitari e sociali elementari, con la conseguente persistenza di malattie endemiche, la diffusione del terribile flagello dell'AIDS, il gravoso e talora insopportabile peso del debito internazionale, l'orrore delle guerre fratricide alimentate da un traffico d'armi senza scrupoli, lo spettacolo vergognoso e miserando dei profughi e dei rifugiati. Ecco alcuni campi in cui sono necessari interventi immediati, che restano opportuni anche se appaiono insufficienti nel quadro globale dei problemi.

I. Elementi di preoccupazione

Ridare la speranza ai giovani

115. La situazione economica di povertà ha un impatto particolarmente negativo sui giovani. Essi entrano nella vita degli adulti con scarso entusiasmo a causa di un presente segnato da non poche frustrazioni, e guardano con ancor minore speranza all'avvenire, che appare ai loro occhi triste ed oscuro. Per questo tendono a fuggire dalle zone rurali trascurate e si raggruppano nelle città, che, in fondo, non hanno da offrire loro molto di meglio. Non pochi di loro vanno all'estero come in esilio, e lì vivono un'esistenza precaria di rifugiati economici. Sento il dovere, insieme ai Padri del Sinodo, di perorare la loro causa: è necessario ed urgente trovare una soluzione alla loro impazienza di partecipare alla vita della nazione e della Chiesa.221

Al tempo stesso, però, è ai giovani che voglio pure rivolgere un appello: Cari giovani, il Sinodo vi chiede di farvi carico dello sviluppo delle vostre nazioni, di amare la cultura del vostro popolo e di lavorare alla sua rivitalizzazione con fedeltà alla vostra eredità culturale, con l'affinamento dello spirito scientifico e tecnico e, soprattutto, con la testimonianza della fede cristiana.222

Il flagello dell'AIDS

116. Su questo sfondo di povertà generale e di servizi sanitari inadeguati, il Sinodo ha preso in considerazione il tragico flagello dell'AIDS, che semina dolore e morte in numerose zone dell'Africa. Esso ha costatato il ruolo svolto nella diffusione di tale malattia da comportamenti sessuali irresponsabili e ha formulato questa ferma raccomandazione: « L'affetto, la gioia, la felicità e la pace procurati dal Matrimonio cristiano e dalla fedeltà, così come la sicurezza data dalla castità, devono essere continuamente presentati ai fedeli, soprattutto ai giovani ».223

La lotta contro l'AIDS deve essere ingaggiata da tutti. Facendo eco alla voce dei Padri sinodali, anch'io domando agli operatori pastorali di portare ai fratelli e alle sorelle colpiti dall'AIDS tutto il conforto possibile sia materiale che morale e spirituale. Agli uomini di scienza e ai responsabili politici di tutto il mondo chiedo con viva insistenza che, mossi dall'amore e dal rispetto dovuti ad ogni persona umana, non facciano economia quanto ai mezzi capaci di mettere fine a questo flagello.

« Forgiate le spade in vomeri » (cfr Is 2, 4): mai più guerre!

117. La tragedia delle guerre che dilaniano l'Africa è stata descritta dai Padri sinodali con parole incisive: « L'Africa è da parecchi decenni il teatro di guerre fratricide, che decimano le popolazioni e distruggono le loro ricchezze naturali e culturali ».224 Il dolorosissimo fenomeno, oltre a cause esterne all'Africa, ha pure cause interne, quali « il tribalismo, il nepotismo, il razzismo, l'intolleranza religiosa, la sete di potere, spinta all'estremo nei regimi totalitari che deridono impunemente i diritti e la dignità dell'uomo. Le popolazioni beffate e ridotte al silenzio subiscono, quali vittime innocenti e rassegnate, tutte queste situazioni d'ingiustizia ».225

Non posso non unire la mia voce a quella dei membri dell'Assemblea sinodale per deplorare le situazioni di indicibile sofferenza, provocate dai tanti conflitti in atto o potenziali, e per chiedere a quanti ne hanno la possibilità di impegnarsi a fondo per porre fine a simili tragedie.

Esorto, inoltre, insieme con i Padri sinodali, a fattivo impegno per promuovere nel continente condizioni di maggiore giustizia sociale e di più equo esercizio del potere, per preparare così il terreno alla pace. « Se vuoi la pace, lavora per la giustizia ».226 È preferibile — ed anche più facile — prevenire le guerre piuttosto che tentare di arrestarle dopo che sono scoppiate. tempo che i popoli spezzino le loro spade per farne vomeri e le loro lance per farne falci (cfr Is 2, 4).

118. La Chiesa in Africa — in particolare attraverso taluni suoi responsabili — è stata in prima linea nella ricerca di soluzioni negoziate per i conflitti armati scoppiati in numerose zone del continente. Questa missione di pacificazione dovrà continuare, incoraggiata da quanto il Signore promette nelle Beatitudini: « Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio » (Mt 5, 9).

Coloro che alimentano le guerre in Africa mediante il traffico di armi sono complici di odiosi crimini contro l'umanità. Faccio mie, al riguardo, le raccomandazioni del Sinodo che, dopo aver dichiarato: « Il commercio di armi che semina la morte è uno scandalo », ha fatto appello a tutti i Paesi che vendono armi all'Africa per implorarli di « smettere questo commercio » ed ha chiesto ai governi africani di « rinunciare alle eccessive spese militari per dedicare più risorse all'educazione, alla sanità e al benessere dei loro popoli ».227

L'Africa deve continuare a cercare mezzi pacifici ed efficaci affinché i regimi militari passino il potere ai civili. Tuttavia, è altrettanto vero che i militari sono chiamati a svolgere un loro peculiare ruolo nel paese. Per questo il Sinodo, mentre elogia « i fratelli soldati, per il servizio che rendono in nome delle nostre nazioni »,228 li avverte subito con forza che « dovranno rispondere direttamente a Dio di qualsiasi atto di violenza compiuto contro la vita degli innocenti ».229

Rifugiati e profughi

119. Uno dei frutti più amari delle guerre e delle difficoltà economiche è il triste fenomeno dei rifugiati e dei profughi, fenomeno che, come ricorda il Sinodo, ha raggiunto dimensioni tragiche. La soluzione ideale sta nel ristabilimento di una pace giusta, nella riconciliazione e nello sviluppo economico. È, pertanto, urgente che le organizzazioni nazionali, regionali e internazionali risolvano in modo equo e durevole i problemi dei rifugiati e dei profughi.230 Nel frattempo, però, giacché il continente continua a soffrire della migrazione in massa di rifugiati, lancio un pressante appello affinché ad essi sia recato aiuto materiale e sia offerto sostegno pastorale là dove si trovano, in Africa o in altri continenti.

Il peso del debito internazionale

120. La questione del debito delle nazioni povere verso quelle ricche è oggetto di grande preoccupazione per la Chiesa, come risulta da numerosi documenti ufficiali e da non pochi interventi della Santa Sede in varie occasioni.231

Riprendendo ora le parole dei Padri sinodali, sento innanzitutto il dovere di esortare « i capi di Stato e i loro governi in Africa a non schiacciare il popolo con debiti interni ed esterni ».232 Rivolgo poi un pressante appello « al Fondo Monetario Internazionale, alla Banca Mondiale, come pure a tutti i creditori, perché alleggeriscano i debiti che soffocano le nazioni africane ».233 Chiedo infine con insistenza « alle Conferenze episcopali dei Paesi industrializzati di farsi avvocati di tale causa presso i loro governi ed altri organismi interessati ».234 La situazione di numerosi Paesi africani è così drammatica da non consentire atteggiamenti di indifferenza e di disimpegno.

Dignità della donna africana

121. Uno dei segni tipici della nostra epoca è la crescente presa di coscienza della dignità della donna e del suo specifico ruolo nella Chiesa e nella società in generale. « Dio creò l'uomo a sua immagine, ad immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò » (Gn 1, 27).

Io stesso ho ripetutamente affermato la fondamentale uguaglianza e l'arricchente complementarietà esistente tra l'uomo e la donna.235 Il Sinodo ha applicato questi principi alla condizione delle donne in Africa. I loro diritti e doveri quanto all'edificazione della famiglia e alla piena partecipazione allo sviluppo della Chiesa e della società sono stati fortemente sottolineati. Per quanto riguarda specificamente la Chiesa, è opportuno che le donne, adeguatamente formate, vengano rese partecipi, ai livelli appropriati, dell'attività apostolica della Chiesa.

La Chiesa deplora e condanna, nella misura in cui sono ancora presenti in diverse società africane, tutti « i costumi e le pratiche che privano le donne dei loro diritti e del rispetto che è loro dovuto ».236 È quanto mai auspicabile che le Conferenze episcopali diano vita a commissioni speciali per approfondire lo studio dei problemi della donna in collaborazione con gli uffici governativi interessati, là dove è possibile.237

II. Comunicare la Buona novella

Seguire Cristo, Comunicatore per eccellenza

122. Il Sinodo ha avuto molto da dire circa il tema della comunicazione sociale nel campo dell'evangelizzazione dell'Africa, tenendo ben presenti le attuali circostanze. Il punto di partenza teologico è Cristo, il Comunicatore per eccellenza, che a coloro che credono in lui partecipa la verità, la vita e l'amore condiviso con il Padre celeste e lo Spirito Santo. Per questo « la Chiesa prende coscienza del dovere di promuovere la comunicazione sociale ad intra e ad extra. Essa intende favorire la comunicazione al suo interno migliorando la diffusione dell'informazione tra i suoi membri ».238 Ciò l'avvantaggerà nel comunicare al mondo la Buona Novella dell'amore di Dio rivelato in Gesù Cristo.

Forme tradizionali di comunicazione

123. Le forme tradizionali di comunicazione sociale non devono in nessun caso essere sottovalutate. In numerosi ambienti africani esse risultano ancora molto utili ed efficaci. Inoltre, esse sono « meno costose e più accessibili ».239 Comprendono i canti e la musica, i mimi e il teatro, i proverbi e i racconti. In quanto veicoli della saggezza e dello spirito popolare, essi costituiscono una sorgente preziosa di contenuti e di ispirazione per i mezzi moderni.

Evangelizzazione del mondo dei mezzi di comunicazione

124. I moderni mass-media non costituiscono soltanto strumenti di comunicazione; sono anche un mondo da evangelizzare. Circa i messaggi da essi trasmessi, bisogna assicurarsi che vi si propongano il bene, il vero e il bello. Facendo eco alla preoccupazione dei Padri del Sinodo, manifesto la mia inquietudine per quanto riguarda il contenuto morale di moltissimi programmi che i mezzi di comunicazione diffondono nel continente africano; in particolare, metto in guardia contro la pornografia e la violenza, con cui si intende invadere le nazioni povere. D'altra parte, giustamente il Sinodo ha deplorato « la rappresentazione molto negativa che i mass-media fanno dell'Africano e domanda che essa finisca immediatamente ».240

Ogni cristiano deve preoccuparsi che i mezzi di comunicazione siano veicolo di evangelizzazione. Ma il cristiano che opera come professionista in questo settore ha un suo ruolo speciale da svolgere. È suo dovere, infatti, fare in modo che i principi cristiani influenzino la pratica della professione, ivi compreso anche il settore tecnico e amministrativo. Per permettergli di svolgere tale ruolo in modo adeguato, occorre fornirgli una sana formazione umana, religiosa e spirituale.

Uso dei mezzi della comunicazione sociale

125. La Chiesa di oggi può disporre di una varietà di mezzi di comunicazione sociale, tanto tradizionali quanto moderni. È suo dovere farne il miglior uso per diffondere il messaggio della salvezza. Per quanto concerne la Chiesa in Africa, l'accesso a questi mezzi è reso difficile da numerosi ostacoli, non ultimo il loro costo elevato. In molte località, inoltre, esistono norme governative che impongono, al riguardo, un controllo indebito. È necessario fare ogni sforzo per rimuovere tali ostacoli: i mezzi di comunicazione, privati o pubblici che siano, devono essere al servizio delle persone, senza eccezione. Invito pertanto le Chiese particolari d'Africa a fare tutto ciò che è in loro potere per conseguire tale obiettivo.241

Collaborazione e coordinamento dei mass-media

126. I mezzi di comunicazione, soprattutto nelle loro forme più moderne, esercitano un influsso che supera ogni frontiera; in tale ambito si rende perciò necessario un coordinamento stretto, che consenta una più efficace collaborazione a tutti i livelli: diocesano, nazionale, continentale e universale. In Africa, la Chiesa ha molto bisogno della solidarietà delle Chiese sorelle dei Paesi più ricchi, e più avanzati dal punto di vista tecnologico. Sempre in Africa, alcuni programmi di collaborazione continentale già operanti, come il « Comitato episcopale pan-africano di comunicazioni sociali », dovrebbero essere incoraggiati e rivitalizzati. E come ha suggerito il Sinodo, bisognerà stabilire una più stretta collaborazione in altri settori, quali la formazione professionale, le strutture produttive della radio e della televisione, e le emittenti a portata continentale.242

CAPITOLO VII

« MI SARETE TESTIMONI FINO AGLI ESTREMI CONFINI DELLA TERRA »

127. Durante l'Assemblea speciale i Padri sinodali hanno esaminato a fondo la situazione africana nel suo insieme, al fine di incoraggiare una sempre più concreta e credibile testimonianza a Cristo in seno a ciascuna Chiesa locale, a ciascuna nazione, a ciascuna regione, e nell'intero continente africano. In tutte le riflessioni e le raccomandazioni fatte dall'Assemblea speciale traspare il desiderio preponderante di testimoniare Cristo. Vi ho ritrovato lo spirito di quanto avevo detto ad un gruppo di Vescovi in Africa: « Rispettando, preservando e favorendo i valori propri e le ricchezze dell'eredità culturale del vostro popolo, sarete in condizione di guidarlo verso una migliore comprensione del mistero di Cristo che dev'essere vissuto nelle esperienze nobili, concrete e quotidiane della vita africana. Non si tratta di falsificare la Parola di Dio o di svuotare la Croce della sua potenza (cfr 1 Cor 1, 17), ma piuttosto di portare Cristo al cuore stesso della vita africana e di elevare la vita africana tutta intera fino a Cristo. Così, non soltanto il cristianesimo si rivela adatto all'Africa, ma Cristo stesso, nelle membra del suo corpo, è africano ».243

Aperti alla missione

128. La Chiesa in Africa non è chiamata a testimoniare Cristo solamente sul continente; anche ad essa è infatti rivolta la parola del Signore risorto: « Mi sarete testimoni [...] fino agli estremi confini della terra » (At 1, 8). Proprio per questo, nel corso delle discussioni sul tema del Sinodo, i Padri hanno accuratamente evitato ogni tendenza all'isolamento della Chiesa in Africa. In ogni momento l'Assemblea speciale s'è mantenuta nella prospettiva del mandato missionario che la Chiesa ha ricevuto da Cristo di testimoniarlo nel mondo intero.244 I Padri sinodali hanno riconosciuto la chiamata che Dio rivolge all'Africa perché svolga a pieno titolo, su scala mondiale, il suo ruolo nel piano di salvezza del genere umano (cfr 1 Tm 2, 4).

129. È proprio in funzione di questo impegno per la cattolicità della Chiesa che già i Lineamenta dell'Assemblea speciale per l'Africa dichiaravano: « Nessuna Chiesa particolare, neanche la più povera, potrà essere dispensata dall'obbligo di condividere le sue risorse spirituali, temporali e umane con altre Chiese particolari e con la Chiesa universale (cfr At 2, 44-45) ».245 Da parte sua, l'Assemblea speciale ha fortemente sottolineato la responsabilità dell'Africa per la missione « fino agli estremi confini del mondo » con i seguenti termini: « La frase profetica di Paolo VI — "Voi, Africani, siete chiamati ad essere missionari di voi stessi" — va intesa così: "siete missionari per il mondo intero" [...]. È stato lanciato un appello alle Chiese particolari d'Africa per la missione al di fuori dei limiti delle loro proprie diocesi ».246

130. Approvando con gioia e riconoscenza questa dichiarazione dell'Assemblea speciale, desidero ripetere a tutti i miei fratelli Vescovi d'Africa ciò che dicevo qualche anno fa: « L'obbligo per la Chiesa in Africa di essere missionaria nel proprio seno e di evangelizzare il continente implica la collaborazione tra Chiese particolari nel contesto di ogni paese africano e in quello delle diverse nazioni del continente o anche di altri continenti. È in questo modo che l'Africa si integra pienamente nell'attività missionaria ».247 In un appello precedente, indirizzato a tutte le Chiese particolari, di recente e di antica fondazione, già dicevo che « il mondo va sempre più unificandosi, lo spirito evangelico deve portare al superamento di barriere culturali e nazionalistiche, evitando ogni chiusura ».248

La coraggiosa determinazione manifestata dall'Assemblea speciale di impegnare le giovani Chiese d'Africa nella missione « fino agli estremi confini della terra » riflette il desiderio di seguire, il più generosamente possibile, una delle importanti direttive del Concilio Vaticano II: « Perché questo zelo missionario fiorisca nei membri della loro patria, è assai conveniente che le giovani Chiese partecipino quanto prima di fatto alla missione universale della Chiesa, inviando anch'esse dei missionari a predicare dappertutto il Vangelo, anche quando soffrono per scarsezza di clero. La comunione con la Chiesa universale raggiungerà in un certo modo la sua perfezione solo quando anch'esse prenderanno parte attiva allo sforzo missionario diretto verso le altre nazioni ».249

Solidarietà pastorale organica

131. All'inizio della presente Esortazione ho fatto notare che, annunciando la convocazione dell'Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi, miravo in prospettiva alla promozione di « una solidarietà pastorale organica nell'intero territorio africano ed isole attigue ».250 Ho il piacere di costatare che l'Assemblea ha coraggiosamente perseguito tale obiettivo. Le discussioni al Sinodo hanno rivelato la premura e la generosità dei Vescovi per questa solidarietà pastorale e per la condivisione delle loro risorse con altri, anche quando avevano essi stessi bisogno di missionari.

132. Proprio ai miei fratelli Vescovi, che « sono con me direttamente responsabili dell'evangelizzazione del mondo, sia come membri del Collegio episcopale, sia come Pastori delle Chiese particolari »,251 voglio rivolgere a questo riguardo una speciale parola. Nella quotidiana dedizione al gregge loro affidato, essi non devono mai perdere di vista le necessità della Chiesa nel suo insieme. In quanto Vescovi cattolici, essi non possono non avvertire la sollecitudine per tutte le Chiese, che bruciava nel cuore dell'Apostolo (cfr 2 Cor 11, 28). Non possono non avvertirla soprattutto quando riflettono e decidono insieme, come membri delle rispettive Conferenze episcopali, le quali, mediante gli organismi di collegamento a livello regionale e continentale, sono in grado di meglio percepire e valutare le urgenze pastorali emergenti in altre parti del mondo. Un'espressione eminente di solidarietà apostolica i Vescovi la realizzano, poi, nel Sinodo: esso « tra gli affari di importanza generale deve seguire con particolare sollecitudine l'attività missionaria, che è il dovere più alto e più sacro della Chiesa ».252

133. L'Assemblea speciale ha fatto inoltre giustamente notare che, per preparare una solidarietà pastorale d'insieme in Africa, è necessario promuovere il rinnovamento della formazione dei sacerdoti. Non si mediteranno mai abbastanza le parole del Concilio Vaticano II là dove afferma che « il dono spirituale che i presbiteri hanno ricevuto nell'ordinazione non li prepara ad una missione limitata e ristretta, bensì ad una vastissima e universale missione di salvezza, "fino agli estremi confini della terra" (At 1, 8) ».253

Per questo motivo io stesso ho esortato i sacerdoti a « rendersi concretamente disponibili allo Spirito Santo e al Vescovo, per essere mandati a predicare il Vangelo oltre i confini del loro paese. Ciò richiederà in essi non solo maturità nella vocazione, ma pure una capacità non comune di distacco dalla propria patria, etnia e famiglia, e una particolare idoneità a inserirsi nelle altre culture con intelligenza e rispetto ».254

Sono profondamente grato a Dio nell'apprendere che in numero crescente sacerdoti africani hanno risposto all'appello ad essere testimoni « fino agli estremi confini della terra ». Spero ardentemente che questa tendenza venga stimolata e consolidata in tutte le Chiese particolari d'Africa.

134. È pure motivo di grande conforto sapere che gli Istituti missionari, presenti in Africa da lungo tempo, « accolgono oggi in misura crescente candidati provenienti dalle giovani Chiese che hanno fondato »,255 permettendo così a queste stesse Chiese di partecipare all'attività missionaria della Chiesa universale. Esprimo parimenti grato compiacimento ai nuovi Istituti missionari che sono sorti nel continente e che oggi inviano i loro membri ad gentes. È uno sviluppo provvidenziale e meraviglioso che manifesta la maturità e il dinamismo della Chiesa che è in Africa.

135. Vorrei far mia in modo particolare l'esplicita raccomandazione dei Padri sinodali perché si stabiliscano le quattro Pontificie Opere Missionarie in ciascuna Chiesa particolare e in ciascun Paese, come mezzo per realizzare una solidarietà pastorale organica in favore della missione « fino agli estremi confini della terra ». Opere del Papa e del Collegio episcopale, esse occupano « giustamente il primo posto, perché sono mezzi sia per infondere nei cattolici, fin dall'infanzia, uno spirito veramente universale e missionario, sia per favorire un'adeguata raccolta di sussidi a vantaggio di tutte le missioni e secondo le necessità di ciascuna ».256 Un frutto significativo della loro attività « è quello di suscitare vocazioni ad gentes e a vita, sia nelle Chiese antiche come in quelle più giovani. Raccomando vivamente di orientare sempre più a questo fine il loro servizio di animazione ».257

Santità e missione

136. Il Sinodo ha riaffermato che tutti i figli e le figlie d'Africa sono chiamati alla santità e ad essere testimoni di Cristo in ogni parte del mondo. « Le lezioni della storia confermano che, mediante l'azione dello Spirito Santo, l'evangelizzazione si compie prima di tutto attraverso la testimonianza di carità, la testimonianza di santità ».258 Per questo, desidero ripetere a tutti i cristiani d'Africa le parole che ho scritto qualche anno fa: « Ogni missionario è autenticamente tale solo se si impegna nella via della santità [...]. Ogni fedele è chiamato alla santità e alla missione [...]. La rinnovata spinta verso la missione ad gentes esige missionari santi. Non basta rinnovare i metodi pastorali, né organizzare e coordinare meglio le forze ecclesiali, né esplorare con maggiore acutezza le basi bibliche e teologiche della fede: occorre suscitare un nuovo "ardore di santità" fra i missionari e in tutta la comunità cristiana ».259

Anche adesso, come allora, mi rivolgo ai cristiani delle giovani Chiese per metterli di fronte alle loro responsabilità: « Siete voi, oggi, la speranza di questa nostra Chiesa, che ha duemila anni: essendo giovani nella fede, dovete essere come i primi cristiani, ed irradiare entusiasmo e coraggio, in generosa dedizione a Dio e al prossimo; in una parola, dovete mettervi sulla via della santità. Solo così potete essere segno di Dio nel mondo e rivivere nei vostri paesi l'epopea missionaria della Chiesa primitiva. E sarete anche fermento di spirito missionario per le Chiese più antiche ».260

137. La Chiesa che è in Africa condivide con la Chiesa universale « la sublime vocazione di realizzare, in se stessa prima di tutto, l'unità del genere umano al di là delle differenze etniche, culturali, nazionali, sociali e di altro genere, al fine di mostrare proprio la caducità di queste differenze, abolite dalla croce di Cristo ».261 Rispondendo alla vocazione di essere nel mondo il popolo redento e riconciliato, la Chiesa contribuisce a promuovere una coesistenza fraterna tra i popoli, trascendendo le distinzioni di razza e di nazionalità.

Attesa la specifica vocazione affidata alla Chiesa dal suo divino Fondatore, chiedo con insistenza alla comunità cattolica che è in Africa di offrire davanti all'intera umanità un'autentica testimonianza dell'universalismo cristiano che sgorga dalla paternità di Dio. « Tutti gli uomini creati in Dio hanno la stessa origine; qualunque possa essere la loro dispersione geografica o l'accentuazione delle loro differenze nel corso della storia, essi sono destinati a formare una sola famiglia secondo il disegno di Dio stabilito "al principio" ».262 La Chiesa in Africa è chiamata ad andare incontro per amore ad ogni essere umano credendo con forza che « con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo ».263

In particolare, l'Africa deve offrire il proprio contributo al movimento ecumenico, del quale, nella Lettera enciclica Ut unum sint, ho di recente nuovamente sottolineato l'urgenza in vista del terzo millennio.264 Essa può sicuramente giocare un ruolo importante anche nel dialogo tra le religioni, soprattutto coltivando relazioni intense con i musulmani e favorendo un attento rispetto verso i valori della religione tradizionale africana.

Praticare la solidarietà

138. Testimoniando Cristo « fino agli estremi confini della terra », la Chiesa in Africa sarà sostenuta di sicuro dalla convinzione del « valore positivo e morale » che riveste la « crescente consapevolezza dell'interdipendenza tra gli uomini e le nazioni. Il fatto che uomini e donne, in varie parti del mondo, sentano come proprie le ingiustizie e le violazioni dei diritti umani commesse in paesi lontani, che forse non visiteranno mai, è un segno ulteriore di una realtà interiorizzata dalla coscienza, ed elevata così ad una connotazione morale ».265

Auspico che i cristiani in Africa diventino sempre più coscienti di questa interdipendenza tra gli individui e le nazioni, e siano pronti a corrispondervi, praticando la virtù della solidarietà. Il frutto della solidarietà è la pace, bene così prezioso per i popoli e le nazioni di ogni parte del mondo. In effetti, proprio attraverso mezzi capaci di promuovere e di rafforzare la solidarietà, la Chiesa può fornire un contributo specifico e determinante ad una vera cultura della pace.

139. Entrando in rapporto senza discriminazioni con i popoli del mondo nel dialogo con le varie culture, la Chiesa avvicina gli uni agli altri ed aiuta ciascuno di essi ad assumere, nella fede, gli autentici valori degli altri.

Pronta a cooperare con ogni uomo di buona volontà e con la comunità internazionale, la Chiesa in Africa non cerca vantaggi per se stessa. La solidarietà che essa esprime « tende a superare se stessa, a rivestire le dimensioni specificamente cristiane della gratuità totale, del perdono e della riconciliazione ».266 La Chiesa cerca di contribuire alla conversione dell'umanità, portandola ad aprirsi al piano salvifico di Dio mediante la testimonianza evangelica, accompagnata dall?attività caritativa a servizio dei poveri e degli ultimi. E quando compie questo, non perde mai di vista il primato del trascendente e di quelle realtà spirituali che costituiscono le primizie dell'eterna salvezza dell'uomo.

Durante i dibattiti riguardanti la solidarietà della Chiesa nei confronti dei popoli e delle nazioni, i Padri sinodali sono stati, in ogni momento, consapevoli che « si deve accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del Regno di Cristo » e che, tuttavia, « nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l'umana società, tale progresso è di grande importanza per il Regno di Dio ».267 Proprio per questo la Chiesa in Africa è convinta — e il lavoro dell'Assemblea speciale lo ha chiaramente mostrato — che l'attesa del ritorno finale di Cristo « non potrà esser mai una scusa per disinteressarsi degli uomini nella loro concreta situazione personale e nella loro vita sociale, nazionale e internazionale »,268 poiché le condizioni terrene influenzano il pellegrinaggio dell'uomo verso l'eternità.

CONCLUSIONE

Verso il nuovo millennio cristiano

140. Riuniti attorno alla Vergine Maria come per una nuova Pentecoste, i membri dell'Assemblea speciale hanno esaminato a fondo la missione evangelizzatrice della Chiesa in Africa alla soglia del terzo millennio. Concludendo questa Esortazione apostolica post-sinodale, nella quale presento i frutti di tale Assemblea alla Chiesa che è in Africa, nel Madagascar e nelle isole attigue e all'intera Chiesa cattolica, rendo grazie a Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, che ci ha accordato il privilegio di vivere quest'autentico « momento di grazia » che è stato il Sinodo. Sono vivamente grato al popolo di Dio in Africa per quanto ha fatto per l'Assemblea speciale. Questo Sinodo è stato preparato con zelo ed entusiasmo, come attestano le risposte al questionario, allegato al documento preliminare (Lineamenta), e le riflessioni raccolte nel documento di lavoro (Instrumentum laboris). Le comunità cristiane d'Africa hanno pregato con fervore per la riuscita dei lavori dell'Assemblea speciale, che è stata largamente benedetta dal Signore.

141. Poiché il Sinodo è stato convocato per permettere alla Chiesa in Africa di assumere, in maniera per quanto possibile efficace, la sua missione evangelizzatrice in vista del terzo millennio cristiano, invito con questa Esortazione il popolo di Dio in Africa — Vescovi, sacerdoti, persone consacrate e laici — a volgersi risolutamente verso il Grande Giubileo, che sarà celebrato fra qualche anno. Per tutti i popoli dell'Africa la miglior preparazione al nuovo millennio non può consistere che nel fermo impegno di porre in atto con grande fedeltà le decisioni e gli orientamenti che, con l'autorità apostolica di Successore di Pietro, presento in questa Esortazione. Sono decisioni e orientamenti che si iscrivono nella genuina linea degli insegnamenti e delle direttive della Chiesa e, in particolare, del Concilio Vaticano II, che è stato la principale fonte d'ispirazione dell'Assemblea speciale per l'Africa.

142. Il mio invito al popolo di Dio che è in Africa a prepararsi per il Grande Giubileo dell'Anno 2000 vuol essere anche un vibrante appello alla gioia cristiana. « La grande gioia annunciata dall'angelo, nella notte di Natale, è davvero per tutto il popolo (cfr Lc 2, 10) [...]. Per prima, la Vergine Maria, ne aveva ricevuto l'annuncio dall'angelo Gabriele e il suo Magnificat era già l'inno di esultanza di tutti gli umili. I misteri gaudiosi ci mettono così, ogni volta che recitiamo il Rosario, dinanzi all'avvenimento ineffabile che è centro e culmine della storia: la venuta sulla terra dell'Emmanuele, Dio con noi ».269

È il duemillesimo anniversario di tale avvenimento, ricco di gioia, che ci prepariamo a celebrare con il prossimo Grande Giubileo. L'Africa, che « è, in un certo senso, la "seconda patria" di Gesù di Nazaret, (il quale), piccolo bambino, proprio in Africa ha trovato rifugio contro la crudeltà di Erode »,270 è chiamata dunque alla gioia. Nello stesso tempo, « tutto dovrà mirare all'obiettivo prioritario del Giubileo che è il rinvigorimento della fede e della testimonianza dei cristiani ».271

143. A causa delle numerose difficoltà, crisi e conflitti che portano tanta miseria e sofferenza sul continente, vi sono Africani talvolta tentati di pensare che il Signore li abbia abbandonati, che Egli li abbia dimenticati (cfr Is 49, 14)! « E Dio risponde con le parole del grande Profeta: "Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio del suo seno? Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai. Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani" (Is 49, 15-16). Sì, sulle palme delle mani di Cristo, trafitte dai chiodi della crocifissione! Il nome di ciascuno di voi (Africani) è scritto su queste mani. Quindi, con grande fiducia, diciamo: "Il Signore è la mia forza e il mio scudo, ho posto in Lui la mia fiducia; mi ha dato aiuto ed esulta il mio cuore" (Sal 28 [27], 7) ».272

Preghiera a Maria, Madre della Chiesa

144. Riconoscente per la grazia di questo Sinodo, mi rivolgo a Maria, Stella dell'evangelizzazione, e, mentre il terzo millennio s'avvicina, affido a Lei l'Africa e la sua missione evangelizzatrice. A Lei mi rivolgo con i pensieri e i sentimenti espressi nella preghiera che i miei fratelli Vescovi hanno composto a conclusione della sessione di lavoro del Sinodo a Roma:

O Maria, Madre di Dio e Madre della Chiesa,
grazie a Te, nel giorno dell'Annunciazione,
all'alba dei tempi nuovi,
tutto il genere umano con le sue culture
s'è rallegrato di scoprirsi capace del Vangelo.
Alla vigilia di una nuova Pentecoste
per la Chiesa in Africa,
Madagascar ed isole attigue,
il popolo di Dio con i suoi Pastori
a Te si rivolge e insieme con Te implora:
l'effusione dello Spirito Santo
faccia delle culture africane
luoghi di comunione nella diversità,
trasformando
gli abitanti di questo grande continente
in figli generosi della Chiesa,
che è Famiglia del Padre,
Fraternità del Figlio,
Immagine della Trinità,
germe e inizio in terra
di quel Regno eterno
che avrà la sua pienezza
nella Città il cui costruttore è Dio:
Città di giustizia, di amore e di pace.

