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CEI 2008
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ESORTAZIONE
APOSTOLICA INTRODUZIONE 1. La Chiesa in America, piena di
gioia per la fede ricevuta e riconoscente a Cristo per questo immenso
dono, ha da poco celebrato il quinto centenario dell'inizio della
predicazione del Vangelo sul proprio territorio. Questa commemorazione
ha reso tutti i cattolici americani più coscienti del desiderio di
Cristo di incontrare gli abitanti del cosiddetto Nuovo Mondo per
incorporarli alla sua Chiesa e così rendersi presente nella storia
del Continente. L'evangelizzazione dell'America non è soltanto un
dono del Signore; è anche sorgente di nuove responsabilità. Grazie
all'azione di quanti hanno evangelizzato in lungo e in largo il
Continente, sono nati dalla Chiesa e dallo Spirito innumerevoli
figli.(1) Nei loro cuori, nel passato come nel presente, continuano a
risuonare le parole dell'Apostolo: « Non è infatti per me un vanto
predicare il Vangelo; per me è un dovere: guai a me se non predicassi
il Vangelo! » (1 Cor 9, 16). Tale dovere si fonda sul mandato
conferito dal Signore risorto agli Apostoli prima della sua Ascensione
al cielo: « Predicate il Vangelo ad ogni creatura » (Mc 16,
15). Questo mandato riguarda tutta la
Chiesa, e la Chiesa che è in America, in questo particolare momento
della sua storia, è chiamata ad accoglierlo e a rispondere con
amorosa generosità al fondamentale compito dell'evangelizzazione. Lo
sottolineava a Bogotá il mio predecessore Paolo VI, il primo Papa a
visitare l'America: « Competerà a noi, [Signore Gesù], in quanto
tuoi rappresentanti e amministratori dei tuoi divini misteri (cfr 1
Cor 4, 1; 1 Pt 4, 10), diffondere i tesori della tua
parola, della tua grazia, dei tuoi esempi tra gli uomini ».(2) Il
dovere della evangelizzazione costituisce, per il discepolo di Cristo,
una urgenza di carità: « L'amore del Cristo ci spinge » (2 Cor 5,
14), afferma l'Apostolo Paolo, ricordando quanto il Figlio di Dio ha
fatto per noi nel suo sacrificio redentore: « Uno è morto per tutti
[...], perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per
colui che è morto e risuscitato per loro » (2 Cor 5, 14-15). La commemorazione di ricorrenze
particolarmente evocatrici dell'amore di Cristo per noi suscita
nell'animo, insieme con la riconoscenza, il bisogno di « annunciare
le meraviglie di Dio », il bisogno cioè di evangelizzare. Così, il
ricordo della recente celebrazione dei cinquecento anni dell'arrivo
del messaggio evangelico in America, cioè, del momento in cui Cristo
chiamò l'America alla fede, e il prossimo Giubileo nel quale la
Chiesa celebrerà i 2000 anni dell'incarnazione del Figlio di Dio,
sono occasioni privilegiate nelle quali, in modo spontaneo, sale con
più forza dal cuore l'espressione della nostra gratitudine al
Signore. Consapevole della grandezza dei doni ricevuti, la Chiesa
pellegrina in America desidera rendere partecipe della ricchezza della
fede e della comunione in Cristo tutta la società e ciascuno degli
uomini e delle donne che abitano in terra americana. L'idea di celebrare questa
Assemblea sinodale 2. Proprio nel giorno stesso nel
quale si compivano i cinquecento anni dell'inizio della
evangelizzazione dell'America, il 12 ottobre 1992, desiderando aprire
nuovi orizzonti e dare rinnovato impulso all'evangelizzazione,
nell'allocuzione con la quale aprii i lavori della IV Conferenza
generale dell'Episcopato Latino-americano a Santo Domingo, feci la
proposta di un incontro sinodale « con lo scopo di incrementare la
cooperazione tra le diverse Chiese particolari » per affrontare
insieme, all'interno del compito della nuova evangelizzazione e come
espressione di comunione episcopale, « i problemi relativi alla
giustizia ed alla solidarietà tra tutte le Nazioni dell'America ».(3)
L'accoglienza positiva con cui gli Episcopati dell'America
corrisposero a questa mia indicazione mi permise di annunciare nella
Lettera apostolica Tertio millennio adveniente il proposito di
convocare un'assemblea sinodale « sulle problematiche della nuova
evangelizzazione in due parti dello stesso Continente tanto diverse
tra loro per origine e storia, e sulle tematiche della giustizia e dei
rapporti economici internazionali, tenendo conto dell'enorme divario
tra il Nord e il Sud ».(4) Fu allora possibile iniziare i lavori
preparatori propriamente detti, per giungere finalmente alla
celebrazione della Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per
l'America, svoltasi in Vaticano dal 16 novembre al 12 dicembre del
1997. Il tema dell'Assemblea 3. In coerenza con l'idea
iniziale, e dopo aver ascoltato i suggerimenti del Consiglio
pre-sinodale, viva espressione del sentire di molti Pastori del Popolo
di Dio nel Continente americano, enunciai il tema dell'Assemblea
Speciale del Sinodo per l'America con le parole seguenti: « Incontro
con Gesù Cristo vivo, via per la conversione, la comunione e la
solidarietà in America ». Il tema così formulato manifesta
chiaramente la centralità della persona di Gesù Cristo risorto,
presente nella vita della Chiesa, che invita alla conversione, alla
comunione e alla solidarietà. Il punto di partenza di tale programma
di evangelizzazione è certamente l'incontro con il Signore. Lo
Spirito Santo, dono di Cristo nel mistero pasquale, ci guida verso le
mete pastorali che la Chiesa in America deve raggiungere nel terzo
millennio cristiano. La celebrazione
dell'Assemblea come esperienza di incontro 4. L'esperienza vissuta durante
l'Assemblea ebbe, senza dubbio, il carattere di un incontro con il
Signore. Ricordo con piacere, in modo particolare, le due
concelebrazioni solenni che io stesso ho presieduto nella Basilica di
San Pietro per l'inaugurazione e per la chiusura dei lavori
dell'Assemblea. Il contatto con il Signore Risorto veramente,
realmente e sostanzialmente presente nella Eucaristia, costituì
l'atmosfera spirituale che permise a tutti i Vescovi dell'Assemblea
sinodale di riconoscersi, non solo come fratelli nel Signore, ma anche
come membri del Collegio episcopale, desiderosi di seguire, sotto la
presidenza del Successore di Pietro, le orme del Buon Pastore,
servendo la Chiesa, pellegrina in tutte le regioni del Continente. Fu
evidente a tutti la gioia dei partecipanti all'Assemblea, che
scoprivano in essa un'occasione eccezionale di incontro con il
Signore, con il Vicario di Cristo, con tanti Vescovi, sacerdoti,
consacrati e laici venuti da tutte le parti del Continente. Senza dubbio, alcuni fattori
precedenti contribuirono, in modo mediato ma efficace, ad assicurare
questo clima di incontro fraterno nell'Assemblea sinodale. In primo
luogo, occorre segnalare le esperienze di comunione vissute
precedentemente nelle Assemblee generali dell'Episcopato
Latino-americano in Rio de Janeiro (1955), Medellin (1968), Puebla
(1979) e Santo Domingo (1992). In esse i Pastori della Chiesa che è
in America Latina avevano avuto modo di riflettere insieme come
fratelli sulle questioni pastorali più urgenti in quella regione del
Continente. A tali Assemblee occorre aggiungere le periodiche riunioni
interamericane di Vescovi, nelle quali i partecipanti hanno la
possibilità di aprirsi all'orizzonte dell'intero Continente,
dialogando circa i problemi e le sfide comuni che riguardano la Chiesa
nei Paesi americani. Contribuire all'unità del
Continente 5. Nella prima proposta che feci a
Santo Domingo, circa la possibilità di celebrare un'Assemblea
Speciale del Sinodo, segnalai che « la Chiesa, ormai alle soglie del
terzo millennio cristiano ed in un'epoca in cui sono cadute molte
barriere e frontiere ideologiche, avverte come un dovere ineludibile
l'unire spiritualmente in modo ancor maggiore tutti i popoli che
formano questo grande Continente e, allo stesso tempo, partendo dalla
missione religiosa che le è propria, il promuovere uno spirito di
solidarietà fra di essi ».(5) Gli elementi comuni a tutti i popoli
dell'America, tra i quali risalta una medesima identità cristiana
come pure un'autentica ricerca del consolidamento dei legami di
solidarietà e di comunione tra le diverse espressioni del ricco
patrimonio culturale del Continente, sono il motivo decisivo per il
quale ho chiesto che l'Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi
dedicasse le sue riflessioni all'America come ad una realtà unica. La
scelta di usare la parola al singolare voleva esprimere non solo
l'unità sotto certi aspetti già esistente, ma anche quel vincolo più
stretto al quale i popoli del Continente aspirano e che la Chiesa
desidera favorire, nell'ambito della propria missione, volta a
promuovere la comunione di tutti nel Signore. Nel contesto della nuova
evangelizzazione 6. Nella prospettiva del Grande
Giubileo dell'anno 2000, ho voluto che si tenesse un'Assemblea
Speciale del Sinodo dei Vescovi per ciascuno dei cinque Continenti:
dopo quelle dedicate all'Africa (1994), all'America (1997), all'Asia
(1998) e, molto recentemente, all'Oceania (1998), in questo anno 1999
con l'aiuto del Signore sarà celebrata una nuova Assemblea Speciale
per l'Europa. In tal modo, durante l'anno giubilare, sarà possibile
un'Assemblea Generale Ordinaria che sintetizzi e tragga le conclusioni
dei preziosi materiali che le diverse Assemblee continentali sono
andate elaborando. Ciò sarà facilitato dal fatto che in tutti questi
Sinodi si sono avute preoccupazioni simili e centri di interesse
comuni. In tal senso, riferendomi a questa serie di Assemblee
sinodali, ho segnalato come in tutte « il tema di fondo è
l'evangelizzazione, meglio, quello della nuova evangelizzazione,
le cui basi furono gettate dall'Esortazione apostolica Evangelii
nuntiandi di Paolo VI ».(6) Perciò, tanto nella mia prima
indicazione sulla celebrazione di questa Assemblea Speciale del Sinodo
come più tardi nell'annuncio esplicito della medesima, dopo che tutti
gli Episcopati dell'America avevano fatto propria l'idea, indicai che
le sue deliberazioni dovevano muoversi « nell'ambito della nuova
evangelizzazione »,(7) affrontando i problemi in essa emergenti.(8) Questa preoccupazione era tanto più
ovvia, in quanto io stesso avevo formulato il primo programma di una
nuova evangelizzazione in terra americana. In effetti, quando la
Chiesa in tutta l'America si preparava per ricordare i cinquecento
anni dell'inizio della prima evangelizzazione del Continente, parlando
al Consiglio Episcopale Latino-americano in Port-au-Prince (Haiti),
affermai: « La commemorazione del mezzo millennio di evangelizzazione
avrà il suo pieno significato se costituirà un impegno vostro come
Vescovi, insieme con il vostro presbiterio ed i fedeli, impegno non
certo di rievangelizzazione, bensì di una nuova evangelizzazione.
Nuova nell'ardore, nei metodi e nelle espressioni ».(9)
Successivamente invitai tutta la Chiesa a portare a compimento tale
esortazione, benché il programma di evangelizzazione, estendendosi
alla grande diversità che presenta oggi il mondo intero, deve
diversificarsi alla luce innanzitutto di due situazioni chiaramente
differenti: quella dei Paesi fortemente toccati dal secolarismo e
quella degli altri dove « si conservano tuttora molto vive tradizioni
di pietà e di religiosità popolare cristiana ».(10) Si tratta senza
dubbio di due situazioni presenti, in grado diverso, in differenti
Paesi o, forse meglio, in diversi ambienti concreti all'interno degli
stessi Paesi del Continente americano. Con la presenza e l'aiuto
del Signore 7. Il mandato di evangelizzare,
che il Signore risorto ha lasciato alla sua Chiesa, è accompagnato
dalla certezza, fondata sulla sua promessa, che Egli continua ad
essere vivo ed operante tra noi: « Ecco, io sono con voi tutti i
giorni, fino alla fine del mondo » (Mt 28, 20). Questa
misteriosa presenza di Cristo nella sua Chiesa è per essa garanzia di
riuscita nella realizzazione del compito affidatole. Nel medesimo
tempo, tale presenza rende possibile il nostro incontro con Lui, come
Figlio inviato dal Padre, come Signore della Vita che ci comunica il
suo Spirito. Un incontro rinnovato con Gesù Cristo renderà tutti i
membri della Chiesa in America consapevoli del fatto che sono chiamati
a continuare la missione del Redentore nelle loro terre. L'incontro personale con il
Signore, se è autentico, porterà con sé anche il rinnovamento
ecclesiale: le Chiese particolari del Continente, come Chiese sorelle
e tra loro vicine, accresceranno i vincoli di cooperazione e di
solidarietà per prolungare e rendere più incisiva l'opera salvatrice
di Cristo nella storia dell'America. In atteggiamento di apertura
all'unità, frutto di un'autentica comunione con il Signore risorto,
le Chiese particolari, ed in esse i singoli membri, scopriranno,
attraverso la propria esperienza spirituale, che l'« incontro con Gesù
Cristo vivo » è « via di conversione, di comunione e di solidarietà
». E, nella misura in cui queste mete saranno raggiunte, si renderà
possibile una dedizione sempre maggiore alla nuova evangelizzazione
dell'America. CAPITOLO
I L'INCONTRO «
Abbiamo trovato il Messia »
(Gv 1, 41) Gli incontri con il Signore
nel Nuovo Testamento 8. I Vangeli riferiscono numerosi
incontri di Gesù con uomini e donne del suo tempo. Una
caratteristica, comune a tutti questi racconti, è la forza
trasformante che racchiudono e manifestano gli incontri con Gesù,
poiché « aprono un autentico processo di conversione, comunione e
solidarietà ».(11) Tra i più significativi vi è quello con la
samaritana (cfr Gv 4, 5-42). Gesù la chiama per saziare la sua
sete, che non era soltanto materiale: in realtà, « colui che
chiedeva da bere, aveva sete della fede della donna stessa ».(12)
Dicendole « Dammi da bere » (Gv 4, 7) e parlandole di acqua
viva, il Signore suscita nella samaritana una domanda, quasi una
preghiera, il cui obiettivo vero supera ciò che essa in quel momento
è in grado di comprendere: « Signore... dammi di quest'acqua perché
non abbia più sete » (Gv 4, 15). La samaritana, anche se «
ancora non capisce »,(13) sta in realtà chiedendo l'acqua viva di
cui le parla il suo divino Interlocutore. Quando Gesù le rivela la
propria messianicità (cfr Gv 4, 26), la samaritana si sente
spinta ad annunciare ai suoi concittadini la scoperta del Messia (cfr Gv
4, 28-30). Allo stesso modo, quando Gesù incontra Zaccheo (cfr Lc
19, 1-10), il frutto più prezioso è la conversione del pubblicano,
che diventa consapevole delle ingiustizie commesse e decide di
restituire in abbondanza — « il quadruplo » —, a chi aveva
defraudato. Assume, inoltre, un atteggiamento di distacco dai beni
materiali e di carità verso i bisognosi, che lo porta a dare ai
poveri la metà dei suoi averi. Una menzione speciale meritano gli
incontri con Cristo risorto, narrati nel Nuovo Testamento. Grazie al
suo incontro col Risorto, Maria Maddalena supera lo scoraggiamento e
la tristezza causati dalla morte del Maestro (cfr Gv 20,
11-18). Nella sua nuova dimensione pasquale, Gesù la invia ad
annunciare ai discepoli che Egli è risorto: « Va' dai miei fratelli
» (Gv 20, 17). Per tale motivo, Maria Maddalena ha potuto
essere chiamata « l'apostola degli apostoli ».(14) Da parte loro, i
discepoli di Emmaus, dopo aver incontrato e riconosciuto il Signore
risorto, tornano a Gerusalemme per raccontare agli apostoli e agli
altri discepoli quanto era loro accaduto (cfr Lc 24, 13-35).
Gesù « cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in
tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui » (Lc 24, 27).
Essi riconosceranno più tardi che il loro cuore ardeva mentre il
Signore conversava con loro lungo il cammino spiegando le Scritture (cfr
Lc 24, 32). Non vi è dubbio che san Luca, nel narrare questo
episodio, e specialmente il momento decisivo nel quale i due discepoli
riconoscono Gesù, fa allusione esplicita ai racconti della
istituzione dell'Eucaristia, cioè al comportamento di Gesù
nell'Ultima Cena (cfr Lc 24, 30). L'evangelista, per riferire
ciò che i discepoli di Emmaus raccontano agli Undici, utilizza
un'espressione, che nella Chiesa nascente possedeva un significato
eucaristico preciso: « L'avevano riconosciuto nello spezzare il pane
» (Lc 24, 35). Fra gli incontri con il Signore
risorto, uno di quelli che hanno avuto un influsso decisivo nella
storia del cristianesimo è senza dubbio la conversione di Saulo, il
futuro Paolo apostolo delle genti, sulla via di Damasco. E lì che è
avvenuto il cambiamento radicale della sua esistenza, da persecutore
ad apostolo (cfr At 9, 3-30; 22, 6-11; 26, 12-18). Lo stesso
Paolo parla di questa straordinaria esperienza come di una rivelazione
del Figlio di Dio « perché lo annunziassi in mezzo ai pagani » (Gal
1, 16). L'invito del Signore rispetta
sempre la libertà dei chiamati. Ci sono casi in cui l'uomo,
incontrando Gesù, si chiude al cambiamento di vita al quale Egli lo
invita. I casi di persone contemporanee di Gesù che lo videro e lo
udirono e tuttavia non si aprirono alla sua parola, sono numerosi. Il
Vangelo di san Giovanni indica nel peccato la causa che impedisce
all'essere umano di aprirsi alla luce che è Cristo: « La luce è
venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce,
perché le loro opere erano malvagie » (Gv 3, 19). I testi
evangelici insegnano che l'attaccamento alla ricchezza costituisce un
ostacolo all'accoglienza della chiamata ad una sequela piena e
generosa di Gesù. Tipico, al riguardo, è il caso del giovane ricco (cfr
Mt 19, 16-22; Mc 10, 17-22; Lc 18, 18-23). Incontri personali e
incontri comunitari 9. Alcuni incontri con Gesù,
riferiti dai Vangeli, sono chiaramente personali come, ad esempio, le
chiamate vocazionali (cfr Mt 4, 19; 9, 9; Mc 10, 21; Lc
9, 59). In essi, Gesù tratta con intimità i suoi interlocutori: «
Rabbi (che significa Maestro) dove abiti? » [...] « Venite e vedrete
» (Gv 1, 38-39). Altre volte, invece, gli incontri acquistano
un carattere comunitario. Tali sono, in particolare, quelli con gli
Apostoli, che hanno fondamentale importanza per la costituzione della
Chiesa. In effetti, gli Apostoli, scelti da Gesù in una cerchia più
ampia di discepoli (cfr Mc 3, 13-19; Lc 6, 12-16), sono
oggetto di speciale formazione e di una più intima comunicazione.
Alle folle Gesù parla in parabole, che però spiega ai Dodici: «
Perché a voi è dato di conoscere i misteri del Regno dei cieli, ma a
loro non è dato » (Mt 13, 11). Essi sono chiamati ad essere
gli annunciatori della Buona Novella ed a svolgere una speciale
missione per costruire la Chiesa con la grazia dei Sacramenti. A tale
fine, essi ricevono la potestà necessaria: Gesù conferisce loro il
potere di perdonare i peccati, richiamandosi alla pienezza dello
stesso potere che il Padre gli ha dato in cielo ed in terra (cfr Mt
28, 18). Essi saranno i primi a ricevere il dono dello Spirito Santo (cfr
At 2, 1-4), dono in seguito dispensato a quanti, in virtù dei
Sacramenti di iniziazione, saranno incorporati nella Comunità
cristiana (cfr At 2, 38). L'incontro con Cristo nel
tempo della Chiesa 10. La Chiesa costituisce il luogo
nel quale gli uomini, incontrando Gesù, possono scoprire l'amore del
Padre: chi, infatti, ha visto Gesù, ha visto il Padre (cfr Gv 14, 9).
Dopo la sua ascensione al cielo, Gesù agisce mediante l'intervento
potente dello Spirito Paraclito (cfr Gv 16, 7), che trasforma i
credenti dando loro la vita nuova. E così che essi diventano capaci
di amare con l'amore stesso di Dio, che « è stato riversato nei
nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato » (Rm
5, 5). La grazia divina abilita inoltre i cristiani a farsi operatori
della trasformazione del mondo, per instaurare in esso una nuova
civiltà che il mio predecessore Paolo VI opportunamente chiamò « la
civiltà dell'amore ».(15) In effetti, « il Verbo di Dio,
assumendo in tutto la natura umana escluso il peccato (cfr Eb
4, 15), manifesta il piano del Padre di rivelare alla persona umana il
modo di giungere alla pienezza della propria vocazione [...]. Così
Gesù non solo riconcilia l'uomo con Dio, ma lo riconcilia anche con
se stesso, rivelandogli la propria natura ».(16) Con queste parole i
Padri sinodali, sulla scorta del Concilio Vaticano II, hanno ribadito
che Gesù è la via da seguire per giungere alla piena realizzazione
personale, culminante nell'incontro definitivo ed eterno con Dio. «
Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non
per mezzo di me » (Gv 14, 6). Dio ci « ha predestinati ad
essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il
primogenito tra molti fratelli » (Rm 8, 29). Gesù Cristo è,
dunque, la risposta definitiva alla domanda sul senso della vita, agli
interrogativi fondamentali che assillano anche oggi tanti uomini e
donne del Continente americano. Per mezzo di Maria
incontriamo Gesù 11. Alla nascita di Gesù,
dall'Oriente i magi giunsero a Betlemme e « videro il Bambino con
Maria sua Madre » (Mt 2, 11). All'inizio della vita pubblica, alle
nozze di Cana, quando il Figlio di Dio realizza il primo dei segni,
suscitando la fede dei discepoli (cfr Gv 2, 11), è Maria che
interviene ed orienta i servi verso suo Figlio con queste parole: «
Fate quello che vi dirà » (Gv 2, 5). Al riguardo, ho scritto
in un'altra occasione: « La Madre di Cristo si presenta davanti agli
uomini come portavoce della volontà del Figlio, indicatrice di
quelle esigenze che devono essere soddisfatte affinché la potenza
salvifica del Messia possa manifestarsi ».(17) Per tale ragione,
Maria è via sicura all'incontro con Cristo. La pietà verso la Madre
del Signore, quando è autentica, spinge sempre ad orientare la
propria vita secondo lo spirito ed i valori del Vangelo. E come non porre in luce il ruolo
che la Vergine riveste nei confronti della Chiesa pellegrina in
America, in cammino verso l'incontro con il Signore? In effetti, la
Santissima Vergine « in modo speciale è legata alla nascita della
Chiesa nella storia [...] dei popoli dell'America, che attraverso
Maria giunsero ad incontrare il Signore ».(18) In ogni parte del Continente, la
presenza della Madre di Dio è stata molto intensa sin dai giorni
della prima evangelizzazione, grazie alle fatiche dei missionari.
Nella loro predicazione, « il Vangelo è stato annunciato presentando
la Vergine Maria come la sua realizzazione più alta. Sin dalle
origini — nella sua invocazione sotto il titolo di Nostra Signora di
Guadalupe — Maria costituì un grande segno, dal volto materno e
misericordioso, della vicinanza del Padre e di Cristo con i quali ci
invita ad entrare in comunione ».(19) L'apparizione di Maria all'indio
Juan Diego sulla collina di Tepeyac, nel 1531, ebbe una ripercussione
decisiva per l'evangelizzazione.(20) Questo influsso supera di molto i
confini della nazione messicana, raggiungendo l'intero Continente. E
l'America, che storicamente è stata ed è crogiolo di popoli, ha
riconosciuto nel volto meticcio della Vergine di Tepeyac, « in Santa
Maria di Guadalupe, un grande esempio di evangelizzazione
perfettamente inculturata ».(21) Per questo, non solo nel Centro e
nel Sud, ma anche nel Nord del Continente, la Vergine di Guadalupe è
venerata come Regina di tutta l'America.(22) Sempre più nel tempo è andata
crescendo nei Pastori e nei fedeli la consapevolezza del ruolo svolto
dalla Vergine nell'evangelizzazione del Continente. Nella preghiera
composta per l'Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per
l'America, Maria Santissima di Guadalupe è invocata come « Patrona
di tutta l'America e Stella della prima e della nuova evangelizzazione
». In questa prospettiva, accolgo con gioia la proposta dei Padri
sinodali che il giorno 12 dicembre si celebri nell'intero Continente
la festa di Nostra Signora di Guadalupe, Madre ed Evangelizzatrice
dell'America.(23) Coltivo nel mio cuore la ferma speranza che Ella,
alla cui intercessione si deve il fortificarsi della fede nei primi
discepoli (cfr Gv 2, 11), guidi con la sua materna
intercessione la Chiesa in questo Continente, ottenendole l'effusione
dello Spirito Santo come già sulla Chiesa nascente (cfr At 1,
14), affinché la nuova evangelizzazione produca una splendida
fioritura di vita cristiana. Luoghi di incontro con
Cristo 12. Facendo affidamento sull'aiuto
di Maria, la Chiesa in America desidera condurre gli uomini e le donne
del Continente all'incontro con Cristo, punto di partenza per
un'autentica conversione e per una rinnovata comunione e solidarietà.