Dato a Yaoundé, in Camerun, il 14 settembre, Festa dell'Esaltazione della Santa Croce, dell'anno 1995, decimosettimo di Pontificato.

 

 

Christifideles laici

ESORTAZIONE APOSTOLICA
POST-SINODALE
CHRISTIFIDELES LAICI
DI SUA SANTITA'
GIOVANNI PAOLO II
SU VOCAZIONE E MISSIONE DEI LAICI
NELLA CHIESA E NEL MONDO

 

Ai Vescovi
Ai sacerdoti e ai diaconi
Ai religiosi e alle religiose
A tutti i fedeli laici

INTRODUZIONE

1. I FEDELI LAICI (Christifideles laici), la cui « vocazione e missione nella Chiesa e nel mondo a vent'anni dal Concilio Vaticano II » è stato l'argomento del Sinodo dei Vescovi del 1987, appartengono a quel Popolo di Dio che è raffigurato dagli operai della vigna, dei quali parla il Vangelo di Matteo: « Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna » (Mt 20, 1-2).

La parabola evangelica spalanca davanti al nostro sguardo l'immensa vigna del Signore e la moltitudine di persone, uomini e donne, che da Lui sono chiamate e mandate perché in essa abbiano a lavorare. La vigna è il mondo intero (cf. Mt 13, 38), che dev'essere trasformato secondo il disegno di Dio in vista dell'avvento definitivo del Regno di Dio.

Andate anche voi nella mia vigna

2. « Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: "andate anche voi nella mia vigna" » (Mt 20, 3-4).

L'appello del Signore Gesù «Andate anche voi nella mia vigna » non cessa di risuonare da quel lontano giorno nel corso della storia: è rivolto a ogni uomo che viene in questo mondo.

Ai nostri tempi, nella rinnovata effusione dello Spirito pentecostale avvenuta con il Concilio Vaticano II, la Chiesa ha maturato una più viva coscienza della sua natura missionaria e ha riascoltato la voce del suo Signore che la manda nel mondo come « sacramento universale di salvezza »(1).

Andate anche voi. La chiamata non riguarda soltanto i Pastori, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, ma si estende a tutti: anche i fedeli laici sono personalmente chiamati dal Signore, dal quale ricevono una missione per la Chiesa e per il mondo. Lo ricorda S. Gregorio Magno che, predicando al popolo, così commenta la parabola degli operai della vigna: « Guardate al vostro modo di vivere, fratelli carissimi, e verificate se siete già operai del Signore. Ciascuno valuti quello che fa e consideri se lavora nella vigna del Signore »(2).

In particolare il Concilio, con il suo ricchissimo patrimonio dottrinale, spirituale e pastorale, ha riservato pagine quanto mai splendide sulla natura, dignità, spiritualità, missione e responsabilità dei fedeli laici. E i Padri conciliari, riecheggiando l'appello di Cristo, hanno chiamato tutti i fedeli laici, uomini e donne, a lavorare nella sua vigna: «Il sacro Concilio scongiura nel Signore tutti i laici a rispondere volentieri, con animo generoso e con cuore pronto, alla voce di Cristo, che in quest'ora li invita con maggiore insistenza, e all'impulso dello Spirito Santo. In modo speciale i più giovani sentano questo appello come rivolto a se stessi, e l'accolgano con slancio e magnanimità. Il Signore stesso infatti ancora una volta per mezzo di questo Santo Sinodo invita tutti i laici ad unirsi sempre più intimamente a Lui e, sentendo come proprio tutto ciò che è di Lui (cf. Fil 2, 5), si associno alla sua missione salvifica; li manda ancora in ogni città e in ogni luogo dov'egli sta per venire (cf. Lc 10, 1)»(3).

Andate anche voi nella mia vigna. Queste parole sono spiritualmente risuonate, ancora una volta, durante la celebrazione del Sinodo dei Vescovi, tenutosi a Roma dal 1° al 30 ottobre 1987. Ponendosi sui sentieri del Concilio e aprendosi alla luce delle esperienze personali e comunitarie di tutta la Chiesa, i Padri, arricchiti dai Sinodi precedenti, hanno affrontato in modo specifico e ampio l'argomento riguardante la vocazione e la missione dei laici nella Chiesa e nel mondo.

In questa Assemblea episcopale non è mancata una qualificata rappresentanza di fedeli laici, uomini e donne, che hanno portato un contributo prezioso ai lavori del Sinodo, come è stato pubblicamente riconosciuto nell'omelia di conclusione: «Ringraziamo per il fatto che nel corso del Sinodo abbiamo potuto non solo gioire per la partecipazione dei laici (auditores e auditrices), ma ancor di più perché lo svolgimento delle discussioni sinodali ci ha permesso di ascoltare la voce degli invitati, i rappresentanti del laicato provenienti da tutte le parti del mondo, dai diversi Paesi, e ci ha consentito di profittare delle loro esperienze, dei loro consigli, dei suggerimenti che scaturiscono dal loro amore per la causa comune»(4).

Con lo sguardo rivolto al dopo-Concilio i Padri sinodali hanno potuto costatare come lo Spirito abbia continuato a ringiovanire la Chiesa, suscitando nuove energie di santità e di partecipazione in tanti fedeli laici. Ciò è testimoniato, tra l'altro, dal nuovo stile di collaborazione tra sacerdoti, religiosi e fedeli laici; dalla partecipazione attiva nella liturgia, nell'annuncio della Parola di Dio e nella catechesi; dai molteplici servizi e compiti affidati ai fedeli laici e da essi assunti; dal rigoglioso fiorire di gruppi, associazioni e movimenti di spiritualità e di impegno laicali; dalla partecipazione più ampia e significativa delle donne nella vita della Chiesa e nello sviluppo della società.

Nello stesso tempo, il Sinodo ha rilevato come il cammino postconciliare dei fedeli laici non sia stato esente da difficoltà e da pericoli. In particolare si possono ricordare due tentazioni alle quali non sempre essi hanno saputo sottrarsi: la tentazione di riservare un interesse così forte ai servizi e ai compiti ecclesiali, da giungere spesso a un pratico disimpegno nelle loro specifiche responsabilità nel mondo professionale, sociale, economico, culturale e politico; e la tentazione di legittimare l'indebita separazione tra la fede e la vita, tra l'accoglienza del Vangelo e l'azione concreta nelle più diverse realtà temporali e terrene.

Nel corso dei suoi lavori il Sinodo ha fatto costante riferimento al Concilio Vaticano II, il cui insegnamento sul laicato, a distanza di vent'anni, è apparso di sorprendente attualità e talvolta di portata profetica: tale insegnamento è capace di illuminare e di guidare le risposte che oggi devono essere date ai nuovi problemi. In realtà, la sfida che i Padri sinodali hanno accolto è stata quella di individuare le strade concrete perché la splendida «teoria» sul laicato espressa dal Concilio possa diventare un'autentica «prassi» ecclesiale. Alcuni problemi poi s'impongono per una certa loro «novità», tanto da poterli chiamare postconciliari, almeno in senso cronologico: ad essi i Padri sinodali hanno giustamente riservato una particolare attenzione nel corso della loro discussione e riflessione. Tra questi problemi sono da ricordare quelli riguardanti i ministeri e i servizi ecclesiali affidati o da affidarsi ai fedeli laici, la diffusione e la crescita di nuovi «movimenti» accanto ad altre forme aggregative di laici, il posto e il ruolo della donna sia nella Chiesa che nella società.

I Padri sinodali, al termine dei loro lavori, svolti con grande impegno, competenza e generosità, mi hanno manifestato il desiderio e mi hanno rivolto la preghiera perché, a tempo opportuno, offrissi alla Chiesa universale un documento conclusivo sui fedeli laici(5).

Questa Esortazione Apostolica post-sinodale intende valorizzare tutta quanta la ricchezza dei lavori sinodali, dai Lineamenta all'Instrumentum laboris, dalla relazione introduttiva agli interventi dei singoli vescovi e laici e alla relazione di sintesi dopo la discussione in aula, dalle discussioni e relazioni dei «circoli minori» alle «proposizioni» e al Messaggio finale. Per questo il presente documento non si pone a lato del Sinodo, ma ne costituisce la fedele e coerente espressione, è il frutto d'un lavoro collegiale, al cui esito finale hanno apportato il loro contributo il Consiglio della Segreteria Generale del Sinodo e la stessa Segreteria.

Suscitare e alimentare una più decisa presa di coscienza del dono e della responsabilità che tutti i fedeli laici, e ciascuno di essi in particolare, hanno nella comunione e nella missione della Chiesa è lo scopo che l'Esortazione intende perseguire.

Le urgenze attuali del mondo: perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi?

3. Il significato fondamentale di questo Sinodo, e quindi il frutto più prezioso da esso desiderato, è l'ascolto da parte dei fedeli laici dell'appello di Cristo a lavorare nella sua vigna, a prendere parte viva, consapevole e responsabile alla missione della Chiesa in quest'ora magnifica e drammatica della storia, nell'imminenza del terzo millennio.

Situazioni nuove, sia ecclesiali sia sociali, economiche, politiche e culturali, reclamano oggi, con una forza del tutto particolare, l'azione dei fedeli laici. Se il disimpegno è sempre stato inaccettabile, il tempo presente lo rende ancora più colpevole. Non è lecito a nessuno rimanere in ozio.

Riprendiamo la lettura della parabola evangelica: «Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: "Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi?". Gli risposero: "Perché nessuno ci ha presi a giornata". Ed egli disse loro: "Andate anche voi nella mia vigna"» (Mt 20, 6-7).

Non c'è posto per l'ozio, tanto è il lavoro che attende tutti nella vigna del Signore. Il «padrone di casa» ripete con più forza il suo invito: «Andate anche voi nella mia vigna».

La voce del Signore risuona certamente nell'intimo dell'essere stesso d'ogni cristiano, che mediante la fede e i sacramenti dell'iniziazione cristiana è configurato a Gesù Cristo, è inserito come membro vivo nella Chiesa ed è soggetto attivo della sua missione di salvezza. La voce del Signore passa però anche attraverso le vicende storiche della Chiesa e dell'umanità, come ci ricorda il Concilio: «Il Popolo di Dio, mosso dalla fede, per cui crede di essere condotto dallo Spirito del Signore, che riempie l'universo, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza e del disegno di Dio. La fede infatti tutto rischiara di una luce nuova e svela le intenzioni di Dio sulla vocazione integrale dell'uomo, e perciò guida l'intelligenza verso soluzioni pienamente umane»(6).

E' necessario, allora, guardare in faccia questo nostro mondo, con i suoi valori e problemi, le sue inquietudini e speranze, le sue conquiste e sconfitte: un mondo le cui situazioni economiche, sociali, politiche e culturali presentano problemi e difficoltà più gravi rispetto a quello descritto dal Concilio nella Costituzione pastorale Gaudium et spes(7). E' comunque questa la vigna, è questo il campo nel quale i fedeli laici sono chiamati a vivere la loro missione. Gesù li vuole, come tutti i suoi discepoli, sale della terra e luce del mondo (cf. Mt 5, 13-14). Ma qual è il volto attuale della «terra» e del «mondo», di cui i cristiani devono essere «sale» e «luce»?

E' assai grande la diversità delle situazioni e delle problematiche che oggi esistono nel mondo, peraltro caratterizzate da una crescente accelerazione di mutamento. Per questo è del tutto necessario guardarsi dalle generalizzazioni e dalle semplificazioni indebite. E' però possibile rilevare alcune linee di tendenza che emergono nella società attuale. Come nel campo evangelico insieme crescono la zizzania e il buon grano, così nella storia, teatro quotidiano di un esercizio spesso contraddittorio della libertà umana, si trovano, accostati e talvolta profondamente aggrovigliati tra loro, il male e il bene, l'ingiustizia e la giustizia, l'angoscia e la speranza.

Secolarismo e bisogno religioso

4. Come non pensare alla persistente diffusione dell'indifferentismo religioso e dell'ateismo nelle sue più diverse forme, in particolare nella forma, oggi forse più diffusa, del secolarismo? Inebriato dalle prodigiose conquiste di un inarrestabile sviluppo scientifico-tecnico e soprattutto affascinato dalla più antica e sempre nuova tentazione, quella di voler diventare come Dio (cf. Gen 3, 5) mediante l'uso d'una libertà senza limiti, l'uomo taglia le radici religiose che sono nel suo cuore: dimentica Dio, lo ritiene senza significato per la propria esistenza, lo rifiuta ponendosi in adorazione dei più diversi «idoli».

E' veramente grave il fenomeno attuale del secolarismo: non riguarda solo i singoli, ma in qualche modo intere comunità, come già rilevava il Concilio: «Moltitudini crescenti praticamente si staccano dalla religione»(8). Più volte io stesso ho ricordato il fenomeno della scristianizzazione che colpisce i popoli cristiani di vecchia data e che reclama, senza alcuna dilazione, una nuova evangelizzazione.

Eppure l'aspirazione e il bisogno religiosi non possono essere totalmente estinti. La coscienza di ogni uomo, quando ha il coraggio di affrontare gli interrogativi più gravi dell'esistenza umana, in particolare l'interrogativo sul senso del vivere, del soffrire e del morire, non può non fare propria la parola di verità gridata da Sant'Agostino: «Tu ci hai fatto per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto sino a quando non riposa in Te»(9). Così anche il mondo attuale testimonia, in forme sempre più ampie e vive, l'apertura ad una visione spirituale e trascendente della vita, il risveglio della ricerca religiosa, il ritorno al senso del sacro e alla preghiera, la richiesta di essere liberi nell'invocare il Nome del Signore.

La persona umana: dignità calpestata ed esaltata

5. Pensiamo, inoltre, alle molteplici violazioni alle quali viene oggi sottoposta la persona umana. Quando non è riconosciuto e amato nella sua dignità di immagine vivente di Dio (cf. Gen 1, 26), l'essere umano è esposto alle più umilianti e aberranti forme di «strumentalizzazione», che lo rendono miseramente schiavo del più forte. E «il più forte» può assumere i nomi più diversi: ideologia, potere economico, sistemi politici disumani, tecnocrazia scientifica, invadenza dei mass-media. Di nuovo ci troviamo di fronte a moltitudini di persone, nostri fratelli e sorelle, i cui diritti fondamentali sono violati, anche in seguito all'eccessiva tolleranza e persino alla palese ingiustizia di certe leggi civili: il diritto alla vita e all'integrità, il diritto alla casa e al lavoro, il diritto alla famiglia e alla procreazione responsabile, il diritto alla partecipazione alla vita pubblica e politica, il diritto alla libertà di coscienza e di professione di fede religiosa.

Chi può contare i bambini non nati perché uccisi nel seno delle loro madri, i bambini abbandonati e maltrattati dagli stessi genitori, i bambini che crescono senza affetto ed educazione? In alcuni Paesi intere popolazioni sono sprovviste di casa e di lavoro, mancano dei mezzi assolutamente indispensabili per condurre una vita degna di esseri umani e sono private persino del necessario per la stessa sussistenza. Tremende sacche di povertà e di miseria, fisica e morale ad un tempo, stanno oramai di casa ai margini delle grandi metropoli e colpiscono mortalmente interi gruppi umani.

Ma la sacralità della persona non può essere annullata, quantunque essa troppo spesso venga disprezzata e violata: avendo il suo incrollabile fondamento in Dio Creatore e Padre, la sacralità della persona torna ad imporsi, sempre e di nuovo.

Di qui il diffondersi sempre più vasto e l'affermarsi sempre più forte del senso della dignità personale di ogni essere umano. Una corrente benefica oramai percorre e pervade tutti i popoli della terra, resi sempre più consapevoli della dignità dell'uomo: non è affatto una «cosa» o un «oggetto» di cui servirsi, ma è sempre e solo un «soggetto», dotato di coscienza e di libertà, chiamato a vivere responsabilmente nella società e nella storia, ordinato ai valori spirituali e religiosi.

E stato detto che il nostro è il tempo degli «umanesimi»: alcuni, per la loro matrice atea e secolaristica, finiscono paradossalmente per mortificare e annullare l'uomo; altri umanesimi invece lo esaltano a tal punto da giungere a forme di vera e propria idolatria; altri, infine, riconoscono secondo verità la grandezza e la miseria dell'uomo, manifestando, sostenendo e favorendo la sua dignità totale.

Segno e frutto di queste correnti umanistiche è il crescente bisogno della partecipazione. E' questa, indubbiamente, uno dei tratti distintivi dell'umanità attuale, un vero «segno dei tempi» che viene maturando in diversi campi e in diverse direzioni: nel campo soprattutto delle donne e del mondo giovanile, e nella direzione della vita non solo familiare e scolastica, ma anche culturale, economica, sociale e politica. L'essere protagonisti, in qualche modo creatori di una nuova cultura umanistica, è un'esigenza insieme universale e individuale(10).

Conflittualità e pace

6. Non possiamo infine, non ricordare un altro fenomeno che contraddistingue l'attuale umanità: forse come non mai nella sua storia, l'umanità è quotidianamente e profondamente colpita e scardinata dalla conflittualità. E' questo un fenomeno pluriforme, che si distingue dal pluralismo legittimo delle mentalità e delle iniziative, e si manifesta nell'infausto contrapporsi di persone, gruppi, categorie, nazioni e blocchi di nazioni. E' una contrapposizione che assume forme di violenza, di terrorismo, di guerra. Ancora una volta, ma con proporzioni enormemente ampliate, diversi settori dell'umanità d'oggi, volendo dimostrare la loro «onnipotenza», rinnovano la stolta esperienza della costruzione della «torre di Babele» (cf. Gen 11, 1-9), la quale però prolifera confusione, lotta, disgregazione ed oppressione. La famiglia umana è così in se stessa drammaticamente sconvolta e lacerata.

D'altra parte, del tutto insopprimibile è l'aspirazione dei singoli e dei popoli al bene inestimabile della pace nella giustizia. La beatitudine evangelica: «Beati gli operatori di pace» (Mt 5, 9) trova negli uomini del nostro tempo una nuova e significativa risonanza: per l'avvento della pace e della giustizia popolazioni intere oggi vivono, soffrono e lavorano. La partecipazione di tante persone e gruppi alla vita della società è la strada oggi sempre più percorsa perché da desiderio la pace diventi realtà. Su questa strada incontriamo tanti fedeli laici generosamente impegnati nel campo sociale e politico, nelle più varie forme sia istituzionali che di volontariato e di servizio agli ultimi.

Gesù Cristo, la speranza dell'umanità

7. Questo è l'immenso e travagliato campo che sta davanti agli operai mandati dal «padrone di casa» a lavorare nella sua vigna.

In questo campo è presente e operante la Chiesa, noi tutti, pastori e fedeli, sacerdoti, religiosi e laici. Le situazioni ora ricordate toccano profondamente la Chiesa: da esse è in parte condizionata, non però schiacciata né tanto meno sopraffatta, perché lo Spirito Santo, che ne è l'anima, la sostiene nella sua missione.

La Chiesa sa che tutti gli sforzi che l'umanità va compiendo per la comunione e la partecipazione, nonostante ogni difficoltà, ritardo e contraddizione causati dai limiti umani, dal peccato e dal Maligno, trovano piena risposta nell'intervento di Gesù Cristo, Redentore dell'uomo e del mondo.

La Chiesa sa di essere mandata da Lui come «segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano»(11).

Nonostante tutto, dunque, l'umanità può sperare, deve sperare: il Vangelo vivente e personale, Gesù Cristo stesso, è la «notizia» nuova e apportatrice di gioia che la Chiesa ogni giorno annuncia e testimonia a tutti gli uomini.

In questo annuncio e in questa testimonianza i fedeli laici hanno un posto originale e insostituibile: per mezzo loro la Chiesa di Cristo è resa presente nei più svariati settori del mondo, come segno e fonte di speranza e di amore.

CAPITOLO I

IO SONO LA VITE, VOI I TRALCI
La dignità dei fedeli laici
nella Chiesa-Mistero

Il mistero della vigna

8. L'immagine della vigna viene usata dalla Bibbia in molti modi e con diversi significati: in particolare, essa serve ad esprimere il mistero del Popolo di Dio. In questa prospettiva più interiore i fedeli laici non sono semplicemente gli operai che lavorano nella vigna, ma sono parte della vigna stessa: «Io sono la vite, voi i tralci» (Gv 15, 5),dice Gesù.

Già nell'Antico Testamento i profeti per indicare il popolo eletto ricorrono all'immagine della vigna. Israele è la vigna di Dio, l'opera del Signore, la gioia del suo cuore: «Io ti avevo piantato come vigna scelta» (Ger 2, 21); «Tua madre era come una vite piantata vicino alle acque. Era rigogliosa e frondosa per l'abbondanza dell'acqua» (Ez 19, 10); «Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle. Egli l'aveva vangata e sgombrata dai sassi, e vi aveva piantato scelte viti (...)» (Is 5, 1-2).

Gesù riprende il simbolo della vigna e se ne serve per rivelare alcuni aspetti del Regno di Dio: «Un uomo piantò una vigna, vi pose attorno una siepe, scavò un torchio, costruì una torre, poi la diede in affitto a dei vignaioli e se ne andò lontano» (Mc 12, 1; cf. Mt 21, 28 ss.).

L'evangelista Giovanni ci invita a scendere in profondità e ci introduce a scoprire il mistero della vigna: essa è il simbolo e la figura non solo del Popolo di Dio, ma di Gesù stesso. Lui è il ceppo e noi, i discepoli, siamo i tralci; Lui è la «vera vite», nella quale sono vitalmente inseriti i tralci (cf. Gv 15, 1 ss.).

Il Concilio Vaticano II, riferendo le varie immagini bibliche che illuminano il mistero della Chiesa, ripropone l'immagine della vite e dei tralci: «Cristo è la vera vite, che dà vita e fecondità ai tralci, cioè a noi, che per mezzo della Chiesa rimaniamo in Lui, e senza di Lui nulla possiamo fare (Gv 15, 1-5)»(12). La Chiesa stessa è, dunque, la vigna evangelica. E' mistero perché l'amore e la vita del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo sono il dono assolutamente gratuito offerto a quanti sono nati dall'acqua e dallo Spirito (cf. Gv 3, 5), chiamati a rivivere la comunione stessa di Dio e a manifestarla e comunicarla nella storia (missione): «In quel giorno _ dice Gesù _ voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi» (Gv 14, 20).

Ora solo all'interno del mistero della Chiesa come mistero di comunione si rivela l'«identità» dei fedeli laici, la loro originale dignità. E solo all'interno di questa dignità si possono definire la loro vocazione e la loro missione nella Chiesa e nel mondo.

Chi sono i fedeli laici

9. I Padri sinodali hanno giustamente rilevato la necessità di individuare e di proporre una descrizione positiva della vocazione e della missione dei fedeli laici, approfondendo lo studio della dottrina del Concilio Vaticano II alla luce sia dei più recenti documenti del Magisterio sia dell'esperienza della vita stessa della Chiesa guidata dallo Spirito Santo(13).

Nel dare risposta all'interrogativo «chi sono i fedeli laici», il Concilio, superando precedenti interpretazioni prevalentemente negative, si è aperto ad una visione decisamente positiva e ha manifestato il suo fondamentale intento nell'asserire la piena appartenenza dei fedeli laici alla Chiesa e al suo mistero e il carattere peculiare della loro vocazione, che ha in modo speciale lo scopo di «cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio»(14). «Col nome di laici _ così la Costituzione Lumen gentium li descrive _ si intendono qui tutti i fedeli ad esclusione dei membri dell'ordine sacro e dello stato religioso sancito dalla Chiesa, i fedeli cioè, che, dopo essere stati incorporati a Cristo col Battesimo e costituiti Popolo di Dio e, a loro modo, resi partecipi dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, per la loro parte compiono, nella Chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano»(15).

Già Pio XII diceva: «I fedeli, e più precisamente i laici, si trovano nella linea più avanzata della vita della Chiesa; per loro la Chiesa è il principio vitale della società umana. Perciò essi, specialmente essi, debbono avere una sempre più chiara consapevolezza, non soltanto di appartenere alla Chiesa, ma di essere la Chiesa, vale a dire la comunità dei fedeli sulla terra sotto la condotta del Capo comune, il Papa, e dei Vescovi in comunione con lui. Essisono la Chiesa(...)»(16).

Secondo l'immagine biblica della vigna, i fedeli laici, come tutti quanti i membri della Chiesa, sono tralci radicati in Cristo, la vera vite, da Lui resi vivi e vivificanti.

L'inserimento in Cristo per mezzo della fede e dei sacramenti dell'iniziazione cristiana è la radice prima che origina la nuova condizione del cristiano nel mistero della Chiesa, che costituisce la sua più profonda «fisionomia», che sta alla base di tutte le vocazioni e del dinamismo della vita cristiana dei fedeli laici: in Gesù Cristo, morto e risorto, il battezzato diventa una «creatura nuova» (Gal 6, 15; 2 Cor 5, 17), una creatura purificata dal peccato e vivificata dalla grazia.

In tal modo, solo cogliendo la misteriosa ricchezza che Dio dona al cristiano nel santo Battesimo è possibile delineare la «figura» del fedele laico.

Il battesimo e la novità cristiana

10. Non è esagerato dire che l'intera esistenza del fedele laico ha lo scopo di portarlo a conoscere la radicale novità cristiana che deriva dal Battesimo, sacramento della fede, perché possa viverne gli impegni secondo la vocazione ricevuta da Dio. Per descrivere la «figura» del fedele laico prendiamo ora in esplicita e più diretta considerazione, tra gli altri, questi tre fondamentali aspetti: il Battesimo ci rigenera alla vita dei figli di Dio, ci unisce a Gesù Cristo e al suo Corpo che è la Chiesa, ci unge nello Spirito Santo costituendoci templi spirituali.

Figli nel Figlio

11. Ricordiamo le parole di Gesù a Nicodemo: «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio» (Gv 3, 5). Il santo Battesimo è, dunque, una nuova nascita, è una rigenerazione.

Proprio pensando a questo aspetto del dono battesimale l'apostolo Pietro prorompe nel canto: «Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo; nella sua grande misericordia egli ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per una eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce» (1 Pt 1, 3-4). E chiama i cristiani coloro che sono stati «rigenerati non da un seme corruttibile, ma immortale, cioè dalla parola di Dio viva ed eterna» (1 Pt 1, 23).

Con il santo Battesimo diventiamo figli di Dio nell'Unigenito suo Figlio, Cristo Gesù. Uscendo dalle acque del sacro fonte, ogni cristiano riascolta la voce che un giorno si è udita sulle rive del fiume Giordano: «Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto» (Lc 3, 22), e capisce che è stato associato al Figlio prediletto, diventando figlio di adozione (cf. Gal 4, 4-7) e fratello di Cristo. Si compie così nella storia di ciascuno l'eterno disegno del Padre: «quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli» (Rom 8, 29).

E' lo Spirito Santo che costituisce i battezzati in figli di Dio e nello stesso tempo membra del corpo di Cristo. Lo ricorda Paolo ai cristiani di Corinto: «Noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo» (1 Cor 12, 13), sicché l'apostolo può dire ai fedeli laici: «Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte» (1 Cor 12, 27);«Che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio» (Gal 4, 6; cf. Rom 8, 15-16).

Un solo corpo in Cristo

12. Rigenerati come «figli nel Figlio», i battezzati sono inscindibilmente «membri di Cristo e membri del corpo della Chiesa», come insegna il Concilio di Firenze(17).

Il Battesimo significa e produce un'incorporazione mistica ma reale al corpo crocifisso e glorioso di Gesù. Mediante il sacramento Gesù unisce il battezzato alla sua morte per unirlo alla sua risurrezione (cf. Rom 6, 3-5), lo spoglia dell'«uomo vecchio» e lo riveste dell'«uomo nuovo», ossia di Se stesso: «Quanti siete stati battezzati in Cristo _ proclama l'apostolo Paolo _ vi siete rivestiti di Cristo» (Gal 3,27; cf. Ef 4, 22-24; Col 3, 9-10). Ne risulta che «noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo» (Rom 12, 5).

Ritroviamo nelle parole di Paolo l'eco fedele dell'insegnamento di Gesù stesso, il quale ha rivelato la misteriosa unità dei suoi discepoli con Lui e tra di loro, presentandola come immagine e prolungamento di quell'arcana comunione che lega il Padre al Figlio e il Figlio al Padre nel vincolo amoroso dello Spirito (cf. Gv 17, 21).

E' la stessa unità di cui Gesù parla con l'immagine della vite e dei tralci: «Io sono la vite, voi i tralci» (Gv 15, 5), un'immagine che fa luce non solo sull'intimità profonda dei discepoli con Gesù ma anche sulla comunione vitale dei discepoli tra loro: tutti tralci dell'unica Vite.

Templi vivi e santi dello Spirito

13. Con un'altra immagine, quella di un edificio, l'apostolo Pietro definisce i battezzati come «pietre vive» fondate su Cristo, la «pietra angolare», e destinate alla «costruzione di un edificio spirituale» (1 Pt 2, 5 ss). L'immagine ci introduce a un altro aspetto della novità battesimale, così presentato dal Concilio Vaticano II: «Per la rigenerazione e l'unzione dello Spirito Santo i battezzati vengono consacrati a formare una dimora spirituale»(18).

Lo Spirito Santo «unge» il battezzato, vi imprime il suo indelebile sigillo (cf. 2 Cor 1, 21-22), e lo costituisce tempio spirituale, ossia lo riempie della santa presenza di Dio grazie all'unione e alla conformazione a Gesù Cristo.

Con questa spirituale «unzione», il cristiano può, a suo modo, ripetere le parole di Gesù: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore» (Lc 4, 18-19; cf. Is 61, 1-2). Così con l'effusione battesimale e cresimale il battezzato partecipa alla medesima missione di Gesù il Cristo, il Messia Salvatore.

Partecipi dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Gesù Cristo

14. Rivolgendosi ai battezzati come a «bambini appena nati», l'apostolo Pietro scrive: «Stringendovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo (...). Ma voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popoio che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce (...)» (1 Pt 2, 4-5. 9).

Ecco un nuovo aspetto della grazia e della dignità battesimale: i fedeli laici partecipano, per la loro parte, al triplice ufficio _ sacerdotale, profetico e regale _ di Gesù Cristo. E questo un aspetto non mai dimenticato dalla tradizione viva della Chiesa, come appare, ad esempio, dalla spiegazione che del Salmo 26 offre Sant'Agostino. Scrive: «Davide fu unto re. A quel tempo si ungevano solo il re e il sacerdote. In queste due persone era prefigurato il futuro unico re e sacerdote, Cristo (e perciò "Cristo" viene da "crisma"). Non solo però è stato unto il nostro capo, ma siamo stati unti anche noi, suo corpo (...). Perciò l'unzione spetta a tutti i cristiani, mentre al tempo dell'Antico Testamento apparteneva a due sole persone. Appare chiaro che noi siamo il corpo di Cristo dal fatto che siamo tutti unti e tutti in lui siamo cristi e Cristo, perché in certo modo la testa e il corpo formano il Cristo nella sua integrità»(19).

Nella scia del Concilio Vaticano II(20), sin dall'inizio del mio servizio pastorale, ho inteso esaltare la dignità sacerdotale, profetica e regale dell'intero Popolo di Dio dicendo: «Colui che è nato dalla Vergine Maria, il Figlio del falegname _ come si riteneva _ il Figlio del Dio vivente, come ha confessato Pietro, è venuto per fare di tutti noi "un regno di sacerdoti". Il Concilio Vaticano II ci ha ricordato il mistero di questa potestà e il fatto che la missione di Cristo _ Sacerdote, Profeta-Maestro, Re _ continua nella Chiesa. Tutti, tutto il Popolo di Dio è partecipe di questa triplice missione»(21).

Con questa Esortazione i fedeli laici sono invitati ancora una volta a rileggere, a meditare e ad assimilare con intelligenza e con amore il ricco e fecondo insegnamento del Concilio circa la loro partecipazione al triplice ufficio di Cristo(22). Ecco ora in sintesi gli elementi essenziali di questo insegnamento.

I fedeli laici sono partecipi dell'ufficio sacerdotale, per il quale Gesù ha offerto Se stesso sulla Croce e continuamente si offre nella celebrazione eucaristica a gloria del Padre per la salvezza dell'umanità. Incorporati a Gesù Cristo, i battezzati sono uniti a Lui e al suo sacrificio nell'offerta di se stessi e di tutte le loro attività (cf. Rom 12, 1-2). Parlando dei fedeli laici il Concilio dice: «Tutte le loro opere, le preghiere e le iniziative apostoliche, la vita coniugale e familiare, il lavoro giornaliero, il sollievo spirituale e corporale, se sono compiute nello Spirito, e persino le molestie della vita se sono sopportate con pazienza, diventano spirituali sacrifici graditi a Dio per Gesù Cristo (cf. 1 Pt 2, 5), i quali nella celebrazione dell'Eucaristia sono piissimamente offerti al Padre insieme all'oblazione del Corpo del Signore. Così anche i laici, operando santamente dappertutto come adoratori, consacrano a Dio il mondo stesso»(23).

La partecipazione all'ufficio profetico di Cristo, «il quale e con la testimonianza della vita e con la virtù della parola ha proclamato il Regno del Padre»(24), abilita e impegna i fedeli laici ad accogliere nella fede il Vangelo e ad annunciarlo con la parola e con le opere non esitando a denunciare coraggiosamente il male. Uniti a Cristo, il «grande profeta» (Lc 7, 16), e costituiti nello Spirito «testimoni» di Cristo Risorto, i fedeli laici sono resi partecipi sia del senso di fede soprannaturale della Chiesa che «non può sbagliarsi nel credere» (25) sia della grazia della parola (cf. At 2, 17-18; Ap 19, 10); sono altresì chiamati a far risplendere la novità e la forza del Vangelo nella loro vita quotidiana, familiare e sociale, come pure ad esprimere, con pazienza e coraggio, nelle contraddizioni dell'epoca presente la loro speranza nella gloria «anche attraverso le strutture della vita secolare»(26).

Per la loro appartenenza a Cristo Signore e Re dell'universo i fedeli laici partecipano al suo ufficio regale e sono da Lui chiamati al servizio del Regno di Dio e alla sua diffusione nella storia. Essi vivono la regalità cristiana, anzitutto mediante il combattimento spirituale per vincere in se stessi il regno del peccato (cf. Rom 6, 12), e poi mediante il dono di sé per servire, nella carità e nella giustizia, Gesù stesso presente in tutti i suoi fratelli, soprattutto nei più piccoli (cf. Mt 25, 40).

Ma i fedeli laici sono chiamati in particolare a ridare alla creazione tutto il suo originario valore. Nell'ordinare il creato al vero bene dell'uomo con un'attività sorretta dalla vita di grazia, essi partecipano all'esercizio del potere con cui Gesù Risorto attrae a sé tutte le cose e le sottomette, con Se stesso, al Padre, così che Dio sia tutto in tutti (cf. Gv 12, 32; 1 Cor 15, 28).

La partecipazione dei fedeli laici al triplice ufficio di Cristo Sacerdote, Profeta e Re trova la sua radice prima nell'unzione del Battesimo, il suo sviluppo nella Confermazione e il suo compimento e sostegno dinamico nell'Eucaristia. E una partecipazione donata ai singoli fedeli laici, ma in quanto formano l'unico Corpo del Signore. Infatti, Gesù arricchisce dei suoi doni la Chiesa stessa, quale suo Corpo e sua Sposa. In tal modo i singoli sono partecipi del triplice ufficio di Cristo in quanto membra della Chiesa, come chiaramente insegna l'apostolo Pietro, che definisce i battezzati come «la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato» (1 Pt 2, 9). Proprio perché deriva dalla comunione ecclesiale, la partecipazione dei fedeli laici al triplice ufficio di Cristo esige d'essere vissuta e attuata nella comunione e per la crescita della comunione stessa.

Scriveva Sant'Agostino: «Come chiamiamo tutti cristiani in forza del mistico crisma, così chiamiamo tutti sacerdoti perché sono membra dell'unico sacerdote»(27).

I fedeli laici e l'indole secolare

15. La novità cristiana è il fondamento e il titolo dell'eguaglianza di tutti i battezzati in Cristo, di tutti i membri del Popolo di Dio: «comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia dei figli, comune la vocazione alla perfezione, una sola salvezza, una sola speranza e indivisa carità»(28). In forza della comune dignità battesimale il fedele laico è corresponsabile, insieme con i ministri ordinati e con i religiosi e le religiose, della missione della Chiesa.

Ma la comune dignità battesimale assume nel fedele laico una modalità che lo distingue, senza però separarlo, dal presbitero, dal religioso e dalla religiosa. Il Concilio Vaticano II ha indicato questa modalità nell'indole secolare: «L'indole secolare è propria e peculiare dei laici»(29).

Proprio per cogliere in modo completo, adeguato e specifico la condizione ecclesiale del fedele laico è necessario approfondire la portata teologica dell'indole secolare alla luce del disegno salvifico di Dio e del mistero della Chiesa.

Come diceva Paolo VI, la Chiesa «ha un'autentica dimensione secolare, inerente alla sua intima natura e missione, la cui radice affonda nel mistero del Verbo Incarnato, e che è realizzata in forme diverse per i suoi membri»(30).

La Chiesa, infatti, vive nel mondo anche se non è del mondo (cf. Gv 17, 16) ed è mandata a continuare l'opera redentrice di Gesù Cristo, la quale «mentre per natura sua ha come fine la salvezza degli uomini, abbraccia pure la instaurazione di tutto l'ordine temporale»(31).

Certamente tutti i membri della Chiesa sono partecipi della sua dimensione secolare; ma lo sono in forme diverse. In particolare la partecipazione dei fedeli laici ha una sua modalità di attuazione e di funzione che, secondo il Concilio, è loro «propria e peculiare»: tale modalità viene designata con l'espressione «indole secolare»(32).

In realtà il Concilio descrive la condizione secolare dei fedeli laici indicandola, anzitutto, come il luogo nel quale viene loro rivolta la chiamata di Dio: «Ivi sono da Dio chiamati»(33). Si tratta di un «luogo» presentato in termini dinamici: i fedeli laici «vivono nel secolo, cioèimplicati in tutti e singoli gli impieghi e gli affari del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta»(34). Essi sono persone che vivono la vita normale nel mondo, studiano, lavorano, stabiliscono rapporti amicali, sociali, professionali, culturali, ecc. Il Concilio considera la loro condizione non semplicemente come un dato esteriore e ambientale, bensì come una realtà destinata a trovare in Gesù Cristo la pienezza del suo significato(35). Anzi afferma che «lo stesso Verbo incarnato volle essere partecipe della convivenza umana (...) Santificò le relazioni umane, innanzitutto quelle familiari, dalle quali traggono origine i rapporti sociali, volontariamente sottomettendosi alle leggi della sua patria. Volle condurre la vita di un lavoratore del suo tempo e della sua regione»(36).

Il «mondo» diventa così l'ambito e il mezzo della vocazione cristiana dei fedeli laici, perché esso stesso è destinato a glorificare Dio Padre in Cristo. Il Concilio può allora indicare il senso proprio e peculiare della vocazione divina rivolta ai fedeli laici. Non sono chiamati ad abbandonare la posizione ch'essi hanno nel mondo. Il Battesimo non li toglie affatto dal mondo, come rileva l'apostolo Paolo: «Ciascuno, fratelli, rimanga davanti a Dio in quella condizione in cui era quando è stato chiamato» (1 Cor 7, 24); ma affida loro una vocazione che riguarda proprio la situazione intramondana: i fedeli laici, infatti, «sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall'interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo mediante l'esercizio della loro funzione propria e sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo modo a rendere visibile Cristo agli altri, principalmente con la testimonianza della loro vita e con il fulgore della fede, della speranza e della carità»(37). Così l'essere e l'agire nel mondo sono per i fedeli laici una realtà non solo antropologica e sociologica, ma anche e specificamente teologica ed ecclesiale. Nella loro situazione intramondana, infatti, Dio manifesta il suo disegno e comunica la particolare vocazione di «cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio»(38).

Proprio in questa prospettiva i Padri sinodali hanno detto: «L'indole secolare del fedele laico non è quindi da definirsi soltanto in senso sociologico, ma soprattutto in senso teologico. La caratteristica secolare va intesa alla luce dell'atto creativo e redentivo di Dio, che ha affidato il mondo agli uomini e alle donne, perché essi partecipino all'opera della creazione, liberino la creazione stessa dall'influsso del peccato e santifichino se stessi nel matrimonio o nella vita celibe, nella famiglia, nella professione e nelle varie attività sociali»(39).

La condizione ecclesiale dei fedeli laici viene radicalmente definita dalla loro novità cristiana e caratterizzata dalla loro indole secolare(40).

Le immagini evangeliche del sale, della luce e del lievito, pur riguardando indistintamente tutti i discepoli di Gesù, trovano una specifica applicazione ai fedeli laici. Sono immagini splendidamente significative, perché dicono non solo l'inserimento profondo e la partecipazione piena dei fedeli laici nella terra, nel mondo, nella comunità umana; ma anche e soprattutto la novità e l'originalità di un inserimento e di una partecipazione destinati alla diffusione del Vangelo che salva.

Chiamati alla santità

16. La dignità dei fedeli laici ci si rivela in pienezza se consideriamo la prima e fondamentale vocazione che il Padre in Gesù Cristo per mezzo dello Spirito rivolge a ciascuno di loro: la vocazione alla santità, ossia alla perfezione della carità. Il santo è la testimonianza più splendida della dignità conferita al discepolo di Cristo.

Sull'universale vocazione alla santità ha avuto parole luminosissime il Concilio Vaticano II. Si può dire che proprio questa sia stata la consegna primaria affidata a tutti i figli e le figlie della Chiesa da un Concilio voluto per il rinnovamento evangelico della vita cristiana(41). Questa consegna non è una semplice esortazione morale, bensì un'insopprimibile esigenza del mistero della Chiesa: essa è la Vigna scelta, per mezzo della quale i tralci vivono e crescono con la stessa linfa santa e santificante di Cristo; è il Corpo mistico, le cui membra partecipano della stessa vita di santità del Capo che è Cristo; è la Sposa amata dal Signore Gesù, che ha consegnato se stesso per santificarla (cf. Ef 5, 25 ss.). Lo Spirito che santificò la natura umana di Gesù nel seno verginale di Maria (cf. Lc 1, 35) è lo stesso Spirito che è dimorante e operante nella Chiesa al fine di comunicarle la santità del Figlio di Dio fatto uomo.

E' quanto mai urgente che oggi tutti i cristiani riprendano il cammino del rinnovamento evangelico, accogliendo con generosità l'invito apostolico ad «essere santi in tutta la condotta» (1 Pt 1, 15). Il Sinodo straordinario del 1985, a vent'anni dalla conclusione del Concilio, ha opportunamente insistito su questa urgenza:

«Poiché la Chiesa in Cristo è mistero, deve essere considerata segno e strumento di santità (...). I santi e le sante sempre sono stati fonte e origine di rinnovamento nelle più difficili circostanze in tutta la storia della Chiesa. Oggi abbiamo grandissimo bisogno di santi, che dobbiamo implorare da Dio con assiduità»(42).

Tutti nella Chiesa, proprio perché ne sono membri, ricevono e quindi condividono la comune vocazione alla santità. A pieno titolo, senz'alcuna differenza dagli altri membri della Chiesa, ad essa sono chiamati i fedeli laici: «Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità»(43); «Tutti i fedeli sono invitati e tenuti a tendere alla santità e alla perfezione del proprio stato»(44).

La vocazione alla santità affonda le sue radici nel Battesimo e viene riproposta dagli altri Sacramenti, principalmente dall'Eucaristia: rivestiti di Gesù Cristo e abbeverati dal suo Spirito, i cristiani sono «santi» e sono, perciò, abilitati e impegnati a manifestare la santità del loro essere nella santità di tutto il loro operare. L'apostolo Paolo non si stanca di ammonire tutti i cristiani perché vivano «come si addice a santi» (Ef 5, 3).

La vita secondo lo Spirito, il cui frutto è la santificazione (cf. Rom 6, 22; Gal 5, 22), suscita ed esige da tutti e da ciascun battezzato la sequela e l'imitazione di Gesù Cristo, nell'accoglienza delle sue Beatitudini, nell'ascolto e nella meditazione della Parola di Dio, nella consapevole e attiva partecipazione alla vita liturgica e sacramentale della Chiesa, nella preghiera individuale, familiare e comunitaria, nella fame e nella sete di giustizia, nella pratica del comandamento dell'amore in tutte le circostanze della vita e nel servizio ai fratelli, specialmente se piccoli, poveri e sofferenti.

Santificarsi nel mondo

17. La vocazione dei fedeli laici alla santità comporta che la vita secondo lo Spirito si esprima in modo peculiare nel loro inserimento nelle realtà temporali e nella loro partecipazione alle attività terrene. E' ancora l'apostolo ad ammonirci: «Tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre» (Col 3, 17). Riferendo le parole dell'apostolo ai fedeli laici, il Concilio afferma categoricamente: «Né la cura della famiglia né gli altri impegni secolari devono essere estranei all'orientamento spirituale della vita»(45). A loro volta i Padri sinodali hanno detto: «L'unità della vita dei fedeli laici è di grandissima importanza: essi, infatti, debbono santificarsi nell'ordinaria vita professionale e sociale. Perché possano rispondere alla loro vocazione, dunque, i fedeli laici debbono guardare alle attività della vita quotidiana come occasione di unione con Dio e di compimento della sua volontà, e anche di servizio agli altri uomini, portandoli alla comunione con Dio in Cristo»(46).

La vocazione alla santità dev'essere percepita e vissuta dai fedeli laici, prima che come obbligo esigente e irrinunciabile, come segno luminoso dell'infinito amore del Padre che li ha rigenerati alla sua vita di santità. Tale vocazione, allora, deve dirsi una componente essenziale e inseparabile della nuova vita battesimale, e pertanto un elemento costitutivo della loro dignità. Nello stesso tempo la vocazione alla santità è intimamente connessa con la missione e con la responsabilità affidate ai fedeli laici nella Chiesa e nel mondo. Infatti, già la stessa santità vissuta, che deriva dalla partecipazione alla vita di santità della Chiesa, rappresenta il primo e fondamentale contributo all'edificazione della Chiesa stessa, quale «Comunione dei Santi». Agli occhi illuminati dalla fede si spalanca uno scenario meraviglioso: quello di tantissimi fedeli laici, uomini e donne, che proprio nella vita e nelle attività d'ogni giorno, spesso inosservati o addirittura incompresi, sconosciuti ai grandi della terra ma guardati con amore dal Padre, sono gli operai instancabili che lavorano nella vigna del Signore, sono gli artefici umili e grandi _ certo per la potenza della grazia di Dio _ della crescita del Regno di Dio nella storia.

La santità, poi, deve dirsi un fondamentale presupposto e una condizione del tutto insostituibile per il compiersi della missione di salvezza nella Chiesa. E' la santità della Chiesa la sorgente segreta e la misura infallibile della sua operosità apostolica e del suo slancio missionario. Solo nella misura in cui la Chiesa, Sposa di Cristo, si lascia amare da Lui e Lo riama, essa diventa Madre feconda nello Spirito.

Riprendiamo di nuovo l'immagine biblica: lo sbocciare e l'espandersi dei tralci dipendono dal loro inserimento nella vite. «Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla» (Gv 15, 4-5).

E' naturale qui ricordare la solenne proclamazione di fedeli laici, uomini e donne, come beati e santi, avvenuta durante il mese del Sinodo. L'intero Popolo di Dio, e i fedeli laici in particolare, possono trovare ora nuovi modelli di santità e nuove testimonianze di virtù eroiche vissute nelle condizioni comuni e ordinarie dell'esistenza umana. Come hanno detto i Padri sinodali: «Le Chiese locali e soprattutto le cosiddette Chiese più giovani debbono riconoscere attentamente fra i propri membri quegli uomini e quelle donne che hanno offerto in tali condizioni (le condizioni quotidiane del mondo e lo stato coniugale) la testimonianza della santità e che possono essere di esempio agli altri affinché, se si dia il caso, li propongano per la beatificazione e la canonizzazione»(47).

Al termine di queste riflessioni, destinate a definire la condizione ecclesiale del fedele laico, ritorna alla mente il celebre monito di San Leone Magno: «Agnosce, o Christiane, dignitatem tuam»(48). E' lo stesso monito di San Massimo, vescovo di Torino, rivolto a quanti avevano ricevuto l'unzione del santo Battesimo: «Considerate l'onore che vi è fatto in questo mistero!»(49). Tutti i battezzati sono invitati a riascoltare le parole di Sant'Agostino: «Rallegriamoci e ringraziamo: siamo diventati non solo cristiani, ma Cristo (...). Stupite e gioite: Cristo siamo diventati!»(50).

La dignità cristiana, fonte dell'eguaglianza di tutti i membri della Chiesa, garantisce e promuove lo spirito di comunione e di fraternità, e, nello stesso tempo, diventa il segreto e la forza del dinamismo apostolico e missionario dei fedeli laici. E' una dignità esigente, la dignità degli operai chiamati dal Signore a lavorare nella sua vigna: «Grava su tutti i laici _ leggiamo nel Concilio _ il glorioso peso di lavorare, perché il divino disegno di salvezza raggiunga ogni giorno di più tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutta la terra»(51).

CAPITOLO II

TUTTI TRALCI DELL'UNICA VITE
La partecipazione dei fedeli laici
alla vita della Chiesa-Comunione

Il mistero della Chiesa-Comunione

18. Riascoltiamo le parole di Gesù: «Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo (...). Rimanete in me e io in voi» (Gv 15, 1-4).

Con queste semplici parole ci viene rivelata la comunione misteriosa che vincola in unità il Signore e i discepoli, Cristo e i battezzati: una comunione viva e vivificante, per la quale i cristiani non appartengono a se stessi ma sono proprietà di Cristo, come i tralci inseriti nella vite.

La comunione dei cristiani con Gesù ha quale modello, fonte e meta la comunione stessa del Figlio con il Padre nel dono dello Spirito Santo: uniti al Figlio nel vincolo amoroso dello Spirito, i cristiani sono uniti al Padre.

Gesù continua: «Io sono la vite, voi i tralci» (Gv 15, 5). Dalla comunione dei cristiani con Cristo scaturisce la comunione dei cristiani tra di loro: tutti sono tralci dell'unica Vite, che è Cristo. In questa comunione fraterna il Signore Gesù indica il riflesso meraviglioso e la misteriosa partecipazione all'intima vita d'amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Per questa comunione Gesù prega: «Tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17, 21).

Tale comunione è il mistero stesso della Chiesa, come ci ricorda il Concilio Vaticano II, con la celebre parola di San Cipriano: «La Chiesa universale si presenta come "un popolo adunato dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo"»(52). A questo mistero della Chiesa-Comunione siamo abitualmente richiamati all'inizio della celebrazione eucaristica, allorquando il sacerdote ci accoglie con il saluto dell'apostolo Paolo: «La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi» (2 Cor 13, 13).

Dopo aver delineato la «figura» dei fedeli laici nella loro dignità dobbiamo ora riflettere sulla loro missione e responsabilità nella Chiesa e nel mondo: ma queste si possono comprendere adeguatamente solo nel contesto vivo della Chiesa-Comunione.

Il Concilio e l'ecclesiologia di comunione

19. E' questa l'idea centrale che di se stessa la Chiesa ha riproposto nel Concilio Vaticano II, come ci ha ricordato il Sinodo straordinario del 1985, celebratosi a vent'anni dall'evento conciliare: «L'ecclesiologia di comunione è l'idea centrale e fondamentale nei documenti del Concilio. La koinonia-comunione, fondata sulla Sacra Scrittura, è tenuta in grande onore nella Chiesa antica e nelle Chiese orientali fino ai nostri giorni. Perciò molto è stato fatto dal Concilio Vaticano II perché la Chiesa come comunione fosse più chiaramente intesa e concretamente tradotta nella vita. Che cosa significa la complessa parola "comunione"? Si tratta fondamentalmente della comunione con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nello Spirito Santo. Questa comunione si ha nella parola di Dio e nei sacramenti. Il Battesimo è la porta ed il fondamento della comunione nella Chiesa. L'Eucaristia è la fonte ed il culmine di tutta la vita cristiana (cf. LG, 11). La comunione del corpo eucaristico di Cristo significa e produce, cioè edifica l'intima comunione di tutti i fedeli nel corpo di Cristo che è la Chiesa (cf. 1 Cor 10, 16 s.)»(53).

All'indomani del Concilio così Paolo VI si rivolgeva ai fedeli: «La Chiesa è una comunione. Che cosa vuol dire in questo caso: comunione? Noi vi rimandiamo al paragrafo del catechismo che parla della sanctorum communionem, la comunione dei santi. Chiesa vuol dire comunione dei santi. E comunione dei santi vuol dire una duplice partecipazione vitale: l'incorporazione dei cristiani nella vita di Cristo, e la circolazione della medesima carità in tutta la compagine dei fedeli, in questo mondo e nell'altro. Unione a Cristo ed in Cristo; e unione fra i cristiani, nella Chiesa»(54).

Le immagini bibliche, con cui il Concilio ha voluto introdurci a contemplare il mistero della Chiesa, pongono in luce la realtà della Chiesa-Comunione nella sua inscindibile dimensione di comunione dei cristiani con Cristo e di comunione dei cristiani tra loro. Sono le immagini dell'ovile, del gregge, della vite, dell'edificio spirituale, della città santa(55). Soprattutto è l'immagine del corpo presentata dall'apostolo Paolo, la cui dottrina rifluisce fresca e attraente in numerose pagine del Concilio(56). A sua volta il Concilio riprende dall'intera storia della salvezza e ripropone l'immagine della Chiesa come Popolo di Dio: «Piacque a Dio di santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse nella verità e santamente Lo servisse»(57). Già nelle sue primissime righe, la Costituzione Lumen gentium compendia in modo mirabile questa dottrina scrivendo: «La Chiesa è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano»(58).

La realtà della Chiesa-Comunione è, allora, parte integrante, anzi rappresenta il contenuto centrale del «mistero», ossia del disegno divino della salvezza dell'umanità. Per questo la comunione ecclesiale non può essere interpretata in modo adeguato se viene intesa come una realtà semplicemente sociologica e psicologica. La Chiesa-Comunione è il popolo «nuovo», il popolo «messianico», il popolo che «ha per Capo Cristo (...) per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio (...) per legge il nuovo precetto di amare come lo stesso Cristo ci ha amati (...) per fine il Regno di Dio (... ed è) costituito da Cristo in una comunione di vita, di carità e di verità»(59). I vincoli che uniscono i membri del nuovo Popolo tra di loro _ e prima ancora con Cristo _ non sono quelli della «carne» e del «sangue», bensì quelli dello spirito, più precisamente quelli dello Spirito Santo, che tutti i battezzati ricevono (cf. Gl 3, 1).

Infatti, quello Spirito che dall'eternità vincola l'unica e indivisa Trinità, quello Spirito che «nella pienezza del tempo» (Gal 4, 4) unisce indissolubilmente la carne umana al Figlio di Dio, quello stesso e identico Spirito è nel corso delle generazioni cristiane la sorgente ininterrotta e inesauribile della comunione nella e della Chiesa.

Una comunione organica: diversità e complementarietà

20. La comunione ecclesiale si configura, più precisamente, come una comunione «organica», analoga a quella di un corpo vivo e operante: essa, infatti, è caratterizzata dalla compresenza della diversità e della complementarietà delle vocazioni e condizioni di vita, dei ministeri, dei carismi e delle responsabilità. Grazie a questa diversità e complementarietà ogni fedele laico si trova in relazione con tutto il corpo e ad esso offre il suo proprio contributo.

Sulla comunione organica del Corpo mistico di Cristo insiste in modo tutto particolare l'apostolo Paolo, il cui ricco insegnamento possiamo riascoltare nella sintesi tracciata dal Concilio: Gesù Cristo _ leggiamo nella Costituzione Lumen gentium _ «comunicando il suo Spirito, costituisce misticamente come suo corpo i suoi fratelli, chiamati da tutte le genti. In quel corpo la vita di Cristo si diffonde nei credenti (...). Come tutte le membra del corpo umano, anche se numerose, formano un solo corpo, così i fedeli in Cristo (cf. 1 Cor 12, 12). Anche nell'edificazione del corpo di Cristo vige la diversità delle membra e delle funzioni. Uno è lo Spirito, il quale per l'utilità della Chiesa distribuisce i suoi vari doni con magnificenza proporzionata alla sua ricchezza e alle necessità dei servizi (cf. 1 Cor 12, 1-11 ). Fra questi doni viene al primo posto la grazia degli Apostoli, alla cui autorità lo stesso Spirito sottomette anche i carismatici (cf. 1 Cor 14). Ed è ancora lo Spirito stesso che, con la sua forza e mediante l'intima connessione delle membra, produce e stimola la carità tra i fedeli. E quindi se un membro soffre, soffrono con esso tutte le altre membra; se un membro è onorato, ne gioiscono con esso tutte le altre membra (cf. 1 Cor 12, 26)»(60).

E' sempre l'unico e identico Spirito il principio dinamico della varietà e dell'unità nella e della Chiesa. Leggiamo di nuovo nella Costituzione Lumen gentium: «Perché poi ci rinnovassimo continuamente in Lui (Cristo) (cf. Ef 4, 23), ci ha dato del suo Spirito, il quale, unico e identico nel Capo e nelle membra, dà a tutto il corpo la vita, l'unità e il movimento, così che i santi Padri poterono paragonare la sua funzione con quella che esercita il principio vitale, cioè l'anima, nel corpo umano»(61). E in un altro testo, particolarmente denso e prezioso per cogliere l'«organicità» propria della comunione ecclesiale anche nel suo aspetto di crescita incessante verso la perfetta comunione, il Concilio scrive: «Lo Spirito dimora nella Chiesa e nei cuori dei fedeli come in un tempio (cf. 1 Cor 3, 16; 6, 19) e in essi prega e rende testimonianza dell'adozione filiale (cf. Gal 4, 6; Rom 8, 15-16. 26). Egli guida la Chiesa verso tutta intera la verità (cf. Gv 16, 13), la unifica nella comunione e nel servizio, la istruisce e dirige con diversi doni gerarchici e carismatici, la abbellisce dei suoi frutti (cf. Ef 4, 11-12; 1 Cor 12, 4; Gal 5, 22). Con la forza del Vangelo fa ringiovanire la Chiesa, continuamente la rinnova e la conduce alla perfetta unione con il suo Sposo. Poiché lo Spirito e la Sposa dicono al Signore Gesù: Vieni! (cf. Ap 22, 17»(62).

La comunione ecclesiale è, dunque, un dono, un grande dono dello Spirito Santo, che i fedeli laici sono chiamati ad accogliere con gratitudine e, nello stesso tempo, a vivere con profondo senso di responsabilità. Ciò si attua concretamente mediante la loro partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa, al cui servizio i fedeli laici pongono i loro diversi e complementari ministeri e carismi.

Il fedele laico «non può mai chiudersi in se stesso, isolandosi spiritualmente dalla comunità, ma deve vivere in un continuo scambio con gli altri, con un vivo senso di fraternità, nella gioia di una uguale dignità e nell'impegno di far fruttificare insieme l'immenso tesoro ricevuto in eredità. Lo Spirito del Signore dona a lui, come agli altri, molteplici carismi, lo invita a differenti ministeri e incarichi, gli ricorda, come anche lo ricorda agli altri in rapporto con lui, che tutto ciò che lo distingue non è un di più di dignità, ma una speciale e complementare abilitazione al servizio (...).Così, i carismi, i ministeri, gli incarichi ed i servizi del Fedele Laico esistono nella comunione e per la comunione. Sono ricchezze complementari a favore di tutti, sotto la saggia guida dei Pastori»(63).

I ministeri e i carismi, doni dello Spirito alla Chiesa

21. Il Concilio Vaticano II presenta i ministeri e i carismi come doni dello Spirito Santo per l'edificazione del Corpo di Cristo e per la sua missione di salvezza nel mondo(64). La Chiesa, infatti, è diretta e guidata dallo Spirito che elargisce diversi doni gerarchici e carismatici a tutti i battezzati chiamandoli ad essere, ciascuno a suo modo, attivi e corresponsabili.

Consideriamo ora i ministeri e i carismi in diretto riferimento ai fedeli laici e alla loro partecipazione alla vita della Chiesa-Comunione.

Ministeri, uffici e funzioni

I ministeri presenti e operanti nella Chiesa sono tutti, anche se in modalità diverse, una partecipazione al ministero di Gesù Cristo, il buon Pastore che dà la vita per le sue pecore (cf. Gv 10, 11 ), il servo umile e totalmente sacrificato per la salvezza di tutti (cf. Mc 10, 45). Paolo è oltremodo chiaro nel parlare della costituzione ministeriale delle Chiese apostoliche. Nella Prima Lettera ai Corinzi scrive: «Alcuni Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri (...)» (1 Cor 12, 28). Nella Lettera agli Efesini leggiamo: «A ciascuno di noi è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo (...). E' lui che ha dato da una parte gli apostoli, d'altra parte i profeti, gli evangelisti, i pastori e i maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo» (Ef 4, 7. 11-13; cf. Rom 12, 4-8). Come appare da questi e da altri testi del Nuovo Testamento, i ministeri, come pure i doni e i compiti ecclesiali, sono molteplici e diversi.

I ministeri derivanti dall'Ordine

22. Nella Chiesa si trovano in primo luogo, i ministeri ordinati, ossia i ministeri che derivano dal sacramento dell'Ordine. Il Signore Gesù, infatti, ha scelto e costituito gli Apostoli, seme del Popolo della Nuova Alleanza e origine della sacra Gerarchia(65), affidando loro il mandato di fare discepole tutte le genti (cf. Mt 28, 19), di formare e di reggere il popolo sacerdotale. La missione degli Apostoli, che il Signore Gesù continua a trasmettere ai pastori del suo popolo, è un vero servizio, significativamente chiamato nella Sacra Scrittura «diakonia», ossia servizio, ministero. Nella ininterrotta successione apostolica i ministri ricevono il carisma dello Spirito Santo dal Cristo Risorto mediante il sacramento dell'Ordine: ricevono così l'autorità e il potere sacro di agire «in persona Christi Capitis» (nella persona di Cristo Capo)(66) per servire la Chiesa e per radunarla nello Spirito Santo per mezzo del Vangelo e dei sacramenti.

I ministeri ordinati, prima ancora che per le persone che li ricevono, sono una grazia per l'intera Chiesa. Essi esprimono e attuano una partecipazione al sacerdozio di Gesù Cristo che è diversa, non solo per grado ma per essenza, dalla partecipazione donata con il Battesimo e con la Confermazione a tutti i fedeli. D'altra parte il sacerdozio ministeriale, come ha ricordato il Concilio Vaticano II, è essenzialmente finalizzato al sacerdozio regale di tutti i fedeli e ad esso ordinato(67).

Per questo, per assicurare e per far crescere la comunione nella Chiesa, in particolare nell'ambito dei diversi e complementari ministeri, i pastori devono riconoscere che il loro ministero è radicalmente ordinato al servizio di tutto il Popolo di Dio (cf. Eb 5, 1), e, a loro volta, i fedeli laici devono riconoscere che il sacerdozio ministeriale è del tutto necessario per la loro vita e per la loro partecipazione alla missione nella Chiesa(68).

Ministeri, uffici e funzioni dei laici

23. La missione salvifica della Chiesa nel mondo è attuata non solo dai ministri in virtù del sacramento dell'Ordine ma anche da tutti i fedeli laici: questi, infatti, in virtù della loro condizione battesimale e della loro specifica vocazione, nella misura a ciascuno propria, partecipano all'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo.

I pastori, pertanto, devono riconoscere e promuovere i ministeri, gli uffici e le funzioni dei fedeli laici, che hanno il loro fondamento sacramentale nel Battesimo e nella Confermazione, nonché, per molti di loro, nel Matrimonio.

Quando poi la necessità o l'utilità della Chiesa lo esige, i pastori possono affidare ai fedeli laici, secondo le norme stabilite dal diritto universale, alcuni compiti che sono connessi con il loro proprio ministero di pastori ma che non esigono il carattere dell'Ordine. Il Codice di Diritto Canonico scrive: «Ove le necessità della Chiesa lo suggeriscano, in mancanza di ministri, anche i laici, pur senza essere lettori o accoliti, possono supplire alcuni dei loro uffici, cioè esercitare il ministero della parola, presiedere alle preghiere liturgiche, amministrare il Battesimo e distribuire la sacra Comunione, secondo le disposizioni del diritto»(69).L'esercizio però di questi compiti non fa del fedele laico un pastore: in realtà non è il compito a costituire il ministero, bensì l'ordinazione sacramentale. Solo il sacramento dell'Ordine attribuisce al ministero ordinato una peculiare partecipazione all'ufficio di Cristo Capo e Pastore e al suo sacerdozio eterno(70). Il compito esercitato in veste di supplente deriva la sua legittimazione immediatamente e formalmente dalla deputazione ufficiale data dai pastori, e nella sua concreta attuazione è diretto dall'autorità ecclesiastica(71).