Tale incontro contribuirà efficacemente a rinsaldare la fede di molti
cattolici, favorendone la maturazione in fede convinta, viva ed
operante. Perché la ricerca di Cristo
presente nella sua Chiesa non si riduca a qualcosa di meramente
astratto, è necessario mostrare i luoghi ed i momenti concreti nei
quali, all'interno della Chiesa, è possibile incontrarlo. La
riflessione dei Padri sinodali al riguardo è stata ricca di
suggerimenti e di osservazioni. Essi hanno indicato, innanzitutto,
« la Sacra Scrittura letta alla luce della Tradizione, dei Padri e
del Magistero, approfondita attraverso la meditazione e la orazione ».(24)
Si è raccomandato di promuovere la conoscenza dei Vangeli, nei quali
è proclamato, con parole facilmente accessibili a tutti, il modo in
cui Gesù visse tra gli uomini. La lettura di questi testi sacri,
quando ci si pone in ascolto con la stessa attenzione con cui le folle
ascoltavano Gesù sul pendio del monte delle Beatitudini, o sulla
sponda del lago di Tiberiade mentre predicava dalla barca, produce
autentici frutti di conversione del cuore. Un secondo luogo d'incontro con
Gesù è la sacra Liturgia.(25) Al Concilio Vaticano II dobbiamo una
ricchissima esposizione della molteplice presenza di Cristo nella
Liturgia, la cui importanza deve indurre a farne oggetto di
predicazione costante: Cristo è presente nel celebrante che rinnova
sull'altare lo stesso ed unico Sacrificio della Croce; è presente nei
Sacramenti nei quali esercita la sua forza efficace. Quando viene
proclamata la sua parola, è Lui stesso che ci parla. Egli è
presente, inoltre, nella comunità in virtù della promessa: « Dove
sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro » (Mt
18, 20). Presente è egli « soprattutto sotto le specie eucaristiche
».(26) Il mio predecessore Paolo VI ritenne necessario spiegare la
singolarità della presenza reale di Cristo nella Eucaristia, che «
è chiamata “reale” non per esclusione, come se le altre presenze
non fossero “reali”, ma per antonomasia, perché è sostanziale ».(27)
Sotto le specie del pane e del vino, « Cristo tutto intero è
presente nella sua “realtà fisica” anche corporalmente ».(28) La Scrittura e l'Eucaristia, quali
luoghi di incontro con Cristo, sono richiamati dal racconto
dell'apparizione del Risorto ai discepoli di Emmaus. Ma il testo del
Vangelo sul giudizio finale (cfr Mt 25, 31-46), in cui viene
detto che saremo giudicati sull'amore verso i bisognosi, nei quali
misteriosamente è presente il Signore Gesù, indica che non bisogna
trascurare un terzo luogo di incontro con Cristo: « le persone,
specialmente i poveri, con i quali Cristo si identifica ».(29) Alla
chiusura del Concilio Vaticano II, il Papa Paolo VI ricordava che «
nel volto d'ogni uomo, specialmente se reso trasparente dalle sue
lacrime e dai suoi dolori, possiamo e dobbiamo ravvisare il volto di
Cristo (cfr Mt 25, 40), il Figlio dell'uomo ».(30) CAPITOLO
II L'INCONTRO
CON GESÙ CRISTO «
A chiunque fu dato molto, La situazione degli uomini e
delle donne d'America 13. Nei Vangeli vengono narrati
gli incontri con Cristo di persone in situazioni molto diverse. A
volte si tratta di situazioni di peccato, che lasciano trasparire il
bisogno della conversione e del perdono del Signore. In altre
circostanze emergono atteggiamenti positivi di ricerca della verità,
di autentica fiducia in Gesù, che favoriscono lo stabilirsi di una
relazione di amicizia con Lui e stimolano il desiderio di imitarlo. Né
possono essere dimenticati i doni con i quali il Signore prepara
alcuni ad un incontro successivo. Così Dio, rendendo Maria « piena
di grazia » (Lc 1, 28) sin dal primo momento, la preparò in
vista della realizzazione in lei del suo più alto incontro con la
natura umana: il mistero ineffabile dell'Incarnazione. Poiché i peccati come le virtù
sociali non esistono in astratto, ma sono il risultato di atti
personali,(31) è necessario tener presente che l'America è oggi una
realtà complessa, frutto delle tendenze e dei modi di procedere degli
uomini e delle donne che la abitano. E in questa situazione reale e
concreta che essi devono incontrarsi con Gesù. L'identità cristiana
dell'America 14. Il dono più grande che
l'America ha ricevuto dal Signore è la fede, che ne ha forgiato
l'identità cristiana. Sono già più di cinquecento anni che il nome
di Cristo è stato annunciato nel Continente. Frutto
dell'evangelizzazione che ha accompagnato i movimenti migratori
dall'Europa è la fisionomia religiosa americana, segnata dai valori
morali che, anche se non sempre vissuti coerentemente e in alcune
occasioni messi in discussione, possono considerarsi in un certo modo
patrimonio di tutti gli abitanti dell'America, anche di coloro che
esplicitamente non vi si riconoscono. E chiaro che l'identità
cristiana dell'America non può considerarsi come sinonimo di identità
cattolica. La presenza di altre confessioni cristiane, in grado
maggiore o minore nelle diverse parti dell'America, rende
particolarmente urgente l'impegno ecumenico, per ricercare l'unità
tra tutti i credenti in Cristo.(32) Frutti di santità 15. L'espressione e i frutti più
alti dell'identità cristiana dell'America sono i Santi. In essi,
l'incontro con Cristo vivo « è tanto profondo e impegnativo [...]
che diventa fuoco che li consuma totalmente e li spinge a costruire il
suo Regno, a far sì che Lui e la nuova alleanza siano il senso e
l'anima [...] della vita personale e comunitaria ».(33) L'America ha
visto fiorire i frutti della santità sin dagli inizi della sua
evangelizzazione. E il caso di santa Rosa da Lima (1586-1617), « il
primo fiore di santità nel Nuovo Mondo », proclamata patrona
principale dell'America nel 1670 dal Papa Clemente X.(34) A partire da
lei, il santorale americano è andato crescendo fino a raggiungere la
sua attuale ampiezza.(35) Le beatificazioni e le canonizzazioni con le
quali non pochi figli e figlie del Continente sono stati elevati
all'onore degli altari offrono modelli eroici di vita cristiana
secondo la diversità degli stati e degli ambienti sociali. La Chiesa,
beatificandoli o canonizzandoli, addita in essi dei potenti
intercessori uniti a Cristo, sommo ed eterno Sacerdote, mediatore tra
Dio e gli uomini. I Beati ed i Santi d'America accompagnano con
sollecitudine fraterna gli uomini e le donne loro conterranei, tra
gioie e sofferenze, fino all'incontro definitivo con il Signore.(36)
Per favorire una sempre maggiore loro imitazione ed un più frequente
e fruttuoso ricorso da parte dei fedeli alla loro intercessione,
considero molto opportuna la proposta dei Padri sinodali di preparare
« una collezione di brevi biografie dei Santi e Beati americani. Ciò
può illuminare e stimolare in America la risposta alla vocazione
universale alla santità ».(37) Tra i suoi Santi, « la storia
della evangelizzazione dell'America riconosce numerosi martiri, uomini
e donne, vescovi e presbiteri, religiosi e laici che con il loro
sangue irrigarono [...] [queste] nazioni. Essi, come nubi di testimoni
(cfr Eb 12, 1), ci stimolano a farci carico oggi, senza timore
e con ardore, della nuova evangelizzazione ».(38) E necessario che i
loro esempi di dedizione senza limite alla causa del Vangelo siano non
solo preservati dall'oblio, ma più conosciuti e diffusi tra i fedeli
del Continente. Scrivevo, in proposito, nella Tertio millennio
adveniente: « Le Chiese locali facciano di tutto per non lasciar
perire la memoria di quanti hanno subito il martirio, raccogliendo la
necessaria documentazione ».(39) La pietà popolare 16. Una caratteristica particolare
dell'America è l'esistenza di una intensa pietà popolare radicata
nelle diverse Nazioni. Si incontra a tutti i livelli e in tutti i
settori sociali, rivestendo un'importanza speciale come luogo di
incontro con Cristo per quanti con spirito di povertà ed umiltà di
cuore cercano sinceramente Dio (cfr Mt 11, 25). Le espressioni
di tale pietà sono numerose: « I pellegrinaggi ai santuari di
Cristo, della Beata Vergine e dei Santi, la preghiera per le anime del
purgatorio, l'uso dei sacramentali (acqua, olio, ceri...). Queste e
tante altre espressioni della pietà popolare offrono ai fedeli
l'opportunità di incontrare il Cristo vivente ».(40) I Padri
sinodali hanno sottolineato l'urgenza di scoprire, nelle
manifestazioni della religiosità popolare, i veri valori spirituali,
per arricchirli con gli elementi della genuina dottrina cattolica,
affinché tale religiosità possa condurre ad un impegno sincero di
conversione e ad un'esperienza concreta di carità.(41) La pietà
popolare, se convenientemente orientata, contribuisce anche ad
accrescere nei fedeli la consapevolezza della propria appartenenza
alla Chiesa, alimentandone il fervore ed offrendo così una risposta
valida alle attuali sfide della secolarizzazione.(42) Dal momento che in America, la
pietà popolare è espressione della inculturazione della fede
cattolica e molte delle sue manifestazioni hanno assunto forme
religiose autoctone, non deve essere sottovalutata la possibilità di
trarre anche di lì, con prudenza illuminata, indicazioni valide per
una maggiore inculturazione del Vangelo.(43) Ciò riveste rilevante
importanza specialmente fra le popolazioni indigene, perché « i semi
del Verbo » presenti nella loro cultura giungano alla loro pienezza
in Cristo.(44) Simile discorso può farsi per gli americani di origine
africana. La Chiesa « riconosce che ha l'obbligo di avvicinarsi a
questi americani a partire dalla loro cultura, considerando seriamente
le ricchezze spirituali e umane di tale cultura che segna il loro modo
di celebrare il culto, il loro senso di gioia e di solidarietà, la
loro lingua e le loro tradizioni ».(45) Presenza cattolico-orientale 17. L'immigrazione in America
costituisce quasi una costante della sua storia dall'inizio
dell'evangelizzazione fino ai nostri giorni. All'interno di questo
complesso fenomeno va segnalato che, negli ultimi tempi, diverse
regioni dell'America hanno accolto numerosi membri delle Chiese
cattoliche orientali i quali, per diversi motivi, hanno abbandonato i
loro territori d'origine. Un primo movimento migratorio proveniva
soprattutto dall'Ucraina occidentale; in seguito, esso si è allargato
alle nazioni del Medio Oriente. Si è così resa pastoralmente
necessaria la creazione di una gerarchia cattolica orientale per
questi fedeli immigrati e per i loro discendenti. Le norme emanate dal
Concilio Vaticano II, che i Padri sinodali hanno ricordato,
riconoscono che le Chiese Orientali « hanno il diritto e il dovere di
reggersi secondo le proprie discipline particolari », avendo la
missione di rendere testimonianza ad un'antichissima tradizione
dottrinale, liturgica e monastica. D'altra parte, queste Chiese devono
conservare le proprie discipline, essendo queste « più
corrispondenti ai costumi dei loro fedeli e sono ritenute più adatte
a provvedere al bene delle anime ».(46) Se alla Comunità ecclesiale
universale è necessaria la sinergia tra le Chiese particolari
di Oriente e di Occidente per permetterle di respirare con i due
polmoni, nella speranza di giungere a farlo pienamente attraverso la
perfetta comunione tra la Chiesa cattolica e quelle orientali
separate,(47) non c'è che da gioire della recente implantazione in
America delle Chiese orientali accanto a quelle latine, ivi presenti
sin dall'inizio, perché in tal modo può meglio manifestarsi la
cattolicità della Chiesa del Signore.(48) La Chiesa nel campo
dell'educazione e dell'azione sociale 18. Tra i fattori che favoriscono
l'influsso della Chiesa sulla formazione cristiana degli americani va
segnalata la sua vasta presenza nel campo dell'educazione e,
specialmente, nel mondo universitario. Le numerose Università
cattoliche disseminate nel Continente costituiscono un tratto
caratteristico della vita ecclesiale in America. Così pure
nell'ambito dell'insegnamento primario e secondario, l'alto numero di
scuole cattoliche offre la possibilità di un'azione evangelizzatrice
di portata molto ampia, sempre che sia accompagnata da una decisa
volontà di impartire una educazione veramente cristiana.(49) Altro campo importante in cui la
Chiesa è presente in ogni parte d'America è l'assistenza caritativa
e sociale. Le molteplici iniziative a favore degli anziani, degli
infermi e di quanti sono nel bisogno mediante asili, ospedali,
dispensari, mense gratuite e altri centri sociali, sono palpabile
testimonianza dell'amore preferenziale per i poveri che la Chiesa in
America nutre mossa dall'amore del Signore e consapevole che « Gesù
si è identificato con loro (cfr Mt 25, 31-46) ».(50) In
questo compito che non conosce frontiere, essa ha saputo creare una
coscienza di solidarietà concreta tra le diverse comunità del
Continente e del mondo intero, manifestando così la fraternità che
deve caratterizzare i cristiani di ogni tempo e luogo. Il servizio ai poveri, perché sia
evangelico ed evangelizzatore, deve essere riflesso fedele
dell'atteggiamento di Gesù, che venne « per annunciare ai poveri la
Buona Novella » (Lc 4, 18). Se svolto con questo spirito, esso
diventa manifestazione dell'amore infinito di Dio per tutti gli uomini
e modo eloquente di trasmettere la speranza di salvezza che Cristo ha
portato al mondo, e che risplende in modo particolare quando è
comunicata agli abbandonati o ai rifiutati dalla società. Questa costante dedizione ai
poveri ed ai diseredati si riflette nel Magistero sociale della
Chiesa, che non si stanca di invitare la comunità cristiana ad
impegnarsi per il superamento di ogni forma di sfruttamento e di
oppressione. Si tratta, infatti, non soltanto di alleviare i bisogni
più gravi e urgenti mediante azioni individuali o sporadiche, ma di
evidenziare le radici del male, proponendo interventi che diano alle
strutture sociali, politiche ed economiche una configurazione più
giusta e solidale. Crescente rispetto dei
diritti umani 19. Nell'ambito civile, ma con
implicazioni morali immediate, si devono segnalare, tra gli aspetti
positivi dell'America di oggi, la crescente affermazione in tutto il
Continente di sistemi politici democratici e la progressiva riduzione
dei regimi dittatoriali. La Chiesa guarda con simpatia a questa
evoluzione, nella misura in cui ciò favorisce un sempre più chiaro
rispetto dei diritti di ciascuno, compresi quelli dell'inquisito e del
reo, nei cui confronti non è legittimo il ricorso a metodi di
detenzione e di indagine — il pensiero va in particolare alla
tortura — lesivi della dignità umana. « Lo stato di diritto è, in
effetti, la condizione necessaria per stabilire una vera democrazia ».(51) L'esistenza di uno stato di
diritto, peraltro, implica nei cittadini, e molto più nella classe
dirigente, la convinzione che la libertà non può essere svincolata
dalla verità.(52) In effetti, « i gravi problemi che minacciano la
dignità della persona umana, la famiglia, il matrimonio,
l'educazione, l'economia e le condizioni di lavoro, la qualità della
vita e la vita stessa, propongono la questione del diritto ».(53) I
Padri sinodali con ragione hanno sottolineato che « i diritti
fondamentali della persona umana sono scritti nella stessa natura, che
sono voluti da Dio e che perciò esigono una universale osservanza e
accettazione. Nessuna autorità umana può trasgredirli appellandosi
alla maggioranza o al consenso politico, con il pretesto che in tal
modo vengono rispettati il pluralismo e la democrazia. Perciò, la
Chiesa deve impegnarsi nel formare e accompagnare i laici che sono
presenti nell'ambito legislativo, nel governo e nell'amministrazione
della giustizia, perché le leggi esprimano sempre principi e valori
morali che siano conformi ad una sana antropologia e che tengano
presente il bene comune ».(54) Il fenomeno della
globalizzazione 20. Caratteristica del mondo
contemporaneo è la tendenza alla globalizzazione, fenomeno che, pur
non essendo esclusivamente americano, è più percettibile ed ha
maggiori ripercussioni in America. Si tratta di un processo che si
impone a motivo della maggiore comunicazione delle diverse parti del
mondo tra loro, conducendo in pratica al superamento delle distanze,
con effetti evidenti in campi molto differenti. I risvolti dal punto di vista
etico possono essere positivi o negativi. C'è in realtà una
globalizzazione economica che porta con sé alcune conseguenze
positive come il fenomeno della efficienza e l'incremento della
produzione e che, con lo sviluppo delle relazioni tra i diversi paesi
in ambito economico, può rinforzare il processo di unità dei popoli
e rendere migliore il servizio alla famiglia umana. Se però la
globalizzazione è retta dalle pure leggi del mercato applicate
secondo la convenienza dei potenti, le conseguenze non possono essere
che negative. Tali sono, ad esempio, l'attribuzione di un valore
assoluto all'economia, la disoccupazione, la diminuzione e il
deterioramento di alcuni servizi pubblici, la distruzione
dell'ambiente e della natura, l'aumento delle differenze tra ricchi e
poveri, la concorrenza ingiusta che pone le Nazioni povere in una
situazione di inferiorità sempre più marcata.(55) La Chiesa, sebbene
stimi i valori positivi che la globalizzazione comporta, guarda con
inquietudine agli aspetti negativi da essa veicolati. E che dire della globalizzazione
culturale prodotta dalla forza dei mezzi di comunicazione sociale?
Essi impongono dappertutto nuove scale di valori, sovente arbitrari e
nel fondo materialistici, di fronte ai quali è difficile mantenere
viva l'adesione ai valori del Vangelo. La crescente urbanizzazione 21. In crescita in America è pure
il fenomeno dell'urbanizzazione. Già da alcuni lustri il Continente
sta vivendo un esodo costante dalle campagne alla città. Si tratta di
un fenomeno complesso già descritto dal mio predecessore Paolo
VI.(56) Diverse sono le cause, ma tra queste emergono principalmente
la povertà ed il sottosviluppo delle zone rurali, dove frequentemente
mancano servizi, comunicazioni, strutture educative e sanitarie. La
città, inoltre, con le connotazioni di divertimento e di benessere
con cui viene presentata non poche volte dai mezzi di comunicazione
sociale, esercita un'attrazione speciale per la gente semplice
dell'ambiente rurale. La frequente mancanza di
pianificazione in questo processo è fonte di molti mali. Come hanno
segnalato i Padri sinodali, « in certi casi, talune zone delle città
sono come delle isole nelle quali si accumula la violenza, la
delinquenza giovanile e l'atmosfera di disperazione ».(57) Il
fenomeno dell'urbanizzazione presenta poi grandi sfide per l'azione
pastorale della Chiesa, che deve far fronte allo sradicamento
culturale, alla perdita di consuetudini familiari, al distacco dalle
proprie tradizioni religiose, con la conseguenza non infrequente del
naufragio della fede, privata di quelle manifestazioni che
contribuivano a sostenerla. Evangelizzare la cultura urbana
costituisce una sfida formidabile per la Chiesa, che come per secoli
seppe evangelizzare la cultura rurale, così è chiamata oggi a
portare a compimento un'evangelizzazione urbana metodica e capillare
mediante la catechesi, la liturgia e il modo stesso di organizzare le
proprie strutture pastorali.(58) Il peso del debito estero 22. I Padri sinodali hanno
manifestato preoccupazione per il debito estero che affligge non poche
Nazioni americane, esprimendo solidarietà nei loro confronti. Essi
richiamano con forza l'attenzione dell'opinione pubblica sulla
complessità del tema, riconoscendo che « il debito è frequentemente
frutto della corruzione e della cattiva amministrazione ».(59) Nello
spirito della riflessione sinodale tale riconoscimento non pretende di
concentrare in un solo polo le responsabilità di un fenomeno
sommamente complesso nella sua origine e nelle sue soluzioni.(60) In effetti, tra le cause che hanno
contribuito al formarsi di un debito estero schiacciante, vanno
segnalati non solo gli elevati interessi, frutto di politiche
finanziarie speculative, ma anche l'irresponsabilità di alcuni
governanti che, nel contrarre il debito, non hanno riflettuto
sufficientemente sulle reali possibilità di estinguerlo, con
l'aggravante che somme ingenti ottenute grazie a prestiti
internazionali vanno talora ad arricchire persone singole, invece che
essere destinate a sostenere i cambiamenti necessari per lo sviluppo
del Paese. D'altra parte, sarebbe ingiusto far pesare le conseguenze
di tali decisioni irresponsabili su chi non le ha assunte. La gravità
della situazione è ancor più comprensibile se si tien conto che «
già il solo pagamento degli interessi costituisce per l'economia
delle Nazioni povere un peso che toglie alle autorità la disponibilità
del denaro necessario per lo sviluppo sociale, l'educazione, la sanità
e la istituzione di un fondo per creare lavoro ».(61) La corruzione 23. La corruzione, frequentemente
presente tra le cause del debito pubblico opprimente, è un problema
grave che va attentamente considerato. La corruzione « senza
rispettare confini, riguarda persone, strutture pubbliche e private di
potere e le classi dirigenti ». Si tratta di una situazione che «
favorisce l'impunità e l'accumulo illecito del denaro, la mancanza di
fiducia verso le istituzioni politiche, soprattutto
nell'amministrazione della giustizia e negli investimenti pubblici,
non sempre chiari, uguali per tutti e efficaci ».(62) A tale proposito, desidero
ricordare quanto ho scritto nel Messaggio per la Giornata Mondiale
della Pace del 1998, che cioè la piaga della corruzione va
denunciata e combattuta con forza da coloro che detengono l'autorità
e con il « sostegno generoso di tutti i cittadini, sorretti da una
forte coscienza morale ».(63) Gli adeguati organismi di controllo e
la trasparenza delle transazioni economiche e finanziarie prevengono
ulteriormente ed evitano in molti casi il dilagare della corruzione,
le cui nefaste conseguenze ricadono principalmente sui più poveri e
derelitti. Sono ancora i poveri a soffrire per primi i ritardi,
l'inefficienza, l'assenza di una difesa adeguata e le carenze
strutturali, quando ad essere corrotta è l'amministrazione della
giustizia. Il commercio e il consumo di
droga 24. Il commercio col conseguente
consumo di sostanze stupefacenti costituisce una seria minaccia per le
strutture sociali delle Nazioni in America. Esso « contribuisce ai
crimini ed alla violenza, alla distruzione della vita familiare, alla
distruzione fisica ed emotiva di molti individui e comunità,
soprattutto tra i giovani. Corrode inoltre la dimensione etica del
lavoro e contribuisce ad aumentare il numero di persone nelle carceri,
in una parola, al degrado della persona creata ad immagine di Dio ».(64)
Un tale nefasto commercio porta inoltre a « distruggere governi,
corrodendo la sicurezza economica e la stabilità delle Nazioni ».(65)
Siamo qui in presenza di una delle sfide più urgenti con cui devono
misurarsi molte Nazioni nel mondo: è infatti una sfida che pone in
forse gran parte dei vantaggi ottenuti negli ultimi tempi per il
progresso dell'umanità. Per alcune Nazioni in America, la produzione,
il traffico ed il consumo di droghe costituiscono fattori
compromettenti per il loro prestigio internazionale, perché riducono
la loro credibilità e rendono più difficile quell'auspicata
collaborazione con altri Paesi, che è tanto necessaria nei nostri
giorni per lo sviluppo armonico di ogni popolo. La preoccupazione per
l'ecologia 25. « E Dio vide che era cosa
buona » (Gn 1, 25). Queste parole che leggiamo nel primo
capitolo del libro della Genesi, offrono il senso dell'opera da lui
realizzata. Il Creatore affida all'uomo, coronamento di tutto il
processo creativo, la cura della terra (cfr Gn 2, 15). Nascono
da qui obblighi concreti per ogni persona in ordine all'ecologia. Il
loro adempimento suppone l'apertura ad una prospettiva spirituale ed
etica che superi gli atteggiamenti e « gli stili di vita egoistici
che portano all'esaurimento delle risorse naturali ».(66) Anche in questo settore, oggi
tanto attuale, l'intervento dei credenti è quanto mai importante. E
necessaria la collaborazione di tutti gli uomini di buona volontà con
le istanze legislative e di governo per conseguire una protezione
efficace dell'ambiente, considerato come dono di Dio. Quanti abusi e
danni ecologici anche in molte regioni americane! Basti pensare
all'incontrollata emissione di gas nocivi o al drammatico fenomeno
degli incendi forestali, provocati talvolta intenzionalmente da
persone mosse da interessi egoistici. Tali devastazioni possono
condurre ad una reale desertificazione in non poche zone dell'America
con le inevitabili conseguenze di fame e di miseria. Il problema si
pone, con speciale intensità, nella foresta amazzonica, immenso
territorio che interessa varie nazioni: dal Brasile alla Guyana, al
Suriname, al Venezuela, alla Colombia, all'Ecuador, al Perù ed alla
Bolivia.(67) E uno degli spazi naturali più apprezzati nel mondo per
la sua diversità biologica, che lo rende vitale per l'equilibrio
ambientale di tutto il pianeta. CAPITOLO
III CAMMINO
DI CONVERSIONE «
Pentitevi dunque e cambiate vita »
(At 3, 19) Urgenza della chiamata alla
conversione 26. « Il tempo è compiuto e il
regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo » (Mc
1, 15). Queste parole, con le quali Gesù diede inizio al suo
ministero in Galilea, continuamente risuonano alle orecchie di
Vescovi, presbiteri, diaconi, persone consacrate e fedeli laici di
tutta l'America. Come la recente celebrazione del quinto centenario
dell'inizio dell'evangelizzazione dell'America, così anche la
commemorazione dei 2000 anni della nascita di Gesù, il grande
Giubileo appunto che ci apprestiamo a celebrare, costituiscono
altrettanti richiami ad approfondire la propria vocazione cristiana.
La grandezza dell'evento dell'Incarnazione e la gratitudine per il
dono del primo annuncio del Vangelo in America invitano a rispondere
prontamente a Cristo con una più convinta conversione personale e, al
tempo stesso, stimolano a sempre più generosa fedeltà evangelica.
L'esortazione di Cristo a convertirsi trova eco in quella
dell'Apostolo: « E ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché la
nostra salvezza è più vicina ora di quando diventammo credenti » (Rm
13, 11). L'incontro con Gesù vivo spinge alla conversione. Nel Nuovo Testamento per parlare
di conversione viene utilizzata la parola metanoia, che
significa cambiamento di mentalità. Non si tratta solo di un diverso
modo di pensare a livello intellettuale, ma della revisione alla luce
dei criteri evangelici delle proprie convinzioni operative. San Paolo
parla, a questo proposito, di « fede che opera per mezzo della carità
» (Gal 5, 6). Per questo l'autentica conversione va preparata
e coltivata mediante la lettura orante della Sacra Scrittura e la
pratica dei sacramenti della Riconciliazione e dell'Eucaristia. La
conversione conduce alla comunione fraterna, perché fa comprendere
che Cristo è il capo della Chiesa, suo mistico corpo; spinge alla
solidarietà, perché rende consapevoli che quanto facciamo agli
altri, specialmente ai più bisognosi, è rivolto a Cristo. Essa
favorisce, pertanto, una vita nuova, nella quale non vi sia
separazione tra fede ed opere nella quotidiana risposta all'universale
chiamata alla santità. Superare la frattura tra la fede e la vita è
indispensabile, perché si possa effettivamente parlare di
conversione. In presenza, infatti, di tale divisione, il cristianesimo
diventa soltanto nominale. Per essere vero discepolo del Signore, il
credente dev'essere testimone della propria fede ed « il testimone
rende la sua testimonianza non solo con le parole, ma anche con la
propria vita ».(68) Dobbiamo tener presenti le parole di Gesù: «
Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli,
ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli » (Mt
7, 21). L'apertura alla volontà del Padre suppone una totale
disponibilità, che non escluda nemmeno il dono della vita: « La
massima testimonianza è il martirio ».(69) Dimensione sociale della
conversione 27. La conversione non è però
completa se manca la coscienza delle esigenze della vita cristiana e
se non ci si sforza di realizzarle. A questo proposito i Padri
sinodali hanno rilevato che purtroppo « esistono grandi carenze di
ordine personale e comunitario riguardo sia ad una conversione più
profonda che alle relazioni tra gli ambienti, le istituzioni e i
gruppi nella Chiesa ».(70) « Chi non ama il proprio fratello che
vede, non può amare Dio che non vede » (1 Gv 4, 20). La carità fraterna implica
attenzione a tutte le necessità del prossimo. « Se uno ha ricchezze
di questo mondo e vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il
proprio cuore, come dimora in lui l'amore di Dio? » (1 Gv 3,
17). Per questo, convertirsi al Vangelo per il popolo cristiano che
vive in America significa rivedere « tutti gli ambienti e le
dimensioni della vita, specialmente tutto ciò che concerne l'ordine
sociale ed il conseguimento del bene comune ».(71) In modo speciale,
occorrerà « coltivare la crescente coscienza sociale della dignità
di ogni persona e, perciò, promuovere nella comunità la sensibilità
al dovere di partecipare all'azione politica secondo il Vangelo ».(72)
E chiaro infatti che anche l'attività in campo politico fa parte
della vocazione e dell'azione dei fedeli laici.(73) A questo proposito, tuttavia, si
rivela di grande importanza, soprattutto in una società pluralistica,
avere una giusta visione dei rapporti tra la comunità politica e la
Chiesa ed una chiara distinzione tra le azioni che i fedeli,
individualmente o in gruppo, compiono in proprio nome, come cittadini,
guidati dalla coscienza cristiana, e le azioni che essi compiono in
nome della Chiesa in comunione con i loro Pastori. La Chiesa, che, in
ragione del suo ufficio e della sua competenza, in nessuna maniera si
confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema
politico, è insieme il segno e la salvaguardia del carattere
trascendente della persona umana.(74) Conversione permanente 28. La conversione quaggiù è
traguardo mai pienamente raggiunto: nel cammino che il discepolo è
chiamato a percorrere sulle orme di Gesù, essa è impegno che investe
tutta la vita. D'altro canto, mentre siamo in questo mondo, il nostro
proposito di conversione è sempre insidiato dalle tentazioni. Dal
momento che « nessuno può servire a due padroni » (Mt 6,
24), il cambiamento di mentalità (metanoia) consiste nello
sforzo di assimilare i valori evangelici, che contrastano con le
tendenze dominanti nel mondo. E necessario, pertanto, rinnovare
costantemente « l'incontro con Gesù Cristo vivo », via questa che,
come hanno messo in luce i Padri sinodali, « ci conduce alla
conversione permanente ».(75) La chiamata universale alla
conversione acquista sfumature particolari per la Chiesa che è in
America, impegnata anch'essa nel rinnovamento della propria fede. I
Padri sinodali hanno così formulato quest'impegno concreto ed
esigente: « Questa conversione esige specialmente da noi Vescovi
un'autentica identificazione con lo stile personale di Gesù Cristo,
che ci conduce alla semplicità, alla povertà, al farci prossimo,
alla rinuncia ai vantaggi, affinché, come Lui, senza riporre la
nostra fiducia nei mezzi umani, traiamo dalla forza dello Spirito e
dalla Parola tutta l'efficacia del Vangelo, rimanendo aperti anzitutto
a quanti sono maggiormente lontani ed esclusi ».(76) Per essere
Pastori secondo il cuore di Dio (cfr Ger 3, 15), è
indispensabile assumere un modo di vivere che assimili a Colui che
disse di se stesso: « Io sono il buon pastore » (Gv 10, 11),
e che san Paolo pone in evidenza quando scrive: « Fatevi miei
imitatori, come io lo sono di Cristo » (1 Cor 11, 1). Guidati dallo Spirito Santo
verso un nuovo stile di vita 29. La proposta di un nuovo stile
di vita non è solo per i Pastori, bensì per tutti i cristiani che
vivono in America. Ad essi viene chiesto di approfondire e fare
propria l'autentica spiritualità cristiana. « In effetti, col
termine spiritualità si intende uno stile o una forma di vita secondo
le esigenze cristiane. Spiritualità è “vita in Cristo” e
“nello Spirito”, che si accetta nella fede, si esprime nell'amore
e, animata di speranza, si traduce nel quotidiano della comunità
ecclesiale ».(77) In questo senso, per spiritualità, che è la meta
a cui conduce la conversione, si intende non « una parte della vita,
bensì la vita intera guidata dallo Spirito Santo ».(78) Tra gli
elementi di spiritualità che ogni cristiano deve fare propri, spicca
la preghiera. Essa lo « condurrà a poco a poco ad acquisire uno
sguardo contemplativo sulla realtà, che gli permetterà di
riconoscere Dio in ogni momento e in ogni cosa; di contemplarlo in
ogni persona; di cercare la sua volontà negli avvenimenti ».(79) La preghiera sia personale che
liturgica è dovere di ogni cristiano. « Gesù Cristo, vangelo del
Padre, ci avverte che senza di Lui non possiamo far nulla (cfr Gv
15, 5). Egli stesso, nei momenti decisivi della sua vita, prima di
agire, si ritirava in un luogo solitario per dedicarsi alla preghiera
ed alla contemplazione, e domandò agli Apostoli che facessero
altrettanto ».(80) Ai suoi discepoli, senza eccezioni, egli ricorda:
« Entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel
segreto » (Mt 6, 6). Questa intensa vita di preghiera dev'essere
adattata alle capacità e condizioni di ogni cristiano, così che
ciascuno nelle diverse situazioni della vita possa attingere « alla
fonte del suo incontro con Cristo per abbeverarsi all'unico Spirito (cfr
1 Cor 12, 13) ».(81) In questo senso, la dimensione
contemplativa non è un privilegio riservato a pochi; al contrario
nelle parrocchie, nelle comunità e all'interno dei movimenti va
promossa una spiritualità aperta e orientata alla contemplazione
delle verità fondamentali della fede: i misteri della Trinità,
dell'Incarnazione del Verbo, della Redenzione degli uomini, e le altre
grandi opere salvifiche di Dio.(82) Gli uomini e le donne dediti
esclusivamente alla contemplazione svolgono una missione fondamentale
nella Chiesa che è in America. Essi costituiscono, secondo
l'espressione del Concilio Vaticano II, « una gloria per la Chiesa e
una sorgente di grazie celesti ».(83) Per questo, i monasteri
disseminati in ogni parte del Continente devono essere « oggetto di
speciale amore da parte dei Pastori, i quali siano pienamente persuasi
che le anime dedite alla vita contemplativa ottengono abbondanza di
grazia, mediante la preghiera, la penitenza e la contemplazione, a cui
consacrano la vita. I contemplativi devono esser consapevoli che sono
inseriti nella missione della Chiesa nel tempo presente e che, con la
testimonianza della propria vita, cooperano al bene spirituale dei
fedeli aiutandoli a cercare il volto di Dio nell'esistenza quotidiana
».(84) La spiritualità cristiana si
alimenta anzitutto di costante vita sacramentale, essendo i Sacramenti
radice e fonte inesauribile della grazia di Dio necessaria per
sostenere il credente nel suo pellegrinaggio terreno. Tale vita dev'essere
integrata con i valori della pietà popolare, valori che a loro volta
risulteranno arricchiti dalla pratica sacramentale ed affrancati dal
pericolo di degenerare inconsuetudini ripetitive. Va inoltre notato
che questa spiritualità non si contrappone alla dimensione sociale
dell'impegno cristiano. Al contrario, attraverso un cammino di
preghiera il credente si rende più cosciente delle esigenze del
Vangelo e dei suoi doveri nei confronti dei fratelli, ottenendo la
forza della grazia indispensabile per perseverare nel bene. Per
maturare spiritualmente, il cristiano farà bene a ricorrere al
consiglio dei sacri ministri o di altre persone esperte in questo
campo mediante la direzione spirituale, pratica tradizionalmente
presente nella Chiesa. I Padri sinodali hanno creduto necessario
raccomandare ai sacerdoti questo ministero tanto importante.(85) Vocazione universale alla
santità 30. « Siate santi, perché io, il
Signore, Dio vostro, sono santo » (Lv 19, 2). L'Assemblea
Speciale del Sinodo dei Vescovi per l'America ha voluto ricordare con
vigore a tutti i cristiani l'importanza della dottrina della
universale vocazione alla santità nella Chiesa.(86) Si tratta di uno
dei punti centrali della Costituzione dogmatica sulla Chiesa del
Concilio Vaticano II.(87) La santità è la meta del cammino di
conversione, poiché essa « non è fine a se stessa, bensì
itinerario verso Dio, che è santo. Essere santi è imitare Dio e
glorificare il suo nome nelle opere che realizziamo nella nostra vita
(cfr Mt 5, 16) ».(88) Nel cammino della santità, Gesù Cristo
è il punto di riferimento e il modello da imitare: Egli è « il
Santo di Dio e fu riconosciuto come tale (cfr Mc 1, 24). E Lui
stesso ad insegnarci che il cuore della santità è l'amore, che
conduce anche a dare la vita per gli altri (cfr Gv 15, 13). Per
questo, imitare la santità di Dio, così come si è manifestato in
Gesù Cristo, suo Figlio, non è altro che prolungare il suo amore
nella storia, specialmente nei confronti dei poveri, dei malati, degli
indigenti (cfr Lc 10, 25ss) ».(89) Gesù, unica via alla santità 31. « Io sono la Via, la Verità
e la Vita » (Gv 14, 6). Con queste parole, Gesù si presenta
come l'unica via che conduce alla santità. Ma la conoscenza concreta
di tale itinerario avviene principalmente mediante la Parola di Dio
che la Chiesa proclama con la sua predicazione. Per questo, la Chiesa
in America « deve assegnare una chiara priorità alla riflessione
orante sulla Sacra Scrittura, da parte di tutti i fedeli ».(90)
Questa lettura della Bibbia, accompagnata dalla preghiera, è nota
nella tradizione della Chiesa con il nome di Lectio divina,
pratica da incoraggiare fra tutti i cristiani. Per i presbiteri, essa
deve costituire un elemento fondamentale nella preparazione delle loro
omelie, specialmente di quelle domenicali.(91) Penitenza e riconciliazione 32. La conversione (metanoia),
a cui ogni essere umano è chiamato, porta ad accettare e fare propria
la nuova mentalità proposta dal Vangelo. Questo chiede l'abbandono
del modo di pensare e di agire mondano, che tante volte condiziona
pesantemente l'esistenza. Come ricorda la Sacra Scrittura, è
necessario che muoia l'uomo vecchio e nasca l'uomo nuovo, cioè, che
tutto l'essere umano si rinnovi « per una piena conoscenza, ad
immagine del suo Creatore » (Col 3, 10). In tale cammino di
conversione e di ricerca della santità « si devono raccomandare i
mezzi ascetici da sempre presenti nella prassi della Chiesa, che
culminano nel Sacramento del perdono, ricevuto e celebrato con le
debite disposizioni ».(92) Solo chi è riconciliato con Dio è
protagonista di autentica riconciliazione con e tra i fratelli. L'attuale crisi del sacramento
della Penitenza, da cui non è esente la Chiesa che è in America e
circa la quale ho espresso la mia preoccupazione fin dall'inizio del
mio Pontificato,(93) potrà essere superata grazie anche ad un'azione
pastorale assidua e paziente. Al riguardo, i Padri sinodali
chiedono giustamente « che i sacerdoti dedichino il debito tempo alla
celebrazione del sacramento della Penitenza, ed invitino con
insistenza e con forza i fedeli a riceverlo, senza che i Pastori
trascurino la loro frequente confessione personale ».(94) I Vescovi
ed i sacerdoti sperimentano personalmente il misterioso incontro con
Cristo che perdona nel sacramento della Penitenza e sono del suo amore
misericordioso testimoni privilegiati. La Chiesa cattolica, che abbraccia
uomini e donne « di ogni nazione, razza, popolo e lingua » (Ap
7, 9), è chiamata ad essere, « in un mondo segnato da divisioni
ideologiche, etniche, economiche e culturali », il « segno vivo
dell'unità della famiglia umana ».(95) L'America, sia nella
complessa realtà delle singole Nazioni e nella varietà dei diversi
gruppi etnici, sia nei tratti caratterizzanti l'intero Continente,
presenta molte differenze che non vanno ignorate ed alle quali è
doveroso prestare attenzione. Grazie ad un'efficace opera di
integrazione tra i membri del Popolo di Dio all'interno d'ogni Paese e
tra i membri delle Chiese particolari delle diverse Nazioni, le
differenze di oggi potranno essere fonte di mutuo arricchimento. Come
affermano giustamente i Padri sinodali, « è di grande importanza che
la Chiesa in tutta l'America sia segno vivo di una comunione
riconciliata, appello permanente alla solidarietà, testimonianza
sempre presente nei nostri diversi sistemi politici, economici e
sociali ».(96) Ecco un significativo contributo che i credenti
possono offrire all'unità del Continente americano. CAPITOLO
IV VIA
ALLA COMUNIONE «
Come tu, Padre, sei in me e io in te, La Chiesa, sacramento di
comunione 33. « Davanti ad un mondo diviso
e desideroso di unità è necessario proclamare con gioia e fermezza
di fede che Dio è comunione, Padre, Figlio e Spirito Santo, unità
nella distinzione, il quale chiama tutti gli uomini a partecipare alla
medesima comunione trinitaria. E necessario proclamare che questa
comunione è il progetto magnifico di Dio [Padre]; che Gesù Cristo,
fattosi uomo, è il centro di questa stessa comunione, e che lo
Spirito Santo opera costantemente per creare la comunione e
restaurarla quando si è rotta. E necessario proclamare che la Chiesa
è segno e strumento della comunione voluta da Dio, iniziata nel tempo
e destinata alla perfezione nella pienezza del Regno ».(97) La Chiesa
è segno di comunione perché i suoi membri, come i tralci, sono
partecipi della stessa vita di Cristo, la vera vite (cfr Gv 15,
5). In effetti, mediante la comunione con Cristo, Capo del Corpo
mistico, entriamo in comunione viva con tutti i credenti. Questa comunione, esistente nella
Chiesa ed essenziale alla sua natura,(98) deve manifestarsi attraverso
segni concreti, « come potrebbero essere: la preghiera in comune gli
uni per gli altri, l'impulso alle relazioni tra le Conferenze
Episcopali, i legami tra Vescovo e Vescovo, le relazioni di fraternità
tra le diocesi e le parrocchie, e la mutua comunicazione tra operatori
pastorali per attività missionarie specifiche ».(99) Essa chiede di
conservare il deposito della fede nella sua purezza ed integrità,
nonché l'unità dell'intero Collegio dei Vescovi sotto l'autorità
del Successore di Pietro. In tale contesto, i Padri sinodali hanno
rilevato che « il rafforzamento del ministero petrino è fondamentale
per la preservazione dell'unità della Chiesa », e che « il pieno
esercizio del primato di Pietro è fondamentale per l'identità e la
vitalità della Chiesa in America ». (100) Per mandato del Signore, a
Pietro ed ai suoi Successori appartiene il compito di confermare nella
fede i fratelli (cfr Lc 22, 32) e di pascere l'intero gregge di
Cristo (cfr Gv 21, 15-17). Così pure, il Successore del
principe degli Apostoli è chiamato ad essere la pietra sulla quale la
Chiesa è edificata, ed a esercitare il ministero derivante
dall'essere egli depositario delle chiavi del Regno (cfr Mt 16,
18-19). Il Vicario di Cristo è, infatti, « il perpetuo principio di
[...] unità e il fondamento visibile » della Chiesa. (101) Iniziazione cristiana e
comunione 34. La comunione di vita nella
Chiesa si ottiene mediante i sacramenti dell'iniziazione cristiana:
Battesimo, Confermazione ed Eucaristia. Il Battesimo è « la porta
d'ingresso alla vita spirituale; per mezzo di esso diventiamo membra
del Cristo ed entriamo a far parte del corpo della Chiesa ». (102) I
battezzati, ricevendo la Confermazione, « vengono vincolati più
perfettamente alla Chiesa, sono arricchiti di una speciale forza dallo
Spirito Santo e in questo modo sono più strettamente obbligati a
diffondere e a difendere con la parola e con l'opera la fede come veri
testimoni di Cristo ». (103) L'itinerario dell'iniziazione cristiana
raggiunge il suo perfezionamento ed il suo culmine con l'Eucaristia,
per la quale il battezzato si inserisce pienamente nel Corpo di
Cristo. (104) « Questi sacramenti sono
un'eccellente opportunità per una buona evangelizzazione e catechesi,
quando la loro preparazione è affidata ad operatori dotati di fede e
competenza ». (105) Benché nelle diverse Diocesi dell'America vi sia
stato un innegabile progresso nella preparazione ai Sacramenti
dell'iniziazione cristiana, i Padri sinodali hanno tuttavia lamentato
che « sono molti coloro che li ricevono senza la sufficiente
formazione ». (106) Nel caso poi del Battesimo di bambini, non si
deve omettere uno sforzo catechistico nei confronti dei genitori e dei
padrini. L'Eucaristia, centro di
comunione con Dio e con i fratelli 35. La realtà dell'Eucaristia non
si esaurisce nel fatto di essere il Sacramento in cui culmina
l'iniziazione cristiana. Mentre il Battesimo e la Confermazione hanno
la funzione di iniziare ed introdurre alla vita propria della Chiesa,
e non sono reiterabili, (107) l'Eucaristia costituisce il centro vivo
permanente intorno al quale si raduna l'intera comunità ecclesiale.
(108) I diversi aspetti di questo Sacramento ne mostrano
l'inesauribile ricchezza: esso è, al tempo stesso,
Sacramento-sacrificio, Sacramento-comunione, Sacramento-presenza.
(109) L'Eucaristia è il luogo
privilegiato per l'incontro con Cristo vivo. Per questo, i Pastori del
Popolo di Dio in America, mediante la predicazione e la catechesi,
devono sforzarsi di « dare alla celebrazione eucaristica domenicale
una nuova forza, come fonte e culmine della vita della Chiesa,
garanzia della comunione nel Corpo di Cristo e invito alla solidarietà
come espressione del mandato del Signore: “Come io vi ho amato, così
amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13, 34) ». (110)
Come suggeriscono i Padri sinodali, tale sforzo deve tener conto di
varie dimensioni fondamentali. Anzitutto, è necessario risvegliare
nei fedeli la consapevolezza che l'Eucaristia è un immenso dono: ciò
li porterà a fare il possibile per parteciparvi in modo attivo e
degno almeno la domenica e i giorni di festa. Al tempo stesso, devono
essere incoraggiati « gli sforzi dei sacerdoti per facilitare questa
partecipazione e renderla possibile alle comunità più lontane ».
(111) Occorre richiamare ai fedeli che « la partecipazione piena,
cosciente ed attiva, benché essenzialmente distinta dall'ufficio del
sacerdote ordinato, è un'attuazione del sacerdozio comune ricevuto
nel Battesimo ». (112) La necessità che i fedeli
partecipino all'Eucaristia e le difficoltà connesse con la scarsità
di sacerdoti sottolineano l'urgenza di promuovere le vocazioni
sacerdotali. (113) Occorre pure ricordare a tutta la Chiesa in America
« il legame esistente tra l'Eucaristia e la carità », (114) legame
che la Chiesa primitiva esprimeva unendo l'agape con la Cena
eucaristica. (115) La partecipazione all'Eucaristia deve condurre ad
un'azione caritativa più intensa, come frutto della grazia ricevuta
in questo sacramento. I Vescovi, promotori di
comunione 36. La comunione nella Chiesa,
proprio perché segno di vita, deve crescere continuamente. Di
conseguenza, i Vescovi, ricordando che « singolarmente presi, sono il
principio visibile e il fondamento dell'unità nelle loro Chiese
particolari », (116) non possono non sentirsi impegnati a promuovere
la comunione nelle loro Diocesi, perché più efficace risulti lo
sforzo per la nuova evangelizzazione in America. La tensione
comunitaria risulta favorita dagli organismi previsti dal Concilio
Vaticano II a sostegno dell'attività del Vescovo diocesano, organismi
che la legislazione post-conciliare ha più dettagliatamente definito.
(117) « Spetta al Vescovo, con la cooperazione di sacerdoti, diaconi,
consacrati e laici [...], realizzare un piano di azione pastorale
coordinata, che sia organico e partecipato e che raggiunga tutti i
membri della Chiesa e susciti la loro coscienza missionaria ». (118) Ogni Ordinario non mancherà di
promuovere nei sacerdoti e nei fedeli la consapevolezza che la Diocesi
è l'espressione visibile della comunione ecclesiale, che si forma
alla mensa della Parola e dell'Eucaristia intorno al Vescovo, unito
con il Collegio episcopale e sotto il suo Capo, il Romano Pontefice.