La recente Assemblea del Sinodo ha presentato un ampio e significativo panorama della situazione ecclesiale circa i ministeri, gli uffici e le funzioni dei battezzati. I Padri hanno vivamente apprezzato l'apporto apostolico dei fedeli laici, uomini e donne, in favore dell'evangelizzazione, della santificazione e dell'animazione cristiana delle realtà temporali, come pure la loro generosa disponibilità alla supplenza in situazioni di emergenza e di croniche necessità(72).

In seguito al rinnovamento liturgico promosso dal Concilio, gli stessi fedeli laici hanno acquisito più viva coscienza dei loro compiti nell'assemblea liturgica e nella sua preparazione, e si sono resi ampiamente disponibili a svolgerli: la celebrazione liturgica, infatti, è un'azione sacra non soltanto del clero, ma di tutta l'assemblea. E' naturale, pertanto, che i compiti non propri dei ministri ordinati siano svolti dai fedeli laici(73). Il passaggio poi da un effettivo coinvolgimento dei fedeli laici nell'azione liturgica a quello nell'annuncio della Parola di Dio e nella cura pastorale è stato spontaneo(74).

Nella stessa Assemblea sinodale non sono mancati però, insieme a quelli positivi, giudizi critici circa l'uso troppo indiscriminato del termine «ministero», la confusione e talvolta il livellamento tra il sacerdozio comune e il sacerdozio ministeriale, la scarsa osservanza di certe leggi e norme ecclesiastiche, l'interpretazione arbitraria del concetto di «supplenza», la tendenza alla «clericalizzazione» dei fedeli laici e il rischio di creare di fatto una struttura ecclesiale di servizio parallela a quella fondata sul sacramento dell'Ordine.

Proprio per superare questi pericoli i Padri sinodali hanno insistito sulla necessità che siano espresse con chiarezza, anche servendosi di una terminologia più precisa(75), l'unità di missione della Chiesa, alla quale partecipano tutti i battezzati, ed insieme l'essenziale diversità di ministero dei pastori, radicato nel sacramento dell'Ordine, rispetto agli altri ministeri, uffici e funzioni ecclesiali, che sono radicati nei sacramenti del Battesimo e della Confermazione.

E' necessario allora, in primo luogo, che i pastori, nel riconoscere e nel conferire ai fedeli laici i vari ministeri, uffici e funzioni, abbiano la massima cura di instruirli sulla radice battesimale di questi compiti. E' necessario poi che i pastori siano vigilanti perché si eviti un facile ed abusivo ricorso a presunte «situazioni di emergenza» o di «necessaria supplenza», là dove obiettivamente non esistono o là dove è possibile ovviarvi con una programmazione pastorale più razionale.

I vari ministeri, uffici e funzioni che i fedeli laici possono legittimamente svolgere nella liturgia, nella trasmissione della fede e nelle strutture pastorali della Chiesa, dovranno essere esercitati in conformità alla loro specifica vocazione laicale, diversa da quella dei sacri ministri. In tal senso, l'Esortazione Evangelii nuntiandi, che tanta e benefica parte ha avuto nello stimolare la diversificata collaborazione dei fedeli laici alla vita e alla missione evangelizzatrice della Chiesa, ricorda che «il campo proprio della loro attività evangelizzatrice è il mondo vasto e complicato della politica, della realtà sociale, dell'economia; così pure della cultura, delle scienze e delle arti, della vita internazionale, degli strumenti della comunicazione sociale; ed anche di altre realtà particolarmente aperte all'evangelizzazione, quali l'amore, la famiglia, l'educazione dei bambini e degli adolescenti, il lavoro professionale, la sofferenza. Più ci saranno laici penetrati di spirito evangelico, responsabili di queste realtà ed esplicitamente impegnati in esse, competenti nel promuoverle e consapevoli di dover sviluppare tutta la loro capacità cristiana spesso tenuta nascosta e soffocata, tanto più queste realtà, senza nulla perdere né sacrificare del loro coefficiente umano, ma manifestando una dimensione trascendente spesso sconosciuta, si troveranno al servizio dell'edificazione del Regno di Dio, e quindi della salvezza in Gesù Cristo»(76).

Durante i lavori del Sinodo i Padri hanno dedicato non poca attenzione al Lettorato e all'Accolitato. Mentre in passato esistevano nella Chiesa Latina soltanto come tappe spirituali dell'itinerario verso i ministeri ordinati, con il Motu proprio di Paolo VI Ministeria quaedam (15Agosto 1972) essi hanno ricevuto una loro autonomia e stabilità, come pure una loro possibile destinazione agli stessi fedeli laici, sia pure soltanto uomini. Nello stesso senso si è espresso il nuovo Codice di Diritto Canonico(77). Ora i Padri sinodali hanno espresso il desiderio che «il Motu proprio "Ministeria quaedam" sia rivisto, tenendo conto dell'uso delle Chiese locali e soprattutto indicando i criteri secondo cui debbano essere scelti i destinatari di ciascun ministero»(78).

In tal senso è stata costituita un'apposita Commissione non solo per rispondere a questo desiderio espresso dai Padri sinodali, ma anche e ancor più per studiare in modo approfondito i diversi problemi teologici, liturgici, giuridici e pastorali sollevati dall'attuale grande fioritura di ministeri affidati ai fedeli laici.

In attesa che la Commissione concluda il suo studio, perché la prassi ecclesiale dei ministeri affidati ai fedeli laici risulti ordinata e fruttuosa, dovranno essere fedelmente rispettati da tutte le Chiese particolari i principi teologici sopra ricordati, in particolare la diversità essenziale tra il sacerdozio ministeriale e il sacerdozio comune e, conseguentemente, la diversità tra i ministeri derivanti dal sacramento dell'Ordine e i ministeri derivanti dai sacramenti del Battesimo e della Confermazione.

I carismi

24. Lo Spirito Santo, mentre affida alla Chiesa-Comunione i diversi ministeri, l'arricchisce di altri particolari doni e impulsi, chiamati carismi. Possono assumere le forme più diverse, sia come espressione dell'assoluta libertà dello Spirito che li elargisce, sia come risposta alle esigenze molteplici della storia della Chiesa. La descrizione e la classificazione che di questi doni fanno i testi del Nuovo Testamento sono un segno della loro grande varietà: «E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune: a uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio di scienza; a uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; a un altro il dono di far guarigioni per mezzo dell'unico Spirito; a uno il potere dei miracoli, a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di distinguere gli spiriti; a un altro le varietà delle lingue; a un altro infine l'interpretazione delle lingue» (1 Cor 12, 7-10; cf. 1 Cor 12, 4-6. 28-31; Rom 12, 6-8; 1 Pt 4, 10-11).

Straordinari o semplici e umili, i carismi sono grazie dello Spirito Santo che hanno, direttamente o indirettamente, un'utilità ecclesiale, ordinati come sono all'edificazione della Chiesa, al bene degli uomini e alle necessità del mondo.

Anche ai nostri tempi non manca la fioritura di diversi carismi tra i fedeli laici, uomini e donne. Sono dati alla persona singola, ma possono anche essere condivisi da altri e in tal modo vengono continuati nel tempo come una preziosa e viva eredità, che genera una particolare affinità spirituale tra le persone. Proprio in riferimento all'apostolato dei laici il Concilio Vaticano II scrive: «Per l'esercizio di tale apostolato lo Spirito Santo, che opera la santificazione del Popolo di Dio per mezzo del ministero e dei sacramenti, elargisce ai fedeli anche dei doni particolari (cf. 1 Cor 12, 7), "distribuendoli a ciascuno come vuole" (1 Cor 12, 11), affinché, "mettendo ciascuno a servizio degli altri la grazia ricevuta", contribuiscano anch'essi, "come buoni dispensatori delle diverse grazie ricevute da Dio" (1 Pt 4, 10), alla edificazione di tutto il corpo nella carità (cf. Ef 4, 16)»(79).

Nella logica dell'originaria donazione da cui sono scaturiti, i doni dello Spirito esigono che quanti li hanno ricevuti li esercitino per la crescita di tutta la Chiesa, come ci ricorda il Concilio(80).

I carismi vanno accolti con gratitudine: da parte di chi li riceve, ma anche da parte di tutti nella Chiesa. Sono, infatti, una singolare ricchezza di grazia per la vitalità apostolica e per la santità dell'intero Corpo di Cristo: purché siano doni che derivino veramente dallo Spirito e vengano esercitati in piena conformità agli impulsi autentici dello Spirito. In tal senso si rende sempre necessario il discernimento dei carismi. In realtà, come hanno detto i Padri sinodali, «l'azione dello Spirito Santo, che soffia dove vuole, non è sempre facile da riconoscere e da accogliere. Sappiamo che Dio agisce in tutti i fedeli cristiani e siamo coscienti dei benefici che vengono dai carismi sia per i singoli sia per tutta la comunità cristiana. Tuttavia, siamo anche coscienti della potenza del peccato e dei suoi sforzi per turbare e per confondere la vita dei fedeli e della comunità»(81).

Per questo nessun carisma dispensa dal riferimento e dalla sottomissione ai Pastori della Chiesa. Con chiare parole il Concilio scrive: «Il giudizio sulla loro (dei carismi) genuinità e sul loro esercizio ordinato appartiene a quelli che presiedono nella Chiesa, ai quali spetta specialmente, non di estinguere lo Spirito, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è buono (cf. 1 Tess 5, 12 e 19-21)»(82), affinché tutti i carismi cooperino, nella loro diversità e complementarietà, al bene comune(83).

La pertecipazione dei fedeli laici alla vita della Chiesa

25. I fedeli laici partecipano alla vita della Chiesa non solo mettendo in opera i loro compiti e carismi, ma anche in molti altri modi.

Tale partecipazione trova la sua prima e necessaria espressione nella vita e missione delle Chiese particolari, delle diocesi, nelle quali «è veramente presente e agisce la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica»(84).

Chiese particolari e Chiesa universale

Per un'adeguata partecipazione alla vita ecclesiale è del tutto urgente che i fedeli laici abbiano una visione chiara e precisa della Chiesa particolare nel suo originale legame con la Chiesa universale. La Chiesa particolare non nasce da una specie di frammentazione della Chiesa universale, né la Chiesa universale viene costituita dalla semplice somma delle Chiese particolari; ma un vivo, essenziale e costante vincolo le unisce tra loro, in quanto la Chiesa universale esiste e si manifesta nelle Chiese particolari. Per questo il Concilio dice che le Chiese particolari sono «formate a immagine della Chiesa universale, nelle quali e a partire dalle quali esiste la sola e unica Chiesa cattolica»(85).

Lo stesso Concilio stimola con forza i fedeli laici a vivere operosamente la loro appartenenza alla Chiesa particolare, assumendo nello stesso tempo un respiro sempre più «cattolico»: «Coltivino costantemente _ leggiamo nel Decreto sull'apostolato dei laici _ il senso della diocesi, di cui la parrocchia è come una cellula, sempre pronti, all'invito del loro Pastore, ad unire anche le proprie forze alle iniziative diocesane. Anzi, per venire incontro alle necessità delle città e delle zone rurali, non limitino la loro propria cooperazione entro i confini della parrocchia o della diocesi, ma procurino di allargarla all'ambito interparrocchiale, interdiocesano, nazionale o internazionale, tanto più che il crescente spostamento delle popolazioni, lo sviluppo delle mutue relazioni e la facilità delle comunicazioni non consentono più ad alcuna parte della società di rimanere chiusa in se stessa. Così abbiano a cuore le necessità del Popolo di Dio sparso su tutta la terra»(86).

Il recente Sinodo ha chiesto, in tal senso, che si favorisca la creazione dei Cansigli Pastorali diocesani, ai quali ricorrere secondo le opportunità. Si tratta, in realtà, della principale forma di collaborazione e di dialogo, come pure di discernimento, a livello diocesano. La partecipazione dei fedeli laici a questi Consigli potrà ampliare il ricorso alla consultazione e il principio della collaborazione _ che in certi casi è anche di decisione _ verrà applicato in un modo più esteso e forte(87).

La partecipazione dei fedeli laici nei Sinodi diocesani e nei Concili particolari, provinciali o plenari, è prevista dal Codice di Diritto Canonico(88); essa potrà contribuire alla comunione e alla missione ecclesiale della Chiesa particolare, sia nel suo proprio ambito sia in relazione con le altre Chiese particolari della provincia ecclesiastica o della Conferenza Episcopale.

Le Conferenze Episcopali sono chiamate a valutare il modo più opportuno di sviluppare, a livello nazionale o regionale, la consultazione e la collaborazione dei fedeli laici, uomini e donne: si potranno così soppesare bene i problemi comuni e meglio si manifesterà la comunione ecclesiale di tutti(89).

La parrocchia

26. La comunione ecclesiale, pur avendo sempre una dimensione universale, trova la sua espressione più immediata e visibile nella parrocchia: essa è l'ultima localizzazione della Chiesa, è in un certo senso la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie(90).

E' necessario che tutti riscopriamo, nella fede, il vero volto della parrocchia, ossia il «mistero» stesso della Chiesa presente e operante in essa: anche se a volte povera di persone e di mezzi, anche se altre volte dispersa su territori quanto mai vasti o quasi introvabile all'interno di popolosi e caotici quartieri moderni, la parrocchia non è principalmente una struttura, un territorio, un edificio; è piuttosto «la famiglia di Dio, come una fraternità animata dallo spirito d'unità»(91), è «una casa di famiglia, fraterna ed accogliente»(92), è la «comunità di fedeli»(93). In definitiva, la parrocchia è fondata su di una realtà teologica, perché essa è unacomunità eucaristica(94). Ciò significa che essa è una comunità idonea a celebrare l'Eucaristia, nella quale stanno la radice viva del suo edificarsi e il vincolo sacramentale del suo essere in piena comunione con tutta la Chiesa. Tale idoneità si radica nel fatto che la parrocchia è una comunità di fede e una comunità organica, ossia costituita dai ministri ordinati e dagli altri cristiani, nella quale il parroco _ che rappresenta il Vescovo diocesano(95) _ è il vincolo gerarchico con tutta la Chiesa particolare.

E' certamente immane il compito della Chiesa ai nostri giorni e ad assolverlo non può certo bastare la parrocchia da sola. Per questo il Codice di Diritto Canonico prevede forme di collaborazione tra parrocchie nell'ambito del territorio(96) e raccomanda al Vescovo la cura di tutte le categorie di fedeli, anche di quelle che non sono raggiunte dalla cura pastorale ordinaria(97). Infatti, molti luoghi e forme di presenza e di azione sono necessari per recare la parola e la grazia del Vangelo nelle svariate condizioni di vita degli uomini d'oggi, e molte altre funzioni di irradiazione religiosa e d'apostolato d'ambiente, nel campo culturale, sociale, educativo, professionale, ecc., non possono avere come centro o punto di partenza la parrocchia. Eppure anche oggi la parrocchia vive una nuova e promettente stagione. Come diceva Paolo VI, all'inizio del suo pontificato, rivolgendosi al Clero romano: «Crediamo semplicemente che questa antica e venerata struttura della parrocchia ha una missione indispensabile e di grande attualità; ad essa spetta creare la prima comunità del popolo cristiano; ad essa iniziare e raccogliere il popolo nella normale espressione della vita liturgica; ad essa conservare e ravvivare la fede nella gente d'oggi; ad essa fornirle la scuola della dottrina salvatrice di Cristo; ad essa praticare nel sentimento e nell'opera l'umile carità delle opere buone e fraterne»(98).

I Padri sinodali, dal canto loro, hanno attentamente considerato l'attuale situazione di molte parrocchie, sollecitando un loro più deciso rinnovamento : «Molte parrocchie, sia in regioni urbanizzate sia in territorio missionario, non possono funzionare con pienezza effettiva per la mancanza di mezzi materiali o di uomini ordinati, o anche per l'eccessiva estensione geografica e per la speciale condizione di alcuni cristiani (come, per esempio, gli esuli e gli emigranti). Perché tutte queste parrocchie siano veramente comunità cristiane, le autorità locali devono favorire: a) l'adattamento delle strutture parrocchiali con la flessibilità ampia concessa dal Diritto Canonico, soprattutto promuovendo la partecipazione dei laici alle responsabilità pastorali; b) le piccole comunità ecclesiali di base, dette anche comunità vive, dove i fedeli possano comunicarsi a vicenda la Parola di Dio ed esprimersi nel servizio e nell'amore; queste comunità sono vere espressioni della comunione ecclesiale e centri di evangelizzazione, in comunione con i loro Pastori»(99). Per il rinnovamento delle parrocchie e per meglio assicurare la loro efficacia operativa si devono favorire forme anche istituzionali di cooperazione tra le diverse parrocchie di un medesimo territorio.

L'impegno apostolico nella parrocchia

27. E' necessario ora considerare più da vicino la comunione e la partecipazione dei fedeli laici alla vita della parrocchia. In tal senso è da richiamarsi l'attenzione di tutti i fedeli laici, uomini e donne, su di una parola tanto vera, significativa e stimolante del Concilio: «All'interno delle comunità della Chiesa _ leggiamo nel Decreto sull'apostolato dei laici _ la loro azione è talmente necessaria che senza di essa lo stesso apostolato dei pastori non può per lo più raggiungere la sua piena efficacia»(100). E', questa, un'affermazione radicale, che dev'essere evidentemente intesa nella luce della «ecclesiologia di comunione»: essendo diversi e complementari, i ministeri e i carismi sono tutti necessari alla crescita della Chiesa, ciascuno secondo la propria modalità.

I fedeli laici devono essere sempre più convinti del particolare significato che assume l'impegno apostolico nella loro parrocchia. E' ancora il Concilio a rilevarlo autorevolmente: «La parrocchia offre un luminoso esempio di apostolato comunitario, fondendo insieme tutte le differenze umane che vi si trovano e inserendole nell'universalità della Chiesa. Si abituino i laici a lavorare nella parrocchia intimamente uniti ai loro sacerdoti, ad esporre alla comunità della Chiesa i propri problemi e quelli del mondo e le questioni che riguardano la salvezza degli uomini, perché siano esaminati e risolti con il concorso di tutti; a dare, secondo le proprie possibilità, il loro contributo ad ogni iniziativa apostolica e missionaria della propria famiglia ecclesiastica»(101).

L'accenno conciliare all'esame e alla risoluzione dei problemi pastorali «con il concorso di tutti» deve trovare il suo adeguato e strutturato sviluppo nella valorizzazione più convinta, ampia e decisa dei Consigli pastorali parrocchiali, sui quali hanno giustamente insistito i Padri sinodali(102).

Nelle circostanze attuali i fedeli laici possono e devono fare moltissimo per la crescita di un'autentica comunione ecclesiale all'interno delle loro parrocchie e per ridestare lo slancio missionario verso i non credenti e verso gli stessi credenti che hanno abbandonato o affievolito la pratica della vita cristiana.

Se la parrocchia è la Chiesa posta in mezzo alle case degli uomini, essa vive e opera profondamente inserita nella società umana e intimamente solidale con le sue aspirazioni e i suoi drammi. Spesso il contesto sociale, soprattutto in certi paesi e ambienti, è violentemente scosso da forze di disgregazione e di disumanizzazione: l'uomo è smarrito e disorientato, ma nel cuore gli rimane sempre più il desiderio di poter sperimentare e coltivare rapporti più fraterni e più umani La risposta a tale desiderio può venire dalla parrocchia, quando questa, con la viva partecipazione dei fedeli laici, rimane coerente alla sua originaria vocazione e missione: essere nel mondo «luogo» della comunione dei credenti e insieme «segno» e «strumento» della vocazione di tutti alla comunione; in una parola, essere la casa aperta a tutti e al servizio di tutti o, come amava dire il Papa Giovanni XXIII, la fontana del villaggio alla quale tutti ricorrono per la loro sete.

Forme di partecipazione nella vita della Chiesa

28. I fedeli laici, unitamente ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, formano l'unico Popolo di Dio e Corpo di Cristo.

L'essere «membri» della Chiesa nulla toglie al fatto che ciascun cristiano sia un essere «unico e irripetibile», bensì garantisce e promuove il senso più profondo della sua unicità e irripetibilità, in quanto fonte di varietà e di ricchezza per l'intera Chiesa. In tal senso Dio in Gesù Cristo chiama ciascuno col proprio inconfondibile nome. L'appello del Signore: «Andate anche voi nella mia vigna» si rivolge a ciascuno personalmente e suona: «Vieni anche tu nella mia vigna!».

Così ciascuno nella sua unicità e irripetibilità, con il suo essere e con il suo agire, si pone al servizio della crescita della comunione ecclesiale, come peraltro singolarmente riceve e fa sua la comune ricchezza di tutta la Chiesa. E' questa la «Comunione dei Santi», da noi professata nel Credo: il bene di tutti diventa il bene di ciascuno e il bene di ciascuno diventa il bene di tutti. «Nella santa Chiesa _ scrive San Gregorio Magno _ ognuno è sostegno degli altri e gli altri sono suo sostegno»(103).

Forme personali di partecipazione

E' del tutto necessario che ciascun fedele laico abbia sempre viva coscienza di essere un «membro della Chiesa», al quale è affidato un compito originale insostituibile e indelegabile, da svolgere per il bene di tutti. In una simile prospettiva assume tutto il suo significato l'affermazione conciliare circa l'assoluta necessità dell'apostolato della singola persona: «L'apostolato che i singoli devono svolgere, sgorgando abbondantemente dalla fonte di una vita veramente cristiana (cf. Gv 4, 14), è la prima forma e la condizione di ogni apostolato dei laici, anche di quello associato, ed è insostituibile. A tale apostolato, sempre e dovunque proficuo, ma in certe circostanze l'unico adatto e possibile, sono chiamati e obbligati tutti i laici, di qualsiasi condizione, anche se manca loro l'occasione o la possibilità di collaborare nelle associazioni»(104).

Nell'apostolato personale ci sono grandi ricchezze che chiedono di essere scoperte per un'intensificazione del dinamismo missionario di ciascun fedele laico. Con tale forma di apostolato, l'irradiazione del Vangelo può farsi quanto mai capillare, giungendo a tanti luoghi e ambienti quanti sono quelli legati alla vita quotidiana e concreta dei laici. Si tratta, inoltre, di un'irradiazione costante, essendo legata alla continua coerenza della vita personale con la fede; come pure di un'irradiazione particolarmente incisiva, perché, nella piena condivisione delle condizioni di vita, del lavoro, delle difficoltà e speranze dei fratelli, i fedeli laici possono giungere al cuore dei loro vicini o amici o colleghi, aprendolo all'orizzonte totale, al senso pieno dell'esistenza: la comunione con Dio e tra gli uomini.

Forme aggregative di partecipazione

29. La comunione ecclesiale, già presente e operante nell'azione della singola persona, trova una sua specifica espressione nell'operare associato dei fedeli laici, ossia nell'azione solidale da essi svolta nel partecipare responsabilmente alla vita e alla missione della Chiesa.

In questi ultimi tempi il fenomeno dell'aggregarsi dei laici tra loro è venuto ad assumere caratteri di particolare varietà e vivacità. Se sempre nella storia della Chiesa l'aggregarsi dei fedeli ha rappresentato in qualche modo una linea costante, come testimoniano sino ad oggi le varie confraternite, i terzi ordini e i diversi sodalizi, esso ha però ricevuto uno speciale impulso nei tempi moderni, che hanno visto il nascere e il diffondersi di molteplici forme aggregative: associazioni, gruppi, comunità, movimenti. Possiamo parlare di una nuova stagione aggregativa dei fedeli laici. Infatti, «accanto all'associazionismo tradizionale, e talvolta alle sue stesse radici, sono germogliati movimenti e sodalizi nuovi, con fisionomia e finalità specifiche: tanta è la ricchezza e la versatilità delle risorse che lo Spirito alimenta nel tessuto ecclesiale, e tanta è pure la capacità d'iniziativa e la generosità del nostro laicato»(105).

Queste aggregazioni di laici si presentano spesso assai diverse le une dalle altre in vari aspetti, come la configurazione esteriore, i cammini e metodi educativi, e i campi operativi. Trovano però le linee di un'ampia e profonda convergenza nella finalità che le anima: quella di partecipare responsabilmente alla missione della Chiesa di portare il Vangelo di Cristo come fonte di speranza per l'uomo e di rinnovamento per la società.

L'aggregarsi dei fedeli laici per motivi spirituali e apostolici scaturisce da più fonti e corrisponde ad esigenze diverse: esprime, infatti, la natura sociale della persona e obbedisce all'istanza di una più vasta ed incisiva efficacia operativa. In realtà, l'incidenza «culturale», sorgente e stimolo ma anche frutto e segno di ogni altra trasformazione dell'ambiente e della società, può realizzarsi solo con l'opera non tanto dei singoli quanto di un «soggetto sociale», ossia di un gruppo, di una comunità, di un'associazione, di un movimento. Ciò è particolarmente vero nel contesto della società pluralistica e frantumata _ com'è quella attuale in tante parti del mondo _ e di fronte a problemi divenuti enormemente complessi e difficili. D'altra parte, soprattutto in un mondo secolarizzato, le varie forme aggregative possono rappresentare per tanti un aiuto prezioso per una vita cristiana coerente alle esigenze del Vangelo e per un impegno missionario e apostolico.

Al di là di questi motivi, la ragione profonda che giustifica ed esige l'aggregarsi dei fedeli laici è di ordine teologico: è una ragione ecclesiologica, come apertamente riconosce il Concilio Vaticano II che indica nell'apostolato associato un «segno della comunione e dell'unità della Chiesa in Cristo»(106).

E' un «segno» che deve manifestarsi nei rapporti di «comunione» sia all'interno che all'esterno delle varie forme aggregative nel più ampio contesto della comunità cristiana. Proprio la ragione ecclesiologica indicata spiega, da un lato il «diritto» di aggregazione proprio dei fedeli laici, dall'altro lato la necessità di «criteri» di discernimento circa l'autenticità ecclesiale delle loro forme aggregative.

E' anzitutto da riconoscersi la libertà associativa dei fedeli laici nella Chiesa. Tale libertà è un vero e proprio diritto che non deriva da una specie di «concessione» dell'autorità, ma che scaturisce dal Battesimo, quale sacramento che chiama i fedeli laici a partecipare attivamente alla comunione e alla missione della Chiesa. Al riguardo è del tutto chiaro il Concilio: «Salva la dovuta relazione con l'autorità ecclesiastica, i laici hanno il diritto di creare e guidare associazioni e dare nome a quelle fondate»(107). E il recente Codice testualmente afferma: «I fedeli hanno il diritto di fondare e di dirigere liberamente associazioni che si propongano un fine di carità o di pietà, oppure associazioni che si propongano l'incremento della vocazione cristiana nel mondo; hanno anche il diritto di tenere riunioni per il raggiungimento comune di tali finalità»(108).

Si tratta di una libertà riconosciuta e garantita dall'autorità ecclesiastica e che dev'essere esercitata sempre e solo nella comunione della Chiesa: in tal senso il diritto dei fedeli laici ad aggregarsi è essenzialmente relativo alla vita di comunione e alla missione della Chiesa stessa.

Criteri di ecclesialità per le aggregazioni laicali

30. E' sempre nella prospettiva della comunione e della missione della Chiesa, e dunque non in contrasto con la libertà associativa, che si comprende la necessità di criteri chiari e precisi di discernimento e di riconoscimento delle aggregazioni laicali, detti anche «criteri di ecclesialità».

Come criteri fondamentali per il discernimento di ogni e qualsiasi aggregazione dei fedeli laici nella Chiesa si possono considerare, in modo unitario, i seguenti:

-Il primato dato alla vocazione di ogni cristiano alla santità, manifestata «nei frutti della grazia che lo Spirito produce nei fedeli»(109) come crescita verso la pienezza della vita cristiana e la perfezione della carità(110). In tal senso ogni e qualsiasi aggregazione di fedeli laici è chiamata ad essere sempre più strumento di santità nella Chiesa, favorendo e incoraggiando «una più intima unità tra la vita pratica dei membri e la loro fede»(111).

-La responsabilità di confessare la fede cattolica, accogliendo e proclamando la verità su Cristo, sulla Chiesa e sull'uomo in obbedienza al Magistero della Chiesa, che autenticamente la interpreta. Per questo ogni aggregazione di fedeli laici dev'essere luogo di annuncio e di proposta della fede e di educazione ad essa nel suo integrale contenuto.

-La testimonianza di una comunione salda e convinta, in relazione filiale con il Papa, perpetuo e visibile centro dell'unità della Chiesa universale(112), e con il Vescovo «principio visibile e fondamento dell'unità»(113) della Chiesa particolare, e nella «stima vicendevole fra tutte le forme di apostolato nella Chiesa»(114).

La comunione con il Papa e con il Vescovo è chiamata ad esprimersi nella leale disponibilità ad accogliere i loro insegnamenti dottrinali e orientamenti pastorali. La comunione ecclesiale esige, inoltre, il riconoscimento della legittima pluralità delle forme aggregative dei fedeli laici nella Chiesa e, nello stesso tempo, la disponibilità alla loro reciproca collaborazione.

- La conformità e la partecipazione al fine apostolico della Chiesa, ossia «l'evangelizzazione e la santificazione degli uomini e la formazione cristiana della loro coscienza, in modo che riescano a permeare di spirito evangelico le varie comunità e i vari ambienti»(115).

In questa prospettiva, da tutte le forme aggregative di fedeli laici, e da ciascuna di esse, è richiesto uno slancio missionario che le renda sempre più soggetti di una nuova evangelizzazione.

- L'impegno di una presenza nella società umana che, alla luce della dottrina sociale della Chiesa, si ponga a servizio della dignità integrale dell'uomo.

In tal senso le aggregazioni dei fedeli laici devono diventare correnti vive di partecipazione e di solidarietà per costruire condizioni più giuste e fraterne all'interno della società.

I criteri fondamentali ora esposti trovano la loro verifica nei frutti concreti che accompagnano la vita e le opere delle diverse forme associative quali: il gusto rinnovato per la preghiera, la contemplazione, la vita liturgica e sacramentale; l'animazione per il fiorire di vocazioni al matrimonio cristiano, al sacerdozio ministeriale, alla vita consacrata; la disponibilità a partecipare ai programmi e alle attività della Chiesa a livello sia locale sia nazionale o internazionale; l'impegno catechetico e la capacità pedagogica nel formare i cristiani; l'impulso a una presenza cristiana nei diversi ambienti della vita sociale e la creazione e animazione di opere caritative, culturali e spirituali; lo spirito di distacco e di povertà evangelica per una più generosa carità verso tutti; la conversione alla vita cristiana o il ritorno alla comunione di battezzati «lontani».

Il servizio dei Pastori per la comunione

31. I Pastori nella Chiesa, sia pure di fronte a possibili e comprensibili difficoltà di alcune forme aggregative e all'imporsi di nuove forme, non possono rinunciare al servizio della loro autorità, non solo per il bene della Chiesa, ma anche per il bene delle stesse aggregazioni laicali. In tal senso devono accompagnare l'opera di discernimento con la guida e soprattutto con l'incoraggiamento per una crescita delle aggregazioni dei fedeli laici nella comunione e nella missione della Chiesa.

E' oltremodo opportuno che alcune nuove associazioni e alcuni nuovi movimenti, per la loro diffusione spesso nazionale o anche internazionale, abbiano a ricevere un riconoscimento ufficiale, un'approvazione esplicita della competente autorità ecclesiastica. In questo senso già il Concilio affermava: «L'apostolato dei laici ammette certo vari tipi di rapporti con la Gerarchia secondo le diverse forme e oggetti dell'apostolato stesso (...). Alcune forme di apostolato dei laici vengono in vari modi esplicitamente riconosciute dalla Gerarchia. L'autorità ecclesiastica, per le esigenze del bene comune della Chiesa, fra le associazioni e iniziative apostoliche aventi un fine immediatamente spirituale, può inoltre sceglierne in modo particolare e promuoverne alcune per le quali assume una speciale responsabilità»(116).

Tra le diverse forme apostoliche dei laici che hanno un particolare rapporto con la Gerarchia i Padri sinodali hanno esplicitamente ricordato vari movimenti e associazioni di Azione Cattolica, in cui «i laici si associano liberamente in forma organica e stabile, sotto la spinta dello Spirito Santo, nella comunione con il Vescovo e con i sacerdoti, per poter servire, nel modo proprio della loro vocazione, con un particolare metodo, all'incremento di tutta la comunità cristiana, ai progetti pastorali e all'animazione evangelica di tutti gli ambiti della vita, con fedeltà e operosità»(117).