Essa, in quanto Chiesa particolare, ha il mandato di iniziare ed
incrementare l'incontro di tutti i membri del Popolo di Dio con Gesù
Cristo, (119) nel rispetto e nella promozione di quella pluralità e
di quella diversificazione che non ostacolano l'unità, ma le
conferiscono il carattere di comunione. (120) Lo spirito di
partecipazione e di corresponsabilità nella vita degli organismi
diocesani sarà certamente favorito da una conoscenza più
approfondita della natura della Chiesa particolare. (121) Una comunione più intensa
tra le Chiese particolari 37. L'Assemblea Speciale per
l'America del Sinodo dei Vescovi, la prima nella storia ad aver
riunito Vescovi di tutto il Continente, è stata da tutti percepita
come una grazia speciale del Signore alla Chiesa pellegrina in
America. Essa ha rafforzato la comunione che deve esistere tra le
Comunità ecclesiali del Continente, facendo percepire a tutti
l'urgenza di incrementarla ulteriormente. Le esperienze di comunione
episcopale, frequenti soprattutto dopo il Concilio Vaticano II per il
consolidarsi e il diffondersi delle Conferenze Episcopali, sono da
intendersi come incontri con Cristo vivo, presente nei fratelli
riuniti nel suo nome (cfr Mt 18, 20). L'esperienza sinodale ha mostrato
altresì le ricchezze di una comunione che si estende oltre gli ambiti
della singola Conferenza Episcopale. Benché già esistano forme di
dialogo che superano tali confini, i Padri sinodali hanno sottolineato
l'opportunità di intensificare le riunioni interamericane, già
promosse dalle Conferenze Episcopali delle diverse Nazioni americane,
come espressione di solidarietà effettiva e come luogo di incontro e
di studio delle comuni sfide all'evangelizzazione in America. (122)
Sarà ugualmente opportuno definire con esattezza il carattere di tali
incontri, in modo che siano, sempre più, espressione di comunione tra
tutti i Pastori. Oltre a queste riunioni più ampie, può essere
utile, quando le circostanze lo richiedano, creare commissioni
specifiche per approfondire i temi comuni che riguardano tutta
l'America. Settori nei quali sembra particolarmente necessario « che
si dia impulso alla cooperazione sono le mutue comunicazioni
pastorali, la cooperazione missionaria, l'educazione, le migrazioni,
l'ecumenismo ». (123) I Vescovi, ai quali incombe il
dovere di promuovere la comunione tra le loro Chiese particolari, non
mancheranno di stimolare i fedeli a vivere in misura crescente la
dimensione comunitaria, assumendosi « la responsabilità di
sviluppare i vincoli di comunione con le Chiese locali in altre zone
dell'America mediante l'educazione, la mutua comunicazione, l'unione
fraterna tra parrocchie e diocesi, progetti di cooperazione e di
prevenzione comune in temi di maggiore importanza, soprattutto in
quelli che riguardano i poveri ». (124) Comunione fraterna con le
Chiese cattoliche orientali 38. Il recente fenomeno
dell'impiantarsi e dello svilupparsi in America di Chiese particolari
cattoliche orientali, dotate di gerarchia propria, è stato oggetto di
speciale attenzione da parte di alcuni Padri sinodali. Un sincero
desiderio di abbracciare cordialmente ed efficacemente questi fratelli
nella fede e nella comunione gerarchica sotto il Successore di Pietro,
ha condotto l'Assemblea sinodale a proporre iniziative concrete di
aiuto fraterno da parte delle Chiese particolari latine nei confronti
di quelle cattoliche orientali presenti nel Continente. Così, per
esempio, è stata avanzata l'ipotesi che sacerdoti di rito latino,
soprattutto se di origine orientale, possano offrire la loro
cooperazione liturgica alle comunità orientali, sprovviste di un
numero sufficiente di presbiteri. Ugualmente per gli edifici sacri, i
fedeli orientali potranno utilizzare, nei casi in cui ciò apparirà
conveniente, le chiese di rito latino. In questo spirito di comunione
meritano di essere considerate varie proposte dei Padri sinodali: che,
là dove è necessario, si dia vita, nelle Conferenze Episcopali
nazionali e negli organismi internazionali di cooperazione episcopale,
ad una commissione mista incaricata di studiare i problemi pastorali
comuni; che la catechesi e la formazione teologica per i laici ed i
seminaristi della Chiesa latina includano la conoscenza della
tradizione viva dell'Oriente cristiano; che i Vescovi delle Chiese
cattoliche orientali partecipino alle Conferenze Episcopali latine
delle rispettive Nazioni. (125) Non c'è dubbio che questa
cooperazione fraterna, mentre offrirà un aiuto prezioso alle Chiese
orientali, di recente fondazione in America, permetterà alle Chiese
particolari latine di arricchirsi con il patrimonio spirituale della
tradizione dell'Oriente cristiano. Il presbiterio come segno di
unità 39. « Come membro di una Chiesa
particolare, ogni sacerdote dev'essere segno di comunione con il
Vescovo essendo suo immediato collaboratore, unito ai suoi fratelli
nel presbiterio. Con carità pastorale esercita il suo ministero,
principalmente nella comunità che gli è stata affidata, e la conduce
all'incontro con Cristo Buon Pastore. La sua vocazione richiede che
egli sia segno di unità. Per questo deve evitare qualunque
partecipazione all'attività politica di tipo partitico, che
dividerebbe la comunità ». (126) E auspicio dei Padri sinodali che
« si sviluppi un'azione pastorale a favore del clero diocesano, che
renda più solida la sua spiritualità, la sua missione e la sua
identità, il cui centro consiste nella sequela di Cristo Sommo ed
Eterno Sacerdote, sempre teso al compimento della volontà del Padre.
Egli è il modello della dedizione generosa, della vita austera e del
servizio fino alla morte. Il sacerdote sia cosciente del fatto che, in
forza del sacramento dell'Ordine, è portatore di grazia, che
distribuisce ai fratelli nei sacramenti. Egli stesso si santifica
nell'esercizio del ministero ». (127) Immenso è il campo in cui si
svolge l'azione dei sacerdoti. Conviene, pertanto, « che essi pongano
al centro della loro attività ciò che è essenziale per il
ministero: lasciarsi configurare a Cristo Capo e Pastore, fonte della
carità pastorale, offrendo se stessi quotidianamente con Cristo
nell'Eucaristia, per aiutare i fedeli a vivere l'incontro personale e
comunitario con Gesù Cristo vivo ». (128) Come testimoni e discepoli
di Cristo misericordioso, essi sono chiamati a farsi strumenti di
perdono e di riconciliazione, impegnandosi generosamente al servizio
dei fedeli secondo lo spirito del Vangelo. I presbiteri, in quanto pastori
del Popolo di Dio in America, devono inoltre essere attenti alle sfide
del mondo attuale e sensibili ai problemi e alle speranze della loro
gente, condividendone le vicissitudini e, soprattutto, assumendo un
atteggiamento di solidarietà con i poveri. Avranno cura di discernere
i carismi e le qualità dei fedeli capaci di contribuire
all'animazione della comunità, ascoltandoli e dialogando con essi,
per stimolarne così la partecipazione e la corresponsabilità. Questo
favorirà una migliore distribuzione dei compiti, permettendo loro di
« dedicarsi a ciò che è più strettamente connesso con l'incontro e
l'annuncio di Gesù Cristo, così da rappresentare al meglio, in seno
alla comunità, la presenza di Gesù che raduna il suo popolo ».
(129) Quest'opera di discernimento dei
carismi s'estenderà anche alla valorizzazione di quei sacerdoti che
appaiono atti a compiere particolari ministeri. A tutti i sacerdoti,
peraltro, si chiede di prestare il loro aiuto fraterno nel presbiterio
e di ricorrere ad esso con fiducia in caso di bisogno. Di fronte alla splendida realtà
di tanti sacerdoti in America che, con la grazia di Dio, si sforzano
di far fronte ad una mole di lavoro veramente notevole, faccio mio il
desiderio dei Padri sinodali di riconoscere e lodare il loro «
infaticabile impegno di pastori, evangelizzatori e animatori della
comunione ecclesiale, esprimendo loro gratitudine ed incoraggiandoli a
continuare ad offrire la loro vita al servizio del Vangelo ». (130) Promuovere la pastorale
vocazionale 40. Il ruolo indispensabile del
sacerdote in seno alla comunità deve render consapevoli tutti i figli
della Chiesa in America dell'importanza della pastorale vocazionale.
Il Continente americano possiede una gioventù numerosa, ricca di
valori umani e religiosi. Per questo, occorre coltivare gli ambienti
in cui nascono le vocazioni al sacerdozio ed alla vita consacrata, e
invitare le famiglie cristiane ad aiutare i figli qualora si sentano
chiamati a seguire tale cammino. (131) In effetti, le vocazioni «
sono un dono di Dio » e « nascono nelle comunità di fede, anzitutto
nella famiglia, nella parrocchia, nelle scuole cattoliche e in altre
organizzazioni della Chiesa. I Vescovi e i presbiteri hanno la
speciale responsabilità di stimolare tali vocazioni mediante l'invito
personale, e principalmente con la testimonianza di una vita di fedeltà,
gioia, entusiasmo e santità. La responsabilità di promuovere
vocazioni al sacerdozio compete a tutto il Popolo di Dio e trova il
suo principale compimento nella preghiera costante e umile per le
vocazioni ». (132) I seminari, quali luoghi di
accoglienza e di formazione dei chiamati al sacerdozio, devono
preparare i futuri ministri della Chiesa a vivere « in una solida
spiritualità di comunione con Cristo Pastore e di docilità
all'azione dello Spirito, che li renderà capaci in modo speciale di
discernere le attese del Popolo di Dio e i diversi carismi, e di
lavorare insieme ». (133) Per questo, nei seminari « si deve
insistere specialmente sulla formazione specificamente spirituale, in
modo che con la costante conversione, l'atteggiamento di preghiera,
l'accostamento ai sacramenti dell'Eucaristia e della Penitenza, i
candidati si formino all'incontro con il Signore e si preoccupino di
fortificarsi per il generoso impegno pastorale ». (134) I formatori
abbiano cura di accompagnare e guidare i seminaristi verso una maturità
affettiva che li renda atti ad abbracciare il celibato sacerdotale e
capaci di vivere in comunione con i confratelli nella vocazione
sacerdotale. Inoltre, promuovano in essi la capacità di osservazione
critica della realtà circostante, così che siano in grado di
discernere valori e disvalori, essendo questo un requisito
indispensabile per stabilire un dialogo costruttivo con il mondo di
oggi. Particolare attenzione sarà
riservata alle vocazioni sbocciate tra gli indigeni: occorre curare
una formazione inculturata nel loro ambiente. Questi candidati al
sacerdozio, mentre ricevono l'adeguata formazione teologica e
spirituale per il loro futuro ministero, non devono smarrire le radici
che hanno nella loro cultura. (135) I Padri sinodali hanno poi voluto
ringraziare e benedire tutti coloro che consacrano la vita alla
formazione dei futuri presbiteri nei seminari. Hanno pure invitato i
Vescovi a destinare a tale compito i sacerdoti più adatti, dopo
averli preparati mediante una formazione specifica atta ad abilitarli
ad una missione così delicata. (136) Rinnovare l'istituzione
parrocchiale 41. La parrocchia è un luogo
privilegiato in cui è possibile per i fedeli fare l'esperienza
concreta della Chiesa. (137) Oggi, in America come altrove nel mondo,
la parrocchia attraversa talora alcune difficoltà nello svolgimento
della propria missione. Essa ha bisogno di un rinnovamento continuo
partendo dal principio fondamentale che « la parrocchia deve
continuare ad essere primariamente comunità eucaristica ». (138)
Tale principio implica che « le parrocchie sono chiamate ad essere
accoglienti e solidali, luogo dell'iniziazione cristiana,
dell'educazione e della celebrazione della fede, aperte alla varietà
di carismi, servizi e ministeri, organizzate in modo comunitario e
responsabile, capaci di coinvolgere i movimenti di apostolato già
esistenti, attente alla diversità culturale degli abitanti, aperte ai
progetti pastorali e sovraparrocchiali ed alle realtà circostanti ».
(139) Una speciale attenzione meritano,
per le loro problematiche specifiche, le parrocchie nei grandi
agglomerati urbani, dove le difficoltà sono così grandi che le
normali strutture pastorali risultano inadeguate e le possibilità di
azione apostolica notevolmente ridotte. L'istituzione parrocchiale,
tuttavia, conserva la sua importanza e va mantenuta. Per ottenere
questo obiettivo, occorre « continuare la ricerca di mezzi con i
quali la parrocchia e le sue strutture pastorali giungano ad essere più
efficaci nelle zone urbane ». (140) Una via di rinnovamento
parrocchiale, particolarmente urgente nelle parrocchie delle grandi
città, si può forse trovare considerando la parrocchia come comunità
di comunità e di movimenti. (141) Appare perciò opportuno il
formarsi di comunità e di gruppi ecclesiali di dimensione tale da
permettere vere relazioni umane: ciò consentirà di vivere più
intensamente la comunione, avendo cura di coltivarla non solo « ad
intra », ma anche con la comunità parrocchiale alla quale tali
raggruppamenti appartengono, e con l'intera Chiesa diocesana e
universale. Sarà inoltre più facile, all'interno di un simile
contesto umano, raccogliersi in ascolto della Parola di Dio, per
riflettere alla sua luce sui vari problemi umani, e maturare scelte
responsabili ispirate all'amore universale di Cristo. (142)
L'istituzione parrocchiale così rinnovata « può suscitare una
grande speranza. Può formare la gente in comunità, offrire aiuto
alla vita familiare, superare la condizione di anonimato, accogliere
le persone e aiutarle ad inserirsi nell'ambito del vicinato e della
società ». (143) In tal modo, ogni parrocchia oggi, e
particolarmente quelle operanti nelle città, potrà promuovere
un'evangelizzazione più personale, e al tempo stesso incrementare le
relazioni positive con gli altri operatori sociali, educativi e
comunitari. (144) Inoltre, « questo tipo di
parrocchia rinnovata richiede una figura di pastore che, anzitutto,
coltivi una profonda esperienza di Cristo vivo, spirito missionario,
cuore paterno, sia animatore della vita spirituale ed evangelizzatore
capace di promuovere la partecipazione. La parrocchia rinnovata ha
bisogno della collaborazione dei laici, di un animatore dell'attività
pastorale e della capacità del pastore di lavorare con gli altri. Le
parrocchie in America debbono segnalarsi per lo spirito missionario,
che le spinga ad estendere la loro azione ai lontani ». (145) I diaconi permanenti 42. Per seri motivi pastorali e
teologici, il Concilio Vaticano II ha deciso di ristabilire il
diaconato come grado permanente della gerarchia nella Chiesa latina,
lasciando alle Conferenze Episcopali, con l'approvazione del Sommo
Pontefice, di valutare l'opportunità di istituire i diaconi
permanenti e in quali luoghi. (146) Si tratta di un'esperienza assai
varia non solo tra le diverse zone dell'America, ma addirittura tra le
diocesi di una medesima regione. « Alcune diocesi hanno formato e
ordinato non pochi diaconi, e sono pienamente soddisfatte della loro
integrazione e del loro ministero ». (147) Qui si vede con gioia come
i diaconi, « sostenuti dalla grazia sacramentale, nel ministero (diaconia)
della liturgia, della parola e della carità sono al servizio del
Popolo di Dio, in comunione col Vescovo e il suo presbiterio ». (148)
Altre diocesi non hanno intrapreso questo cammino, mentre altrove
esistono difficoltà nell'integrazione dei diaconi permanenti
all'interno della struttura gerarchica. Fatta salva la libertà delle
Chiese particolari di ristabilire, consentendolo il Sommo Pontefice,
il diaconato come grado permanente, è chiaro che il buon esito di
tale ripristino implica un diligente processo di selezione, una
formazione seria ed un'attenzione scrupolosa ai candidati, come pure
un sollecito accompagnamento non solo di questi sacri ministri, ma,
nel caso dei diaconi sposati, anche della loro famiglia, della loro
moglie e dei loro figli. (149) La vita consacrata 43. La storia
dell'evangelizzazione in America costituisce un'eloquente
testimonianza dello sforzo missionario compiuto da tante persone
consacrate, che, fin dall'inizio, hanno annunciato il Vangelo, hanno
difeso i diritti degli indigeni e, con amore eroico a Cristo, si sono
dedicati al servizio del Popolo di Dio nel Continente. (150) L'apporto
delle persone consacrate all'annuncio del Vangelo in America continua
ad essere di enorme importanza; si tratta di un apporto differenziato
secondo i carismi propri di ogni gruppo: « gli Istituti di vita
contemplativa che testimoniano l'assoluto di Dio, gli Istituti
apostolici e missionari che rendono presente Cristo nei più svariati
campi dell'esistenza umana, gli Istituti secolari che aiutano a
risolvere la tensione tra apertura reale ai valori del mondo moderno e
profonda offerta del cuore a Dio. Nascono inoltre nuovi Istituti e
nuove forme di vita consacrata, che richiedono discernimento
evangelico ». (151) Poiché « il futuro della nuova
evangelizzazione [...] è impensabile senza un rinnovato contributo
delle donne, specialmente delle donne consacrate », (152) è urgente
favorirne la partecipazione in vari settori della vita ecclesiale,
inclusi i processi nei quali si elaborano le decisioni, soprattutto in
ciò che le riguarda direttamente. (153) « Anche oggi la testimonianza
della vita pienamente consacrata a Dio è un'eloquente proclamazione
del fatto che Egli basta a dare pienezza all'esistenza di qualunque
persona ». (154) Questa consacrazione al Signore deve prolungarsi nel
generoso servizio alla diffusione del Regno di Dio. Per tale ragione,
alle soglie del terzo millennio occorre far sì « che la vita
consacrata sia maggiormente stimata e promossa da Vescovi, sacerdoti,
e comunità cristiane, e che i consacrati, consapevoli della gioia e
della responsabilità della loro vocazione, si integrino pienamente
nella Chiesa particolare alla quale appartengono e promuovano la
comunione e la mutua collaborazione ». (155) I fedeli laici e il
rinnovamento della Chiesa 44. « La dottrina del Concilio
Vaticano II sull'unità della Chiesa, come Popolo di Dio radunato
nell'unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, sottolinea
che sono comuni alla dignità di tutti i battezzati l'imitazione e la
sequela di Cristo, la comunione reciproca ed il mandato missionario ».
(156) E necessario, pertanto, che i fedeli laici siano consapevoli
della loro dignità di battezzati. Da parte loro, i Pastori abbiano
profonda stima « della testimonianza e dell'azione evangelizzatrice
dei laici che, inseriti nel Popolo di Dio con spiritualità di
comunione, conducono i fratelli all'incontro con Gesù Cristo vivo. Il
rinnovamento della Chiesa in America non sarà possibile senza la
presenza attiva dei laici. Per questo, appartiene in gran parte ad
essi la responsabilità per il futuro della Chiesa ». (157) Due sono gli ambiti in cui si
realizza la vocazione dei fedeli laici. Il primo, e più proprio del
loro stato laicale, è quello delle realtà temporali, che sono
chiamati ad ordinare secondo la volontà di Dio. (158) Infatti, « col
loro peculiare modo di agire, il Vangelo è portato dentro le
strutture del mondo e “operando santamente dappertutto consacrano a
Dio il mondo stesso” ». (159) Grazie ai fedeli laici, « la
presenza e la missione della Chiesa nel mondo si realizza, in modo
speciale, nella varietà di carismi e ministeri che possiede il
laicato. La secolarità è la nota caratteristica e propria del laico
e della sua spiritualità, che lo porta ad agire nei vari ambiti della
vita familiare, sociale, professionale, culturale e politica, in vista
della loro evangelizzazione. In un Continente nel quale si riscontrano
la competizione e l'aggressività, il consumo sregolato e la
corruzione, i laici sono chiamati ad incarnare valori profondamente
evangelici come la misericordia, il perdono, l'onestà, la trasparenza
di cuore e la pazienza nelle situazioni difficili. Si attende dai
laici una grande forza creativa in gesti e opere che manifestino una
vita coerente con il Vangelo ». (160) L'America ha bisogno di laici
cristiani in grado di assumere ruoli direttivi nella società. E
urgente formare uomini e donne capaci di incidere, secondo la propria
vocazione, nella vita pubblica, orientandola al bene comune.
Nell'esercizio della politica, vista nel suo senso più nobile ed
autentico di amministrazione del bene comune, essi possono trovare la
via della propria santificazione. A tale scopo, è necessario che
siano formati sia nei principi e nei valori della dottrina sociale
della Chiesa, che nelle nozioni fondamentali della teologia del
laicato. La conoscenza approfondita dei principi etici e dei valori
morali cristiani consentirà loro di farsene paladini nel loro
ambiente, proclamandoli anche nei confronti della cosiddetta «
neutralità dello Stato ». (161) Vi è un secondo ambito nel quale
molti fedeli laici sono chiamati a lavorare, ed è quello che si
potrebbe definire « intraecclesiale ». Non sono pochi i laici in
America che nutrono la legittima aspirazione di contribuire con i loro
talenti e carismi « alla costruzione della comunità ecclesiale, come
delegati della Parola, catechisti, visitatori di malati o di
carcerati, animatori di gruppi, ecc. ». (162) I Padri sinodali hanno
espresso l'auspicio che la Chiesa riconosca alcuni di questi compiti
come ministeri laicali, fondati nei sacramenti del Battesimo e della
Confermazione, ferma restando la specificità dei ministeri propri del
sacramento dell'Ordine. Si tratta di un tema vasto e complesso per il
cui studio, già da qualche tempo, ho costituito un'apposita
Commissione (163) e circa il quale gli organismi della Santa Sede sono
andati offrendo di volta in volta alcune linee direttive. (164) E
necessario promuovere la proficua collaborazione di fedeli laici ben
preparati, uomini e donne, nelle diverse attività all'interno della
Chiesa, evitando tuttavia che ci sia confusione con i ministeri
ordinati e con le azioni proprie del sacramento dell'Ordine, al fine
di ben distinguere il sacerdozio comune dei fedeli da quello
ministeriale. A questo riguardo, i Padri
sinodali hanno raccomandato che i compiti affidati ai laici siano ben
« distinti da quelli che costituiscono tappe verso il ministero
ordinato », (165) e che i candidati al sacerdozio ricevono prima del
presbiterato. Come pure è stato osservato che tali compiti laicali «
non devono essere conferiti se non a persone, uomini e donne, che
abbiano acquisito la formazione richiesta, secondo precisi criteri:
una certa permanenza, una reale disponibilità nei confronti di un
determinato gruppo di persone, l'obbligo di rendere conto al proprio
Pastore ». (166) In ogni caso, benché l'apostolato intraecclesiale
dei laici debba essere stimolato, occorre far sì che esso coesista
con l'attività propria dei laici nella quale essi non possono essere
sostituiti dai sacerdoti: il campo cioè delle realtà temporali. Dignità della donna 45. Speciale attenzione va
riservata alla vocazione della donna. In altre occasioni ho voluto
esprimere il mio apprezzamento per lo specifico apporto della donna al
progresso dell'umanità e riconoscere la legittimità delle sue
aspirazioni a partecipare in modo pieno alla vita ecclesiale,
culturale, sociale ed economica. (167) Senza tale contributo
verrebbero a mancare alcune ricchezze che solo il « genio femminile
» (168) può apportare alla vita della Chiesa e della società
stessa. Non riconoscerlo costituirebbe un'ingiustizia storica
specialmente in America, se si tien conto del contributo dato dalle
donne allo sviluppo materiale e culturale del Continente, come pure
nella trasmissione e conservazione della fede. In effetti, « il loro
ruolo fu decisivo soprattutto nella vita consacrata, nell'educazione,
nell'assistenza sanitaria ». (169) Purtroppo, in non poche regioni
del Continente americano la donna è ancora oggetto di
discriminazioni. Per questo, si può dire che il volto dei poveri in
America è anche il volto di molte donne. Ecco perché i Padri
sinodali hanno parlato di un « aspetto femminile della povertà ».
(170) La Chiesa si sente in dovere di insistere sulla dignità umana
comune ad ogni persona. Essa « denuncia la discriminazione, l'abuso
sessuale e la prepotenza maschile come azioni contrarie al piano di
Dio ». (171) In particolare, deplora come abominevole la
sterilizzazione, a volte programmata, delle donne, soprattutto delle
più povere ed emarginate, che viene praticata spesso in maniera
surrettizia, all'insaputa delle stesse interessate; ciò è tanto più
grave quando vien fatto per ottenere aiuti economici a livello
internazionale. La Chiesa nel Continente si sente
impegnata ad intensificare l'attenzione per le donne e a difenderle «
affinché la società in America aiuti maggiormente la vita familiare
fondata sul matrimonio, protegga maggiormente la maternità ed abbia
più rispetto per la dignità di tutte le donne ». (172) Occorre
aiutare le donne americane a prendere parte attiva e responsabile alla
vita ed alla missione della Chiesa, (173) come pure bisogna
riconoscere la necessità della saggezza e della collaborazione delle
donne nei ruoli dirigenziali della società americana. Le sfide per la famiglia
cristiana 46. « Dio Creatore, formando il
primo uomo e la prima donna, e comandando loro “siate fecondi e
moltiplicatevi” (Gn 1, 28), costituì definitivamente la
famiglia. In questo santuario nasce la vita ed è accolta come dono di
Dio. La Parola divina, letta assiduamente nella famiglia, la
costruisce a poco a poco come chiesa domestica e la rende feconda in
umanità e virtù cristiane; lì si trova la sorgente delle vocazioni.
La devozione mariana, alimentata dalla preghiera, conserverà la
famiglia unita e in attitudine orante con Maria, come i discepoli di
Gesù prima della Pentecoste (cfr At 1, 14) ». (174) Molte
sono le insidie che minacciano la solidità dell'istituzione familiare
nella maggior parte dei Paesi dell'America, e costituiscono
altrettante sfide per i cristiani. Vanno menzionate, tra le altre,
l'aumento dei divorzi, la diffusione dell'aborto, dell'infanticidio e
della mentalità contraccettiva. Di fronte a questa situazione occorre
ribadire « che il fondamento della vita umana è la relazione
coniugale tra il marito e la moglie, relazione che tra i cristiani è
sacramentale ». (175) E perciò urgente un'ampia opera
di catechesi circa l'ideale cristiano della comunione coniugale e
della vita familiare, che includa una spiritualità della paternità e
della maternità. Maggior attenzione pastorale va dedicata al ruolo
degli uomini come mariti e padri, così come alla responsabilità che
condividono con le mogli riguardo al matrimonio, alla famiglia ed
all'educazione dei figli. Né va omessa una seria preparazione dei
giovani prima del matrimonio, nella quale sia presentata con chiarezza
la dottrina cattolica su questo sacramento, a livello teologico,
antropologico e spirituale. In un Continente caratterizzato da un
notevole sviluppo demografico, com'è l'America, devono essere
continuamente incrementate le iniziative pastorali rivolte alle
famiglie. Per essere veramente « chiesa
domestica », (176) la famiglia cristiana è chiamata a costituire
l'ambito in cui i genitori trasmettono la fede, dovendo essere « per
i loro figli, con la parola e con l'esempio, i primi annunciatori
della fede ». (177) Non manchi nella famiglia la pratica della
preghiera, nella quale si ritrovino uniti i coniugi tra loro e con i
figli. Sono, in proposito, da favorire momenti di vita spirituale in
comune: la partecipazione all'Eucaristia nei giorni di festa, la
pratica del sacramento della Riconciliazione, la preghiera quotidiana
in famiglia e gesti concreti di carità. Si consoliderà così la
fedeltà nel matrimonio e l'unità della famiglia. In un ambiente
familiare con queste caratteristiche non sarà difficile che i figli
sappiano scoprire la loro vocazione al servizio della comunità e
della Chiesa e che apprendano, specialmente guardando all'esempio dei
loro genitori, che la vita familiare è una via per realizzare
l'universale vocazione alla santità. (178) I giovani, speranza del
futuro 47. I giovani sono una grande
forza sociale e di evangelizzazione. Essi « costituiscono una parte
numerosissima della popolazione in molte Nazioni dell'America. Nel
loro incontro con Cristo vivo si fondano le speranze e le aspettative
di un futuro di maggior comunione e solidarietà per la Chiesa e le
società in America ». (179) Sono evidenti gli sforzi che le Chiese
particolari compiono nel Continente per accompagnare gli adolescenti
nell'itinerario catechetico prima della Confermazione e degli altri
supporti che loro offrono perché crescano nell'incontro con Cristo e
nella conoscenza del Vangelo. L'itinerario formativo dei giovani dev'essere
costante e dinamico, atto ad aiutarli a trovare il loro posto nella
Chiesa e nel mondo. Pertanto, la pastorale giovanile deve essere tra
le preoccupazioni primarie dei Pastori e delle comunità. In realtà,
molti sono i giovani americani in cerca d'un significato vero da dare
alla vita ed assetati di Dio, ma molto spesso mancano le condizioni
adatte per mettere a frutto le loro capacità e realizzare le loro
aspirazioni. Purtroppo, la carenza di lavoro e di prospettive di
futuro li conduce a volte all'emarginazione ed alla violenza. La
sensazione di frustrazione, che sperimentano a causa di tutto ciò,
non di rado li conduce ad abbandonare la ricerca di Dio. Dinanzi a così
complessa situazione, « la Chiesa si impegna a mantenere la sua
opzione pastorale e missionaria per i giovani, perché possano
incontrare oggi Gesù Cristo vivo ». (180) L'azione pastorale della Chiesa
raggiunge molti di questi adolescenti e giovani mediante l'animazione
cristiana della famiglia, la catechesi, le istituzioni educative
cattoliche e la vita comunitaria nella parrocchia. Ma ve ne sono molti
altri, specialmente tra quanti soffrono varie forme di povertà, che
rimangono fuori del raggio di attività ecclesiale. Devono essere i
giovani cristiani, formati ad una matura coscienza missionaria, gli
apostoli dei loro coetanei. E necessaria un'azione pastorale che
raggiunga i giovani nei loro vari ambienti: nei collegi, nelle
università, nel mondo del lavoro, negli ambienti rurali, con
appropriato adattamento alla loro sensibilità. In ambito parrocchiale
e diocesano sarà opportuno sviluppare pure un'attività pastorale
della gioventù che tenga conto dell'evoluzione del mondo dei giovani,
che cerchi il dialogo con loro, che non tralasci le occasioni propizie
per incontri più ampi, che animi le iniziative locali e valorizzi ciò
che già si realizza a livello interdiocesano ed internazionale. E che fare di fronte ai giovani
che indugiano in atteggiamenti adolescenziali di una certa incostanza
e difficoltà ad assumere impegni seri e definitivi? Davanti a questa
carenza di maturità è necessario invitare i giovani ad avere
coraggio, formandoli ad apprezzare il valore dell'impegno per tutta la
vita, quale si ha nel caso del sacerdozio, della vita consacrata e del
matrimonio cristiano. (181) Accompagnare il bambino nel
suo incontro con Cristo 48. I bambini sono dono e segno
della presenza di Dio. « Occorre accompagnare il bambino nel suo
incontro con Cristo, dal Battesimo fino alla prima Comunione, giacché
fa parte della comunità vivente di fede, speranza e carità ». (182)
La Chiesa è riconoscente per le fatiche dei genitori, degli
insegnanti, degli operatori pastorali, sociali e sanitari, e di tutti
coloro che sono al servizio della famiglia e dei bambini con il
medesimo atteggiamento di Gesù Cristo che dice: « Lasciate che i
bambini vengano a me, non glielo impedite perché a chi è come loro
appartiene il regno di Dio » (Mt 19, 14). A ragione i Padri sinodali
lamentano e condannano la condizione dolorosa di molti bambini in
tutta l'America, privati della dignità, dell'innocenza e persino
della vita. « Questa condizione include la violenza, la povertà, la
carenza di casa, la mancanza di adeguata assistenza sanitaria e di
educazione, i danni delle droghe e dell'alcool, e altri stati di
abbandono e di abuso ». (183) A questo proposito, nel Sinodo si è
fatta speciale menzione della problematica dell'abuso sessuale dei
bambini e della prostituzione infantile, ed i Padri hanno lanciato un
accorato appello « a tutti coloro che sono investiti di autorità
nella società, perché, come realtà prioritaria, facciano tutto ciò
che è in loro potere per alleviare la sofferenza dei bambini in
America ». (184) Elementi di comunione con le
altre Chiese e Comunità ecclesiali 49. Tra la Chiesa cattolica e le
altre Chiese e Comunità ecclesiali esiste uno sforzo di comunione che
ha la sua radice nel Battesimo amministrato in ognuna di esse. (185) E
uno sforzo che si alimenta mediante la preghiera, il dialogo e
l'azione comune. I Padri sinodali hanno voluto esprimere una speciale
volontà di « collaborazione al dialogo già avviato con la Chiesa
ortodossa, con la quale abbiamo in comune molti elementi di fede, di
vita sacramentale e di pietà ». (186) Le proposte concrete
dell'Assemblea sinodale circa l'insieme delle Chiese e Comunità
ecclesiali cristiane non cattoliche sono molteplici. Si suggerisce, in
primo luogo, « che i cristiani cattolici, pastori e fedeli,
promuovano l'incontro dei cristiani delle diverse confessioni, nella
collaborazione, in nome del Vangelo, per rispondere al grido dei
poveri, con la promozione della giustizia, la preghiera comune per
l'unità e la partecipazione alla Parola di Dio ed all'esperienza
della fede in Cristo vivo ». (187) Vanno altresì favorite, quando
sia opportuno e conveniente, le riunioni di persone esperte delle
diverse Chiese e Comunità ecclesiali per facilitare il dialogo
ecumenico. L'ecumenismo dev'essere oggetto di riflessione e di
comunicazione di esperienze tra le diverse Conferenze Episcopali
cattoliche del Continente. Sebbene il Concilio Vaticano II si
riferisca a tutti i battezzati e i credenti in Cristo come a «
fratelli nel Signore », (188) è necessario saper distinguere con
chiarezza le comunità cristiane, con le quali è possibile stabilire
relazioni ispirate alla dinamica ecumenica, dalle sette, culti ed
altri fallaci movimenti religiosi. Rapporto della Chiesa con le
comunità ebraiche 50. Nella società americana
esistono altresì comunità di ebrei, con le quali la Chiesa ha
instaurato in questi ultimi anni una collaborazione crescente. (189)
Nella storia della salvezza è evidente la nostra speciale relazione
con il popolo ebreo. Del popolo ebreo fa parte Gesù, che diede inizio
alla sua Chiesa all'interno della Nazione giudaica. Gran parte della
Sacra Scrittura, che noi cristiani leggiamo come Parola di Dio,
costituisce un patrimonio spirituale comune con gli ebrei. (190) Va,
pertanto, evitato ogni atteggiamento negativo nei loro confronti,
poiché « per benedire il mondo è necessario che gli ebrei e i
cristiani siano prima benedizione gli uni per gli altri ». (191) Religioni non cristiane 51. Quanto alle religioni non
cristiane, la Chiesa cattolica nulla rigetta di ciò che in esse vi è
di vero e di santo. (192) Per questo, nei confronti delle altre
religioni i cattolici intendono sottolineare gli elementi di verità
dovunque possano trovarsi, ma al tempo stesso testimoniano fortemente
la novità della rivelazione di Cristo, custodita nella sua integrità
dalla Chiesa. (193) Coerentemente con questo atteggiamento, essi
rifiutano come estranea allo spirito di Cristo ogni discriminazione o
persecuzione contro persone a motivo della razza, del colore o della
condizione di vita o della religione. La differenza di religione mai
deve essere causa di violenza o di guerra. Al contrario, persone di
credenze diverse devono sentirsi portate, proprio in ragione della
loro adesione ad esse, a lavorare unite per la pace e per la
giustizia. « I musulmani, come i cristiani e
gli ebrei, chiamano Abramo loro padre. Questo fatto deve assicurare
che in tutta l'America queste tre comunità vivano in armonia e
lavorino insieme per il bene comune. Ugualmente, la Chiesa in America
deve sforzarsi di aumentare il mutuo rispetto e le buone relazioni con
le religioni native americane ». (194) Analogo atteggiamento va
promosso verso i gruppi induisti e buddisti o di altre religioni che i
recenti flussi immigratori, provenienti da paesi orientali, hanno
condotto in terra americana. CAPITOLO
V VIA
ALLA SOLIDARIETÀ «
Da questo tutti sapranno La solidarietà, frutto
della comunione 52. « In verità vi dico: ogni
volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli
più piccoli, l'avete fatto a me » (Mt 25, 40; cfr 25, 45). La
consapevolezza della comunione con Cristo e con i fratelli, che è a
sua volta frutto della conversione, conduce a servire il prossimo in
tutte le sue necessità, sia materiali che spirituali, perché in ogni
uomo risplende il volto di Cristo. Per questo, « la solidarietà è
frutto della comunione che si fonda nel mistero di Dio uno e trino, e
nel Figlio di Dio incarnato e morto per tutti. Si esprime nell'amore
del cristiano che cerca il bene degli altri, specialmente dei più
bisognosi ». (195) Da qui scaturisce per le Chiese
particolari del Continente americano l'impegno alla reciproca
solidarietà e alla condivisione dei doni spirituali e dei beni
materiali con cui Dio le ha benedette, favorendo la disponibilità
delle persone a lavorare dove necessario. Partendo dal Vangelo,
occorre promuovere una cultura della solidarietà che incentivi
opportune iniziative di sostegno ai poveri ed agli emarginati, in modo
speciale ai rifugiati, i quali si vedono forzati a lasciare i loro
villaggi e le loro terre per sfuggire alla violenza. La Chiesa in
America deve stimolare gli organismi internazionali del Continente,
affinché si stabilisca un ordine economico nel quale non domini
soltanto il criterio del profitto, ma anche quelli della ricerca del
bene comune nazionale ed internazionale, dell'equa distribuzione dei
beni e della promozione integrale dei popoli. (196) La dottrina della Chiesa,
espressione delle esigenze della conversione 53. Mentre il relativismo ed il
soggettivismo conoscono nel campo della dottrina morale una diffusione
preoccupante, la Chiesa in America è chiamata ad annunciare con
rinnovato vigore che la conversione consiste nell'adesione alla
persona di Gesù Cristo, con tutte le implicazioni teologiche e morali
illustrate dal Magistero ecclesiale. Occorre riconoscere « il ruolo
che svolgono, in questa linea, i teologi, i catechisti e gli
insegnanti di religione che, esponendo la dottrina della Chiesa in
fedeltà al Magistero, cooperano direttamente alla retta formazione
della coscienza dei fedeli ». (197) Se crediamo che Gesù è la Verità
(cfr Gv 14, 6), non possiamo non desiderare ardentemente
d'essere suoi testimoni per avvicinare i fratelli alla verità piena
che dimora nel Figlio di Dio fatto uomo, morto e risorto per la
salvezza del genere umano. « In tal modo potremo essere, in questo
mondo, lampade viventi di fede, speranza e carità ». (198) La dottrina sociale della
Chiesa 54. Davanti ai gravi problemi di
ordine sociale che, con caratteristiche diverse, sono presenti in
tutta l'America, il cattolico sa di poter trovare nella dottrina
sociale della Chiesa la risposta da cui partire per individuare le
soluzioni concrete. Diffondere tale dottrina costituisce, pertanto,
un'autentica priorità pastorale. Perciò è importante « che in
America gli operatori di evangelizzazione (Vescovi, sacerdoti,
insegnanti, animatori pastorali, ecc.) assimilino questo tesoro che è
la dottrina sociale della Chiesa e, da essa illuminati, si rendano
capaci di leggere la realtà attuale e di cercare delle vie per
l'azione ». (199) A tale proposito, va privilegiata la formazione dei
fedeli laici capaci di lavorare, in nome della fede in Cristo, per la
trasformazione delle realtà terrene. Inoltre, sarà opportuno
promuovere e sostenere lo studio di questa dottrina in tutti gli
ambiti delle Chiese particolari in America e, soprattutto, in quello
universitario, perché sia conosciuta con maggior profondità ed
applicata alla società americana. La complessa realtà sociale di
questo Continente è un campo fecondo per l'analisi e l'applicazione
dei principi universali di tale dottrina. Per raggiungere questo obiettivo
sarebbe assai utile un compendio o una sintesi autorizzata della
dottrina sociale cattolica, compreso un « catechismo », che mostri
la relazione esistente tra di essa e la nuova evangelizzazione. La
parte che il Catechismo della Chiesa Cattolica dedica a tale
materia, a proposito del settimo comandamento del decalogo, potrebbe
costituire il punto di partenza di questo « Catechismo di dottrina
sociale cattolica ». Naturalmente, com'è avvenuto per il Catechismo
della Chiesa Cattolica, anche questo si limiterebbe a formulare i
principi generali, lasciando a successivi sviluppi applicativi la
trattazione dei problemi collegati con le diverse situazioni locali.
(200) Nella dottrina sociale della
Chiesa occupa un posto importante il diritto a un lavoro dignitoso.
Per questo, di fronte agli alti tassi di disoccupazione che affliggono
molti Paesi americani e di fronte alle dure condizioni in cui versano
non pochi lavoratori nell'industria e nelle campagne, « è necessario
apprezzare il lavoro come elemento di realizzazione e di dignità
della persona umana. E responsabilità etica di una società
organizzata promuovere e sostenere una cultura del lavoro ». (201) Globalizzazione della
solidarietà 55. Il complesso fenomeno della
globalizzazione, come ho ricordato in precedenza, è una delle
caratteristiche del mondo attuale, particolarmente riscontrabile in
America. Entro tale realtà multiforme, grande importanza riveste
l'aspetto economico. Con la sua dottrina sociale, la Chiesa offre un
valido contributo alla problematica che presenta l'attuale economia
globalizzata. La sua visione morale in tale materia « poggia sulle
tre pietre angolari fondamentali della dignità umana, della
solidarietà e della sussidiarietà ». (202) L'economia globalizzata
dev'essere analizzata alla luce dei principi della giustizia sociale,
rispettando l'opzione preferenziale per i poveri, che devono esser
messi in grado di difendersi in un'economia globalizzata, e le
esigenze del bene comune internazionale. In realtà, « la dottrina
sociale della Chiesa è la visione morale che mira a stimolare i
governi, le istituzioni e le organizzazioni private affinché
configurino un futuro congruente con la dignità di ogni persona. In
questa prospettiva si possono considerare le questioni che si
riferiscono al debito estero, alla corruzione politica interna ed alla
discriminazione sia all'interno delle Nazioni che tra di loro ».
(203) La Chiesa in America è chiamata
non solo a promuovere una maggiore integrazione tra le Nazioni,
contribuendo così a creare un'autentica cultura globalizzata della
solidarietà, (204) bensì a collaborare con ogni mezzo legittimo alla
riduzione degli effetti negativi della globalizzazione, quali il
dominio dei più forti sui più deboli, specialmente in campo
economico, e la perdita dei valori delle culture locali in favore di
una male intesa omogeneizzazione. Peccati sociali che gridano
al cielo 56. Alla luce della dottrina
sociale della Chiesa si valuta più chiaramente anche la gravità dei
« peccati sociali che gridano al cielo, perché generano violenza,
rompono la pace e l'armonia tra le comunità di una stessa Nazione,
tra le Nazioni e tra le diverse zone del Continente ». (205) Tra
questi si devono ricordare « il commercio di droghe, il riciclaggio
di guadagni illeciti, la corruzione in qualunque ambiente, il terrore
della violenza, la corsa agli armamenti, la discriminazione razziale,
le disuguaglianze tra i gruppi sociali, l'irragionevole distruzione
della natura ». (206) Questi peccati manifestano una profonda crisi
dovuta alla perdita del senso di Dio ed all'assenza di quei principi
morali che devono guidare la vita di ogni uomo. Senza riferimenti
morali si cade nella bramosia illimitata della ricchezza e del potere,
che offusca ogni visione evangelica della realtà sociale. Non di rado, questo porta alcune
istanze pubbliche a trascurare la situazione sociale. Sempre più, in
molti Paesi americani, domina un sistema noto come « neoliberismo »;
sistema che, facendo riferimento ad una concezione economicista
dell'uomo, considera il profitto e le leggi del mercato come parametri
assoluti a scapito della dignità e del rispetto della persona e del
popolo. Tale sistema si è tramutato, talvolta, in giustificazione
ideologica di alcuni atteggiamenti e modi di agire in campo sociale e
politico, che causano l'emarginazione dei più deboli. Di fatto, i
poveri sono sempre più numerosi, vittime di determinate politiche e
strutture spesso ingiuste. (207) La migliore risposta, a partire
dal Vangelo, per questa drammatica situazione è la promozione della
solidarietà e della pace, in vista dell'effettiva realizzazione della
giustizia. A tal fine occorre incoraggiare e aiutare quanti sono
esempio di onestà nell'amministrazione delle finanze pubbliche e
della giustizia. Come pure occorre appoggiare il processo di
democratizzazione in atto in America, (208) poiché in un sistema
democratico sono maggiori le possibilità di controllo che permettono
di evitare gli abusi. « Lo Stato di diritto è la
condizione necessaria per stabilire un'autentica democrazia ». (209)
Perché questa si possa sviluppare, è necessaria l'educazione civica
e la promozione dell'ordine pubblico e della pace. In effetti, « non
vi è democrazia autentica e stabile senza giustizia sociale. Per
questo è necessario che la Chiesa ponga maggior attenzione alla
formazione delle coscienze, prepari dirigenti sociali per la vita
pubblica a tutti i livelli, promuova l'educazione civica, l'osservanza
della legge e dei diritti umani, ed attui un maggior sforzo per la
formazione etica della classe politica ». (210) Il fondamento ultimo dei
diritti umani 57. E opportuno ricordare che il
fondamento su cui poggiano tutti i diritti umani è la dignità della
persona. « Il capolavoro divino, l'uomo, è immagine e somiglianza di
Dio. Gesù ha assunto la nostra natura eccetto il peccato; ha promosso
e difeso la dignità di ogni persona umana senza alcuna eccezione; è
morto per la libertà di tutti. Il Vangelo ci mostra come Cristo ha
esaltato la centralità della persona umana nell'ordine naturale (cfr Lc
12, 22-29), nell'ordine sociale e nell'ordine religioso, anche nei
confronti della Legge (cfr Mc 2, 27); difendendo l'uomo ed
anche la donna (cfr Gv 8, 11) e i bambini (cfr Mt 19,
13-15), che nel suo tempo e nella sua cultura occupavano un posto
secondario nella società. Dalla dignità dell'uomo in quanto figlio
di Dio nascono i diritti umani e i relativi doveri ». (211) Per
questa ragione, « ogni offesa alla dignità dell'uomo è offesa a Dio
stesso, di cui è immagine ». (212) Tale dignità è comune a tutti
gli uomini senza eccezione, poiché tutti sono stati creati ad
immagine di Dio (cfr Gn 1, 26). La risposta di Gesù alla
domanda « Chi è il mio prossimo? » (Lc 10, 29) esige da
ciascuno un atteggiamento di rispetto per la dignità dell'altro e di
sollecita cura per lui, si trattasse anche di uno straniero o di un
nemico (cfr Lc 10, 30-37). In ogni parte dell'America la
consapevolezza che i diritti umani vanno rispettati è andata
crescendo in questi ultimi tempi, tuttavia rimane ancora molto da
fare, se si considerano le violazioni dei diritti di persone e di
gruppi sociali ancora in atto nel Continente. Amore preferenziale per i
poveri e gli emarginati 58. « La Chiesa in America deve
incarnare nelle sue iniziative pastorali la solidarietà della Chiesa
universale verso i poveri e gli emarginati di ogni genere. Il suo
atteggiamento deve comprendere l'assistenza, la promozione, la
liberazione e l'accoglienza fraterna. L'obiettivo della Chiesa è che
non vi sia alcun emarginato ». (213) Il ricordo dei capitoli oscuri
della storia dell'America, concernenti la pratica della schiavitù e
altre situazioni di discriminazione sociale, non può non suscitare un
sincero desiderio di conversione che conduca alla riconciliazione ed
alla comunione. L'attenzione ai più bisognosi
scaturisce dalla scelta di amare in modo preferenziale i poveri. Si
tratta di un amore che non è esclusivo e non può essere pertanto
interpretato come segno di parzialità o di settarismo; (214) amando i
poveri il cristiano segue gli atteggiamenti del Signore, il quale
nella sua vita terrena si dedicò con sentimenti di particolare
compassione alle necessità delle persone indigenti spiritualmente e
materialmente. L'opera della Chiesa in favore dei
poveri in tutte le zone del Continente è importante; si deve però
continuare a lavorare perché questa linea di azione pastorale sia
sempre più finalizzata all'incontro con Cristo, il quale, da ricco
che era, si fece povero per noi al fine di arricchirci per mezzo della
sua povertà (cfr 2 Cor 8, 9). Occorre intensificare ed
estendere quanto già si va facendo in questo campo, al fine di
raggiungere il maggior numero di poveri. La Sacra Scrittura ricorda
che Dio ascolta il grido dei poveri (cfr Sal 34 [33], 7) e la
Chiesa dev'essere attenta al grido dei più bisognosi. Ascoltando la
loro voce, essa « deve vivere con i poveri e partecipare dei loro
dolori. [...] Col suo stile di vita, le sue priorità, le sue parole e
le sue azioni essa deve testimoniare di essere in comunione e in
solidarietà con loro ». (215) Il debito estero 59. L'esistenza di un debito
estero che soffoca non pochi popoli del Continente americano
costituisce un problema complesso. Pur senza entrare nei suoi numerosi
aspetti, la Chiesa nella sua sollecitudine pastorale non può ignorare
tale problema, poiché esso riguarda la vita di tante persone. Per
questo, diverse Conferenze Episcopali in America, consapevoli della
sua gravità, hanno organizzato in proposito incontri di studio ed
hanno pubblicato documenti tesi a indicare soluzioni operative. (216)
Anch'io ho espresso più volte la mia preoccupazione per questa
situazione, diventata in alcuni casi insostenibile. Nella prospettiva
dell'ormai prossimo Grande Giubileo dell'anno 2000 e ricordando il
significato sociale che i giubilei rivestivano nell'Antico Testamento,
ho scritto: « Nello spirito del Libro del Levitico (25, 8-12), i
cristiani dovranno farsi voce di tutti i poveri del mondo, proponendo
il Giubileo come un tempo opportuno per pensare, tra l'altro, ad una
consistente riduzione, se non proprio al totale condono, del debito
internazionale, che pesa sul destino di molte nazioni ». (217) Ribadisco l'auspicio, fatto
proprio dai Padri sinodali, che il Pontificio Consiglio della
Giustizia e della Pace, insieme con altri organismi competenti, come
la sezione per i rapporti con gli Stati, della Segreteria di Stato, «
cerchi, nello studio e nel dialogo con rappresentanti del Primo Mondo
e con responsabili della Banca Mondiale e del Fondo Monetario
Internazionale, vie di soluzione al problema del debito estero e
normative che impediscano il ripetersi di simili situazioni in
occasione di prestiti futuri ». (218) Al livello più ampio
possibile, sarebbe opportuno che « esperti in economia e in questioni
monetarie, di fama internazionale, procedessero ad un'analisi critica
dell'ordine economico mondiale, nei suoi aspetti positivi e negativi,
così da correggere l'ordine attuale, e proponessero un sistema e dei
meccanismi in grado di assicurare lo sviluppo integrale e solidale
delle persone e dei popoli ». (219) Lotta contro la corruzione 60. Anche in America il fenomeno
della corruzione è notevolmente esteso. La Chiesa può contribuire
efficacemente a sradicare questo male dalla società civile con « una
maggior presenza di laici cristiani qualificati che, per la loro
educazione familiare, scolastica e parrocchiale, promuovano la pratica
di valori come la verità, l'onestà, la laboriosità ed il servizio
del bene comune ». (220) Per raggiungere questo obiettivo, come pure
per illuminare tutti gli uomini di buona volontà desiderosi di porre
fine ai mali derivati dalla corruzione, occorre insegnare e diffondere
il più possibile la parte che corrisponde a questo tema nel Catechismo
della Chiesa Cattolica, promuovendo al tempo stesso tra i
cattolici delle singole Nazioni la conoscenza dei documenti pubblicati
al riguardo dalle Conferenze Episcopali delle altre Nazioni. (221) I
cristiani così formati contribuiranno in modo significativo alla
soluzione del problema segnalato, impegnandosi a tradurre in pratica
la dottrina sociale della Chiesa in tutti gli aspetti che toccano la
loro vita e in quelli dove può giungere il loro apporto. Il problema delle droghe 61. Circa il grave problema del
commercio di droghe, la Chiesa in America può collaborare
efficacemente con i responsabili delle Nazioni, i dirigenti di imprese
private, le organizzazioni non governative e le istanze internazionali
per sviluppare progetti tesi ad abolire tale commercio, che minaccia
l'integrità dei popoli in America. (222) Questa collaborazione deve
estendersi agli organi legislativi, appoggiando le iniziative che
impediscono il « riciclaggio di denaro », favoriscono il controllo
dei beni di coloro che sono coinvolti in tale traffico e fanno sì che
la produzione ed il commercio delle sostanze chimiche da cui si
ottengono le droghe avvengano secondo le norme di legge. L'urgenza e
la gravità del problema rendono impellente un appello ai diversi
ambienti e gruppi della società civile per lottare uniti contro il
commercio della droga. (223) Per quanto concerne specificamente i
Vescovi, è necessario — secondo un suggerimento dei Padri sinodali
— che loro stessi, come Pastori del Popolo di Dio, denuncino con
coraggio e con forza l'edonismo, il materialismo e quegli stili di
vita che facilmente inducono alla droga. (224) Occorre, altresì, tener presente
che bisogna aiutare gli agricoltori poveri, affinché non cadano nella
tentazione del denaro facile, ottenibile con la coltivazione delle
piante da cui si ricavano le droghe. In proposito gli Organismi
internazionali possono offrire una preziosa collaborazione ai Governi
favorendo con vari incentivi le produzioni agricole alternative. Va
pure incoraggiata l'opera di quanti si sforzano di recuperare coloro
che fanno uso di droga, dedicando un'attenzione pastorale a chi è
vittima della tossicodipendenza. Di fondamentale importanza è offrire
il giusto « senso della vita » alle nuove generazioni, che in
mancanza di esso finiscono per cadere non di rado nella spirale
perversa degli stupefacenti. Questo lavoro di ricupero e di
riabilitazione sociale può costituire, come l'esperienza insegna, un
vero e proprio impegno di evangelizzazione. (225) La corsa agli armamenti 62. Un fattore che paralizza
gravemente il progresso di non poche Nazioni in America è la corsa
agli armamenti. Dalle Chiese particolari d'America deve alzarsi una
voce profetica che denunci sia il riarmo che lo scandaloso commercio
di armi da guerra, il quale assorbe ingenti somme di denaro che
dovrebbero essere, invece, destinate a combattere la miseria ed a
promuovere lo sviluppo. (226) D'altra parte, l'accumulo di armamenti
costituisce una causa di instabilità ed una minaccia per la pace.