Il Pontificio Consiglio per i Laici è incaricato di preparare un elenco delle associazioni che ricevono l'approvazione ufficiale della Santa Sede e di definire, insieme al Segretariato per l'Unione dei Cristiani, le condizioni in base alle quali può essere approvata un'associazione ecumenica in cui la maggioranza sia cattolica e una minoranza non cattolica, stabilendo anche in quali casi non si può dare un giudizio positivo(118).

Tutti, Pastori e fedeli, siamo obbligati a favorire e ad alimentare di continuo vincoli e rapporti fraterni di stima, di cordialità, di collaborazione tra le varie forme aggregative di laici. Solo così la ricchezza dei doni e dei carismi che il Signore ci offre può portare il suo fecondo e ordinato contributo all'edificazione della casa comune: «Per la solidale edificazione della casa comune è necessario, inoltre, che sia deposto ogni spirito di antagonismo e di contesa, e che si gareggi piuttosto nello stimarsi a vicenda (cf. Rom 12, 10), nel prevenirsi reciprocamente nell'affetto e nella volontà di collaborazione, con la pazienza, la lungimiranza, la disponibilità al sacrificio che ciò potrà talvolta comportare»(119).

Ritorniamo ancora una volta alle parole di Gesù: «Io sono la vite, voi i tralci» (Gv 15, 5), per rendere grazie a Dio del grande dono della comunione ecclesiale, riflesso nel tempo dell'eterna e ineffabile comunione d'amore di Dio Uno e Trino. La coscienza del dono si deve accompagnare ad un forte senso di responsabilità: è, infatti, un dono che, come il talento evangelico, esige d'essere trafficato in una vita di crescente comunione.

Essere responsabili del dono della comunione significa, anzitutto, essere impegnati a vincere ogni tentazione di divisione e di contrapposizione, che insidia la vita e l'impegno apostolico dei cristiani. Il grido di dolore e di sconcerto dell'apostolo Paolo: «Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: "Io sono di Paolo", "Io invece sono di Apollo", "E io di Cefa", "E io di Cristo!". Cristo è stato forse diviso?» (1 Cor 1, 12-13 ) continua a suonare come rimprovero per le «lacerazioni del Corpo di Cristo». Risuonino, invece, come appello persuasivo queste altre parole dell'apostolo: «Vi esorto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, ad essere unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e d'intenti» (1 Cor 1, 10).

Così la vita di comunione ecclesiale diventa un segno per il mondo e una forza attrattiva che conduce a credere in Cristo: «Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17, 21). In tal modo la comunione si apre alla missione, si fa essa stessa missione.

CAPITOLO III

VI HO COSTITUITI PERCHÉ ANDIATE E PORTIATE FRUTTO
La corresponsabilità dei fedeli laici nella Chiesa-Missione

Comunione missionaria

32. Riprendiamo l'immagine biblica della vite e dei tralci. Essa ci apre, in modo immediato e naturale, alla considerazione della fecondità e della vita. Radicati e vivificati dalla vite, i tralci sono chiamati a portare frutto: «Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui fa molto frutto» (Gv 15, 5). Portare frutto è un'esigenza essenziale della vita cristiana ed ecclesiale. Chi non porta frutto non rimane nella comunione: «Ogni tralcio che in me non porta frutto, (il Padre mio) lo toglie» (Gv 15, 2).

La comunione con Gesù, dalla quale deriva la comunione dei cristiani tra loro, è condizione assolutamente indispensabile per portare frutto: «Senza di me non potete far nulla» (Gv 15, 5). E la comunione con gli altri è il frutto più bello che i tralci possono dare: essa, infatti, è dono di Cristo e del suo Spirito.

Ora la comunione genera comunione, e si configura essenzialmente come comunione missionaria. Gesù, infatti, dice ai suoi discepoli: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Gv 15, 16).

La comunione e la missione sono profondamente congiunte tra loro, si compenetrano e si implicano mutuamente, al punto che la comunione rappresenta la sorgente e insieme il frutto della missione: la comunione è missionaria e la missione è per la comunione. E' sempre l'unico e identico Spirito colui che convoca e unisce la Chiesa e colui che la manda a predicare il Vangelo «fino agli estremi confini della terra» (At 1, 8). Da parte sua, la Chiesa sa che la comunione, ricevuta in dono, ha una destinazione universale. Così la Chiesa si sente debitrice all'umanità intera e a ciascun uomo del dono ricevuto dallo Spirito che effonde nei cuori dei credenti la carità di Gesù Cristo, prodigiosa forza di coesione interna ed insieme di espansione esterna. La missione della Chiesa deriva dalla sua stessa natura, così come Cristo l'ha voluta: quella di «segno e strumento (...) di unità di tutto il genere umano»(120). Tale missione ha lo scopo di far conoscere e di far vivere a tutti la «nuova» comunione che nel Figlio di Dio fatto uomo è entrata nella storia del mondo. In tal senso la testimonianza dell'evangelista Giovanni definisce oramai in modo irrevocabile il termine beatificante al quale punta l'intera missione della Chiesa: «Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo» (1 Gv 1, 3).

Ora nel contesto della missione della Chiesa il Signore affida ai fedeli laici, in comunione con tutti gli altri membri del Popolo di Dio, una grande parte di responsabilità. Ne erano pienamente consapevoli i Padri del Concilio Vaticano II: «I sacri Pastori, infatti, sanno benissimo quanto contribuiscano i laici al bene di tutta la Chiesa. Sanno di non essere stati istituiti da Cristo per assumersi da soli tutta la missione della salvezza che la Chiesa ha ricevuto nei confronti del mondo, ma che il loro magnifico incarico è di pascere i fedeli e di riconoscere i loro servizi e i loro carismi, in modo che tutti concordemente cooperino, nella loro misura, all'opera comune»(121). La loro consapevolezza è ritornata poi, con rinnovata chiarezza e con vigore accresciuto, in tutti i lavori del Sinodo.

Annunciare il Vangelo

33. I fedeli laici, proprio perché membri della Chiesa, hanno la vocazione e la missione di essere annunciatori del Vangelo: per quest'opera sono abilitati e impegnati dai sacramenti dell'iniziazione cristiana e dai doni dello Spirito Santo.

Leggiamo in un testo limpido e denso del Concilio Vaticano II: «In quanto partecipi dell'ufficio di Cristo sacerdote, profeta e re, i laici hanno la loro parte attiva nella vita e nell'azione della Chiesa (...). Nutriti dell'attiva partecipazione alla vita liturgica della propria comunità, partecipano con sollecitudine alle opere apostoliche della medesima; conducono alla Chiesa gli uomini che forse ne vivono lontani; cooperano con dedizione nel comunicare la parola di Dio, specialmente mediante l'insegnamento del catechismo; mettendo a disposizione la loro competenza rendono più efficace la cura delle anime ed anche l'amministrazione dei beni della Chiesa»(122).

Ora è nell' evangelizzazione che si concentra e si dispiega l'intera missione della Chiesa, il cui cammino storico si snoda sotto la grazia e il comando di Gesù Cristo: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16, 15); «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20). «Evangelizzare _ scrive Paolo VI _ è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda»(123).

Dall'evangelizzazione la Chiesa viene costruita e plasmata come comunità di fede: più precisamente, come comunità di una fede confessata nell'adesione alla Parola di Dio, celebrata nei sacramenti, vissuta nella carità, quale anima dell'esistenza morale cristiana. Infatti, la «buona novella» tende a suscitare nel cuore e nella vita dell'uomo la conversione e l'adesione personale a Gesù Cristo Salvatore e Signore; dispone al Battesimo e all'Eucaristia e si consolida nel proposito e nella realizzazione della vita nuova secondo lo Spirito.

Certamente l'imperativo di Gesù: «Andate e predicate il Vangelo» mantiene sempre vivo il suo valore ed è carico di un'urgenza intramontabile. Tuttavia la situazione attuale, non solo del mondo ma anche di tante parti della Chiesa, esige assolutamente che la parola di Cristo riceva un'obbedienza più pronta e generosa. Ogni discepolo è chiamato in prima persona; nessun discepolo può sottrarsi nel dare la sua propria risposta: «Guai a me, se non predicassi il Vangelo!» (1 Cor 9, 16).

L'ora è venuta per intraprendere una nuova evangelizzazione

34. Interi paesi e nazioni, dove la religione e la vita cristiana erano un tempo quanto mai fiorenti e capaci di dar origine a comunità di fede viva e operosa, sono ora messi a dura prova, e talvolta sono persino radicalmente trasformati, dal continuo diffondersi dell'indifferentismo, del secolarismo e dell'ateismo. Si tratta, in particolare, dei paesi e delle nazioni del cosiddetto Primo Mondo, nel quale il benessere economico e il consumismo, anche se frammisti a paurose situazioni di povertà e di miseria, ispirano e sostengono una vita vissuta «come se Dio non esistesse». Ora l'indifferenza religiosa e la totale insignificanza pratica di Dio per i problemi anche gravi della vita non sono meno preoccupanti ed eversivi rispetto all'ateismo dichiarato. E anche la fede cristiana, se pure sopravvive in alcune sue manifestazioni tradizionali e ritualistiche, tende ad essere sradicata dai momenti più significativi dell'esistenza, quali sono i momenti del nascere, del soffrire e del morire. Di qui l'imporsi di interrogativi e di enigmi formidabili che, rimanendo senza risposta, espongono l'uomo contemporaneo alla delusione sconsolata o alla tentazione di eliminare la stessa vita umana che quei problemi pone.

In altre regioni o nazioni, invece, si conservano tuttora molto vive tradizioni di pietà e di religiosità popolare cristiana; ma questo patrimonio morale e spirituale rischia oggi d'essere disperso sotto l'impatto di molteplici processi, tra i quali emergono la secolarizzazione e la diffusione delle sette. Solo una nuova evangelizzazione può assicurare la crescita di una fede limpida e profonda, capace di fare di queste tradizioni una forza di autentica libertà.

Certamente urge dovunque rifare il tessuto cristiano della società umana. Ma la condizione è che si rifaccia il tessuto cristiano delle stesse comunità ecclesiali che vivono in questi paesi e in queste nazioni.

Ora i fedeli laici, in forza della loro partecipazione all'ufficio profetico di Cristo, sono pienamente coinvolti in questo compito della Chiesa. Ad essi tocca, in particolare, testimoniare come la fede cristiana costituisca l'unica risposta pienamente valida, più o meno coscientemente da tutti percepita e invocata, dei problemi e delle speranze che la vita pone ad ogni uomo e ad ogni società. Ciò sarà possibile se i fedeli laici sapranno superare in se stessi la frattura tra il Vangelo e la vita, ricomponendo nella loro quotidiana attività in famiglia, sul lavoro e nella società, l'unità d'una vita che nel Vangelo trova ispirazione e forza per realizzarsi in pienezza.

A tutti gli uomini contemporanei ripeto, ancora una volta, il grido appassionato con il quale ho iniziato il mio servizio pastorale: «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla Sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa "cosa è dentro l'uomo". Solo Lui lo sa! Oggi così spesso l'uomo non sa cosa si porta dentro, nel profondo del suo animo, del suo cuore. Così spesso è in certo del senso della sua vita su questa terra. E' invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione. Permettete, quindi _ vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia _ permettete a Cristo di parlare all'uomo. Solo Lui ha parole di vita, sì! di vita eterna»(124).

Spalancare le porte a Cristo, accoglierlo nello spazio della propria umanità non è affatto una minaccia per l'uomo, bensì è l'unica strada da percorrere se si vuole riconoscere l'uomo nell'intera sua verità ed esaltarlo nei suoi valori.

Sarà la sintesi vitale che i fedeli laici sapranno operare tra il Vangelo e i doveri quotidiani della vita la più splendida e convincente testimonianza che, non la paura, ma la ricerca e l'adesione a Cristo sono il fattore determinante perché l'uomo viva e cresca, e perché si costituiscano nuovi modi di vivere più conformi alla dignità umana.

L'uomo è amato da Dio! E' questo il semplicissimo e sconvolgente annuncio del quale la Chiesa è debitrice all'uomo. La parola e la vita di ciascun cristiano possono e devono far risuonare questo annuncio: Dio ti ama, Cristo è venuto per te, per te Cristo è «Via, Verità, Vita!» (Gv 14, 6).

Questa nuova evangelizzazione, rivolta non solo alle singole persone ma anche ad intere fasce di popolazioni nelle loro varie situazioni, ambienti e culture, è destinata alla formazione dicomunità ecclesiali mature, nelle quali cioè la fede sprigioni e realizzi tutto il suo originario significato di adesione alla persona di Cristo e al suo Vangelo, di incontro e di comunione sacramentale con Lui, di esistenza vissuta nella carità e nel servizio.

I fedeli laici hanno la loro parte da compiere nella formazione di simili comunità ecclesiali, non solo con una partecipazione attiva e responsabile nella vita comunitaria, e pertanto con la loro insostituibile testimonianza, ma anche con lo slancio e l'azione missionaria verso quanti ancora non credono o non vivono più la fede ricevuta con il Battesimo.

In rapporto alle nuove generazioni un contributo prezioso, quanto mai necessario, deve essere offerto dai fedeli laici con una sistematica opera di catechesi. I Padri sinodali hanno accolto con gratitudine il lavoro dei catechisti, riconoscendo che essi «hanno un compito di grande peso nell'animazione delle comunità ecclesiali»(125). Certamente i genitori cristiani sono i primi e insostituibili catechisti dei loro figli, a ciò abilitati dal sacramento del Matrimonio; nello stesso tempo però dobbiamo essere tutti coscienti del «diritto» che ogni battezzato ha di venire istruito, educato, accompagnato nella fede e nella vita cristiana.

Andate in tutto il mondo

35. La Chiesa, mentre avverte e vive l'urgenza attuale di una nuova evangelizzazione, non può sottrarsi alla missione permanente di portare il Vangelo a quanti _ e sono milioni e milioni di uomini e di donne _ ancora non conoscono Cristo Redentore dell'uomo. E' questo il compito più specificamente missionario che Gesù ha affidato e quotidianamente riaffida alla sua Chiesa.

L'opera dei fedeli laici, che peraltro non è mai mancata in questo ambito, si rivela oggi sempre più necessaria e preziosa. In realtà, il comando del Signore «Andate in tutto il mondo» continua a trovare molti laici generosi, pronti a lasciare il loro ambiente di vita, il loro lavoro, la loro regione o patria per recarsi, almeno per un determinato tempo, in zone di missione. Anche coppie di sposi cristiani, a imitazione di Aquila e Priscilla (cf. At 18; Rom 16, 3 s), vanno offrendo una confortante testimonianza di amore appassionato a Cristo e alla Chiesa mediante la loro presenza operosa nelle terre di missione. Autentica presenza missionaria è anche quella di coloro che, vivendo per vari motivi in paesi o ambienti dove la Chiesa non è ancora stabilita, testimoniano la loro fede.

Ma il problema missionario si presenta attualmente alla Chiesa con un'ampiezza e con una gravità tali che solo un'assunzione veramente solidale di responsabilità da parte di tutti i membri della Chiesa, sia come singoli sia come comunità, può far sperare in una risposta più efficace.

L'invito che il Concilio Vaticano II ha rivolto alle Chiese particolari conserva tutto il suo valore, anzi esige oggi un'accoglienza più generalizzata e più decisa: «La Chiesa particolare, dovendo rappresentare nel modo più perfetto la Chiesa universale, abbia la piena coscienza di essere inviata anche a coloro che non credono in Cristo»(126).

La Chiesa deve fare oggi un grande passo in avanti nella sua evangelizzazione, deve entrare in una nuova tappa storica del suo dinamismo missionario. In un mondo che con il crollare delle distanze si fa sempre più piccolo, le comunità ecclesiali devono collegarsi tra loro, scambiarsi energie e mezzi, impegnarsi insieme nell'unica e comune missione di annunciare e di vivere il Vangelo. «Le Chiese cosiddette più giovani _ hanno detto i Padri sinodali _ abbisognano della forza di quelle antiche, mentre queste hanno bisogno della testimonianza e della spinta delle più giovani, in modo che le singole Chiese attingano dalle ricchezze delle altre Chiese»(127).

In questa nuova tappa, la formazione non solo del clero locale ma anche di un laicato maturo e responsabile si pone nelle giovani Chiese come elemento essenziale e irrinunciabile della plantatio Ecclesiae(128). In tal modo le stesse comunità evangelizzate si slanciano verso nuove contrade del mondo per rispondere anch'esse alla missione di annunciare e testimoniare il Vangelo di Cristo.

I fedeli laici, con l'esempio della loro vita e con la propria azione, possono favorire il miglioramento dei rapporti tra i seguaci delle diverse religioni, come hanno opportunamente rilevato i Padri sinodali: «Oggi la Chiesa vive dappertutto in mezzo a uomini di religioni diverse (...). Tutti i fedeli, specialmente i laici che vivono in mezzo ai popoli di altre religioni, sia nelle regioni di origine, sia in terre di emigrazione, debbono essere per costoro un segno del Signore e della sua Chiesa, in modo adatto alle circostanze di vita di ciascun luogo. Il dialogo tra le religioni ha un'importanza preminente perché conduce all'amore e al rispetto reciproco, elimina, o almeno diminuisce, i pregiudizi tra i seguaci delle diverse religioni e promuove l'unità e l'amicizia tra i popoli»(129).

Per l'evangelizzazione del mondo occorrono, anzitutto, gli evangelizzatori. Per questo tutti, a cominciare dalle famiglie cristiane, dobbiamo sentire la responsabilità di favorire il sorgere e il maturare di vocazioni specificamente missionarie, sia sacerdotali e religiose sia laicali, ricorrendo ad ogni mezzo opportuno, senza mai trascurare il mezzo privilegiato della preghiera, secondo la parola stessa del Signore Gesù: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!» (Mt 9, 37-38).

Vivere il Vangelo servendo la persona e la società

36. Accogliendo e annunciando il Vangelo nella forza dello Spirito la Chiesa diviene comunità evangelizzata ed evangelizzante e proprio per questo si fa serva degli uomini. In essa i fedeli laici partecipano alla missione di servire la persona e la società. Certamente la Chiesa ha come supremo fine il Regno di Dio, del quale «costituisce in terra il germe e l'inizio»(130), ed è quindi totalmente consacrata alla glorificazione del Padre. Ma il Regno è fonte di liberazione piena e di salvezza totale per gli uomini: con questi, allora, la Chiesa cammina e vive, realmente e intimamente solidale con la loro storia.

Avendo ricevuto l'incarico di manifestare al mondo il mistero di Dio che splende in Cristo Gesù, al tempo stesso la Chiesa svela l'uomo all'uomo, gli fa noto il senso della sua esistenza, lo apre alla verità intera su di sé e sul suo destino(131). In questa prospettiva la Chiesa è chiamata, in forza della sua stessa missione evangelizatrice, a servire l'uomo. Tale servizio si radica primariamente nel fatto prodigioso e sconvolgente che «con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo»(132).

Per questo l'uomo «è la prima strada che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione: egli è la prima fondamentale via della Chiesa, via tracciata da Cristo stesso, via che immutabilmente passa attraverso il mistero dell'Incarnazione e della Redenzione»(133).

Proprio in questo senso si è espresso, ripetutamente e con singolare chiarezza e forza, il Concilio Vaticano II nei suoi diversi documenti. Rileggiamo un testo particolarmente illuminante della Costituzione Gaudium et spes: «La Chiesa, certo, perseguendo il suo proprio fine di salvezza, non solo comunica all'uomo la vita divina, ma anche diffonde la sua luce con ripercussione, in qualche modo, su tutto il mondo, soprattutto per il fatto che risana ed eleva la dignità della persona umana, consolida la compagine dell'umana società, e immette nel lavoro quotidiano degli uomini un più profondo senso e significato. Così la Chiesa, con i singoli suoi membri e con tutta intera la sua comunità, crede di poter contribuire molto a rendere più umana la famiglia degli uomini e la sua storia»(134).

In questo contributo alla famiglia degli uomini, del quale è responsabile l'intera Chiesa, un posto particolare compete ai fedeli laici, in ragione della loro «indole secolare», che li impegna, con modalità proprie e insostituibili, nell'animazione cristiana dell'ordine temporale.

Promuovere la dignità della persona

37. Riscoprire e far riscoprire la dignità inviolabile di ogni persona umana costituisce un compito essenziale, anzi, in un certo senso, il compito centrale e unificante del servizio che la Chiesa e, in essa, i fedeli laici sono chiamati a rendere alla famiglia degli uomini.

Tra tutte le creature terrene, solo l'uomo è «persona», soggetto cosciente e libero e, proprio per questo, «centro e vertice» di tutto quanto esiste sulla terra(135).

La dignità personale è il bene più prezioso che l'uomo possiede, grazie al quale egli trascende in valore tutto il mondo materiale. La parola di Gesù: «Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?» (Mc 8, 36) implica una luminosa e stimolante affermazione antropologica: l'uomo vale non per quello che «ha» _ possedesse pure il mondo intero! _ , quanto per quello che «è». Contano non tanto i beni del mondo, quanto il bene della persona, il bene che è la persona stessa.

La dignità della persona manifesta tutto il suo fulgore quando se ne considerano l'origine e la destinazione: creato da Dio a sua immagine e somiglianza e redento dal sangue preziosissimo di Cristo, l'uomo è chiamato ad essere «figlio nel Figlio» e tempio vivo dello Spirito, ed è destinato all'eterna vita di comunione beatificante con Dio. Per questo ogni violazione della dignità personale dell'essere umano grida vendetta al cospetto di Dio e si configura come offesa al Creatore dell'uomo.

In forza della sua dignità personale l'essere umano è sempre un valore in sé e per sé, e come tale esige d'essere considerato e trattato, mai invece può essere considerato e trattato come un oggetto utilizzabile, uno strumento, una cosa.

La dignità personale costituisce il fondamento dell'eguaglianza di tutti gli uomini tra loro. Di qui l'assoluta inaccettabilità di tutte le più svariate forme di discriminazione che, purtroppo, continuano a dividere e a umiliare la famiglia umana, da quelle razziali ed economiche a quelle sociali e culturali, da quelle politiche a quelle geografiche, ecc. Ogni discriminazione costituisce un'ingiustizia del tutto intollerabile, non tanto per le tensioni e per i conflitti ch'essa può generare nel tessuto sociale, quanto per il disonore inferto alla dignità della persona: non solo alla dignità di chi è vittima dell'ingiustizia, ma ancor più di chi quell'ingiustizia compie.

Fondamento dell'uguaglianza di tutti gli uomini tra loro, la dignità personale è anche il fondamento della partecipazione e della solidarietà degli uomini tra loro: il dialogo e la comunione si radicano ultimamente su ciò che gli uomini «sono», prima e più ancora che su quanto essi «hanno».

La dignità personale è proprietà indistruttibile di ogni essere umano. E' fondamentale avvertire tutta la forza dirompente di questa affermazione, che si basa sull'unicità e sull'irripetibilità di ogni persona. Ne deriva che l'individuo è assolutamente irriducibile a tutto ciò che lo vorrebbe schiacciare e annullare nell'anonimato della collettività, dell'istituzione, della struttura, del sistema. La persona, nella sua individualità, non è un numero, non è un anello d'una catena, né un ingranaggio di un sistema. L'affermazione più radicale ed esaltante del valore di ogni essere umano è stata fatta dal Figlio di Dio nel suo incarnarsi nel seno d'una donna. Anche di questo continua a parlarci il Natale cristiano(136).

Venerare l'inviolabile diritto alla vita

38. Il riconoscimento effettivo della dignità personale di ogni essere umano esige il rispetto, la difesa e la promozione dei diritti della persona umana. Si tratta di diritti naturali, universali e inviolabili: nessuno, né il singolo, né il gruppo, né l'autorità, né lo Stato, li può modificare né tanto meno li può eliminare, perché tali diritti provengono da Dio stesso.

Ora l'inviolabilità della persona, riflesso dell'assoluta inviolabilità di Dio stesso, trova la sua prima e fondamentale espressione nell'inviolabilità della vita umana. E' del tutto falso e illusorio il comune discorso, che peraltro giustamente viene fatto, sui diritti umani _ come ad esempio sul diritto alla salute, alla casa, al lavoro, alla famiglia e alla cultura _ se non si difende con la massima risolutezza il diritto alla vita, quale diritto primo e fontale, condizione per tutti gli altri diritti della persona.

La Chiesa non si è mai data per vinta di fronte a tutte le violazioni che il diritto alla vita, proprio di ogni essere umano, ha ricevuto e continua a ricevere sia dai singoli sia dalle stesse autorità. Titolare di tale diritto è l'essere umano in ogni fase del suo sviluppo, dal concepimento sino alla morte naturale; e in ogni sua condizione, sia essa di salute o di malattia, di perfezione o di handicap, di ricchezza o di miseria. Il Concilio Vaticano II proclama apertamente: «Tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio, l'aborto, l'eutanasia e lo stesso suicidio volontario; tutto ciò che viola l'integrità della persona umana, come le mutilazioni, le torture inflitte al corpo e alla mente, gli sforzi per violentare l'intimo dello spirito; tutto ciò che offende la dignità umana, come le condizioni infraumane di vita, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, o ancora le ignominiose condizioni di lavoro con le quali i lavoratori sono trattati come semplici strumenti di guadagno, e non come persone libere e responsabili; tutte queste cose, e altre simili, sono certamente vergognose e, mentre guastano la civiltà umana, ancor più inquinano coloro che così si comportano, che non quelli che le subiscono; e ledono grandemente l'onore del Creatore»(137).

Ora se di tutti sono la missione e la responsabilità di riconoscere la dignità personale di ogni essere umano e di difenderne il diritto alla vita, alcuni fedeli laici vi sono chiamati ad un titolo particolare: tali sono i genitori, gli educatori, gli operatori della salute, e quanti detengono il potere economico e politico.

Nell'accoglienza amorosa e generosa di ogni vita umana, soprattutto se debole o malata, la Chiesa vive oggi un momento fondamentale della sua missione, tanto più necessaria quanto più dominante si è fatta una «cultura di morte». Infatti «la Chiesa fermamente crede che la vita umana, anche se debole e sofferente, è sempre uno splendido dono del Dio della bontà. Contro il pessimismo e l'egoismo, che oscurano il mondo, la Chiesa sta dalla parte della vita: e in ciascuna vita umana sa scoprire lo splendore di quel "Sì", di quell' "Amen", che è Cristo stesso (cf. 2 Cor 1, 19; Ap 3, 14). Al "no" che invade e affligge il mondo, contrappone questo vivente "Sì", difendendo in tal modo l'uomo e il mondo da quanti insidiano e mortificano la vita»(138). Tocca ai fedeli laici, che più direttamente o per vocazione o per professione sono coinvolti nell'accoglienza della vita, rendere concreto ed efficace il «sì» della Chiesa alla vita umana.

Sulle frontiere della vita umana possibilità e responsabilità nuove si sono oggi spalancate con l'enorme sviluppo delle scienze biologiche e mediche, unitamente al sorprendente potere tecnologico: l'uomo, infatti, è in grado oggi non solo di «osservare», ma anche di «manipolare» la vita umana nello stesso suo inizio e nei suoi primi stadi di sviluppo.

La coscienza morale dell'umanità non può rimanere estranea o indifferente di fronte ai passi giganteschi compiuti da una potenza tecnologica che acquista un dominio sempre più vasto e profondo sui dinamismi che presiedono alla procreazione e alle prime fasi dello sviluppo della vita umana. Forse non mai come oggi e in questo campo la sapienza si dimostra l'unica àncora di salvezza, perché l'uomo nella ricerca scientifica e in quella applicata possa agire sempre con intelligenza e con amore, ossia rispettando, anzi venerando l'inviolabile dignità personale di ogni essere umano, sin dal primo istante della sua esistenza. Ciò avviene quando con mezzi leciti, la scienza e la tecnica si impegnano nella difesa della vita e nella cura della malattia sin dagli inizi, rifiutando invece _ per la dignità stessa della ricerca _ interventi che risultano alterativi del patrimonio genetico dell'individuo e della generazione umana(139).

I fedeli laici, a vario titolo e a diverso livello impegnati nella scienza e nella tecnica, come pure nell'ambito medico, sociale, legislativo ed economico devono coraggiosamente accettare le «sfide» poste dai nuovi problemi della bioetica. Come hanno detto i Padri sinodali, «i cristiani debbono esercitare la loro responsabilità come padroni della scienza e della tecnologia, non come servi di essa (...). Nella prospettiva di quelle «sfide» morali, che stanno per essere provocate dalla nuova e immensa potenza tecnologica e che mettono in pericolo non solo i diritti fondamentali degli uomini, ma la stessa essenza biologica della specie umana, è della massima importanza che i laici cristiani _ con l'aiuto di tutta la Chiesa _ si prendano a carico di richiamare la cultura ai principi di un autentico umanesimo, affinché la promozione e la difesa dei diritti dell'uomo possano trovare fondamento dinamico e sicuro nella stessa sua essenza, quella essenza che la predicazione evangelica ha rivelato agli uomini»(140).

Urge oggi, da parte di tutti, la massima vigilanza di fronte al fenomeno della concentrazione del potere, e in primo luogo di quello tecnologico. Tale concentrazione, infatti, tende a manipolare non solo l'essenza biologica ma anche i contenuti della stessa coscienza degli uomini e i loro modelli di vita, aggravando in tal modo la discriminazione e l'emarginazione di interi popoli.

Liberi di invocare il Nome del Signore

39. Il rispetto della dignità personale, che comporta la difesa e la promozione dei diritti umani, esige il riconoscimento della dimensione religiosa dell'uomo. Non è, questa, un'esigenza semplicemente «confessionale», bensì un'esigenza che trova la sua radice inestirpabile nella realtà stessa dell'uomo. Il rapporto con Dio, infatti, è elemento costitutivo dello stesso «essere» ed «esistere» dell'uomo: è in Dio che noi «viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17, 28). Se non tutti credono a tale verità, quanti ne sono convinti hanno il diritto di essere rispettati nella loro fede e nelle scelte di vita, individuale e comunitaria, che da essa derivano. E' questo il diritto alla libertà di coscienza e alla libertà religiosa, il cui riconoscimento effettivo è tra i beni più alti e tra i doveri più gravi di ogni popolo che voglia veramente assicurare il bene della persona e della società: «La libertà religiosa, esigenza insopprimibile della dignità di ogni uomo, è una pietra angolare dell'edificio dei diritti umani e, pertanto, è un fattore insostituibile del bene delle persone e di tutta la società, così come della propria realizzazione di ciascuno. Ne consegue che la libertà dei singoli e delle comunità di professare e di praticare la propria religione è un elemento essenziale della pacifica convivenza degli uomini (...): Il diritto civile e sociale alla libertà religiosa, in quanto attinge la sfera più intima dello spirito, si rivela punto di riferimento e, in certo modo, diviene misura degli altri diritti fondamentali»(141).

Il Sinodo non ha dimenticato i tanti fratelIi e sorelle che ancora non godono di tale diritto e che devono affrontare disagi, emarginazioni, sofferenze, persecuzioni, e talvolta la morte a causa della confessione della fede. Nella maggioranza sono fratelli e sorelle del laicato cristiano. L'annuncio del Vangelo e la testimonianza cristiana della vita nella sofferenza e nel martirio costituiscono l'apice dell'apostolato dei discepoli di Cristo, così come l'amore al Signore Gesù sino al dono della propria vita costituisce una sorgente di fecondità straordinaria per l'edificazione della Chiesa. La mistica vite testimonia così la sua rigogliosità, come rilevava Sant'Agostino: «Ma quella vite, com'era stato preannunciato dai Profeti e dallo stesso Signore, che diffondeva in tutto il mondo i suoi tralci fruttuosi, tanto più diveniva rigogliosa quanto più era irrigata dal molto sangue dei martiri»(142).

La Chiesa tutta è profondamente grata per questo esempio e per questo dono: da questi suoi figli essa trae motivo per rinnovare il suo slancio di vita santa e apostolica. In tal senso i Padri sinodali hanno ritenuto loro speciale dovere «ringraziare quei laici i quali vivono come instancabili testimoni della fede, in fedele unione con la Sede Apostolica, nonostante le restrizioni della libertà e la privazione dei ministri sacri. Essi si giocano tutto, perfino la vita. I laici in questo modo danno testimonianza di una proprietà essenziale della Chiesa: la Chiesa di Dio nasce dalla grazia di Dio e ciò si manifesta nel modo più sublime nel martirio»(143).