(227) Ecco perché la Chiesa rimane vigilante di fronte al rischio di
conflitti armati anche tra Nazioni sorelle. Essa, quale segno e
strumento di riconciliazione e di pace, deve cercare « con tutti i
mezzi possibili, anche con la via della mediazione e dell'arbitrato,
di agire in favore della pace e della fraternità tra i popoli ».
(228) Cultura della morte e società
dominata dai potenti 63. In America, come in altre
parti del mondo, sembra oggi profilarsi un modello di società in cui
dominano i potenti, emarginando e persino eliminando i deboli: penso
qui ai bambini non nati, vittime indifese dell'aborto; agli anziani ed
ai malati incurabili, talora oggetto di eutanasia; ed ai tanti altri
esseri umani messi ai margini dal consumismo e dal materialismo. Né
posso dimenticare il non necessario ricorso alla pena di morte, quando
altri « mezzi incruenti sono sufficienti per difendere
dall'aggressore e per proteggere la sicurezza delle persone [...].
Oggi, infatti, a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone
per reprimere efficacemente il crimine rendendo inoffensivo colui che
l'ha commesso, senza togliergli definitivamente la possibilità di
redimersi, i casi di assoluta necessità di soppressione del reo
“sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente
inesistenti” ». (229) Un simile modello di società è improntato
alla cultura della morte ed è perciò in contrasto col messaggio
evangelico. Dinanzi a tale desolante realtà, la Comunità ecclesiale
intende sempre più impegnarsi a difesa della cultura della vita. In proposito, i Padri sinodali,
facendo eco ai recenti documenti del Magistero della Chiesa, hanno
ribadito con vigore l'incondizionata venerazione e la totale dedizione
in favore della vita umana dal momento del concepimento fino a quello
della morte naturale, ed esprimono la condanna di mali come l'aborto e
l'eutanasia. Per mantenere questi insegnamenti della legge divina e
naturale, è essenziale promuovere la conoscenza della dottrina
sociale della Chiesa, ed impegnarsi affinché i valori della vita e
della famiglia siano riconosciuti e difesi nel costume sociale e negli
ordinamenti dello Stato. (230) Accanto alla tutela della vita, va
intensificata, mediante molteplici istituzioni pastorali, un'attiva
promozione delle adozioni ed una costante assistenza alle donne con
gravidanze problematiche, sia prima che dopo la nascita del figlio.
Speciale attenzione pastorale va, inoltre, riservata alle donne che
hanno subito o attivamente procurato l'aborto. (231) Come non rendere grazie a Dio e
come non esprimere vivo apprezzamento ai fratelli e sorelle nella fede
che in America, uniti ad altri cristiani e ad innumerevoli persone di
buona volontà, sono impegnati nel difendere con ogni mezzo legale la
vita e nel tutelare il nascituro, il malato incurabile e i disabili?
La loro azione è ancor più meritoria se si considerano
l'indifferenza di molti, le minacce eugenetiche e gli attentati alla
vita e alla dignità umana, che vengono quotidianamente perpetrati
dappertutto. (232) Questa stessa premura va diretta
agli anziani, talora trascurati e lasciati in balia di se stessi. Essi
vanno rispettati come persone; è importante realizzare per loro
iniziative di accoglienza e di assistenza, che promuovano i loro
diritti e assicurino per quanto possibile il loro benessere fisico e
spirituale. Gli anziani vanno protetti dalle situazioni e pressioni
che potrebbero spingerli verso il suicidio; in particolare, essi vanno
oggi sostenuti contro la tentazione del suicidio assistito e
dell'eutanasia. Insieme con i Pastori del Popolo
di Dio in America, faccio appello ai « cattolici che operano nel
campo medico-sanitario ed a quanti ricoprono cariche pubbliche, come
pure a quanti sono impegnati nell'insegnamento, affinché facciano
tutto il possibile per difendere le vite che corrono maggior pericolo,
agendo con una coscienza rettamente formata secondo la dottrina
cattolica. I Vescovi e i presbiteri hanno, in questo campo, la
speciale responsabilità di dare instancabile testimonianza a favore
del Vangelo della vita e nell'esortare i fedeli ad agire
conseguentemente ». (233) Al tempo stesso, è indispensabile che la
Chiesa in America illumini con opportuni interventi l'elaborazione
delle decisioni delle assemblee legislative, stimolando i cittadini,
sia i cattolici che le altre persone di buona volontà, a costituire
organizzazioni per promuovere validi progetti di legge ed opporsi a
quanti minacciano la famiglia e la vita, che sono due realtà
inseparabili. Ai nostri giorni occorre in modo speciale tener presente
quanto si riferisce alla diagnosi prenatale, perché non si leda in
alcuna maniera la dignità umana. I popoli indigeni e gli
americani di origine africana 64. Se la Chiesa in America,
fedele al Vangelo di Cristo, intende percorrere la via della
solidarietà, deve dedicare una speciale attenzione a quelle etnie che
ancor oggi sono oggetto di ingiuste discriminazioni. In effetti,
occorre sradicare ogni tentativo di emarginazione nei confronti delle
popolazioni indigene. Questo implica, in primo luogo, che si devono
rispettare i loro territori e i patti stabiliti con esse; ugualmente,
occorre rispondere ai loro legittimi bisogni sociali, sanitari,
culturali. E come dimenticare l'esigenza di riconciliazione tra i
popoli indigeni e le società in cui vivono? Vorrei qui ricordare che anche gli
americani di origine africana continuano a subire, in alcune zone,
pregiudizi etnici, che costituiscono per loro un serio ostacolo
all'incontro con Cristo. Dal momento che ogni persona, di qualunque
razza e condizione, è stata creata da Dio a sua immagine, occorre
promuovere programmi concreti, in cui non deve mancare la preghiera in
comune, i quali favoriscano la comprensione e la riconciliazione tra
popoli diversi, costituendo ponti di amore cristiano, di pace e di
giustizia tra tutti gli uomini. (234) Per raggiungere questi obiettivi
è indispensabile formare competenti operatori pastorali, capaci di
servirsi, nella catechesi e nella liturgia, di metodi già
legittimamente « inculturati », evitando sincretismi che facciano
ricorso ad un'esposizione parziale della genuina dottrina cristiana.
Così pure, si otterrà più facilmente un numero adeguato di Pastori
che svolgano la loro attività tra gli indigeni, se ci si preoccuperà
di promuovere le vocazioni al sacerdozio ed alla vita consacrata tra
questi popoli. (235) La problematica degli
immigrati 65. Il Continente americano ha
conosciuto nella sua storia molti movimenti di immigrazione, con
schiere di uomini e di donne giunti nelle varie regioni con la
speranza di un futuro migliore. Il fenomeno continua anche oggi ed
interessa, in particolare, numerose persone e famiglie provenienti da
Nazioni latino-americane, che si sono stanziate nelle regioni del Nord
del Continente, fino a costituire in alcuni casi una parte
considerevole della popolazione. Spesso esse recano con sé un
patrimonio culturale e religioso ricco di significativi elementi
cristiani. La Chiesa è consapevole dei problemi suscitati da questa
situazione ed è impegnata a sviluppare con ogni sforzo la propria
azione pastorale tra tali immigrati, per favorirne l'insediamento nel
territorio e per suscitare allo stesso tempo un atteggiamento di
accoglienza da parte delle popolazioni locali, nella convinzione che
dalla mutua apertura deriverà un arricchimento per tutti. Le comunità ecclesiali non
mancheranno di vedere nel fenomeno una specifica chiamata a vivere il
valore evangelico della fraternità ed insieme l'invito ad imprimere
rinnovato slancio alla propria religiosità per una più incisiva
azione evangelica. In questo senso i Padri sinodali hanno ricordato
che « la Chiesa in America deve essere avvocata vigilante che
difende, contro ogni ingiusta restrizione, il diritto naturale di ogni
persona a muoversi liberamente all'interno della sua Nazione e da una
Nazione all'altra. Bisogna porre attenzione ai diritti dei migranti e
delle loro famiglie ed al rispetto della loro dignità umana, anche
nei casi di immigrazioni non legali ». (236) Nei confronti dei migranti occorre
un comportamento ospitale ed accogliente, che li incoraggi ad
inserirsi nella vita ecclesiale, fatte salve sempre la loro libertà e
la loro peculiare identità culturale. A tal fine, risulta quanto mai
proficua la collaborazione tra le Diocesi da cui essi provengono e
quelle in cui sono accolti, anche mediante specifiche strutture
pastorali previste nella legislazione e nella prassi della Chiesa.
(237) Si può assicurare così una cura pastorale il più possibile
adeguata e completa. La Chiesa in America deve essere mossa dalla
costante sollecitudine di non far mancare un'efficace evangelizzazione
a quanti sono arrivati di recente e ancora non conoscono Cristo. (238) CAPITOLO
VI LA
MISSIONE DELLA CHIESA «
Come il Padre ha mandato me, Mandati da Cristo 66. Cristo risorto, prima della
sua ascensione al cielo, inviò gli Apostoli ad annunciare il Vangelo
al mondo intero (cfr Mc 16, 15), conferendo loro i poteri
necessari per realizzare tale missione. E significativo che, prima di
affidare l'ultimo mandato missionario, Gesù faccia riferimento al
potere universale ricevuto dal Padre (cfr Mt 28, 18). In
effetti, Cristo ha trasmesso agli Apostoli la missione ricevuta dal
Padre (cfr Gv 20, 21), e li ha resi così partecipi dei suoi
poteri. Ma anche i « fedeli laici,
proprio perché membri della Chiesa, hanno la vocazione e la missione
di essere annunciatori del Vangelo: per quest'opera sono abilitati e
impegnati dai Sacramenti dell'iniziazione cristiana e dai doni dello
Spirito Santo ». (239) Essi, infatti, sono stati « resi partecipi
nella loro misura della funzione sacerdotale, profetica e regale di
Cristo ». (240) Di conseguenza, « i fedeli laici, in forza della
loro partecipazione all'ufficio profetico di Cristo, sono pienamente
coinvolti in questo compito della Chiesa » (241) e, pertanto, devono
sentirsi chiamati ed inviati a proclamare la Buona Novella del Regno.
Le parole di Gesù: « Andate anche voi nella mia vigna » (Mt
20, 4) (242) devono intendersi rivolte non solo agli Apostoli, ma a
tutti coloro che desiderano essere autentici discepoli del Signore. Il compito fondamentale per il
quale Gesù invia i suoi discepoli è l'annuncio della Buona Novella,
vale a dire l'evangelizzazione (cfr Mc 16, 15-18). Ne deriva
che « evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa,
la sua identità più profonda ». (243) Come ho detto in altre
occasioni, la singolarità e la novità della situazione in cui il
mondo e la Chiesa si trovano, alle porte del terzo millennio, e le
esigenze che ne derivano, fanno sì che la missione evangelizzatrice
richieda oggi anche un nuovo programma, che si può definire nel suo
insieme « nuova evangelizzazione ». (244) Come supremo Pastore della
Chiesa desidero ardentemente invitare tutti i membri del Popolo di
Dio, e particolarmente quanti vivono nel Continente americano — dal
quale per la prima volta feci appello ad un impegno nuovo « nel suo
fervore, nei suoi metodi, nella sua espressione » (245) — a fare
proprio questo progetto e a collaborare ad esso. Accettando questa
missione, ognuno ricordi che il nucleo vitale della nuova
evangelizzazione dev'essere l'annuncio chiaro e inequivocabile della
persona di Gesù Cristo, cioè l'annuncio del suo nome, della sua
dottrina, della sua vita, delle sue promesse e del Regno che Egli ci
ha conquistato attraverso il suo mistero pasquale. (246) Gesù Cristo, « buona
novella » e primo evangelizzatore 67. Gesù Cristo è la « buona
novella » della salvezza comunicata agli uomini di ieri, di oggi e di
sempre; ma al tempo stesso Egli è anche il primo e supremo
evangelizzatore. (247) La Chiesa deve porre il centro della sua
attenzione pastorale e della sua azione evangelizzatrice in Cristo
crocifisso e risorto. « Tutto quello che si progetta in campo
ecclesiale deve partire da Cristo e dal suo Vangelo ». (248) Perciò,
« la Chiesa in America deve parlare sempre più di Gesù Cristo,
volto umano di Dio e volto divino dell'uomo. E questo annuncio che
veramente scuote gli uomini, risveglia e trasforma gli animi, vale a
dire, converte. Bisogna annunciare Cristo con gioia e con forza, ma
soprattutto con la testimonianza della propria vita ». (249) Ogni cristiano potrà compiere
efficacemente la sua missione nella misura in cui assume la vita del
Figlio di Dio fatto uomo come il modello perfetto della sua azione
evangelizzatrice. La semplicità del suo stile e le sue scelte devono
essere normative per tutti nell'impresa dell'evangelizzazione. In
questa prospettiva, i poveri saranno certamente considerati tra i
primi destinatari dell'evangelizzazione, sull'esempio di Cristo, che
diceva di se stesso: « Lo Spirito del Signore [...] mi ha consacrato
con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto
messaggio » (Lc 4, 18). (250) Come ho già rilevato in
precedenza, l'amore per i poveri dev'essere preferenziale, ma non
esclusivo. L'aver impostato la cura pastorale verso i poveri con un
certo esclusivismo — hanno segnalato i Padri sinodali — ha
talvolta portato a trascurare gli ambienti dirigenziali della società
e ciò ha avuto come conseguenza l'allontanamento dalla Chiesa di non
pochi di essi. (251) I danni derivati dalla diffusione del secolarismo
in tali ambienti, sia politici che economici, sindacali, militari,
sociali, culturali, mostrano l'urgenza di una loro evangelizzazione,
animata e guidata dai Pastori che si sentono chiamati da Dio a
prendersi cura di tutti. Essi potranno contare sull'apporto di quanti
— e per fortuna sono ancora numerosi — sono restati fedeli ai
valori cristiani: a questo proposito, i Padri sinodali hanno ricordato
« l'impegno di non pochi [...] dirigenti per costruire una società
giusta e solidale ». (252) Con il loro sostegno i Pastori
affronteranno il non facile compito dell'evangelizzazione di questi
settori della società: con fervore rinnovato e metodi aggiornati si
volgeranno ai dirigenti, uomini e donne, per portare loro l'annuncio
di Cristo, insistendo principalmente sulla formazione delle coscienze
mediante la dottrina sociale della Chiesa. Tale formazione costituirà
il miglior antidoto contro i non pochi casi di incoerenza e, talvolta,
di corruzione che segnano le strutture sociopolitiche. Viceversa, se
si trascura questa evangelizzazione dei dirigenti, non deve
sorprendere che molti di essi seguano criteri estranei al Vangelo e,
talvolta, ad esso apertamente contrari. L'incontro con Cristo spinge
ad evangelizzare 68. L'incontro con il Signore
produce una profonda trasformazione di quanti non si chiudono a Lui.
Il primo impulso che nasce da tale trasformazione è comunicare agli
altri la ricchezza scoperta nell'esperienza di questo incontro. Non si
tratta solo di insegnare quello che abbiamo conosciuto, ma anche di
far sì, come la donna samaritana, che gli altri incontrino
personalmente Gesù: « Venite a vedere » (Gv 4, 29). Il
risultato sarà lo stesso che si verificò nel cuore dei samaritani,
che dissero alla donna: « Non è più per la tua parola che noi
crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è
veramente il salvatore del mondo » (Gv 4, 42). La Chiesa, che
vive della presenza permanente e misteriosa del suo Signore risorto,
ha come centro della sua missione l'impegno di « condurre tutti gli
uomini all'incontro con Cristo ». (253) Essa è chiamata ad annunciare che
davvero Cristo è il Vivente, il Figlio di Dio, che si fece uomo, morì
e risuscitò. Egli è l'unico Salvatore di tutti gli uomini e di tutto
l'uomo e, come Signore della storia, agisce continuamente nella Chiesa
e nel mondo per mezzo del suo Spirito fino alla fine dei secoli.
Questa presenza del Risorto nella Chiesa rende possibile il nostro
incontro con Lui, grazie all'azione invisibile del suo Spirito
vivificante. Tale incontro si realizza nella fede ricevuta e vissuta
nella Chiesa, corpo mistico di Cristo. Esso, pertanto, possiede
essenzialmente una dimensione ecclesiale e porta ad un impegno di
vita. Infatti, « incontrare Cristo vivo significa accogliere il suo
amore preveniente, scegliere Lui, aderire liberamente alla sua persona
e al suo progetto, che consiste nell'annuncio e nella realizzazione
del Regno di Dio ». (254) La chiamata suscita la ricerca di
Gesù: « “Rabbi (che significa maestro), dove abiti?”. Disse
loro: “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove abitava e
quel giorno si fermarono presso di lui » (Gv 1, 38-39). «
Questo “fermarsi” non si limita al giorno della vocazione, bensì
si estende a tutta la vita. Seguirlo comporta vivere come Lui ha
vissuto, accettare il suo messaggio, fare propri i suoi criteri,
abbracciare il suo destino, condividere il suo progetto che è il
disegno del Padre: invitare tutti alla comunione trinitaria ed alla
comunione con i fratelli in una società giusta e solidale ». (255)
L'ardente desiderio di invitare gli altri a incontrare Colui che noi
abbiamo incontrato, sta alla radice della missione evangelizzatrice
alla quale è chiamata tutta la Chiesa, ma che si fa particolarmente
urgente oggi in America, dopo aver celebrato i 500 anni della prima
evangelizzazione e mentre ci prepariamo a commemorare con riconoscenza
i 2000 anni della venuta del Figlio unigenito di Dio nel mondo. Importanza della catechesi 69. La nuova evangelizzazione,
nella quale tutto il Continente è impegnato, indica che la fede non
può essere presupposta, ma che dev'essere proposta esplicitamente in
tutta la sua ampiezza e ricchezza. Questo è l'obiettivo principale
della catechesi, la quale, per sua stessa natura, è una dimensione
essenziale della nuova evangelizzazione. « La catechesi è un
itinerario di formazione nella fede, nella speranza e nella carità,
che informa la mente e tocca il cuore, conducendo la persona ad
abbracciare Cristo in modo pieno e completo. Introduce più pienamente
il credente nell'esperienza della vita cristiana, che comprende la
celebrazione liturgica del mistero della redenzione e il servizio
cristiano agli altri ». (256) Ben conoscendo la necessità di
una catechesi completa, ho fatto mia la proposta dei Padri
dell'Assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi del 1985, di
elaborare « un catechismo o compendio di tutta la dottrina cattolica
per quanto riguarda sia la fede che la morale », che potesse essere
« punto di riferimento per i catechismi o compendi che vengono
preparati nelle diverse regioni ». (257) Tale proposta è stata
realizzata con la pubblicazione dell'edizione tipica del Catechismus
Catholicae Ecclesiae. (258) Oltre al testo ufficiale del
Catechismo, e per un migliore utilizzo dei suoi contenuti, ho voluto
che si elaborasse e si pubblicasse altresì un Direttorio generale
per la catechesi. (259) Raccomando vivamente l'uso di questi due
strumenti, di valore universale, a quanti in America si dedicano alla
catechesi. E auspicabile che entrambi i documenti vengano utilizzati
« nella preparazione e nella verifica di tutti i programmi
parrocchiali e diocesani di catechesi, tenendo presente che la
situazione religiosa dei giovani e degli adulti richiede una catechesi
più kerigmatica e più organica nella presentazione dei contenuti
della fede ». (260) E necessario riconoscere e
incoraggiare la benemerita missione che svolgono tanti catechisti in
tutto il Continente americano, come autentici messaggeri del Regno: «
La loro fede e la loro testimonianza di vita sono parte integrante
della catechesi ». (261) Desidero incoraggiare sempre più i fedeli
ad assumere con impegno ed amore al Signore questo servizio alla
Chiesa, offrendo generosamente il loro tempo e i loro talenti. Da
parte loro, i Vescovi si preoccupino di offrire ai catechisti
un'adeguata formazione perché possano svolgere questo compito così
indispensabile nella vita della Chiesa. Nella catechesi sarà opportuno
tener presente, soprattutto in un Continente come l'America, dove la
questione sociale costituisce un aspetto rilevante, che « la crescita
nella comprensione della fede e la sua espressione pratica nella vita
sociale stanno in intima correlazione. Le forze che si adoperano per
favorire l'incontro con Cristo non possono non avere un favorevole
contraccolpo nella promozione del bene comune in una società giusta
». (262) Evangelizzazione della
cultura 70. Il mio predecessore Paolo VI,
con sapiente ispirazione, rilevava che la « rottura tra Vangelo e
cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca ». (263)
Giustamente, pertanto, i Padri sinodali hanno ritenuto che « la nuova
evangelizzazione richiede uno sforzo lucido, serio e ordinato per
evangelizzare la cultura ». (264) Il Figlio di Dio, nell'assumere la
natura umana, si incarnò in un determinato popolo, benché la sua
morte redentrice abbia portato la salvezza a tutti gli uomini, di
qualsiasi cultura, razza e condizione. Il dono del suo Spirito ed il
suo amore sono diretti a tutti e singoli i popoli e le culture per
unirli tra loro sull'esempio della perfetta unità che esiste in Dio
Uno e Trino. Perché ciò sia possibile, è necessario inculturare la
predicazione, in modo che il Vangelo sia annunciato nel linguaggio e
nella cultura di quanti lo ascoltano. (265) Al tempo stesso, però,
occorre non dimenticare che solo il mistero pasquale di Cristo, somma
manifestazione del Dio infinito nella finitezza della storia, può
essere punto di riferimento valido per tutta l'umanità pellegrina
alla ricerca dell'autentica unità e della vera pace. Il volto meticcio della Vergine di
Guadalupe sin dall'inizio fu nel Continente un simbolo dell'inculturazione
della evangelizzazione, della quale è stata la stella e la guida. Con
la sua potente intercessione, l'evangelizzazione potrà penetrare il
cuore degli uomini e delle donne d'America, e permeare le loro culture
trasformandole dal di dentro. (266) Evangelizzare i centri
educativi 71. Il mondo dell'educazione è un
campo privilegiato per promuovere l'inculturazione del Vangelo.
Tuttavia, i centri educativi cattolici, e quelli che, pur non essendo
confessionali, hanno una chiara ispirazione cattolica, potranno
sviluppare un'azione di autentica evangelizzazione soltanto se a tutti
i livelli, compreso quello universitario, sapranno conservare con
chiarezza il loro orientamento cattolico. I contenuti del progetto
educativo dovranno fare riferimento costante a Gesù Cristo e al suo
messaggio, così come lo presenta la Chiesa nel suo insegnamento sia
dogmatico che morale. Solo così si potranno formare dirigenti
autenticamente cristiani nei diversi campi dell'attività umana e
della società, specialmente nella politica, nell'economia, nella
scienza, nell'arte e nella riflessione filosofica. (267) In questo
senso, « è essenziale che l'Università Cattolica sia, nello stesso
tempo, veramente e realmente entrambe le cose: Università e
Cattolica. [...] L'indole cattolica è un elemento costitutivo della
Università in quanto istituzione, e non dipende pertanto dalla
semplice decisione degli individui che dirigono l'Università in un
determinato tempo ». (268) Il lavoro pastorale nelle Università
Cattoliche sarà, quindi, oggetto di particolare sollecitudine: si
deve suscitare l'impegno apostolico degli studenti, perché diventino
essi stessi evangelizzatori del mondo universitario. (269) E inoltre
« occorre stimolare la cooperazione tra le Università Cattoliche di
tutta l'America, perché si arricchiscano a vicenda », (270)
contribuendo in tal modo a realizzare anche a livello universitario il
principio della solidarietà e dell'interscambio tra i popoli di tutto
il Continente. Qualcosa di simile si deve dire
anche a proposito delle scuole cattoliche, in particolare per quanto
concerne l'insegnamento secondario: « Occorre fare uno sforzo
speciale per rafforzare l'identità cattolica delle scuole, che
fondano la loro natura specifica in un progetto educativo che ha la
sua origine nella persona di Cristo e la sua radice nella dottrina del
Vangelo. Le scuole cattoliche devono cercare non soltanto di impartire
un'educazione qualificata dal punto di vista tecnico e professionale,
ma anche e soprattutto di curare la formazione integrale della persona
umana ». (271) Data l'importanza del compito che svolgono gli
educatori cattolici, mi unisco ai Padri sinodali nell'incoraggiare con
animo riconoscente tutti coloro che si dedicano all'insegnamento nelle
scuole cattoliche: sacerdoti, uomini e donne consacrati, e laici
impegnati, « perché perseverino nella loro missione così importante
». (272) Occorre far sì che l'influsso di questi centri
d'insegnamento arrivi a tutti i settori della società, senza
distinzioni né esclusivismi. E indispensabile che si faccia ogni
sforzo possibile affinché le scuole cattoliche, nonostante le
difficoltà economiche, continuino ad impartire « l'educazione
cattolica ai poveri ed agli emarginati nella società ». (273) Non
sarà mai possibile liberare gli indigenti dalla loro povertà, se
prima non li si libera dalla miseria dovuta alla carenza di una degna
educazione. Nel progetto globale della nuova
evangelizzazione, il settore dell'educazione occupa un posto
privilegiato. Per questo, va incoraggiata l'attività di tutti i
docenti cattolici, anche di quelli impegnati in scuole non
confessionali. Rivolgo pure un appello urgente ai consacrati ed alle
consacrate, perché non abbandonino questo campo tanto importante per
la nuova evangelizzazione. (274) Come frutto ed espressione della
comunione tra tutte le Chiese particolari d'America, certamente
rafforzata dall'esperienza spirituale dell'Assemblea sinodale, non si
tralascerà di promuovere convegni per gli educatori cattolici in
ambito nazionale e continentale, procurando di ordinare ed
incrementare l'azione pastorale educativa in tutti gli ambienti. (275) Per adempiere a tutti questi
compiti, la Chiesa in America ha bisogno nel campo dell'insegnamento
di un suo spazio di libertà, che non va inteso come un privilegio, ma
come un diritto, in virtù della missione evangelizzatrice affidatale
dal Signore. Inoltre, i genitori hanno il diritto fondamentale e
primario di decidere dell'educazione dei loro figli e, per tale
motivo, i genitori cattolici devono avere la possibilità di scegliere
l'educazione consona con le proprie convinzioni religiose. La funzione
dello Stato in questo ambito è sussidiaria. Esso ha l'obbligo « di
garantire a tutti l'educazione e di rispettare e difendere la libertà
d'insegnamento. Il monopolio dello Stato in questo campo va denunciato
come una forma di totalitarismo lesivo dei diritti fondamentali che
deve difendere, specialmente del diritto dei genitori all'educazione
religiosa dei propri figli. La famiglia è il primo spazio educativo
della persona ». (276) Evangelizzare con i mezzi di
comunicazione sociale 72. E fondamentale, per
l'efficacia della nuova evangelizzazione, una profonda conoscenza
della cultura attuale nella quale i mezzi di comunicazione sociale
hanno grande influenza. Conoscere e usare questi mezzi, sia nelle loro
forme tradizionali che in quelle più recenti introdotte dal progresso
tecnologico, è, pertanto, indispensabile. L'odierna realtà richiede
che si sappia dominare il linguaggio, la natura e le caratteristiche
dei mass media. Usandoli in maniera corretta e competente, si può
portare a compimento un'autentica inculturazione del Vangelo. D'altra
parte, questi stessi mezzi contribuiscono a modellare la cultura e la
mentalità degli uomini e delle donne del nostro tempo; ragion per cui
gli operatori nel campo degli strumenti di comunicazione sociale
devono essere destinatari di una speciale azione pastorale. (277) Al riguardo, i Padri sinodali
hanno indicato numerose iniziative concrete per una presenza efficace
del Vangelo nel mondo dei mezzi di comunicazione sociale: la
formazione di operatori pastorali per tale ambito; la promozione di
centri di produzione qualificata; l'uso prudente e mirato di satelliti
e delle nuove tecnologie; la formazione dei fedeli perché siano
utenti « critici »; l'unione degli sforzi per acquisire e per poi
gestire insieme nuove emittenti e reti radiotelevisive, come pure il
coordinamento di quelle già esistenti. Quanto poi alle pubblicazioni
cattoliche, esse meritano di essere sostenute ed hanno bisogno di
raggiungere un auspicato sviluppo qualitativo. Occorre incoraggiare gli
imprenditori perché sostengano economicamente prodotti di qualità
che promuovono i valori umani e cristiani. (278) Tuttavia, un
programma tanto vasto supera di molto le possibilità delle singole
Chiese particolari del Continente americano. Per questo, gli stessi
Padri sinodali hanno proposto il coordinamento interamericano delle
attività esistenti nel campo dei mezzi di comunicazione sociale per
aiutare la reciproca conoscenza e cooperazione delle realizzazioni già
esistenti nel settore. (279) La sfida delle sette 73. L'attività di proselitismo,
che le sette e nuovi gruppi religiosi sviluppano in non poche regioni
d'America, costituisce un grave ostacolo per l'impegno
evangelizzatore. La parola « proselitismo » ha un senso negativo
quando riflette un modo di conquistare adepti non rispettoso della
libertà di coloro ai quali si rivolge una determinata propaganda
religiosa. (280) La Chiesa cattolica in America critica il
proselitismo delle sette e, per questa stessa ragione, nella sua
azione evangelizzatrice esclude il ricorso a metodi simili. Proponendo
il Vangelo di Cristo in tutta la sua integrità, l'attività
evangelizzatrice deve rispettare il santuario della coscienza di
ciascun individuo, nel quale si sviluppa il dialogo decisivo,
assolutamente personale, tra la grazia e la libertà dell'uomo. Questo deve esser tenuto presente
specialmente nei confronti dei fratelli cristiani delle Chiese e
Comunità ecclesiali separate dalla Chiesa cattolica, stabilite già
da molto tempo in determinate regioni. I vincoli di vera comunione,
anche se imperfetta, che, secondo la dottrina del Concilio Vaticano
II, (281) queste Comunità già hanno con la Chiesa cattolica, devono
illuminare gli atteggiamenti di questa e di tutti i suoi membri nei
confronti di esse. (282) Questi atteggiamenti, tuttavia, non potranno
essere tali da pregiudicare la ferma convinzione che soltanto nella
Chiesa cattolica vi sia la pienezza dei mezzi di salvezza stabiliti da
Gesù Cristo. (283) I successi del proselitismo delle
sette e dei nuovi gruppi religiosi in America non possono essere
guardati con indifferenza. Essi esigono dalla Chiesa in questo
Continente uno studio approfondito, da realizzare in ogni Nazione ed
anche a livello internazionale, per scoprire i motivi per i quali non
pochi cattolici abbandonano la Chiesa. E necessario rivedere i metodi
pastorali adottati, in modo che ogni Chiesa particolare offra ai
fedeli un'attenzione religiosa più personalizzata, fortifichi le
strutture di comunione e missione ed usi le possibilità
evangelizzatrici che offre una religiosità popolare purificata, così
da rendere più viva la fede di tutti i cattolici in Gesù Cristo,
attraverso la preghiera e la meditazione della Parola di Dio
opportunamente commentata. (284) A nessuno sfugge l'urgenza di una
tempestiva azione evangelizzatrice nei confronti di quei settori del
Popolo di Dio che risultano più esposti al proselitismo delle sette:
le fasce degli immigrati, i quartieri periferici delle città o i
paesi della campagna privi di una sistematica presenza del sacerdote e
perciò segnati da diffusa ignoranza religiosa, le famiglie di persone
semplici provate da difficoltà materiali di vario genere. Di grande
utilità si rivelano, anche da questo punto di vista, le comunità di
base, i movimenti, i gruppi di famiglie ed altre forme associative in
cui è più facile coltivare relazioni interpersonali di reciproco
sostegno spirituale ed anche economico. E tuttavia necessario tenere
sempre presente il rischio segnalato da alcuni Padri sinodali: una
pastorale orientata in modo quasi esclusivo alle necessità materiali
dei destinatari finisce per deludere la fame di Dio che hanno questi
popoli, lasciandoli così in una situazione vulnerabile davanti a
qualsiasi presunta offerta spirituale. Per questo, « è
indispensabile che tutti si tengano uniti a Cristo mediante l'annuncio
kerigmatico gioioso e trasformante, specialmente quello della
predicazione nella liturgia ». (285) Una Chiesa che viva intensamente
la dimensione spirituale e contemplativa, e che si prodighi
generosamente nel servizio della carità, sarà in maniera sempre più
eloquente testimone credibile di Dio per uomini e donne alla ricerca
di un senso per la propria vita. (286) A tal fine è quanto mai
necessario che i fedeli passino da una fede abitudinaria, sostenuta
forse solo dall'ambiente, ad una fede consapevole, vissuta
personalmente. Rinnovarsi nella fede sarà sempre la via migliore per
condurre tutti alla Verità che è Cristo. Affinché la risposta alla sfida
delle sette sia efficace, si richiede un adeguato coordinamento delle
iniziative a livello sovradiocesano, allo scopo di realizzare una
cooperazione attraverso progetti comuni che potranno dare maggiori
frutti. (287) La missione ad
gentes 74. Gesù Cristo ha affidato alla
sua Chiesa la missione di evangelizzare tutte le Nazioni: « Andate
dunque e ammaestrate tutte le Nazioni, battezzandole nel nome del
Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare
tutto ciò che vi ho comandato » (Mt 28, 19-20). La coscienza
dell'universalità della missione evangelizzatrice che la Chiesa ha
ricevuto deve rimanere viva, come ha sempre dimostrato la storia del
Popolo di Dio peregrinante in America. L'evangelizzazione si fa più
urgente nei confronti di quanti, vivendo in questo Continente, ancora
non conoscono il nome di Gesù, l'unico nome dato agli uomini per
salvarsi (cfr At 4, 12). Questo nome, purtroppo, è sconosciuto
in una vasta parte dell'umanità e in molti ambienti della società
americana. Basti pensare alle etnie indigene tuttora non
cristianizzate o alla presenza di religioni non cristiane come
l'Islam, il Buddismo, o l'Induismo, soprattutto tra gli immigrati
provenienti dall'Asia. Questo obbliga la Chiesa in
America a rimanere aperta alla missione ad gentes. (288) Il
programma di una nuova evangelizzazione nel Continente, obiettivo di
molti progetti pastorali, non può limitarsi a rivitalizzare la fede
dei credenti abitudinari, ma deve cercare anche di annunciare Cristo
negli ambienti nei quali è sconosciuto. Inoltre, le Chiese particolari
d'America sono chiamate ad estendere il loro slancio evangelizzatore
oltre le frontiere continentali. Non possono tenere per sé le immense
ricchezze del loro patrimonio cristiano. Devono portarlo al mondo
intero e comunicarlo a quanti ancora lo ignorano. Si tratta di molti
milioni di uomini e di donne che, senza la fede, patiscono la più
grave delle povertà. Davanti a questa povertà sarebbe un errore non
favorire un'attività evangelizzatrice fuori del Continente con il
pretesto che c'è ancora molto da fare in America o nell'attesa di
giungere prima ad una situazione, in fondo utopica, di piena
realizzazione della Chiesa in America. Con l'auspicio che il Continente
americano, in sintonia con la sua vitalità cristiana, partecipi al
grande compito della missione ad gentes, faccio mie le proposte
concrete che i Padri sinodali hanno presentato: quelle cioè di «
sostenere una maggiore cooperazione tra le Chiese sorelle; di inviare
missionari (sacerdoti, consacrati e fedeli laici) dentro e fuori il
Continente; di rafforzare o creare Istituti missionari; di favorire la
dimensione missionaria della vita consacrata e contemplativa; di dare
un maggior impulso all'animazione, alla formazione e
all'organizzazione missionaria ». (289) Sono sicuro che lo zelo
pastorale dei Vescovi e degli altri figli della Chiesa in tutta
l'America saprà trovare iniziative concrete, anche a livello
internazionale, che portino a realizzare con grande dinamismo e
creatività questi propositi missionari. CONCLUSIONE Con speranza e gratitudine 75. « Ecco, io sono con voi tutti
i giorni, fino alla fine del mondo » (Mt 28, 20). Confidando
in questa promessa del Signore, la Chiesa pellegrina nel Continente
americano si dispone con entusiasmo ad affrontare le sfide del mondo
attuale e quelle che il futuro potrà presentare. Nel Vangelo la buona
notizia della resurrezione del Signore è accompagnata dall'invito a
non temere (cfr Mt 28, 5.10). La Chiesa in America desidera
camminare nella speranza, come hanno affermato i Padri sinodali: «
Con fiducia serena nel Signore della storia, la Chiesa si dispone a
superare la soglia del Terzo Millennio senza pregiudizi, né
pusillanimità, senza egoismo, senza timore né dubbi, persuasa del
servizio fondamentale e primario che deve prestare come testimonianza
di fedeltà a Dio e agli uomini e alle donne del Continente ». (290) Inoltre, la Chiesa in America si
sente particolarmente spinta a camminare nella fede, rispondendo con
gratitudine all'amore di Gesù, « manifestazione incarnata dell'amore
misericordioso di Dio (cfr Gv 3, 16) ». (291) La celebrazione
dell'inizio del terzo millennio cristiano può essere un'occasione
opportuna perché il popolo di Dio in America rinnovi « la sua
gratitudine per il gran dono della fede », (292) che cominciò a
ricevere cinque secoli fa. Il 1492, al di là degli aspetti storici e
politici, fu il grande anno di grazia per la fede accolta in America:
una fede che annuncia il supremo beneficio dell'Incarnazione del
Figlio di Dio, avvenuta 2000 anni fa, come solennemente ricorderemo
nel Grande Giubileo ormai vicino. Questo duplice sentimento di
speranza e di gratitudine deve accompagnare tutta l'azione pastorale
della Chiesa nel Continente, permeando di spirito giubilare le diverse
iniziative delle diocesi, delle parrocchie, delle comunità di vita
consacrata, dei movimenti ecclesiali, come pure le attività che
potranno organizzarsi a livello regionale e continentale. (293) Preghiera a Gesù Cristo per
le famiglie d'America 76. Pertanto, invito tutti i
cattolici d'America a prendere parte attiva nelle iniziative
evangelizzatrici che lo Spirito Santo va suscitando in ogni parte di
questo immenso Continente, così pieno di potenzialità e di speranze
per il futuro. In special modo invito le famiglie cattoliche ad essere
« chiese domestiche », (294) dove si vive e si trasmette alle nuove
generazioni la fede cristiana come un tesoro, e dove si prega insieme.
Le famiglie cattoliche, se sapranno realizzare in se stesse l'ideale
che Dio affida loro, si convertiranno in autentici focolai di
evangelizzazione. A conclusione di questa
Esortazione apostolica, con la quale ho ripreso le proposte dei Padri
sinodali, accolgo volentieri il loro suggerimento di redigere una
preghiera per le famiglie in America. (295) Invito singoli, comunità
e gruppi ecclesiali, dove due o più si riuniscono nel nome del
Signore, a rafforzare mediante l'orazione il legame spirituale di
unione tra tutti i cattolici americani. Si uniscano tutti alla
supplica del Successore di Pietro nell'invocare Cristo, che è « la
via per la conversione, per la comunione e per la solidarietà in
America »: Signore Gesù, ti ringraziamo Ti rendiamo grazie per il dono
della tua vita, Concedici di essere testimoni
fedeli Tu, che facendoti uomo, hai voluto
essere Proteggi la tua Chiesa e il
Successore di Pietro, Insegnaci ad amare tua Madre,
Maria, Nostra Signora di Guadalupe, Madre
dell'America, Dato a Città del Messico, il
22 gennaio dell'anno 1999, ventunesimo di Pontificato. INDICE Introduzione [n. 1] L'idea di celebrare questa
Assemblea sinodale [n. 2] Il tema dell'Assemblea [n. 3] La celebrazione dell'Assemblea
come esperienza di incontro [n. 4] Contribuire all'unità del
Continente [n. 5] Nel contesto della nuova
evangelizzazione [n. 6] Con la presenza e l'aiuto del
Signore [n. 7] CAPITOLO I Gli incontri con il Signore nel
Nuovo Testamento [n. 8] Incontri personali e incontri
comunitari [n. 9] L'incontro con Cristo nel tempo
della Chiesa [n. 10] Per mezzo di Maria incontriamo Gesù
[n. 11] Luoghi di incontro con Cristo [n.
12] CAPITOLO II La situazione degli uomini e delle
donne d'America e il loro incontro con il Signore [n. 13] L'identità cristiana dell'America
[n. 14] Frutti di santità [n. 15] La pietà popolare [n. 16] Presenza cattolico-orientale [n.
17] La Chiesa nel campo
dell'educazione e dell'azione sociale [n. 18] Crescente rispetto dei diritti
umani [n. 19] Il fenomeno della globalizzazione
[n. 20] La crescente urbanizzazione [n.
21] Il peso del debito estero [n. 22] La corruzione [n. 23] Il commercio e il consumo di droga
[n. 24] La preoccupazione per l'ecologia
[n. 25] CAPITOLO III Urgenza della chiamata alla
conversione [n. 26] Dimensione sociale della
conversione [n. 27] Conversione permanente [n. 28] Guidati dallo Spirito Santo verso
un nuovo stile di vita [n. 29] Vocazione universale alla santità
[n. 30] Gesù, unica via alla santità [n.
31] Penitenza e riconciliazione [n.
32] CAPITOLO IV La Chiesa, sacramento di comunione
[n. 33] Iniziazione cristiana e comunione
[n. 34] L'Eucaristia, centro di comunione
con Dio e con i fratelli [n. 35] I Vescovi, promotori di comunione
[n. 36] Una comunione più intensa tra le
Chiese particolari [n. 37] Comunione fraterna con le Chiese
cattoliche orientali [n. 38] Il presbiterio come segno di unità
[n. 39] Promuovere la pastorale
vocazionale [n. 40] Rinnovare l'istituzione
parrocchiale [n. 41] I diaconi permanenti [n. 42] La vita consacrata [n. 43] I fedeli laici e il rinnovamento
della Chiesa [n. 44] Dignità della donna [n. 45] Le sfide per la famiglia cristiana
[n. 46] I giovani, speranza del futuro [n.
47] Accompagnare il bambino nel suo
incontro con Cristo [n. 48] Elementi di comunione con le altre
Chiese e Comunità ecclesiali [n. 49] Rapporto della Chiesa con le
comunità ebraiche [n. 50] Religioni non cristiane [n. 51] CAPITOLO V La solidarietà, frutto della
comunione [n. 52] La dottrina della Chiesa,
espressione delle esigenze della conversione [n. 53] La dottrina sociale della Chiesa
[n. 54] Globalizzazione della solidarietà
[n. 55] Peccati sociali che gridano al
cielo [n. 56] Il fondamento ultimo dei diritti
umani [n. 57] Amore preferenziale per i poveri e
gli emarginati [n. 58] Il debito estero [n. 59] Lotta contro la corruzione [n. 60] Il problema delle droghe [n. 61] La corsa agli armamenti [n. 62] Cultura della morte e società
dominata dai potenti [n. 63] I popoli indigeni e gli americani
di origine africana [n. 64] La problematica degli immigrati
[n. 65] CAPITOLO VI Mandati da Cristo [n. 66] Gesù Cristo, « buona novella »
e primo evangelizzatore [n. 67] L'incontro con Cristo spinge ad
evangelizzare [n. 68] Importanza della catechesi [n. 69]
Evangelizzazione della cultura [n.
70] Evangelizzare i centri educativi
[n. 71] 0Evangelizzare con i mezzi di
comunicazione sociale [n. 72] La sfida delle sette [n. 73] La missione ad gentes [n.
74] CONCLUSIONE Con speranza e gratitudine [n. 75] Preghiera a Gesù Cristo per le
famiglie d'America [n. 76] (1) Eloquente, al riguardo,
l'antica iscrizione posta nel battistero di San Giovanni in Laterano:
« Virgineo foetu Genitrix Ecclesia natos quos spirante Deo concipit
amne parit » (E. Diehl, Inscriptiones latinae christianae veteres,
n. 1513, I.I: Berolini 1925, p. 289). (2) Omelia in occasione delle
ordinazioni diaconali e presbiterali a Bogotá (22 agosto 1968): AAS
60 (1968), 614-615. (3) N. 17: AAS 85 (1993), 820. (4) N. 38: AAS 87 (1995),
30. (5) Discorso di apertura della IV
Conferenza generale dell'Episcopato Latino-americano (12 ottobre
1992), 17: AAS 85 (1993), 820-821. (6) Giovanni Paolo II, Lett. ap. Tertio
millennio adveniente (10 novembre 1994), 21: AAS 87 (1995),
17. (7) Discorso di apertura della IV
Conferenza Generale dell'Episcopato Latino-americano (12 ottobre
1992), 17: AAS 85 (1993), 820. (8) Cfr Lett. ap. Tertio
millennio adveniente (10 novembre 1994), 38: AAS 87 (1995),
30. (9) Discorso all'Assemblea del
CELAM (9 marzo 1983), III: AAS 75 (1983), 778. (10) Esort. ap. post-sinodale Christifideles
laici (30 dicembre 1988), 34: AAS 81 (1989), 454. (11) Propositio 3. (12) S. Agostino, Tract. in
Joh. 15, 11: CCL 36, 154. (13) Ibid., 15, 17: l.c.,
156. (14) « Salvator... ascensionis
suae eam (Mariam Magdalenam) ad apostolos instituit apostolam ».
Rabano Mauro, De vita beatae Mariae Magdalenae, 27: PL 112,
1574. Cfr S. Pier Damiani, Sermo 56: PL 144, 820; Ugo Di Cluny,
Commonitorium: PL 159, 952; S. Tommaso d'Aquino, In
Joh. Evang. expositio, 20, 3. (15) Allocuzione per la chiusura
dell'Anno Santo (25 dicembre 1975): AAS 68 (1976), 145. (16) Propositio 9; cfr
Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium
et spes, 22. (17) Lett. enc. Redemptoris
Mater (25 marzo 1987), 21: AAS 79 (1987), 369. (18) Propositio 5. (19) III Conferenza Generale
dell'Episcopato Latino-americano, Puebla, febbraio 1979, Messaggio
ai popoli dell'America Latina, n. 282. Per gli Stati Uniti
d'America, cfr National Conference of Catholic Bishops, Behold Your
Mother Woman of Faith (Washington 1973), pp. 53-55. (20) Cfr Propositio 6. (21) Giovanni Paolo II, Discorso
di apertura della IV Conferenza Generale dell'Episcopato
latino-americano (12 ottobre 1992), 24: AAS 85 (1993), 826. (22) Cfr National Conference of
Catholic Bishops, Behold Your Mother Woman of Faith (Washington
1973), p. 37. (23) Cfr Propositio 6. (24) Propositio 4. (25) Cfr ibid. (26) Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
dogm. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 7. (27) Lett. enc. Mysterium fidei
(3 settembre 1965): AAS 57 (1965), 764. (28) Ibid., l.c., 766. (29) Propositio 4. (30) Allocuzione durante l'ultima
sessione pubblica del Concilio Vaticano II (7 dicembre 1965): AAS 58
(1966), 58. (31) Cfr Giovanni Paolo II, Esort.
ap. Reconciliatio et paenitentia (2 dicembre 1984), 16: AAS 77
(1985), 214-217. (32) Cfr Propositio 61. (33) Propositio 29. (34) Cfr Bolla Sacrosancti
apostolatus cura (11 agosto 1670), § 3: Bullarium Romanum,
26VII, 42. (35) Tra gli altri giova citare: i
martiri Giovanni Brébeuf e i suoi sette compagni, Rocco Gonzales e i
suoi due compagni; i santi: Elisabetta Ann Seton, Margherita
Bourgeoys, Pietro Claver, Giovanni del Castillo, Rosa Filippina
Duchesne, Margherita d'Youville, Francesco Febres Cordero, Teresa Fernández
Solar delle Ande, Giovanni Macías, Toribio de Mogrovejo, Ezechiele
Moreno y Díaz, Giovanni Nepomuceno Neumann, Maria Anna di Gesù
Paredes y Flores, Martino de Porres, Alfonso Rodriguez, Francesco
Solano, Francesca Saverio Cabrini; i beati: Giuseppe de Anchieta,
Pietro di San José de Betancur, Juan Diego, Caterina Drexel, Maria
della Incarnazione Rosal, Raffaele Guizar Valencia, Dina Bélanger,
Alberto Hurtado Cruchaga, Elia del Socorro Nieves, Maria Francesca di
Gesù Rubatto, Mercede di Gesù Molina, Narcisa di Gesù Martillo Morán,
Michele Agostino Pro, Maria di San José Alvarado Cardozo, Junípero
Serra, Kateri Tekakwitha, Laura Vicuña, Antonio de sant'Ana Galvão e
tanti altri beati che sono invocati con fede e devozione dai popoli
dell'America (cfr Instrumentum laboris, 17). (36) Cfr Conc. Ecum. Vat. II,
Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 50. (37) Propositio 31. (38) Propositio 30. (39) N. 37: AAS 87 (1995),
29; cfr Propositio 31. (40) Propositio 21. (41) Cfr ibid. (42) Cfr ibid. (43) Cfr ibid. (44) Cfr Propositio, 18. (45) Propositio 19. (46) Decr. sulle Chiese orientali
cattoliche Orientalium Ecclesiarum, 5; cfr Codice dei Canoni delle
Chiese Orientali, can. 28; Propositio 60. (47) Cfr Giovanni Paolo II, Lett.
enc. Redemptoris Mater (25 marzo 1987), 34: AAS 79
(1987), 406; Sinodo dei Vescovi, Assemblea speciale per l'Europa,
Dich. Ut testes simus Christi qui nos liberavit (13 dicembre
1991) III, 7: Ench. Vat. 13, nn. 647-652. (48) Cfr Propositio 60. (49) Cfr Propositiones 23 e 24. (50) Propositio 73. (51) Propositio 72; cfr Giovanni
Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus (1 maggio 1991), 46: AAS
83 (1991), 850. (52) Cfr Sinodo dei Vescovi,
Assemblea speciale per l'Europa, Dich. Ut testes simus Christi qui
nos liberavit (13 dicembre 1991), I, 1; II, 4; IV, 10: Ench.