Quanto abbiamo sinora detto sul rispetto della dignità personale e sul riconoscimento dei diritti umani riguarda senza dubbio la responsabilità di ciascun cristiano, di ciascun uomo. Ma dobbiamo immediatamente rilevare come tale problema rivesta oggi una dimensione mondiale: è, infatti, una questione che investe oramai interi gruppi umani, anzi interi popoli che sono violentemente vilipesi nei loro fondamentali diritti. Di qui quelle forme di disuguaglianza dello sviluppo tra i diversi Mondi che nella recente Enciclica Sollicitudo rei socialis sono state apertamente denunciate.

Il rispetto della persona umana va oltre la esigenza di una morale individuale e si pone come criterio basilare, quasi pilastro fondamentale, per la strutturazione della società stessa, essendo la società finalizzata interamente alla persona.

Così, intimamente congiunta alla responsabilità di servire la persona, si pone la responsabilità di servire la società, quale compito generale di quella animazione cristiana dell'ordine temporale alla quale i fedeli laici sono chiamati secondo loro proprie e specifiche modalità.

La famiglia, primo spazio per l'impegno sociale

40. La persona umana ha una nativa e strutturale dimensione sociale in quanto è chiamata dall'intimo di sé alla comunione con gli altri e alla donazione agli altri: «Dio, che ha cura paterna di tutti, ha voluto che gli uomini formassero una sola famiglia e si trattassero tra loro con animo di fratelli»(144). E così la società, frutto e segno della socialità dell'uomo, rivela la sua piena verità nell'essere una comunità di persone.

Si dà interdipendenza e reciprocità tra persona e società: tutto ciò che viene compiuto a favore della persona è anche un servizio reso alla società, e tutto ciò che viene compiuto a favore della società si risolve a beneficio della persona. Per questo l'impegno apostolico dei fedeli laici nell'ordine temporale riveste sempre e in modo inscindibile il significato del servizio all'uomo singolo nella sua unicità e irripetibilità e il significato del servizio a tutti gli uomini.

Ora la prima e originaria espressione della dimensione sociale della persona è la coppia e la famiglia: «Ma Dio non creò l'uomo lasciandolo solo: fin da principio "uomo e donna li creò" (Gen 1, 27) e la loro unione costituisce la prima forma di comunione di persone»(145). Gesù si è preoccupato di restituire alla coppia l'intera sua dignità e alla famiglia la saldezza sua propria (cf. Mt 19, 3-9); San Paolo ha mostrato il rapporto profondo del matrimonio con il mistero di Cristo e della Chiesa (cf. Ef 5, 22-6, 4; Col 3, 18-21; 1 Pt 3, 1-7).

La coppia e la famiglia costituiscono il primo spazio per l'impegno sociale dei fedeli laici. E' un impegno che può essere assolto adeguatamente solo nella convinzione del valore unico e insostituibile della famiglia per lo sviluppo della società e della stessa Chiesa.

Culla della vita e dell'amore, nella quale l'uomo «nasce» e «cresce», la famiglia è la cellula fondamentale della società. A questa comunità è da riservarsi una privilegiata sollecitudine, soprattutto ogniqualvolta l'egoismo umano, le campagne antinataliste, le politiche totalitarie, ma anche le situazioni di povertà e di miseria fisica, culturale e morale, nonché la mentalità edonistica e consumistica fanno disseccare le sorgenti della vita, mentre le ideologie e i diversi sistemi, insieme a forme di disinteresse e di disamore, attentano alla funzione educativa propria della famiglia.

Urge così un'opera vasta, profonda e sistematica, sostenuta non solo dalla cultura ma anche dai mezzi economici e dagli strumenti legislativi, destinata ad assicurare alla famiglia il suo compito di essere il luogo primario della «umanizzazione» della persona e della società.

L'impegno apostolico dei fedeli laici è anzitutto quello di rendere la famiglia cosciente della sua identità di primo nucleo sociale di base e del suo originale ruolo nella società, perché divenga essa stessa sempre più protagonista attiva e responsabile della propria crescita e della propria partecipazione alla vita sociale. In tal modo la famiglia potrà e dovrà esigere da tutti, a cominciare dalle autorità pubbliche, il rispetto di quei diritti che, salvando la famiglia, salvano la società stessa.

Quanto è scritto nell'Esortazione Familiaris consortio circa la partecipazione allo sviluppo della società(146) e quanto la Santa Sede, su invito del Sinodo dei Vescovi del 1980, ha formulato con la «Carta dei Diritti della Famiglia» rappresentano un programma operativo completo e organico per tutti quei fedeli laici che, a diverso titolo, sono interessati alla promozione dei valori e delle esigenze della famiglia: un programma la cui realizzazione è da urgere con tanta maggior tempestività e decisione quanto più gravi si fanno le minacce alla stabilità e alla fecondità della famiglia e quanto più pesante e sistematico si fa il tentativo di emarginare la famiglia e di vanificarne il peso sociale.

Come l'esperienza attesta, la civiltà e la saldezza dei popoli dipendono soprattutto dalla qualità umana delle loro famiglie. Per questo l'impegno apostolico verso la famiglia acquista un incomparabile valore sociale. La Chiesa, da parte sua, ne è profondamente convinta, ben sapendo che «l'avvenire dell'umanità passa attraverso la famiglia»(147).

La carità anima e sostegno della solidarietà

41. Il servizio alla società si esprime e si realizza in diversissime modalità: da quelle libere e informali a quelle istituzionali, dall'aiuto dato ai singoli a quello rivolto a vari gruppi e comunità di persone.

Tutta la Chiesa come tale è direttamente chiamata al servizio della carità: «La santa Chiesa, come nelle sue origini unendo l'agape con la Cena Eucaristica si manifestava tutta unita nel vincolo della carità attorno a Cristo, così, in ogni tempo, si riconosce da questo contrassegno della carità e, mentre gode delle iniziative altrui, rivendica le opere di carità come suo dovere e diritto inalienabile. Perciò la misericordia verso i poveri e gli infermi come pure le cosiddette opere caritative e di mutuo aiuto, destinate ad alleviare le necessità umane di ogni genere, sono tenute dalla Chiesa in particolare onore»(148). La carità verso il prossimo, nelle forme antiche e sempre nuove delle opere di misericordia corporale e spirituale, rappresenta il contenuto più immediato, comune e abituale di quell'animazione cristiana dell'ordine temporale che costituisce l'impegno specifico dei fedeli laici.

Con la carità verso il prossimo i fedeli laici vivono e manifestano la loro partecipazione alla regalità di Gesù Cristo, al potere cioè del Figlio dell'uomo che «non è venuto per essere servito, ma per servire» (Mc 10, 45): essi vivono e manifestano tale regalità nel modo più semplice, possibile a tutti e sempre, ed insieme nel modo più esaltante, perché la carità è il più alto dono che lo Spirito offre per l'edificazione della Chiesa (cf. 1 Cor 13, 13) e per il bene dell'umanità. La carità, infatti, anima e sostiene un'operosa solidarietà attenta alla totalità dei bisogni dell'essere umano.

Una simile carità, attuata non solo dai singoli ma anche in modo solidale dai gruppi e dalle comunità, è e sarà sempre necessaria: niente e nessuno la può e la potrà sostituire, neppure le molteplici istituzioni e iniziative pubbliche, che pure si sforzano di dare risposta ai bisogni _ spesso oggi così gravi e diffusi _ d'una popolazione. Paradossalmente tale carità si fa più necessaria quanto più le istituzioni, diventando complesse nell'organizzazione e pretendendo di gestire ogni spazio disponibile, finiscono per essere rovinate dal funzionalismo impersonale, dall'esagerata burocrazia, dagli ingiusti interessi privati, dal disimpegno facile e generalizzato.

Proprio in questo contesto continuano a sorgere e a diffondersi, in particolare nelle società organizzate, varie forme di volontariato che si esprimono in una molteplicità di servizi e di opere. Se vissuto nella sua verità di servizio disinteressato al bene delle persone, specialmente le più bisognose e le più dimenticate dagli stessi servizi sociali, il volontariato deve dirsi una espressione importante di apostolato, nel quale i fedeli laici, uomini e donne, hanno un ruolo di primo piano.

Tutti destinatari e protagonisti della politica

42. La carità che ama e serve la persona non può mai essere disgiunta dalla giustizia: e l'una e l'altra, ciascuna a suo modo, esigono il pieno riconoscimento effettivo dei diritti della persona, alla quale è ordinata la società con tutte le sue strutture ed istituzioni(149).

Per animare cristianamente l'ordine temporale, nel senso detto di servire la persona e la società, i fedeli laici non possono affatto abdicare alla partecipazione alla «politica», ossia alla molteplice e varia azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale, destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune. Come ripetutamente hanno affermato i Padri sinodali, tutti e ciascuno hanno diritto e dovere di partecipare alla politica, sia pure con diversità e complementarietà di forme, livelli, compiti e responsabilità. Le accuse di arrivismo, di idolatria del potere, di egoismo e di corruzione che non infrequentemente vengono rivolte agli uomini del governo, del parlamento, della classe dominante, del partito politico; come pure l'opinione non poco diffusa che la politica sia un luogo di necessario pericolo morale, non giustificano minimamente né lo scetticismo né l'assenteismo dei cristiani per la cosa pubblica.

E', invece, quanto mai significativa la parola del Concilio Vaticano II: «La Chiesa stima degna di lode e di considerazione l'opera di coloro che per servire gli uomini si dedicano al bene della cosa pubblica e assumono il peso delle relative responsabilità»(150).

Una politica per la persona e per la società trova il suo criterio basilare nel perseguimento del bene comune, come bene di tutti gli uomini e di tutto l'uomo, bene offerto e garantito alla libera e responsabile accoglienza delle persone, sia singole che associate: «La comunità politica _ leggiamo nella Costituzione Gaudium et spes _ esiste proprio in funzione di quel bene comune, nel quale essa trova piena giustificazione e significato e dal quale ricava il suo ordinamento giuridico, originario e proprio. Il bene comune si concreta nell'insieme di quelle condizioni della vita sociale, con le quali gli uomini, le famiglie e le associazioni possono ottenere il conseguimento più pieno della propria perfezione»(151).

Inoltre, una politica per la persona e per la società trova la sua linea costante di cammino nella difesa e nella promozione della giustizia, intesa come «virtù» alla quale tutti devono essere educati e come «forza» morale che sostiene l'impegno a favorire i diritti e i doveri di tutti e di ciascuno, sulla base della dignità personale dell'essere umano.

Nell'esercizio del potere politico è fondamentale lo spirito di servizio, che solo, unitamente alla necessaria competenza ed efficienza, può rendere «trasparente» o «pulita» l'attività degli uomini politici, come del resto la gente giustamente esige. Ciò sollecita la lotta aperta e il deciso superamento di alcune tentazioni, quali il ricorso alla slealtà e alla menzogna, lo sperpero del pubblico denaro per il tornaconto di alcuni pochi e con intenti clientelari, l'uso di mezzi equivoci o illeciti per conquistare, mantenere e aumentare ad ogni costo il potere.

I fedeli laici impegnati nella politica devono certamente rispettare l'autonomia rettamente intesa delle realtà terrene, così come leggiamo nella Costituzione Gaudium et spes: «E' di grande importanza, soprattutto in una società pluralistica, che si abbia una giusta visione dei rapporti tra la comunità politica e la Chiesa e che si faccia una chiara distinzione tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in proprio nome, come cittadini, guidati dalla coscienza cristiana, e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro pastori. La Chiesa, che, in ragione del suo ufficio e della sua competenza, in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico, è insieme il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana»(152). Nello stessotempo _ e questo è sentito oggi come urgenza e responsabilità _ i fedeli laici devono testimoniare quei valori umani ed evangelici che sono intimamente connessi con l'attività politica stessa, come la libertà e la giustizia, la solidarietà, la dedizione fedele e disinteressata al bene di tutti, lo stile semplice di vita, l'amore preferenziale per i poveri e gli ultimi. Ciò esige che i fedeli laici siano sempre più animati da una reale partecipazione alla vita della Chiesa e illuminati dalla sua dottrina sociale. In questo potranno essere accompagnati e aiutati dalla vicinanza delle comunità cristiane e dei loro Pastori(153).

Stile e mezzo per il realizzarsi d'una politica che intenda mirare al vero sviluppo umano è la solidarietà: questa sollecita la partecipazione attiva e responsabile di tutti alla vita politica, dai singoli cittadini ai gruppi vari, dai sindacati ai partiti: insieme, tutti e ciascuno, siamo destinatari e protagonisti della politica. In questo ambito, come ho scritto nell'Enciclica Sollicitudo rei socialis, la solidarietà «non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune:ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti»(154).

La solidarietà politica esige oggi d'attuarsi secondo un orizzonte che, superando la singola nazione o il singolo blocco di nazioni, si configura come propriamente continentale e mondiale.

Il frutto dell'attività politica solidale, da tutti tanto desiderato ma pur sempre tanto immaturo, è la pace. I fedeli laici non possono rimanere indifferenti, estranei e pigri di fronte a tutto ciò che è negazione e compromissione della pace: violenza e guerra, tortura e terrorismo, campi di concentramento, militarizzazione della politica, corsa agli armamenti, minaccia nucleare. Al contrario, come discepoli di Gesù Cristo «Principe della pace» (Is 9, 5) e «Nostra Pace» (Ef 2, 14), i fedeli laici devono assumersi il compito di essere «operatori di pace» (Mt 5, 9), sia mediante la conversione del «cuore», sia mediante l'azione a favore della verità, della libertà, della giustizia e della carità, che della pace sono gli irrinunciabili fondamenti(155).

Collaborando con tutti coloro che cercano veramente la pace e servendosi degli specifici organismi e istituzioni nazionali e internazionali, i fedeli laici devono promuovere un'opera educativa capillare destinata a sconfiggere l'imperante cultura dell'egoismo, dell'odio, della vendetta e dell'inimicizia e a sviluppare la cultura della solidarietà ad ogni livello. Tale solidarietà, infatti, «è via alla pace e insieme allo sviluppo»(156). In questa prospettiva i Padri sinodali hanno invitato i cristiani a rifiutare forme inaccettabili di violenza, a promuovere atteggiamenti di dialogo e di pace e ad impegnarsi per instaurare un ordine sociale e internazionale giusto(157).

Porre l'uomo al centro della vita economico-sociale

43. Il servizio alla società da parte dei fedeli laici trova un suo momento essenziale nella questione economico-sociale, la cui chiave è data dall'organizzazione del lavoro.

La gravità attuale di tali problemi, colta nel panorama dello sviluppo e secondo la proposta di soluzione da parte della dottrina sociale della Chiesa, è stata ricordata recentemente nell'Enciclica Sollicitudo rei socialis, alla quale desidero caldamente rimandare tutti, in particolare i fedeli laici.

Tra i caposaldi della dottrina sociale della Chiesa sta il principio della destinazione universale dei beni: i beni della terra sono, nel disegno di Dio, offerti a tutti gli uomini e a ciascun uomo come mezzo per lo sviluppo d'una vita autenticamente umana. Al servizio di questa destinazione si pone la proprietà privata, la quale _ proprio per questo _ possiede un'intrinseca funzione sociale. Concretamente il lavoro dell'uomo e della donna rappresenta lo strumento più comune e più immediato per lo sviluppo della vita economica, strumento che insieme costituisce un diritto e un dovere d'ogni uomo.

Tutto questo rientra in modo particolare nella missione dei fedeli laici. Il fine e il criterio della loro presenza e della loro azione sono formulati in termini generali dal Concilio Vaticano II: «Anche nella vita economico-sociale sono da onorare e da promuovere la dignità e l'integrale vocazione della persona umana come pure il bene dell'intera società. L'uomo infatti è l'autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale»(158).

Nel contesto delle sconvolgenti trasformazioni in atto nel mondo dell'economia e del lavoro, i fedeli laici siano impegnati in prima fila a risolvere i gravissimi problemi della crescente disoccupazione, a battersi per il superamento più tempestivo di numerose ingiustizie che derivano da distorte organizzazioni del lavoro, a far diventare il luogo di lavoro una comunità di persone rispettate nella loro soggettività e nel loro diritto alla partecipazione, a sviluppare nuove solidarietà tra coloro che partecipano al lavoro comune, a suscitare nuove forme di imprenditorialità e a rivedere i sistemi di commercio, di finanza e di scambi tecnologici.

A tal fine i fedeli laici devono compiere il loro lavoro con competenza professionale, con onestà umana, con spirito cristiano, come via della propria santificazione(159), secondo l'esplicito invito del Concilio: «Con il lavoro, l'uomo ordinariamente provvede alla vita propria e dei suoi familiari, comunica con gli altri e rende servizio agli uomini suoi fratelli, può praticare una vera carità e collaborare con la propria attività al completarsi della divina creazione. Ancor più: sappiamo che, offrendo a Dio il proprio lavoro, l'uomo si associa all'opera stessa redentiva di Cristo, il quale ha conferito al lavoro una elevatissima dignità, lavorando con le proprie mani a Nazareth»(160).

In rapporto alla vita economico-sociale e al lavoro si pone oggi, in modo sempre più acuto, la questione cosiddetta «ecologica». Certamente l'uomo ha da Dio stesso il compito di «dominare» le cose create e di «coltivare il giardino» del mondo; ma è un compito, questo, che l'uomo deve assolvere nel rispetto dell'immagine divina ricevuta, e quindi con intelligenza e con amore: egli deve sentirsi responsabile dei doni che Dio gli ha elargito e continuamente gli elargisce. L'uomo ha fra le mani un dono che deve passare _ e, se possibile, persino migliorato _ alle generazioni future, anch'esse destinatarie dei doni del Signore: «Il dominio accordato dal Creatore all'uomo (...) non è un potere assoluto, né si può parlare di libertà di "usare e abusare", o di disporre delle cose come meglio aggrada. La limitazione imposta dallo stesso Creatore fin dal principio, ed espressa simbolicamente con la proibizione di "mangiare il frutto dell'albero" (cf. Gen 2, 16-17), mostra con sufficiente chiarezza che, nei confronti della natura visibile (...), siamo sottomessi a leggi non solo biologiche, ma anche morali, che non si possono impunemente trasgredire. Una giusta concezione dello sviluppo non può prescindere da queste considerazioni _ relative all'uso degli elementi della natura, alla rinnovabilità delle risorse e alle conseguenze di una industrializzazione disordinata _, le quali ripropongono alla nostra coscienza la dimensione morale, che deve distinguere lo sviluppo»(161).

Evangelizzare la cultura e le culture dell'uomo

44. Il servizio alla persona e alla società umana si esprime e si attua attraverso la creazione e la trasmissione della cultura, che, specialmente ai nostri giorni, costituisce uno dei più gravi compiti della convivenza umana e dell'evoluzione sociale. Alla luce del Concilio, intendiamo per «cultura» tutti quei «mezzi con i quali l'uomo affina ed esplica le molteplici sue doti di anima e di corpo; procura di ridurre in suo potere il cosmo stesso con la conoscenza e il lavoro; rende più umana la vita sociale sia nella famiglia che in tutta la società civile, mediante il progresso del costume e delle istituzioni; infine, con l'andare del tempo, esprime, comunica e conserva nelle sue opere le grandi esperienze e aspirazioni spirituali, affinché possano servire al progresso di molti, anzi di tutto il genere umano»(162). In questo senso, la cultura deve ritenersi come il bene comune di ciascun popolo, l'espressione della sua dignità, libertà e creatività; la testimonianza del suo cammino storico. In particolare, solo all'interno e tramite la cultura la fede cristiana diventa storica e creatrice di storia.

Di fronte allo sviluppo di una cultura che si configura dissociata non solo dalla fede cristiana, ma persino dagli stessi valori umani(163); come pure di fronte ad una certa cultura scientifica e tecnologica impotente nel dare risposta alla pressante domanda di verità e di bene che brucia nel cuore degli uomini, la Chiesa è pienamente consapevole dell'urgenza pastorale che alla cultura venga riservata un'attenzione del tutto speciale.

Per questo la Chiesa sollecita i fedeli laici ad essere presenti, all'insegna del coraggio e della creatività intellettuale, nei posti privilegiati della cultura, quali sono il mondo della scuola e dell'università, gli ambienti della ricerca scientifica e tecnica, i luoghi della creazione artistica e della riflessione umanistica. Tale presenza è destinata non solo al riconoscimento e all'eventuale purificazione degli elementi della cultura esistente criticamente vagliati, ma anche alla loro elevazione mediante le originali ricchezze del Vangelo e della fede cristiana. Quanto il Concilio Vaticano II scrive circa il rapporto tra il Vangelo e la cultura rappresenta un fatto storico costante ed insieme un ideale operativo di singolare attualità e urgenza; è un programma impegnativo consegnato alla responsabilità pastorale dell'intera Chiesa e in essa alla responsabilità specifica dei fedeli laici: «La buona novella di Cristo rinnova continuamente la vita e la cultura dell'uomo decaduto, combatte e rimuove gli errori e i mali, derivanti dalla sempre minacciosa seduzione del peccato. Continuamente purifica ed eleva la moralità dei popoli (...). In tal modo la Chiesa, compiendo la sua missione, già con questo stesso fatto stimola e dà il suo contributo alla cultura umana e civile e, mediante la sua azione, anche liturgica, educa l'uomo alla libertà interiore»(164).

Meritano di essere qui riascoltate alcune espressioni particolarmente significative della Esortazione Evangelii nuntiandi di Paolo VI:

«La Chiesa evangelizza allorquando, in virtù della sola potenza divina del Messaggio che essa proclama (cf. Rom 1, 16; 1 Cor 1, 18; 2, 4), cerca di convertire la coscienza personale e insieme collettiva degli uomini, l'attività nella quale essi sono impegnati, la vita e l'ambiente concreto loro propri. Strati dell'umanità che si trasformano: per la Chiesa non si tratta soltanto di predicare il Vangelo in fasce geografiche sempre più vaste o a popolazioni sempre più estese, ma anche di raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti d'interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell'umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza. Si potrebbe esprimere tutto ciò dicendo così: occorre evangelizzare _ non in maniera decorativa, a somiglianza di vernice superficiale, ma in modo vitale, in profondità e fino alle radici _ la cultura e le culture dell'uomo (...). La rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca, come lo fu anche di altre. Occorre quindi fare tutti gli sforzi in vista di una generosa evangelizzazione della cultura, più esattamente delle culture»(165).

La via attualmente privilegiata per la creazione e per la trasmissione della cultura sono gli strumenti della comunicazione sociale(166). Anche il mondo dei mass-media, in seguito all'accelerato sviluppo innovativo e all'influsso insieme planetario e capillare sulla formazione della mentalità e del costume, rappresenta una nuova frontiera della missione della Chiesa. In particolare, la responsabilità professionale dei fedeli laici in questo campo, esercitata sia a titolo personale sia mediante iniziative ed istituzioni comunitarie, esige di essere riconosciuta in tutto il suo valore e sostenuta con più adeguate risorse materiali, intellettuali e pastorali.

Nell'impiego e nella recezione degli strumenti di comunicazione urgono sia un'opera educativa al senso critico, animato dalla passione per la verità, sia un'opera di difesa della libertà, del rispetto alla dignità personale, dell'elevazione dell'autentica cultura dei popoli, mediante il rifiuto fermo e coraggioso di ogni forma di monopolizzazione e di manipolazione.

Né a quest'opera di difesa si ferma la responsabilità pastorale dei fedeli laici: su tutte le strade del mondo, anche su quelle maestre della stampa, del cinema, della radio, della televisione e del teatro, dev'essere annunciato il Vangelo che salva.

CAPITOLO IV

GLI OPERAI DELLA VIGNA DEL SIGNORE
Buoni amministratori della multiforme grazia di Dio

La varietà delle vocazioni

45. Secondo la parabola evangelica, il «padrone di casa» chiama gli operai alla sua vigna nelle diverse ore della giornata: alcuni all'alba, altri verso le nove del mattino, altri ancora verso mezzogiorno e le tre, gli ultimi verso le cinque (cf. Mt 20, 1 ss.). Nel commento a questa pagina del Vangelo, San Gregorio Magno interpreta le ore diverse della chiamata rapportandole alle età della vita: «E' possibile applicare la diversità delle ore _ egli scrive _ alle diverse età dell'uomo. Il mattino può certo rappresentare, in questa nostra interpretazione, la fanciullezza. L'ora terza, poi, si può intendere come l'adolescenza: il sole si muove verso l'alto del cielo, cioè cresce l'ardore dell'età. La sesta ora è la giovinezza: il sole sta come nel mezzo del cielo, ossia in quest'età si rafforza la pienezza del vigore. L'anzianità rappresenta l'ora nona, perché come il sole declina dal suo alto asse così quest'età comincia a perdere l'ardore della giovinezza. L'undicesima ora è l'età di quelli molto avanzati negli anni (...). Gli operai sono, dunque, chiamati alla vigna in diverse ore, come per dire che alla vita santa uno è condotto durante la fanciullezza, un altro nella giovinezza, un altro nell'anzianità e un altro nell'età più avanzata»(167).

Possiamo riprendere ed estendere il commento di San Gregorio Magno in rapporto alla straordinaria varietà di presenze nella Chiesa, tutte e ciascuna chiamate a lavorare per l'avvento del Regno di Dio secondo la diversità di vocazioni e situazioni, carismi e ministeri. E' una varietà legata non solo all'età, ma anche alla differenza di sesso e alla diversità delle doti, come pure alle vocazioni e alle condizioni di vita; è una varietà che rende più viva e concreta la ricchezza della Chiesa.

Giovani, bambini, anziani

I giovani, speranza della Chiesa

46. Il Sinodo ha voluto riservare un'attenzione particolare ai giovani. E giustamente. In tanti paesi del mondo, essi rappresentano la metà dell'intera popolazione e, spesso, la metà numerica dello stesso Popolo di Dio che in quei paesi vive.

Già sotto questo aspetto i giovani costituiscono una forza eccezionale e sono una grande sfida per l'avvenire della Chiesa. Nei giovani, infatti, la Chiesa legge il suo camminare verso il futuro che l'attende e trova l'immagine e il richiamo di quella lieta giovinezza di cui lo Spirito di Cristo costantemente l'arricchisce. In questo senso il Concilio ha definito i giovani «speranza della Chiesa»(168).

Nella lettera scritta ai giovani e alle giovani del mondo, il 31 marzo 1985, leggiamo: «La Chiesa guarda i giovani; anzi, la Chiesa in modo speciale guarda se stessa nei giovani, in voi tutti ed insieme in ciascuna e in ciascuno di voi. Così è stato sin dall'inizio, dai tempi apostolici. Le parole di san Giovanni nella sua Prima Lettera possono essere una particolare testimonianza: "Scrivo a voi, giovani, perché avete vinto il maligno. Ho scritto a voi, figlioli, perché avete conosciuto il Padre (...). Ho scritto a voi, giovani, perché siete forti, e la parola di Dio dimora in voi" (1 Gv 2, 13 ss.) (...). Nella nostra generazione, al termine del secondo Millennio dopo Cristo, anche la Chiesa guarda se stessa nei giovani»(169).

I giovani non devono essere considerati semplicemente come l'oggetto della sollecitudine pastorale della Chiesa: sono di fatto, e devono venire incoraggiati ad esserlo, soggetti attivi, protagonisti dell'evangelizzazione e artefici del rinnovamento sociale(170). La giovinezza è il tempo di una scoperta particolarmente intensa del proprio «io» e del proprio «progetto di vita», è il tempo di una crescita che deve avvenire «in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2, 52).

Come hanno detto i Padri sinodali, «la sensibilità dei giovani percepisce profondamente i valori della giustizia, della non violenza e della pace. Il loro cuore è aperto alla fraternità, alla amicizia e alla solidarietà. Sono mobilitati al massimo per le cause che riguardano la qualità della vita e la conservazione della natura. Ma essi sono anche carichi di inquietudini, di delusioni, di angosce e paure del mondo, oltre che delle tentazioni proprie del loro stato»(171).

La Chiesa deve rivivere l'amore di predilezione che Gesù ha testimoniato al giovane del Vangelo: «Gesù, fissatolo, lo amò» (Mc 10, 21). Per questo la Chiesa non si stanca di annunciare Gesù Cristo, di proclamare il suo Vangelo come l'unica e sovrabbondante risposta alle più radicali aspirazioni dei giovani, come la proposta forte ed esaltante di una sequela personale («vieni e seguimi» [Mc 10, 21]), che comporta la condivisione all'amore filiale di Gesù per il Padre e la partecipazione alla sua missione di salvezza per l'umanità.

La Chiesa ha tante cose da dire ai giovani, e i giovani hanno tante cose da dire alla Chiesa. Questo reciproco dialogo, da attuarsi con grande cordialità, chiarezza e coraggio, favorirà l'incontro e lo scambio tra le generazioni, e sarà fonte di ricchezza e di giovinezza per la Chiesa e per la società civile. Nel suo messaggio ai giovani il Concilio dice: «La Chiesa vi guarda con fiducia e con amore (...). Essa è la vera giovinezza del mondo (...), guardatela e troverete in lei il volto di Cristo»(172).

I bambini e il regno dei cieli

47. I bambini sono certamente il termine dell'amore delicato e generoso del Signore Gesù: ad essi riserva la sua benedizione e ancor più assicura il regno dei cieli (cf. Mt 19, 13-15; Mc 10, 14). In particolare Gesù esalta il ruolo attivo che i piccoli hanno nel Regno di Dio: sono il simbolo eloquente e la splendida immagine di quelle condizioni morali e spirituali che sono essenziali per entrare nel Regno di Dio e per viverne la logica di totale affidamento al Signore: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perché chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio accoglie me» (Mt 18, 3-5; cf. Lc 9, 48).

I bambini ci ricordano che la fecondità missionaria della Chiesa ha la sua radice vivificante non nei mezzi e nei meriti umani, ma nel dono assolutamente gratuito di Dio. La vita di innocenza e di grazia dei bambini, come pure le sofferenze loro ingiustamente inflitte, ottengono, in virtù della Croce di Cristo, uno spirituale arricchimento per loro e per l'intera Chiesa: di questo tutti dobbiamo prendere più viva e grata coscienza.

Si deve riconoscere, inoltre, che anche nell'età dell'infanzia e della fanciullezza sono aperte preziose possibilità operative sia per l'edificazione della Chiesa che per l'umanizzazione della società. Quanto il Concilio dice della presenza benefica e costruttiva dei figli all'interno della famiglia «chiesa domestica»: «I figli, come membra vive della famiglia, contribuiscono pure a loro modo alla santificazione dei genitori»(173) dev'essere ripetuto dei bambini in rapporto alla Chiesa particolare e universale. Lo rilevava già Jean Gerson, teologo ed educatore del xv secolo, per il quale «i fanciulli e gli adolescenti non sono certo una parte trascurabile della Chiesa»(174).

Gli anziani e il dono della sapienza

48. Alle persone anziane, spesso ingiustamente ritenute inutili se non addirittura d'insopportabile peso, ricordo che la Chiesa chiede e attende che esse abbiano a continuare la loro missione apostolica e missionaria, non solo possibile e doverosa anche a quest'età, ma da questa stessa età resa in qualche modo specifica e originale.

La Bibbia ama presentare l'anziano come il simbolo della persona ricca di sapienza e di timore di Dio (cf. Sir 25, 4-6). In questo senso il «dono» dell'anziano potrebbe qualificarsi come quello di essere, nella Chiesa e nella società, il testimone della tradizione di fede (cf. Sal 44, 2; Es 12, 26-27), il maestro di vita (cf. Sir 6, 34; 8, 11-12), l'operatore di carità.

Ora l'aumentato numero di persone anziane in diversi paesi del mondo e la cessazione anticipata dell'attività professionale e lavorativa aprono uno spazio nuovo al compito apostolico degli anziani: è un compito da assumersi superando con decisione la tentazione di rifugiarsi nostalgicamente in un passato che non ritorna più o di rifuggire da un impegno presente per le difficoltà incontrate in un mondo dalle continue novità; e prendendo sempre più chiara coscienza che il proprio ruolo nella Chiesa e nella società non conosce affatto soste dovute all'età, bensì conosce solo modi nuovi. Come dice il salmista: «Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti e rigogliosi, per annunziare quanto è retto il Signore» (Sal 92, 15-16). Ripeto quanto ho detto durante la celebrazione del Giubileo degli Anziani: «L'ingresso nella terza età è da considerarsi un privilegio: non solo perché non tutti hanno la fortuna di raggiungere questo traguardo, ma anche e soprattutto perché questo è il periodo delle possibilità concrete di riconsiderare meglio il passato, di conoscere e di vivere più profondamente il mistero pasquale, di divenire esempio nella Chiesa a tutto il Popolo di Dio (...). Nonostante la complessità dei vostri problemi da risolvere, le forze che progressivamente si affievoliscono, e malgrado le insufficienze delle organizzazioni sociali, i ritardi della legislazione ufficiale, le incomprensioni di una società egoistica, voi non siete né dovete sentirvi ai margini della vita della Chiesa, elementi passivi di un mondo in eccesso di movimento, ma soggetti attivi di un periodo umanamente e spiritualmente fecondo dell'esistenza umana. Avete ancora una missione da compiere, un contributo da dare. Secondo il progetto divino ogni singolo essere umano è una vita in crescita, dalla prima scintilla dell'esistenza fino all'ultimo respiro»(175).

Donne e uomini

49. I Padri sinodali hanno riservato una speciale attenzione alla condizione e al ruolo della donna, secondo un duplice intento: riconoscere e invitare a riconoscere, da parte di tutti ed ancora una volta, l'indispensabile contributo della donna all'edificazione della Chiesa e allo sviluppo della società; operare, inoltre, un'analisi più specifica circa la partecipazione della donna alla vita e alla missione della Chiesa.

Riferendosi a Giovanni XXIII, che vide nella coscienza femminile della propria dignità e nell'ingresso delle donne nella vita pubblica un segno dei nostri tempi(176), i Padri del Sinodo hanno affermato ripetutamente e fortemente, di fronte alle forme più varie di discriminazioni e di emarginazioni alle quali soggiace la donna a motivo del suo semplice essere donna, l'urgenza di difendere e di promuovere la dignità personale della donna, e quindi la sua eguaglianza con l'uomo.

Se di tutti nella Chiesa e nella società è questo compito, lo è in particolare delle donne, che si devono sentire impegnate come protagoniste in prima linea. C'è ancora tanto sforzo da compiere, in più parti del mondo e in diversi ambiti, perché sia distrutta quella ingiusta e deleteria mentalità che considera l'essere umano come una cosa, come un oggetto di compra-vendita, come uno strumento dell'interesse egoistico o del solo piacere, tanto più che di tale mentalità la prima vittima è proprio la donna stessa. Al contrario, solo l'aperto riconoscimento della dignità personale della donna costituisce il primo passo da compiere per promuoverne la piena partecipazione sia alla vita ecclesiale che a quella sociale e pubblica. Si deve dare risposta più ampia e decisiva alla richiesta fatta dall'Esortazione Familiaris consortio circa le molteplici discriminazioni delle quali le donne sono vittime: «che da parte di tutti si svolga un'azione pastorale specifica più vigorosa e incisiva, affinché esse siano definitivamente vinte, così da giungere alla stima piena dell'immagine di Dio che risplende in tutti gli esseri umani, nessuno escluso»(177). Nella stessa linea i Padri sinodali hanno affermato: «La Chiesa, come espressione della sua missione, deve opporsi con fermezza contro tutte le forme di discriminazione e di abuso delle donne»(178). E ancora: «La dignità della donna, gravemente ferita nell'opinione pubblica, dev'essere ricuperata per mezzo dell'effettivo rispetto dei diritti della persona umana e per mezzo della pratica della dottrina della Chiesa»(179).

In particolare, circa la partecipazione attiva e responsabile alla vita e alla missione della Chiesa, è da rilevarsi come già il Concilio Vaticano II sia stato oltre modo esplicito nel sollecitarla: «Poiché ai nostri giorni le donne prendono sempre più parte attiva in tutta la vita della società, è di grande importanza una loro più larga partecipazione anche nei vari campi dell'apostolato della Chiesa»(180).

La coscienza che la donna, con i doni e i compiti propri, ha una sua specifica vocazione è andata crescendo e approfondendosi nel periodo post-conciliare, ritrovando la sua ispirazione più originale nel Vangelo e nella storia della Chiesa. Per il credente, infatti, il Vangelo, ossia la parola e l'esempio di Gesù Cristo, rimane il punto di riferimento necessario e decisivo: ed è quanto mai fecondo ed innovativo anche per l'attuale momento storico.

Pur non chiamate all'apostolato proprio dei Dodici, e quindi al sacerdozio ministeriale, molte donne accompagnano Gesù nel suo ministero e assistono il gruppo degli Apostoli (cf. Lc 8, 2-3); sono presenti sotto la Croce (cf. Lc 23, 49); assistono alla sepoltura di Gesù (cf. Lc 23, 55) e il mattino di Pasqua ricevono e trasmettono l'annuncio della risurrezione (cf. Lc 24, 1-10); pregano con gli Apostoli nel Cenacolo nell'attesa della Pentecoste (cf. At 1, 14).

Nella scia del Vangelo, la Chiesa delle origini si distacca dalla cultura del tempo e chiama la donna a compiti connessi con l'evangelizzazione. Nelle sue Lettere l'apostolo Paolo ricorda, anche per nome, numerose donne per le loro varie funzioni all'interno e al servizio delle prime comunità ecclesiali (cf. Rom 16, 1-15; Fil 4, 2-3; Col 4, 15 e 1 Cor 11, 5; 1 Tim 5, 16). «Se la testimonianza degli Apostoli fonda la Chiesa _ ha detto Paolo VI _, quella delle donne contribuisce grandemente a nutrire la fede delle comunità cristiane»(181).

E come alle origini, così nello sviluppo successivo la Chiesa ha sempre conosciuto, anche se in differenti modi e con accentuazioni diverse, donne che hanno esercitato un ruolo talvolta decisivo e svolto compiti di valore considerevole per la Chiesa stessa. E' una storia d'immensa operosità, il più delle volte umile e nascosta ma non per questo meno decisiva per la crescita e per la santità della Chiesa. E' necessario che questa storia sia continuata, anzi che si allarghi e si intensifichi di fronte all'accresciuta e universalizzata consapevolezza della dignità personale della donna e della sua vocazione, nonché di fronte all'urgenza di una «nuova evangelizzazione» e di una maggiore «umanizzazione» delle relazioni sociali.

Raccogliendo la consegna del Concilio Vaticano II, nella quale si specchia il messaggio del Vangelo e della storia della Chiesa, i Padri del Sinodo hanno formulato, tra le altre, questa precisa «raccomandazione»: «E' necessario che la Chiesa, per la sua vita e la sua missione, riconosca tutti i doni delle donne e degli uomini e li traduca in pratica»(182). E ancora: «Questo Sinodo proclama che la Chiesa esige il riconoscimento e l'utilizzazione di tutti questi doni, esperienze e attitudini degli uomini e delle donne perché la sua missione risulti più efficace (cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Instructio de libertate christiana et liberatione, 72)»(183).

Fondamenti antropologici e teologici

50. La condizione per assicurare la giusta presenza della donna nella Chiesa e nella società è una considerazione più penetrante e accurata dei fondamenti antropologici della condizione maschile e femminile, destinata a precisare l'identità personale propria della donna nel suo rapporto di diversità e di reciproca complementarietà con l'uomo, non solo per quanto riguarda i ruoli da tenere e le funzioni da svolgere, ma anche e più profondamente per quanto riguarda la sua struttura e il suo significato personale. I Padri sinodali hanno sentito vivamente questa esigenza affermando che «i fondamenti antropologici e teologici hanno bisogno di studi approfonditi per la risoluzione dei problemi relativi al vero significato e alla dignità di ambedue i sessi»(184).

Impegnandosi nella riflessione sui fondamenti antropologici e teologici della condizione femminile, la Chiesa si rende presente nel processo storico dei vari movimenti di promozione della donna e, scendendo alle radici stesse dell'essere personale della donna, vi apporta il suo contributo più prezioso. Ma prima e più ancora la Chiesa intende, in tal modo, obbedire a Dio che, creando l'uomo «a sua immagine», «maschio e femmina li creò» (Gen 1, 27); così come intende accogliere la chiamata di Dio a conoscere, ad ammirare e a vivere il suo disegno. E' un disegno che «al principio» è stato indelebilmente impresso nello stesso essere della persona umana _ uomo e donna _ e, pertanto, nelle sue strutture significative e nei suoi profondi dinamismi. Proprio questo disegno, sapientissimo e amoroso, chiede di essere esplorato in tutta la ricchezza del suo contenuto: è la ricchezza che dal «principio» si è venuta poi progressivamente manifestando e attuando lungo l'intera storia della salvezza, ed è culminata nella «pienezza del tempo», allorquando «Dio mandò il suo Figlio, nato da donna» (Gal 4, 4). Quella «pienezza» continua nella storia: la lettura del disegno di Dio sulla donna è incessantemente operata e da operarsi nella fede della Chiesa, anche grazie alla vita vissuta di tante donne cristiane. Senza dimenticare l'aiuto che può venire dalle diverse scienze umane e dalle varie culture: queste, grazie ad un illuminato discernimento, potranno aiutare a cogliere e a precisare i valori e le esigenze che appartengono all'essenza perenne della donna e quelli legati all'evolversi storico delle culture stesse. Come ci ricorda il Concilio Vaticano II, «la Chiesa afferma che al di sotto di tutti i mutamenti ci sono molte cose che non cambiano: esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli (cf. Ebr 13, 8)»(185).

Sui fondamenti antropologici e teologici della dignità personale della donna si sofferma la Lettera Apostolica sulla dignità e sulla vocazione della donna. Il documento, che riprende, prosegue e specifica le riflessioni della catechesi del mercoledì dedicata per lungo tempo alla «teologia del corpo», vuole essere insieme l'adempimento di una promessa fatta nell'Enciclica Redemptoris Mater(186) e la risposta alla richiesta dei Padri sinodali.

La lettura della Lettera Mulieris dignitatem, anche per il suo carattere di meditazione biblicoteologica, potrà stimolare tutti, uomini e donne, e in particolare i cultori delle scienze umane e delle discipline teologiche, a proseguire nello studio critico così da approfondire sempre meglio, sulla base della dignità personale dell'uomo e della donna e della loro reciproca relazione, i valori ed i doni specifici della femminilità e della mascolinità, non solo nell'ambito del vivere sociale ma anche e soprattutto in quello dell'esistenza cristiana ed ecclesiale.

La meditazione sui fondamenti antropologici e teologici della donna deve illuminare e guidare la risposta cristiana alla domanda così frequente, e talvolta così acuta, circa lo «spazio» che la donna può e deve avere nella Chiesa e nella società.

Dalla parola e dall'atteggiamento di Cristo, che sono normativi per la Chiesa, risulta con grande chiarezza che nessuna discriminazione esiste sul piano del rapporto con Cristo, nel quale «non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3, 28) e sul piano della partecipazione alla vita e alla santità della Chiesa, come splendidamente attesta la profezia di Gioele realizzatasi con la Pentecoste: «Io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie» (Gl 3, 1; cf. At 2, 17 ss.). Come si legge nella Lettera Apostolica sulla dignità e sulla vocazione della donna, «tutt'e due _ la donna come l'uomo _ (...) sono suscettibili in eguale misura dell'elargizione della verità divina e dell'amore nello Spirito Santo. Ambedue accolgono le sue "visite" salvifiche e santificanti»(187).

Missione nella Chiesa e nel mondo

51. Circa poi la partecipazione alla missione apostolica della Chiesa, non c'è dubbio che, in forza del Battesimo e della Cresima, la donna _ come l'uomo _ è resa partecipe del triplice ufficio di Gesù Cristo Sacerdote, Profeta, Re, e quindi è abilitata e impegnata all'apostolato fondamentale della Chiesa: l'evangelizzazione. D'altre parte, proprio nel compimento di questo apostolato, la donna è chiamata a mettere in opera i suoi «doni» propri: anzitutto, il dono che è la sua stessa dignità personale, mediante la parola e la testimonianza di vita; i doni, poi, connessi con la sua vocazione femminile.

Nella partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa la donna non può ricevere il sacramento dell'Ordine e, pertanto, non può compiere le funzioni proprie del sacerdozio ministeriale. E' questa una disposizione che la Chiesa ha sempre ritrovato nella precisa volontà, totalmente libera e sovrana, di Gesù Cristo che ha chiamato solo uomini come suoi apostoli(188); una disposizione che può trovare luce nel rapporto tra Cristo Sposo e la Chiesa Sposa(189). Siamo nell'ambito della funzione, non della dignità e della santità. Si deve, in realtà, affermare: «Anche se la Chiesa possiede una struttura "gerarchica", tuttavia tale struttura è totalmente ordinata alla santità delle membra di Cristo»(190).

Ma, come già diceva Paolo VI, se «noi non possiamo cambiare il comportamento di nostro Signore né la chiamata da Lui rivolta alle donne, però dobbiamo riconoscere e promuovere il ruolo delle donne nella missione evangelizzatrice e nella vita della comunità cristiana»(191).

E' del tutto necessario passare dal riconoscimento teorico della presenza attiva e responsabile della donna nella Chiesa alla realizzazione pratica. E in questo preciso senso deve leggersi la presente Esortazione che si rivolge ai fedeli laici, con la deliberata e ripetuta specificazione «uomini e donne». Inoltre il nuovo Codice di Diritto Canonico contiene molteplici disposizioni sulla partecipazione della donna alla vita e alla missione della Chiesa: sono disposizioni che esigono d'essere più comunemente conosciute e, sia pure secondo le diverse sensibilità culturali e opportunità pastorali, attuate con maggiore tempestività e risoluzione.

Si pensi, ad esempio, alla partecipazione delle donne ai Consigli pastorali diocesani e parrocchiali, come pure ai Sinodi diocesani e ai Concili particolari. In questo senso i Padri sinodali hanno scritto: «Le donne partecipino alla vita della Chiesa senza alcuna discriminazione, anche nelle consultazioni e nell'elaborazione di decisioni»(192). E ancora: «Le donne, le quali hanno già una grande importanza nella trasmissione della fede e nel prestare servizi di ogni genere nella vita della Chiesa, devono essere associate alla preparazione dei documenti pastorali e delle iniziative missionarie e devono essere riconosciute come cooperatrici della missione della Chiesa nella famiglia, nella professione e nella comunità civile»(193).

Nell'ambito più specifico dell'evangelizzazione e della catechesi è da promuovere con più forza il compito particolare che la donna ha nella trasmissione della fede, non solo nella famiglia ma anche nei più diversi luoghi educativi e, in termini più ampi, in tutto ciò che riguarda l'accoglienza della Parola di Dio, la sua comprensione e la sua comunicazione, anche mediante lo studio, la ricerca e la docenza teologica.

Mentre adempirà il suo impegno di evangelizzazione, la donna sentirà più vivo il bisogno di essere evangelizzata. Così, con gli occhi illuminati dalla fede (cf. Ef 1, 18), la donna potrà distinguere ciò che veramente risponde alla sua dignità personale e alla sua vocazione da tutto ciò che, magari sotto il pretesto di questa «dignità» e nel nome della «libertà» e del «progresso», fa sì che la donna non serva al consolidamento dei veri valori ma, al contrario, diventi responsabile del degrado morale delle persone, degli ambienti e della società. Operare un simile «discernimento» è un'urgenza storica indilazionabile e, nello stesso tempo, è una possibilità e un'esigenza che derivano dalla partecipazione all'ufficio profetico di Cristo e della sua Chiesa da parte della donna cristiana. Il «discernimento», di cui parla più volte l'apostolo Paolo, non è solo valutazione delle realtà e degli avvenimenti alla luce della fede; è anche decisione concreta e impegno operativo, non solo nell'ambito della Chiesa ma anche in quello della società umana.

Si può dire che tutti i problemi del mondo contemporaneo, di cui già parlava la seconda parte della Costituzione conciliare Gaudium et spes e che il tempo non ha affatto né risolto né attutito, devono vedere le donne presenti e impegnate, e precisamente con il loro contributo tipico e insostituibile.

In particolare, due grandi compiti affidati alla donna meritano di essere riproposti all'attenzione di tutti.

Il compito, anzitutto, di dare piena dignità alla vita matrimoniale e alla maternità. Nuove possibilità si aprono oggi alla donna per una comprensione più profonda e per una realizzazione più ricca dei valori umani e cristiani implicati nella vita coniugale e nell'esperienza della maternità: l'uomo stesso _ il marito e il padre _ può superare forme di assenteismo o di presenza episodica e parziale, anzi può coinvolgersi in nuove e significative relazioni di comunione interpersonale, proprio grazie all'intervento intelligente, amorevole e decisivo della donna.

Il compito, poi, di assicurare la dimensione morale della cultura, la dimensione cioè di una cultura degna dell'uomo, della sua vita personale e sociale. Il Concilio Vaticano II sembra collegare la dimensione morale della cultura con la partecipazione dei laici alla missione regale di Cristo: «I laici, anche mettendo in comune la loro forza, risanino le istituzioni e le condizioni di vita del mondo, se ve ne sono che spingono i costumi al peccato, così che tutte siano rese conformi alle norme della giustizia e, anziché ostacolare, favoriscano l'esercizio delle virtù. Così agendo impregneranno di valore morale la cultura e i lavori dell'uomo»(194).

Man mano che la donna partecipa attivamente e responsabilmente alla funzione delle istituzioni, dalle quali dipende la salvaguardia del primato dovuto ai valori umani nella vita delle comunità politiche, le parole del Concilio ora citate indicano un importante campo d'apostolato della donna: in tutte le dimensioni della vita di queste comunità, dalla dimensione socio-economica a quella socio-politica, devono essere rispettate e promosse la dignità personale della donna e la sua specifica vocazione: nell'ambito non solo individuale ma anche comunitario, non solo in forme lasciate alla libertà responsabile delle persone ma anche in forme garantite da leggi civili giuste.

«Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto a lui simile» (Gen 2, 18). Alla donna Dio Creatore ha affidato l'uomo. Certo, l'uomo è stato affidato ad ogni uomo, ma in modo particolare alla donna, perché proprio la donna sembra avere una specifica sensibilità, grazie alla speciale esperienza della sua maternità, per l'uomo e per tutto ciò che costituisce il suo vero bene, a cominciare dal fondamentale valore della vita. Quanto grandi sono le possibilità e le responsabilità della donna in questo campo, in un tempo nel quale lo sviluppo della scienza e della tecnica non è sempre ispirato e misurato dalla vera sapienza, con l'inevitabile rischio di «disumanizzare» la vita umana, soprattutto quando essa esigerebbe amore più intenso e più generosa accoglienza.

La partecipazione della donna alla vita della Chiesa e della società, mediante i suoi doni, costituisce insieme la strada necessaria per la sua realizzazione personale _ sulla quale oggi giustamente tanto si insiste _ e il contributo originale della donna all'arricchimento della comunione ecclesiale e al dinamismo apostolico del Popolo di Dio.

In questa prospettiva si deve considerare la presenza anche dell'uomo, insieme alla donna.

Compresenza e collaborazione degli uomini e delle donne

52. Non è mancata nell'aula sinodale la voce di quanti hanno espresso il timore che un'eccessiva insistenza portata sulla condizione e sul ruolo delle donne potesse sfociare in un'inaccettabile dimenticanza: quella, appunto, riguardante gli uomini. In realtà diverse situazioni ecclesiali devono lamentare l'assenza o la troppo scarsa presenza degli uomini, una parte dei quali abdica alle proprie responsabilità ecclesiali, lasciando che siano assolte soltanto dalle donne: così, ad esempio, la partecipazione alla preghiera liturgica in Chiesa, l'educazione e in particolare la catechesi ai propri figli e ad altri fanciulli, la presenza ad incontri religiosi e culturali, la collaborazione ad iniziative caritative e missionarie.

E' allora da urgere pastoralmente la presenza coordinata degli uomini e delle donne perché sia resa più completa, armonica e ricca la partecipazione dei fedeli laici alla missione salvifica della Chiesa.

La ragione fondamentale che esige e spiega la compresenza e la collaborazione degli uomini e delle donne non è solo, come ora si è rilevato, la maggiore significatività ed efficacia dell'azione pastorale della Chiesa; né, tanto meno, il semplice dato sociologico di una convivenza umana che è naturalmente fatta di uomini e di donne. E', piuttosto, il disegno originario del Creatore che dal «principio» ha voluto l'essere umano come «unità dei due», ha voluto l'uomo e la donna come prima comunità di persone, radice di ogni altra comunità, e, nello stesso tempo, come «segno» di quella comunione interpersonale d'amore che costituisce la misteriosa vita intima di Dio Uno e Trino.

Proprio per questo il modo più comune e capillare, e nello stesso tempo fondamentale, per assicurare questa presenza coordinata e armonica di uomini e di donne nella vita e nella missione della Chiesa, è l'esercizio dei compiti e delle responsabilità della coppia e della famiglia cristiana, nel quale traspare e si comunica la varietà delle diverse forme di amore e di vita: la forma coniugale, paterna e materna, filiale e fraterna. Leggiamo nell'Esortazione Familiaris consortio: «Se la famiglia cristiana è comunità, i cui vincoli sono rinnovati da Cristo mediante la fede e i sacramenti, la sua partecipazione alla missione della Chiesa deve avvenire secondo una modalità comunitaria: insieme, dunque i coniugi in quanto coppia, i genitori e i figli in quanto famiglia, devono vivere il loro servizio alla Chiesa e al mondo (...). La famiglia cristiana, poi, edifica il Regno di Dio nella storia mediante quelle stesse realtà quotidiane che riguardano e contraddistinguono la sua condizione di vita: è allora nell'amore coniugale e familiare _ vissuto nella sua straordinaria ricchezza di valori ed esigenze di totalità, unicità, fedeltà e fecondità _ che si esprime e si realizza la partecipazione della famiglia cristiana alla missione profetica, sacerdotale e regale di Gesù Cristo e della sua Chiesa»(195).

Situandosi in questa prospettiva, i Padri sinodali hanno ricordato il significato che il sacramento del Matrimonio deve assumere nella Chiesa e nella società per illuminare e ispirare tutte le relazioni tra l'uomo e la donna. In tal senso hanno ribadito «l'urgente necessità che ciascun cristiano viva e annunci il messaggio di speranza contenuto nella relazione tra l'uomo e la donna Il sacramento del Matrimonio, che consacra questa relazione nella sua forma coniugale e la rivela come segno della relazione di Cristo con la sua Chiesa, contiene un insegnamento di grande importanza per la vita della Chiesa; questo insegnamento deve arrivare per mezzo della Chiesa al mondo di oggi; tutte le relazioni tra l'uomo e la donna debbono ispirarsi a questo spirito. La Chiesa deve utilizzare queste ricchezze ancora più pienamente»(196). Gli stessi Padri hanno giustamente rilevato che «la stima della verginità e il rispetto della maternità debbono ambedue essere ricuperate»(197): ancora una volta per lo sviluppo di vocazioni diverse e complementari nel contesto vivo della comunione ecclesiale e al servizio della sua continua crescita.

Malati e sofferenti

53. L'uomo è chiamato alla gioia ma fa quotidiana esperienza di tantissime forme di sofferenza e di dolore. Agli uomini e alle donne colpiti dalle più varie forme di sofferenza e di dolore i Padri sinodali si sono rivolti nel loro finale Messaggio con queste parole: «Voi abbandonati ed emarginati dalla nostra società consumistica; voi malati, handicappati, poveri, affamati, emigranti, profughi, prigionieri, disoccupati, anziani, bambini abbandonati e persone sole; voi, vittime della guerra e di ogni violenza emananti dalla nostra società permissiva. La Chiesa partecipa alla vostra sofferenza conducente al Signore, che vi associa alla sua Passione redentrice e vi fa vivere alla luce della sua Redenzione. Contiamo su di voi per insegnare al mondo intero che cosa è l'amore. Faremo tutto il possibile perché troviate il posto di cui avete diritto nella società e nella Chiesa»(198).

Nel contesto di un mondo sconfinato come quello della sofferenza umana, rivolgiamo ora l'attenzione a quanti sono colpiti dalla malattia nelle sue diverse forme: i malati, infatti, sono l'espressione più frequente e più comune del soffrire umano.

A tutti e a ciascuno è rivolto l'appello del Signore: anche i malati sono mandati come operai nella sua vigna. Il peso, che affatica le membra del corpo e scuote la serenità dell'anima, lungi dal distoglierli dal lavorare nella vigna, li chiama a vivere la loro vocazione umana e cristiana ed a partecipare alla crescita del Regno di Dio in modalità nuove, anche più preziose. Le parole dell'apostolo Paolo devono divenire il loro programma e, prima ancora, sono luce che fa splendere ai loro occhi il significato di grazia della loro stessa situazione: «Completo quello che manca ai patimenti di Cristo nella mia carne, in favore del suo corpo, che è la Chiesa» (Col 1, 24). Proprio facendo questa scoperta, l'apostolo è approdato alla gioia: «Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi» (Col 1, 24). Similmente molti malati possono diventare portatori della «gioia dello Spirito Santo in molte tribolazioni» (1 Tess 1, 6) ed essere testimoni della Risurrezione di Gesù. Come ha espresso un handicappato nel suo intervento in aula sinodale, «è di grande importanza porre in luce il fatto che i cristiani che vivono in situazioni di malattia, di dolore e di vecchiaia, non sono invitati da Dio soltanto ad unire il proprio dolore con la Passione di Cristo, ma anche ad accogliere già ora in se stessi e a trasmettere agli altri la forza del rinnovamento e la gioia di Cristo risuscitato (cf. 2 Cor 4, 10-11; 1 Pt 4, 13; Rm 8, 18 ss.)»(199). Da parte sua _ come si legge nella Lettera Apostolica Salvifici doloris _ «la Chiesa, che nasce dal mistero della redenzione nella Croce di Cristo, è tenuta a cercare l'incontro con l'uomo in modo particolare sulla via della sofferenza. In un tale incontro l'uomo "diventa la via della Chiesa", ed è, questa, una delle vie più importanti»(200). Ora l'uomo sofferente è via della Chiesa perché egli è, anzitutto, via di Cristo stesso, il buon Samaritano che «non passa oltre», ma «ne ha compassione, si fa vicino (...) gli fascia le ferite (...) si prende cura di lui» (Lc 10, 32-34).

La comunità cristiana ha ritrascritto, di secolo in secolo nell'immensa moltitudine delle persone malate e sofferenti, la parabola evangelica del buon Samaritano, rivelando e comunicando l'amore di guarigione e di consolazione di Gesù Cristo. Ciò è avvenuto mediante la testimonianza della vita religiosa consacrata al servizio degli ammalati e mediante l'infaticabile impegno di tutti gli operatori sanitari. Oggi, anche negli stessi ospedali e case di cura cattolici si fa sempre più numerosa, e talvolta anche totale ed esclusiva, la presenza dei fedeli laici, uomini e donne: proprio loro, medici, infermieri, altri operatori della salute, volontari, sono chiamati ad essere l'immagine viva di Cristo e della sua Chiesa nell'amore verso i malati e i sofferenti.

Azione pastorale rinnovata

54. E' necessario che questa preziosissima eredità, che la Chiesa ha ricevuto da Gesù Cristo «medico di carne e di spirito»(201), non solo non venga mai meno, ma sia sempre più valorizzata e arricchita attraverso una ripresa e un rilancio deciso di un'azione pastorale per e con i malati e i sofferenti. Dev'essere un'azione capace di sostenere e di promuovere attenzione, vicinanza, presenza, ascolto, dialogo, condivisione e aiuto concreto verso l'uomo nei momenti nei quali, a causa della malattia e della sofferenza, sono messe a dura prova non solo la sua fiducia nella vita ma anche la sua stessa fede in Dio e nel suo amore di Padre. Questo rilancio pastorale ha la sua espressione più significativa nella celebrazione sacramentale con e per gli ammalati, come fortezza nel dolore e nella debolezza, come speranza nella disperazione, come luogo d'incontro e di festa.

Uno dei fondamentali obiettivi di questa rinnovata e intensificata azione pastorale, che non può non coinvolgere e in modo coordinato tutte le componenti della comunità ecclesiale, è di considerare il malato, il portatore di handicap, il sofferente non semplicemente come termine dell'amore e del servizio della Chiesa, bensì come soggetto attivo e responsabile dell'opera di evangelizzazione e di salvezza. In questa prospettiva la Chiesa ha una buona novella da far risuonare all'interno di società e di culture che, avendo smarrito il senso del soffrire umano, «censurano» ogni discorso su tale dura realtà della vita. E la buona novella sta nell'annuncio che il soffrire può avere anche un significato positivo per l'uomo e per la stessa società, chiamato com'è a divenire una forma di partecipazione alla sofferenza salvifica di Cristo e alla sua gioia di risorto, e pertanto una forza di santificazione e di edificazione della Chiesa.

L'annuncio di questa buona novella diventa credibile allorquando non risuona semplicemente sulle labbra, ma passa attraverso la testimonianza della vita, sia di tutti coloro che curano con amore i malati, gli handicappati e i sofferenti, sia di questi stessi, resi sempre più coscienti e responsabili del loro posto e del loro compito nella Chiesa e per la Chiesa.

Di grande utilità perché «la civiltà dell'amore» possa fiorire e fruttificare nell'immenso mondo del dolore umano, potrà essere la rinnovata meditazione della Lettera Apostolica Salvifici doloris, di cui ricordiamo ora le righe conclusive: «Occorre pertanto, che sotto la Croce del Calvario idealmente convengano tutti i sofferenti che credono in Cristo e, particolarmente, coloro che soffrono a causa della loro fede in lui Crocifisso e Risorto, affinché l'offerta delle loro sofferenze affretti il compimento della preghiera dello stesso Salvatore per l'unità di tutti (cf. Gv 17, 11. 21-22). Là pure convengano gli uomini di buona volontà, perché sulla Croce sta il "Redentore dell'uomo", l'Uomo dei dolori, che in sé ha assunto le sofferenze fisiche e morali degli uomini di tutti i tempi, affinché nell'amore possano trovare il senso salvifico del loro dolore e risposte valide a tutti i loro interrogativi. Insieme con Maria, Madre di Cristo, che stava sotto la Croce (cf. Gv 19, 25), ci fermiamo accanto a tutte le croci dell'uomo d'oggi (...). E chiediamo a tutti voi, che soffrite, di sostenerci. Proprio a voi, che siete deboli, chiediamo che diventiate una sorgente di forza per la Chiesa e per l'umanità. Nel terribile combattimento tra le forze del bene e del male, di cui ci offre spettacolo il nostro mondo contemporaneo, vinca la vostra sofferenza in unione con la Croce di Cristo!»(202).

Stati di vita e vocazioni

55. Operai della vigna sono tutti i membri del Popolo di Dio: i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i fedeli laici, tutti ad un tempo oggetto e soggetto della comunione della Chiesa e della partecipazione alla sua missione di salvezza. Tutti e ciascuno lavoriamo nell'unica e comune vigna del Signore con carismi e con ministeri diversi e complementari.

Già sul piano dell'essere, prima ancora che su quello dell'agire, i cristiani sono tralci dell'unica feconda vite che è Cristo, sono membra vive dell'unico Corpo del Signore edificato nella forza dello Spirito. Sul piano dell'essere: non significa solo mediante la vita di grazia e di santità, che è la prima e più rigogliosa sorgente della fecondità apostolica e missionaria della santa Madre Chiesa; ma significa anche mediante lo stato di vita che caratterizza i sacerdoti e i diaconi, i religiosi e le religiose, i membri degli istituti secolari, i fedeli laici.

Nella Chiesa-Comunione gli stati di vita sono tra loro così collegati da essere ordinati l'uno all'altro. Certamente comune, anzi unico è il loro significato profondo: quello di essere modalità secondo cui vivere l'eguale dignità cristiana e l'universale vocazione alla santità nella perfezione dell'amore. Sono modalità insieme diverse e complementari, sicché ciascuna di esse ha una sua originale e inconfondibile fisionomia e nello stesso tempo ciascuna di esse si pone in relazione alle altre e al loro servizio.

Così lo stato di vita laicale ha nell'indole secolare la sua specificità e realizza un servizio ecclesiale nel testimoniare e nel richiamare, a suo modo, ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose il significato che le realtà terrene e temporali hanno nel disegno salvifico di Dio. A sua volta il sacerdozio ministeriale rappresenta la permanente garanzia della presenza sacramentale, nei diversi tempi e luoghi, di Cristo Redentore. Lo stato religioso testimonia l'indole escatologica della Chiesa, ossia la sua tensione verso il Regno di Dio, che viene prefigurato e in qualche modo anticipato e pregustato dai voti di castità, povertà e obbedienza.

Tutti gli stati di vita, sia nel loro insieme sia ciascuno di essi in rapporto agli altri, sono al servizio della crescita della Chiesa, sono modalità diverse che si unificano profondamente nel «mistero di comunione» della Chiesa e che si coordinano dinamicamente nella sua unica missione.

In tal modo, l'unico e identico mistero della Chiesa rivela e rivive, nella diversità degli stati di vita e nella varietà delle vocazioni, l'infinita ricchezza del mistero di Gesù Cristo. Come amano ripetere i Padri, la Chiesa è come un campo dall'affascinante e meravigliosa varietà di erbe, piante, fiori e frutti. Sant'Ambrogio scrive: «Un campo produce molti frutti, ma migliore è quello che abbonda di frutti e di fiori. Orbene, il campo della santa Chiesa è fecondo degli uni e degli altri. Qui puoi vedere le gemme della verginità metter fiori, là la vedovanza dominare austera come le foreste nella pianura; altrove la ricca mietitura delle nozze benedette dalla Chiesa riempire i grandi granai del mondo di messe abbondante, e i torchi del Signore Gesù ridondare come di frutti di vite rigogliosa, frutti dei quali sono ricche le nozze cristiane»(203).

Le varie vocazioni laicali

56. La ricca varietà della Chiesa trova una sua ulteriore manifestazione all'interno di ciascun stato di vita. Così entro lo stato di vita laicale si danno diverse «vocazioni», ossia diversi cammini spirituali e apostolici che riguardano i singoli fedeli laici. Nell'alveo d'una vocazione laicale «comune» fioriscono vocazioni laicali «particolari». In questo ambito possiamo ricordare anche l'esperienza spirituale che è maturata recentemente nella Chiesa con il fiorire di diverse forme di Istituti secolari: ai fedeli laici, ma anche agli stessi sacerdoti, è aperta la possibilità di professare i consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza per mezzo dei voti o delle promesse, conservando pienamente la propria condizione laicale o clericale(204). Come hanno rilevato i Padri sinodali, «lo Spirito Santo suscita anche altre forme di offerta di se stessi cui si dedicano persone che rimangono pienamente nella vita laicale»(205).

Possiamo concludere rileggendo una bella pagina di San Francesco di Sales, che tanto ha promosso la spiritualità dei laici(206). Parlando della «devozione», ossia della perfezione cristiana o «vita secondo lo Spirito», egli presenta in una maniera semplice e splendida la vocazione di tutti i cristiani alla santità e nello stesso tempo la forma specifica con cui i singoli cristiani la realizzano: «Nella creazione Dio comandò alle piante di produrre i loro frutti, ognuna "secondo la propria specie" (Gen 1, 11). Lo stesso comando rivolge ai cristiani, che sono le piante vive della sua Chiesa, perché producano frutti di devozione, ognuno secondo il suo stato e la sua condizione. La devozione deve essere praticata in modo diverso dal gentiluomo, dall'artigiano, dal domestico, dal principe, dalla vedova, dalla donna non sposata e da quella coniugata. Ciò non basta, bisogna anche accordare la pratica della devozione alle forze, agli impegni e ai doveri di ogni persona (...). E' un errore, anzi un'eresia, voler escludere l'esercizio della devozione dall'ambiente militare, dalla bottega degli artigiani, dalla corte dei principi, dalle case dei coniugati. E' vero, Filotea, che la devozione puramente contemplativa, monastica e religiosa può essere vissuta solo in questi stati, ma, oltre a questi tre tipi di devozione, ve ne sono molti altri capaci di rendere perfetti coloro che vivono in condizioni secolari. Perciò, dovunque ci troviamo, possiamo e dobbiamo aspirare alla vita perfetta»(207).

Ponendosi nella stessa linea il Concilio Vaticano II scrive: «Questo comportamento spirituale dei laici deve assumere una peculiare caratteristica dallo stato di matrimonio e di famiglia, di celibato o di vedovanza, dalla condizione di infermità, dall'attività professionale e sociale. Non tralascino, dunque, di coltivare costantemente le qualità e le doti ad essi conferite corrispondenti a tali condizioni, e di servirsi dei propri doni ricevuti dallo Spirito Santo»(208).

Ciò che vale delle vocazioni spirituali vale anche, e in un certo senso a maggior ragione, delle infinite varie modalità secondo cui tutti e singoli i membri della Chiesa sono operai che lavorano nella vigna del Signore, edificando il Corpo mistico di Cristo. Veramente ciascuno è chiamato per nome, nell'unicità e irripetibilità della sua storia personale, a portare il suo proprio contributo per l'avvento del Regno di Dio. Nessun talento, neppure il più piccolo, può essere nascosto e lasciato inutilizzato (cf. Mt 25, 24-27).

L'apostolo Pietro ci ammonisce: «Ciascuno viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a servizio degli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio» (1 Pt 4, 10).

CAPITOLO V

PERCHÉ PORTIATE PIÙ FRUTTO
La formazione dei fedeli laici

Maturare in continuità

57. L'immagine evangelica della vite e dei tralci ci rivela un altro aspetto fondamentale della vita e della missione dei fedeli laici: la chiamata a crescere, a maturare in continuità, a portare sempre più frutto.

Come solerte vignaiolo, il Padre si prende cura della sua vigna. La presenza premurosa di Dio è ardentemente invocata da Israele, che così prega: «Dio degli eserciti, volgiti, / guarda dal cielo e vedi / e visita questa vigna, / proteggi il ceppo che la tua destra ha piantato, / il germoglio che ti sei coltivato» (Sal 80, 15-16). Gesù stesso parla dell'opera del Padre: «Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto» (Gv 15, 1-2).

La vitalità dei tralci è legata al loro rimanere radicati nella vite, che è Cristo Gesù: «Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla» (Gv 15, 5).

L'uomo è interpellato nella sua libertà dalla chiamata di Dio a crescere, a maturare, a portare frutto. Non può non rispondere, non può non assumersi la sua personale responsabilità. E' a questa responsabilità, tremenda ed esaltante, che alludono le gravi parole di Gesù: «Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano» (Gv 15, 6).

In questo dialogo tra Dio che chiama e la persona interpellata nella sua responsabilità si situa la possibilità, anzi la necessità di una formazione integrale e permanente dei fedeli laici, alla quale i Padri sinodali hanno giustamente riservato un'ampia parte del loro lavoro. In particolare, dopo aver descritto la formazione cristiana come «un continuo processo personale di maturazione nella fede e di configurazione con il Cristo, secondo la volontà del Padre, con la guida dello Spirito Santo», hanno chiaramente affermato che «la formazione dei fedeli laici va posta tra le priorità della diocesi e va collocata nei programmi di azione pastorale in modo che tutti gli sforzi della comunità (sacerdoti, laici e religiosi) convergano a questo fine»(209).

Scoprire e vivere la propria vocazione e missione

58. La formazione dei fedeli laici ha come obiettivo fondamentale la scoperta sempre più chiara della propria vocazione e la disponibilità sempre più grande a viverla nel compimento della propria missione.

Dio chiama me e manda me come operaio nella sua vigna; chiama me e manda me a lavorare per l'avvento del suo Regno nella storia: questa vocazione e missione personale definisce la dignità e la responsabilità dell'intera opera formativa, ordinata al riconoscimento gioioso e grato di tale dignità e all'assolvimento fedele e generoso di tale responsabilità.

Infatti, Dio dall'eternità ha pensato a noi e ci ha amato come persone uniche e irripetibili, chiamando ciascuno di noi con il suo proprio nome, come il buon Pastore che «chiama le sue pecore per nome» (Gv 10, 3). Ma il piano eterno di Dio si rivela a ciascuno di noi solo nello sviluppo storico della nostra vita e delle sue vicende, e pertanto solo gradualmente: in un certo senso, di giorno in giorno.

Ora per poter scoprire la concreta volontà del Signore sulla nostra vita sono sempre indispensabili l'ascolto pronto e docile della parola di Dio e della Chiesa, la preghiera filiale e costante, il riferimento a una saggia e amorevole guida spirituale, la lettura nella fede dei doni e dei talenti ricevuti e nello stesso tempo delle diverse situazioni sociali e storiche entro cui si è inseriti.

Nella vita di ciascun fedele laico ci sono poi momenti particolarmente significativi e decisivi per discernere la chiamata di Dio e per accogliere la missione da Lui affidata: tra questi ci sono i momenti dell'adolescenza e della giovinezza. Nessuno però dimentichi che il Signore, come il padrone con gli operai della vigna, chiama _ nel senso di rendere concreta e puntuale la sua santa volontà _ a tutte le ore della vita: per questo la vigilanza, quale attenzione premurosa alla voce di Dio, è un atteggiamento fondamentale e permanente del discepolo.

Non si tratta, comunque, soltanto di sapere quello che Dio vuole da noi, da ciascuno di noi nelle varie situazioni della vita. Occorre fare quello che Dio vuole: così ci ricorda la parola di Maria, la Madre di Gesù, rivolta ai servi di Cana: «Fate quello che vi dirà» (Gv 2, 5). E per agire in fedeltà alla volontà di Dio occorre essere capaci e rendersi sempre più capaci. Certo, con la grazia del Signore, che non manca mai, come dice San Leone Magno: «Darà il vigore Colui che conferì la dignità!»(210); ma anche con la libera e responsabile collaborazione di ciascuno di noi.

Ecco il compito meraviglioso e impegnativo che attende tutti i fedeli laici, tutti i cristiani, senza sosta alcuna: conoscere sempre più le ricchezze della fede e del Battesimo e viverle in crescente pienezza. L'apostolo Pietro, parlando di nascita e di crescita come delle due tappe della vita cristiana, ci esorta: «Come bambini appena nati, bramate il puro latte spirituale, per crescere con esso verso la salvezza» (1 Pt 2, 2).

Una formazione integrale da vivere in unità

59. Nello scoprire e nel vivere la propria vocazione e missione, i fedeli laici devono essere formati a quell'unità di cui è segnato il loro stesso essere di membri della Chiesa e di cittadini della società umana.

Nella loro esistenza non possono esserci due vite parallele: da una parte, la vita cosiddetta «spirituale», con i suoi valori e con le sue esigenze; e dall'altra, la vita cosiddetta «secolare», ossia la vita di famiglia, di lavoro, dei rapporti sociali, dell'impegno politico e della cultura. Il tralcio, radicato nella vite che è Cristo, porta i suoi frutti in ogni settore dell'attività e dell'esistenza. Infatti, tutti i vari campi della vita laicale rientrano nel disegno di Dio, che li vuole come il «luogo storico» del rivelarsi e del realizzarsi della carità di Gesù Cristo a gloria del Padre e a servizio dei fratelli. Ogni attività, ogni situazione, ogni impegno concreto _ come, ad esempio, la competenza e la solidarietà nel lavoro, l'amore e la dedizione nella famiglia e nell'educazione dei figli, il servizio sociale e politico, la proposta della verità nell'ambito della cultura _ sono occasioni provvidenziali per un «continuo esercizio della fede, della speranza e della carità»(211).

A questa unità di vita il Concilio Vaticano II ha invitato tutti i fedeli laici denunciando con forza la gravità della frattura tra fede e vita, tra Vangelo e cultura: «Il Concilio esorta i cristiani, che sono cittadini dell'una e dell'altra città, di sforzarsi di compiere fedelmente i propri doveri terreni, facendosi guidare dallo spirito del Vangelo. Sbagliano coloro che, sapendo che qui non abbiamo una cittadinanza stabile ma cerchiamo quella futura, pensano di poter per questo trascurare i propri doveri terreni, e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno (...). Il distacco, che si costata in molti, tra la fede che professano e la loro vita quotidiana, va annoverato tra i più gravi errori del nostro tempo»(212). Perciò ho affermato che una fede che non diventa cultura è una fede «non pienamente accolta, non interamente pensata non fedelmente vissuta»(213).

Aspetti della formazione

60. Entro questa sintesi di vita si situano i molteplici e coordinati aspetti della formazione integrale dei fedeli laici.

Non c'è dubbio che la formazione spirituale debba occupare un posto privilegiato nella vita di ciascuno, chiamato a crescere senza sosta nell'intimità con Gesù Cristo, nella conformità alla volontà del Padre, nella dedizione ai fratelli nella carità e nella giustizia. Scrive il Concilio: «Questa vita d'intima unione con Cristo si alimenta nella Chiesa con gli aiuti spirituali, che sono comuni a tutti i fedeli, soprattutto con la partecipazione attiva alla sacra Liturgia, e questi aiuti i laici devono usarli in modo che, mentre compiono con rettitudine gli stessi doveri del mondo nelle condizioni ordinarie di vita, non separino dalla propria vita l'unione con Cristo, ma, svolgendo la propria attività secondo il volere divino, crescano in essa»(214).

Sempre più urgente si rivela oggi la formazione dottrinale dei fedeli laici, non solo per il naturale dinamismo di approfondimento della loro fede, ma anche per l'esigenza di «rendere ragione della speranza» che è in loro di fronte al mondo e ai suoi gravi e complessi problemi.

Si rendono così assolutamente necessarie una sistematica azione di catechesi, da graduarsi in rapporto all'età e alle diverse situazioni di vita, e una più decisa promozione cristiana della cultura, come risposta agli eterni interrogativi che agitano l'uomo e la società d'oggi.

In particolare, soprattutto per i fedeli laici variamente impegnati nel campo sociale e politico, è del tutto indispensabile una conoscenza più esatta della dottrina sociale della Chiesa, come ripetutamente i Padri sinodali hanno sollecitato nei loro interventi. Parlando della partecipazione politica dei fedeli laici, si sono così espressi: «Perché i laici possano realizzare attivamente questo nobile proposito nella politica (ossia il proposito di far riconoscere e stimare i valori umani e cristiani), non bastano le esortazioni, ma bisogna offrire loro la dovuta formazione della coscienza sociale, specialmente nella dottrina sociale della Chiesa, la quale contiene i principi di riflessione, i criteri di giudizio e le direttrici pratiche (cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione su libertà cristiana e liberazione, 72). Tale dottrina deve essere già presente nella istruzione catechistica generale, negli incontri specializzati e nelle scuole ed università. Questa dottrina sociale della Chiesa è, tuttavia, dinamica, cioè adattata alle circostanze dei tempi e dei luoghi. E' diritto e dovere dei pastori proporre i principi morali anche sull'ordine sociale; è dovere di tutti i cristiani dedicarsi alla difesa dei diritti umani; tuttavia, la partecipazione attiva nei partiti politici è riservata ai laici»(215).

E, infine, nel contesto della formazione integrale e unitaria dei fedeli laici, è particolarmente significativa per la loro azione missionaria e apostolica la personale crescita nei valori umani. Proprio in questo senso il Concilio ha scritto: «(i laici) facciano pure gran conto della competenza professionale, del senso della famiglia e del senso civico e di quelle virtù che riguardano i rapporti sociali, cioè la probità, lo spirito di giustizia, la sincerità, la cortesia, la fortezza d'animo, senza le quali non ci può essere neanche vera vita cristiana»(216).

Nel maturare la sintesi organica della loro vita, che insieme è espressione dell'unità del loro essere e condizione per l'efficace compimento della loro missione, i fedeli laici saranno interiormente guidati e sostenuti dallo Spirito Santo, quale Spirito di unità e di pienezza di vita.

Collaboratori di Dio educatore

61. Quali sono i luoghi e i mezzi della formazione dei fedeli laici? Quali sono le persone e le comunità chiamate ad assumersi il compito della formazione integrale e unitaria dei fedeli laici?

Come l'opera educativa umana è intimamente congiunta con la paternità e la maternità, così la formazione cristiana trova la sua radice e la sua forza in Dio, il Padre che ama ed educa i suoi figli. Sì, Dio è il primo e grande educatore del suo Popolo, come dice lo stupendo passo del Cantico di Mosè: «Egli lo trovò in terra deserta, / in una landa di ululati solitari. / Lo circondò, lo allevò, / lo custodì come pupilla del suo occhio. / Come un'aquila che veglia la sua nidiata, / che vola sopra i suoi nati, / egli spiegò le sue ali e lo prese, / lo sollevò sulle sue ali. / Il Signore lo guidò da solo, / non c'era con lui alcun dio straniero» (Deut 32, 10-12; cf. 8, 5).

L'opera educativa di Dio si rivela e si compie in Gesù, il Maestro, e raggiunge dal di dentro il cuore d'ogni uomo grazie alla presenza dinamica dello Spirito. A prendere parte all'opera educativa divina è chiamata la Chiesa madre, sia in se stessa, sia nelle sue varie articolazioni ed espressioni. E' così che i fedeli laici sono formati dalla Chiesa e nella Chiesa, in una reciproca comunione e collaborazione di tutti i suoi membri: sacerdoti, religiosi e fedeli laici. Così l'intera comunità ecclesiale, nei suoi diversi membri, riceve la fecondità dello Spirito e ad essa coopera attivamente. In tal senso Metodio di Olimpo scriveva: «Gli imperfetti (...) sono portati e formati, come nel seno di una madre, dai più perfetti finché siano generati e partoriti per la grandezza e la bellezza della virtù»(217), come avvenne per Paolo, portato e introdotto nella Chiesa dai perfetti (nella persona di Anania) e diventato poi a sua volta perfetto e fecondo di tanti figli.

Educatrice è, anzi tutto, la Chiesa universale, nella quale il Papa svolge il ruolo di primo formatore dei fedeli laici. A lui, come successore di Pietro, spetta il ministero di «confermare nella fede i fratelli», insegnando a tutti i credenti i contenuti essenziali della vocazione e missione cristiana ed ecclesiale. Non solo la sua parola diretta, ma anche la sua parola veicolata dai documenti dei vari Dicasteri della Santa Sede chiede l'ascolto docile e amoroso dei fedeli laici.

La Chiesa una e universale è presente nelle varie parti del mondo nelle Chiese particolari. In ognuna di esse il Vescovo ha una responsabilità personale nei riguardi dei fedeli laici, che deve formare mediante l'annuncio della Parola, la celebrazione dell'Eucaristia e dei sacramenti, l'animazione e la guida della loro vita cristiana.

Entro la Chiesa particolare o diocesi si situa ed opera la parrocchia, la quale ha un compito essenziale per la formazione più immediata e personale dei fedeli laici. Infatti, in un rapporto che può raggiungere più facilmente le singole persone e i singoli gruppi, la parrocchia è chiamata a educare i suoi membri all'ascolto della Parola, al dialogo liturgico e personale con Dio, alla vita di carità fraterna, facendo percepire in modo più diretto e concreto il senso della comunione ecclesiale e della responsabilità missionaria.

All'interno poi di talune parrocchie, soprattutto se vaste e disperse, le piccole comunità ecclesiali presenti possono essere di notevole aiuto nella formazione dei cristiani, potendo rendere più capillari e incisive la coscienza e l'esperienza della comunione e della missione ecclesiale. Un aiuto può essere dato, come hanno detto i Padri sinodali, anche da una catechesi postbattesimale a modo di catecumenato, mediante la riproposizione di alcuni elementi del «Rituale dell'Iniziazione Cristiana degli Adulti», destinati a far cogliere e vivere le immense e straordinarie ricchezze e responsabilità del Battesimo ricevuto(218).

Nella formazione che i fedeli laici ricevono nella diocesi e nella parrocchia, in particolare al senso della comunione e della missione, di speciale importanza è l'aiuto che i diversi membri della Chiesa reciprocamente si danno: è un aiuto che insieme rivela e attua il mistero della Chiesa Madre ed Educatrice. I sacerdoti e i religiosi devono aiutare i fedeli laici nella loro formazione. In questo senso i Padri del Sinodo hanno invitato i presbiteri e i candidati agli Ordini a «prepararsi accuratamente ad essere capaci di favorire la vocazione e la missione dei laici»(219).

A loro volta, gli stessi fedeli laici possono e devono aiutare i sacerdoti e i religiosi nel loro cammino spirituale e pastorale.

Altri ambiti educativi

62 . Pure la famiglia cristiana, in quanto «Chiesa domestica», costituisce una scuola nativa e fondamentale per la formazione della fede: il padre e la madre ricevono dal sacramento del Matrimonio la grazia e il ministero dell'educazione cristiana nei riguardi dei figli, ai quali testimoniano e trasmettono insieme valori umani e valori religiosi. Imparando le prime parole, i figli imparano anche a lodare Dio, che sentono vicino come Padre amorevole e provvidente; imparando i primi gesti d'amore, i figli imparano anche ad aprirsi agli altri, cogliendo nel dono di sé il senso del vivere umano. La stessa vita quotidiana di una famiglia autenticamente cristiana costituisce la prima «esperienza di Chiesa», destinata a trovare conferma e sviluppo nel graduale inserimento attivo e responsabile dei figli nella più ampia comunità ecclesiale e nella società civile. Quanto più i coniugi e i genitori cristiani cresceranno nella consapevolezza che la loro «Chiesa domestica» è partecipe della vita e della missione della Chiesa universale, tanto più i figli potranno essere formati al «senso della Chiesa» e sentiranno tutta la bellezza di dedicare le loro energie al servizio del Regno di Dio.

Luoghi importanti di formazione sono anche le scuole e le università cattoliche, come pure i centri di rinnovamento spirituale che oggi vanno sempre più diffondendosi. Come hanno rilevato i Padri sinodali, nell'attuale contesto sociale e storico, segnato da una profonda svolta culturale, non basta più la partecipazione _ peraltro sempre necessaria e insostituibile _ dei genitori cristiani alla vita della scuola; occorre preparare fedeli laici che si dedichino all'opera educativa come a una vera e propria missione ecclesiale; occorre costituire e sviluppare delle «comunità educative», formate insieme da genitori, docenti, sacerdoti, religiosi e religiose, rappresentanti di giovani. E perché la scuola possa degnamente svolgere la sua funzione formativa, i fedeli laici si devono sentire impegnati a esigere da tutti e a promuovere per tutti una vera libertà di educazione, anche mediante un'opportuna legislazione civile(220).

I Padri sinodali hanno avuto parole di stima e d'incoraggiamento verso tutti quei fedeli laici, uomini e donne, che con spirito civile e cristiano svolgono un compito educativo nella scuola e negli istituti formativi. Hanno inoltre rilevato l'urgente necessità che i fedeli laici maestri e professori nelle diverse scuole, cattoliche o no, siano veri testimoni del Vangelo, mediante l'esempio della vita, la competenza e la rettitudine professionale, l'ispirazione cristiana dell'insegnamento, salva sempre _ com'è evidente _ l'autonomia delle varie scienze e discipline. E di singolare importanza che la ricerca scientifica e tecnica svolta dai fedeli laici sia retta dal criterio del servizio all'uomo nella totalità dei suoi valori e delle sue esigenze: a questi fedeli laici la Chiesa affida il compito di rendere a tutti più comprensibile l'intimo legame che esiste tra la fede e la scienza, tra il Vangelo e la cultura umana(221).

«Questo Sinodo _ leggiamo in una proposizione _ fa appello al ruolo profetico delle scuole e delle università cattoliche e loda la dedizione dei maestri e degli insegnanti, al presente in massima parte laici, perché negli istituti di educazione cattolica possano formare uomini e donne in cui si incarni il "comandamento nuovo". La presenza contemporanea di sacerdoti e laici, e anche di religiosi e religiose, offre agli alunni un'immagine viva della Chiesa e rende più facile la conoscenza delle sue ricchezze (cf. Congregazione per l'Educazione Cattolica, Il laico educatore, testimone della fede nella scuola)»(222).

Anche i gruppi, le associazioni e i movimenti hanno un loro posto nella formazione dei fedeli laici: hanno, infatti, la possibilità, ciascuno con i propri metodi, di offrire una formazione profondamente inserita nella stessa esperienza di vita apostolica, come pure hanno l'opportunità di integrare, concretizzare e specificare la formazione che i loro aderenti ricevono da altre persone e comunità.

La formazione reciprocamente ricevuta e donata da tutti

63. La formazione non è il privilegio di alcuni, bensì un diritto e un dovere per tutti. I Padri sinodali al riguardo hanno detto: «Sia offerta a tutti la possibilità della formazione, soprattutto ai poveri, i quali possono essere essi stessi fonte di formazione per tutti», e hanno aggiunto: «Per la formazione si usino mezzi adatti che aiutino ciascuno ad assecondare la piena vocazione umana e cristiana»(223).

Ai fini d'una pastorale veramente incisiva ed efficace è da svilupparsi, anche mettendo in atto opportuni corsi o scuole apposite, la formazione dei formatori. Formare coloro che, a loro volta, dovranno essere impegnati nella formazione dei fedeli laici costituisce un'esigenza primaria per assicurare la formazione generale e capillare di tutti i fedeli laici.

Nell'opera formativa un'attenzione particolare dovrà essere riservata alla cultura locale, secondo l'esplicito invito dei Padri del Sinodo: «La formazione dei cristiani terrà nel massimo conto la cultura umana del luogo, la quale contribuisce alla stessa formazione e aiuterà a giudicare il valore sia insito nella cultura tradizionale, sia proposto in quella moderna. Si dia la dovuta attenzione anche alle diverse culture che possono coesistere in uno stesso popolo e in una stessa nazione. La Chiesa, Madre e Maestra dei popoli, si sforzerà di salvare, dove ne sia il caso, la cultura delle minoranze che vivono in grandi nazioni»(224).

Nell'opera formativa alcune convinzioni si rivelano particolarmente necessarie e feconde. La convinzione, anzitutto, che non si dà formazione vera ed efficace se ciascuno non si assume e non sviluppa da se stesso la responsabilità della formazione: questa, infatti, si configura essenzialmente come «auto-formazione».

La convinzione, inoltre, che ognuno di noi è il termine e insieme il principio della formazione: più veniamo formati e più sentiamo l'esigenza di proseguire e approfondire tale formazione, come pure più veniamo formati e più ci rendiamo capaci di formare gli altri.

Di singolare importanza è la coscienza che l'opera formativa, mentre ricorre con intelligenza ai mezzi e ai metodi delle scienze umane, è tanto più efficace quanto più è disponibile alla azione di Dio: solo il tralcio che non teme di lasciarsi potare dal vignaiolo produce più frutto per sé e per gli altri.

Appello e preghiera

64. A conclusione di questo documento post-sinodale ripropongo ancora una volta l'invito del «padrone di casa» di cui ci parla il Vangelo: Andate anche voi nella mia vigna. Si può dire che il significato del Sinodo sulla vocazione e missione dei laici stia proprio in questo appello del Signore Gesù rivolto a tutti, e in particolare ai fedeli laici, uomini e donne.

I lavori sinodali hanno costituito per tutti i partecipanti una grande esperienza spirituale: quella di una Chiesa attenta, nella luce e nella forza dello Spirito, a discernere e ad accogliere il rinnovato appello del suo Signore in ordine a riproporre al mondo d'oggi il mistero della sua comunione e il dinamismo della sua missione di salvezza, in particolare cogliendo il posto e il ruolo specifici dei fedeli laici. Il frutto poi del Sinodo, che questa Esortazione intende sollecitare il più abbondante possibile in tutte le Chiese sparse nel mondo, sarà dato dall'effettiva accoglienza che l'appello del Signore riceverà da parte dell'intero Popolo di Dio e, in esso, da parte dei fedeli laici.

Per questo rivolgo a tutti e a ciascuno, Pastori e fedeli, la vivissima esortazione a non stancarsi mai di mantenere vigile, anzi di rendere sempre più radicata nella mente, nel cuore e nella vita la coscienza ecclesiale, la coscienza cioè di essere membri della Chiesa di Gesù Cristo, partecipi del suo mistero di comunione e della sua energia apostolica e missionaria.

E' di particolare importanza che tutti i cristiani siano consapevoli di quella straordinaria dignità che è stata loro donata mediante il santo Battesimo: per grazia siamo chiamati ad essere figli amati dal Padre, membra incorporate a Gesù Cristo e alla sua Chiesa, templi vivi e santi dello Spirito. Riascoltiamo, commossi e grati, le parole di Giovanni Evangelista: «Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!» (1 Gv 3, 1).

Questa «novità cristiana» donata ai membri della Chiesa, mentre costituisce per tutti la radice della loro partecipazione all'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo e della loro vocazione alla santità nell'amore, si esprime e si attua nei fedeli laici secondo «l'indole secolare» loro «propria e peculiare».

La coscienza ecclesiale comporta, unitamente al senso della comune dignità cristiana, il senso di appartenere al mistero della Chiesa-Comunione: è questo un aspetto fondamentale e decisivo per la vita e per la missione della Chiesa. Per tutti e per ciascuno la preghiera ardente di Gesù nell'ultima Cena: «Ut unum sint!» deve diventare, ogni giorno, un esigente e irrinunciabile programma di vita e di azione.

Il senso vivo della comunione ecclesiale, dono dello Spirito che sollecita la nostra libera risposta, avrà come suo prezioso frutto la valorizzazione armonica nella Chiesa «una e cattolica» della ricca varietà delle vocazioni e condizioni di vita, dei carismi, dei ministeri e dei compiti e responsabilità, come pure una più convinta e decisa collaborazione dei gruppi, delle associazioni e dei movimenti di fedeli laici nel solidale compimento della comune missione salvifica della Chiesa stessa. Questa comunione è già in se stessa il primo grande segno della presenza di Cristo Salvatore nel mondo; nello stesso tempo essa favorisce e stimola la diretta azione apostolica e missionaria della Chiesa.

Alle soglie del terzo millennio, la Chiesa tutta, Pastori e fedeli, deve sentire più forte la sua responsabilità di obbedire al comando di Cristo: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16, 15), rinnovando il suo slancio missionario. Una grande, impegnativa e magnifica impresa è affidata alla Chiesa: quella di una nuova evangelizzazione, di cui il mondo attuale ha immenso bisogno. I fedeli laici devono sentirsi parte viva e responsabile di quest'impresa, chiamati come sono ad annunciare e a vivere il Vangelo nel servizio ai valori e alle esigenze della persona e della società.

Il Sinodo dei Vescovi, celebratosi nel mese di ottobre durante l'Anno Mariano, ha affidato i suoi lavori, in modo del tutto particolare, alla intercessione di Maria Santissima, Madre del Redentore. Ed ora alla stessa intercessione affido la fecondità spirituale dei frutti del Sinodo. Alla Vergine mi rivolgo al termine di questo documento post-sinodale, in unione con i Padri e i fedeli laici presenti al Sinodo e con tutti gli altri membri del Popolo di Dio. L'appello si fa preghiera.

O Vergine santissima,
Madre di Cristo e Madre della Chiesa,
con gioia e con ammirazione,
ci uniamo al tuo Magnificat,
al tuo canto di amore riconoscente.

Con Te rendiamo grazie a Dio,
«la cui misericordia si stende
di generazione in generazione»,
per la splendida vocazione
e per la multiforme missione
dei fedeli laici,
chiamati per nome da Dio
a vivere in comunione di amore
e di santità con Lui
e ad essere fraternamente uniti
nella grande famiglia dei figli di Dio,
mandati a irradiare la luce di Cristo
e a comunicare il fuoco dello Spirito
per mezzo della loro vita evangelica
in tutto il mondo.

Vergine del Magnificat,
riempi i loro cuori
di riconoscenza e di entusiasmo
per questa vocazione e per questa missione.

Tu che sei stata,
con umiltà e magnanimità,
«la serva del Signore»,
donaci la tua stessa disponibilità
per il servizio di Dio
e per la salvezza del mondo.
Apri i nostri cuori
alle immense prospettive
del Regno di Dio
e dell'annuncio del Vangelo
ad ogni creatura.

Nel tuo cuore di madre
sono sempre presenti i molti pericoli
e i molti mali
che schiacciano gli uomini e le donne
del nostro tempo.
Ma sono presenti anche
le tante iniziative di bene,
le grandi aspirazioni ai valori,
i progressi compiuti
nel produrre frutti abbondanti di salvezza.

Vergine coraggiosa,
ispiraci forza d'animo
e fiducia in Dio,
perché sappiamo superare
tutti gli ostacoli che incontriamo
nel compimento della nostra missione.
Insegnaci a trattare le realtà del mondo
con vivo senso di responsabilità cristiana
e nella gioiosa speranza
della venuta del Regno di Dio,
dei nuovi cieli e della terra nuova.

Tu che insieme agli Apostoli in preghiera
sei stata nel Cenacolo
in attesa della venuta dello Spirito di Pentecoste,
invoca la sua rinnovata effusione
su tutti i fedeli laici, uomini e donne,
perché corrispondano pienamente
alla loro vocazione e missione,
come tralci della vera vite,
chiamati a portare molto frutto
per la vita del mondo.

Vergine Madre,
guidaci e sostienici perché viviamo sempre
come autentici figli e figlie
della Chiesa di tuo Figlio
e possiamo contribuire a stabilire sulla terra
la civiltà della verità e dell'amore,
secondo il desiderio di Dio
e per la sua gloria.

Amen.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 30 dicembre, festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, dell'anno 1988, undicesimo del mio Pontificato.

 

 

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