Vat. 13, nn. 613-615; 627-633; 660-669. (53) Propositio 72. (54) Ibid. (55) Cfr Propositio 74. (56) Cfr Ep. ap. Octogesima
adveniens (14 maggio 1971), 8-9: AAS 63 (1971), 406-408. (57) Propositio 35. (58) Cfr ibid. (59) Propositio 75. (60) Cfr Pontificia Commissione «
Iustitia et Pax », Al servizio della comunità umana: un approccio
etico al debito internazionale (27 dicembre 1986): Ench. Vat. 10,
nn. 1045-1128. (61) Propositio 75. (62) Propositio 37. (63) N. 5: AAS 90 (1998),
152. (64) Propositio 38. (65) Ibid. (66) Propositio 36. (67) Cfr ibid. (68) Sinodo dei Vescovi, Seconda
Assemblea generale straordinaria, Relazione finale Ecclesia sub
Verbo Dei mysteria Christi celebrans pro salute mundi (7 dicembre
1985), II, B, a, 2: Ench. Vat. 9, n. 1795. (69) Propositio 30. (70) Propositio 34. (71) Ibid. (72) Ibid. (73) Cfr Conc. Ecum. Vat. II,
Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 31. (74) Cfr Conc. Ecum. Vat. II,
Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes,
76; Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Christifideles
laici (30 dicembre 1988), 42: AAS 81 (1989), 472-474. (75) Propositio 26. (76) Ibid. (77) Propositio 28. (78) Ibid. (79) Ibid. (80) Propositio 27. (81) Ibid. (82) Cfr ibid. (83) Decr. sul rinnovamento della
vita religiosa Perfectae caritatis, 7; cfr Giovanni Paolo II,
Esort. ap. post-sinodale Vita consecrata (25 marzo 1996), 8: AAS
88 (1996), 382. (84) Propositio 27. (85) Cfr Propositio 28. (86) Cfr Propositio 29. (87) Cfr Lumen gentium, V;
Sinodo dei Vescovi, Seconda Assemblea generale straordinaria,
Relazione finale Ecclesia sub Verbo Dei mysteria Christi celebrans
pro salute mundi (7 dicembre 1985), II, A, 4-5: Ench. Vat. 9,
nn. 1791-1793. (88) Propositio 29. (89) Ibid. (90) Propositio 32. (91) Cfr Giovanni Paolo II, Lett.
ap. Dies Domini (31 maggio 1998), 40: AAS 90 (1998),
738. (92) Propositio 33. (93) Cfr Lett. enc. Redemptor
hominis (4 marzo 1979), 20: AAS 71 (1979) 309-316. (94) Propositio 33. (95) Ibid. (96) Ibid. (97) Propositio 40; cfr Conc.
Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 2. (98) Cfr Congregazione per la
Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica su
alcuni aspetti della Chiesa come comunione Communionis notio (28
maggio 1992), 3-6: AAS 85 (1993), 839-841. (99) Propositio 40. (100) Ibid. (101) Conc. Ecum. Vat. I, Cost.
dogm. sulla Chiesa di Cristo Pastor aeternus, Prologo: DS 3051. (102) Conc. Ecum. di Firenze,
Bolla di unione Exultate Deo (22 novembre 1439): DS 1314. (103) Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 11. (104) Cfr Conc. Ecum. Vat. II,
Decr. sul ministero e la vita dei presbiteri Presbyterorum Ordinis,
5. (105) Propositio 41. (106) Ibid. (107) Cfr Conc. Ecum. Tridentino,
Sess. VII, Decr. sui sacramenti in genere, canone 9: DS 1609. (108) Cfr Conc. Ecum. Vat. II,
Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 26. (109) Cfr Giovanni Paolo II, Lett.
enc. Redemptor hominis (4 marzo 1979), 20: AAS 71
(1979), 309-316. (110) Propositio 42; cfr
Giovanni Paolo II, Lett. ap. Dies Domini (31 maggio 1998), 69: AAS
90 (1998), 755-756. (111) Propositio 41. (112) Propositio 42; cfr
Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra Liturgia Sacrosanctum
Concilium, 14; Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 10. (113) Cfr Propositio 42. (114) Propositio 41. (115) Cfr Conc. Ecum. Vat. II,
Decr. sull'apostolato dei laici Apostolicam actuositatem, 8. (116) Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 23. (117) Cfr Decr. sull'ufficio
pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 27; Decr.
sul ministero e la vita dei presbiteri Presbyterorum Ordinis,
7; Paolo VI, Motu proprio Ecclesiae sanctae (6 agosto 1966), I,
15: AAS 58 (1966), 766-767; Codice di Diritto Canonico,
cann. 495, 502, 511; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali,
cann. 264, 271, 272. (118) Propositio 43. (119) Cfr Propositio 45. (120) Cfr. Congregazione per la
Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica su
alcuni aspetti della Chiesa come comunione Communionis notio (28
maggio 1992), 15-16: AAS 85 (1993), 847-848. (121) Cfr Propositio 45. (122) Cfr Propositio 44. (123) Ibid. (124) Ibid. (125) Cfr Propositio 60. (126) Propositio 49. (127) Ibid. (128) Ibid.; cfr Conc.
Ecum. Vat. II, Decr. sul ministero e la vita dei presbiteri Presbyterorum
Ordinis, 14. (129) Propositio 49. (130) Ibid. (131) Cfr Propositio 51. (132) Propositio 48. (133) Propositio 51. (134) Propositio 52. (135) Cfr ibid. (136) Cfr ibid. (137) Cfr Propositio 46. (138) Ibid. (139) Ibid. (140) Propositio 35. (141) Cfr IV Conferenza Generale
dell'Episcopato Latino-americano, Santo Domingo, ottobre 1992: Nuova
evangelizzazione, promozione umana e cultura cristiana, n. 58. (142) Cfr Giovanni Paolo II, Lett.
enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 51: AAS 83
(1991), 298-299. (143) Propositio 35. (144) Cfr Propositio 46. (145) Ibid. (146) Cfr Cost. dogm. sulla Chiesa
Lumen gentium, 29; Paolo VI, Motu proprio Sacrum Diaconatus Ordinem
(18 giugno 1967), I, 1: AAS 59 (1967), 699. (147) Propositio 50. (148) Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 29. (149) Cfr Propositio 50;
Congregazione per l'Educazione Cattolica e Congregazione per il Clero,
Istr. Ratio fundamentalis institutionis diaconorum permanentium e
Directorium pro ministerio et vita diaconorum permanentium (22
febbraio 1998): AAS 90 (1998), 843-926. (150) Cfr Propositio 53. (151) Ibid.; cfr III
Conferenza Generale dell'Episcopato Latino-americano, Puebla, febbraio
1979, Messaggio ai popoli dell'America Latina, n. 775. (152) Giovanni Paolo II, Esort.
ap. post-sinodale Vita consecrata (25 marzo 1996), 57: AAS 88
(1996), 429-430. (153) Cfr ibid., 58, l.c.,
430. (154) Propositio 53. (155) Ibid. (156) Propositio 54. (157) Ibid. (158) Cfr Conc. Ecum. Vat. II,
Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 31. (159) Propositio 55; cfr
Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium,
34. (160) Propositio 55. (161) Cfr ibid. (162) Propositio 56. (163) Cfr Esort. ap. post-sinodale
Christifideles laici (30 dicembre 1988), 23: AAS 81
(1989), 429-433. (164) Cfr Congregazione per il
Clero e altre, Istr. Ecclesiae de mysterio (15 agosto 1997): AAS
89 (1997), 852-877. (165) Propositio 56. (166) Ibid. (167) Cfr Lett. ap. Mulieris
dignitatem (15 agosto 1988): AAS 80 (1988), 1653-1729; Lettera
alle donne (29 giugno 1995): AAS 87 (1995), 803-812; Propositio
11. (168) Lett. ap. Mulieris
dignitatem (15 agosto 1988), 31: AAS 80 (1988), 1728. (169) Propositio 11. (170) Ibid. (171) Ibid. (172) Ibid. (173) Cfr Giovanni Paolo II,
Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre
1988), 49: AAS 81 (1989), 486-489. (174) Propositio 12. (175) Ibid. (176) Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 11. (177) Ibid. (178) Cfr Propositio 12. (179) Propositio 14. (180) Ibid. (181) Cfr ibid. (182) Propositio 15. (183) Ibid. (184) Ibid. (185) Cfr Conc. Ecum. Vat. II,
Decr. sull'ecumenismo Unitatis redintegratio, 3. (186) Propositio 61. (187) Ibid. (188) Decr. sull'ecumenismo Unitatis
redintegratio, 3. (189) Cfr Propositio 62. (190) Cfr Sinodo dei Vescovi,
Assemblea Speciale per l'Europa, Dich. Ut testes simus Christi qui
nos liberavit (13 dicembre 1991), III, 8: Ench. Vat. 13,
nn. 653-655. (191) Propositio 62. (192) Cfr Conc. Ecum. Vat. II,
Dich. sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane Nostra
aetate, 2. (193) Cfr Propositio 63. (194) Ibid. (195) Propositio 67. (196) Cfr ibid. (197) Propositio 68. (198) Ibid. (199) Propositio 69. (200) Cfr Sinodo dei Vescovi,
Seconda Assemblea generale straordinaria, Relazione finale Ecclesia
sub verbo Dei mysteria Christi celebrans pro salute mundi (7
dicembre 1985), II, B, a, 4: Ench. Vat. 9, n. 1797; Giovanni
Paolo II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): AAS 86
(1994), 117; Catechismo della Chiesa Cattolica, 24. (201) Propositio 69. (202) Propositio 74. (203) Ibid. (204) Cfr Propositio 67. (205) Propositio 70. (206) Ibid. (207) Cfr Propositio 73. (208) Cfr Propositio 70. (209) Propositio 72. (210) Ibid. (211) Ibid. (212) III Conferenza Generale
dell'Episcopato Latino-americano, Puebla, febbraio 1979, Messaggio
ai popoli dell'America Latina, n. 306. (213) Propositio 73. (214) Cfr Congregazione per la
Dottrina della Fede, Istr. Libertatis conscientia (22 marzo
1986), 68: AAS 79 (1987), 583-584. (215) Propositio 73. (216) Cfr Propositio 75. (217) Lett. ap. Tertio
millennio adveniente (10 novembre 1994), 51: AAS 87 (1995),
36. (218) Propositio 75. (219) Ibid. (220) Propositio 37. (221) Cfr ibid. Sulla
pubblicazione di questi testi, cfr. Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos
suos (21 maggio 1998), IV: AAS 90 (1998), 657. (222) Cfr Propositio 38. (223) Cfr ibid. (224) Cfr ibid. (225) Cfr ibid. (226) Cfr Pontificio Consiglio
della Giustizia e della Pace, Il commercio internazionale delle
armi. Una riflessione etica (1 maggio 1994): Ench. Vat. 14,
nn. 1071-1154. (227) Cfr Propositio 76. (228) Ibid. (229) Catechismo della Chiesa
Cattolica, n. 2267, che cita Giovanni Paolo II, Lett. enc. Evangelium
vitae (25 marzo 1995), 56: AAS 87 (1995), 463-464. (230) Cfr Propositio 13. (231) Cfr ibid. (232) Cfr ibid. (233) Ibid. (234) Cfr Propositio 19. (235) Cfr Propositio 18. (236) Propositio 20. (237) Cfr Congregazione per i
Vescovi, Istr. Nemo est (22 agosto 1969), 16: AAS 61
(1969), 621-622; Codice di Diritto Canonico, cann. 294 e 518; Codice
dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 280 § 1. (238) Cfr Propositio 20. (239) Giovanni Paolo II, Esort.
ap. post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), 33: AAS
81 (1989), 453. (240) Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 31. (241) Giovanni Paolo II, Esort.
ap. post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), 34: AAS
81 (1989), 455. (242) Cfr ibid., 2: l.c.,
394-397. (243) Paolo VI, Esort. ap. Evangelii
nuntiandi (8 dicembre 1975), 14: AAS 68 (1976), 13. (244) Cfr Esort. ap. post-sinodale
Christifideles laici (30 dicembre 1988), 34: AAS 81
(1989), 455. (245) Discorso all'Assemblea del
CELAM (9 marzo 1983), III: AAS 75 (1983), 778. (246) Cfr Paolo VI, Esort. ap. Evangelii
nuntiandi, 22: AAS 68 (1976), 20. (247) Cfr ibid., 7, l.c.,
9-10. (248) Giovanni Paolo II, Messaggio
al CELAM (14 settembre 1997), 6: L'Osservatore Romano, 1
ottobre 1997, p. 4. (249) Propositio 8. (250) Cfr Propositio 57. (251) Cfr Propositio 16. (252) Ibid. (253) Propositio 2. (254) Ibid. (255) Ibid. (256) Propositio 10. (257) Relazione finale Ecclesia
sub verbo Dei mysteria Christi celebrans pro salute mundi (7
dicembre 1985), II, B, a, 4: Ench. Vat. 9, n. 1797. (258) Cfr Lett. ap. Laetamur
magnopere (15 agosto 1997): AAS 89 (1997), 819-821. (259) Congregazione per il Clero, Direttorio
generale per la catechesi (15 agosto 1997), Libreria Editrice
Vaticana, 1997. (260) Propositio 10. (261) Ibid. (262) Ibid. (263) Esort. ap. Evangelii
nuntiandi (8 dicembre 1975), 20: AAS 68 (1976), 19. (264) Propositio 17. (265) Cfr ibid. (266) Cfr ibid. (267) Cfr Propositio 22. (268) Propositio 23. (269) Cfr ibid. (270) Ibid. (271) Propositio 24. (272) Ibid. (273) Ibid. (274) Cfr Propositio 22. (275) Cfr ibid. (276) Ibid. (277) Cfr Propositio 25. (278) Cfr ibid. (279) Cfr ibid. (280) Cfr Instrumentum laboris,
45. (281) Cfr Decr. sull'ecumenismo Unitatis
redintegratio, 3. (282) Cfr Propositio 64. (283) Cfr. Conc. Ecum. Vat. II,
Decr. sull'ecumenismo Unitatis redintegratio, 3. (284) Cfr Propositio 65. (285) Ibid. (286) Cfr IV Conferenza Generale
dell'Episcopato Latino-americano, Santo Domingo, ottobre 1992, Nuova
evangelizzazione, promozione umana e cultura cristiana, nn.
139-152. (287) Cfr Propositio 65. (288) Cfr Propositio 86. (289) Ibid. (290) Propositio 58. (291)
Ibid. (292)
Ibid. (293)
Cfr Ibid. (294) Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 11. (295) Propositio 12.
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ESORTAZIONE
APOSTOLICA INTRODUZIONE 1.La Chiesa che è in Africa ha
celebrato con gioia e speranza, durante quattro settimane, la sua fede
in Cristo risorto, nel corso di una Assemblea speciale del Sinodo dei
Vescovi. Vivo ne resta ancora il ricordo nella memoria dell'intera
comunità ecclesiale. Fedeli alla tradizione dei primi
secoli del cristianesimo in Africa, i Pastori di questo continente, in
comunione con il Successore dell'apostolo Pietro ed i membri del
Collegio episcopale venuti da altre regioni del mondo, hanno tenuto un
Sinodo che s'è posto come evento di speranza e di risurrezione, nel
momento stesso in cui le vicende umane sembravano piuttosto spingere
l'Africa allo scoraggiamento e alla disperazione. I Padri sinodali, assistiti da
qualificati rappresentanti del clero, dei religiosi e del laicato,
hanno sottoposto ad un esame approfondito e realistico le luci e le
ombre, le sfide e le prospettive dell'evangelizzazione in Africa,
all'approssimarsi del terzo millennio della fede cristiana. I membri dell'Assemblea sinodale
mi hanno domandato di portare a conoscenza di tutta la Chiesa i frutti
delle loro riflessioni e delle loro preghiere, delle loro discussioni
e dei loro scambi.1 Con letizia e con riconoscenza verso il Signore ho
accolto tale richiesta, ed oggi, nel momento stesso in cui, in
comunione con i Pastori e i fedeli della Chiesa cattolica in Africa,
apro la fase celebrativa dell'Assemblea speciale per l'Africa, rendo
noto il testo di questa Esortazione apostolica postsinodale, frutto di
un lavoro collegiale intenso e prolungato. Ma prima di addentrarmi
nell'esposizione di quanto è maturato nel corso del Sinodo, ritengo
opportuno ripercorrere, seppur velocemente, le varie fasi di un evento
di così decisiva importanza per la Chiesa in Africa. Il Concilio 2. Il Concilio Ecumenico Vaticano
II può certamente considerarsi, dal punto di vista della storia della
salvezza, come la pietra angolare di questo secolo, prossimo ormai a
sfociare nel terzo millennio. Nel contesto di quel grande avvenimento,
la Chiesa di Dio che è in Africa poté vivere, per parte sua,
autentici momenti di grazia. In effetti, l'idea di un incontro, sotto
una forma o l'altra, di Vescovi dell'Africa per discutere circa
l'evangelizzazione del continente, risale al periodo del Concilio.
Quello storico evento fu veramente il crogiuolo della collegialità e
un'espressione peculiare della comunione affettiva ed effettiva
dell'episcopato mondiale. I Vescovi, in tale occasione, cercarono
di individuare gli strumenti adatti per meglio condividere e rendere
efficace la loro sollecitudine nei confronti di tutte le Chiese (cfr 2
Cor 11, 28) ed iniziarono a proporre, a tale scopo, le opportune
strutture a livello nazionale, regionale e continentale. Il Simposio delle Conferenze
episcopali d'Africa e Madagascar 3. È in tale clima che i Vescovi
dell'Africa e del Madagascar, presenti al Concilio, decisero
d'istituire un proprio Segretariato Generale col compito di coordinare
i loro interventi, così da presentare in aula, per quanto possibile,
un punto di vista comune. Questa iniziale cooperazione tra i Vescovi
dell'Africa si istituzionalizzò poi con la creazione a Kampala del Simposio
delle Conferenze Episcopali d'Africa e Madagascar (S.C.E.A.M.). Ciò
avvenne in occasione della visita del Papa Paolo VI in Uganda nel
luglio-agosto del 1969, prima visita in Africa di un Pontefice dei
tempi moderni. La convocazione
dell'Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi 4. Le Assemblee generali del
Sinodo dei Vescovi, che si susseguirono periodicamente dal 1967 in
poi, offrirono alla Chiesa che è in Africa preziose opportunità di
far sentire la propria voce nell'ambito universale della Chiesa. Così,
nella seconda Assemblea generale ordinaria (1971), i Padri sinodali
dell'Africa colsero con gioia l'occasione che loro si presentava per
invocare una maggiore giustizia nel mondo. La terza Assemblea generale
ordinaria sull'evangelizzazione nel mondo contemporaneo (1974) permise
di prendere in esame particolarmente i problemi dell'evangelizzazione
in Africa. Fu in tale circostanza che i Vescovi del continente,
presenti al Sinodo, pubblicarono un importante messaggio dal titolo «
Promozione dell'evangelizzazione nella corresponsabilità ».2 Poco
dopo, durante l'Anno Santo del 1975, lo S.C.E.A.M. convocò la propria
Assemblea plenaria a Roma, per approfondire il tema
dell'evangelizzazione. 5. In seguito, dal 1977 al 1983,
vari Vescovi, sacerdoti, persone consacrate, teologi e laici
espressero il desiderio di un Concilio oppure di un Sinodo
africano, avente lo scopo di fare il punto sull'evangelizzazione
in Africa in ordine alle grandi scelte da compiere per il futuro del
continente. Accolsi con favore ed incoraggiai l'idea di una «
concertazione nell'una o nell'altra forma » dell'intero episcopato
africano, « per esaminare i problemi religiosi comuni a tutto il
continente ».3 Di conseguenza lo S.C.E.A.M. si preoccupò di cercare
vie e mezzi per condurre a buon fine il progetto di un simile incontro
continentale. Fu organizzata una consultazione delle Conferenze
episcopali e di ciascun Vescovo dell'Africa e del Madagascar, in
seguito alla quale potei convocare un'Assemblea speciale per l'Africa
del Sinodo dei Vescovi. Il 6 Gennaio 1989, nel contesto della solennità
dell'Epifania — ricorrenza liturgica nel corso della quale la Chiesa
prende rinnovata coscienza dell'universalità della sua missione e del
conseguente compito di portare la luce di Cristo a tutti i popoli —,
annunciai di aver preso questa « iniziativa di grande importanza per
la diffusione del Vangelo ». E precisai di averlo fatto accogliendo
l'istanza molte volte e da diverso tempo espressa dai Vescovi
dell'Africa, da sacerdoti, teologi ed esponenti del laicato, « perché
sia promossa un'organica solidarietà pastorale nell'intero
territorio africano ed isole attigue ».4 Un evento di grazia 6. L'Assemblea speciale per
l'Africa del Sinodo dei Vescovi è stata un momento storico di
grazia: il Signore ha visitato il suo popolo che è in
Africa. In effetti, questo continente vive oggi ciò che può
definirsi un segno dei tempi, un momento propizio, un giorno
di salvezza per l'Africa. Sembra giunta un'« ora dell'Africa »,
un'ora favorevole che invita con insistenza i messaggeri di Cristo a
prendere il largo e a gettare le reti per la pesca (cfr Lc 5,
4). Come agli inizi del cristianesimo l'alto funzionario di Candace,
regina d'Etiopia, felice di avere ricevuto la fede mediante il
Battesimo, proseguì il suo cammino divenendo testimone di Cristo (cfr
At 8, 27-39), così oggi la Chiesa in Africa, piena di gioia e
di riconoscenza per la fede ricevuta, deve proseguire la sua missione
evangelizzatrice, per attrarre i popoli del continente al Signore,
insegnando loro ad osservare quanto Egli ha comandato (cfr Mt 28,
20). A partire dalla solenne liturgia
eucaristica inaugurale che, il 10 Aprile 1994, ho celebrato nella
Basilica Vaticana insieme con trentacinque Cardinali, un Patriarca,
trentanove Arcivescovi, centoquarantasei Vescovi e novanta sacerdoti,
la Chiesa, Famiglia di Dio,5 popolo dei credenti, si è raccolta
attorno alla tomba di Pietro. Era presente l'Africa con la varietà
dei suoi riti, insieme all'intero popolo di Dio: essa danzava la sua
gioia, esprimendo la sua fede nella vita al suono dei tam-tam e di
altri strumenti musicali africani. In tale occasione, l'Africa ha
sentito di essere, secondo l'espressione di Paolo VI, « nuova patria
di Cristo »,6 terra amata dall'eterno Padre.7 Ecco perché io stesso
ho salutato quel momento di grazia con le parole del Salmista: «
Questo è il giorno fatto dal Signore, rallegriamoci ed esultiamo in
esso » (Sal 118 [117], 24). Destinatari dell'Esortazione 7. Con questa Esortazione
apostolica post- sinodale, in comunione con l'Assemblea speciale per
l'Africa del Sinodo dei Vescovi, desidero rivolgermi in primo luogo ai
Pastori ed ai fedeli cattolici, e poi ai fratelli delle altre
Confessioni cristiane, a quanti professano le grandi religioni
monoteiste, in particolare i seguaci della religione tradizionale
africana, ed a tutti gli uomini di buona volontà che, in un modo o
nell'altro, hanno a cuore lo sviluppo spirituale e materiale
dell'Africa o tengono nelle loro mani le sorti di questo grande
continente. Innanzitutto il mio pensiero si
rivolge naturalmente agli Africani stessi e a tutti coloro che abitano
il continente; penso, in particolare, ai figli e alle figlie della
Chiesa cattolica: Vescovi, sacerdoti, diaconi, seminaristi, membri
degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica,
catechisti e tutti coloro che fanno del servizio ai loro fratelli
l'ideale della loro esistenza. Desidero confermarli nella fede (cfr Lc
22, 32) ed esortarli a perseverare nella speranza che dona il
Cristo risorto, vincendo ogni tentazione di scoraggiamento. Piano dell'Esortazione 8. L'Assemblea speciale per
l'Africa del Sinodo dei Vescovi ha esaminato in profondità il tema
che le era stato proposto: « La Chiesa in Africa e la sua missione
evangelizzatrice verso l'anno 2000: "Mi sarete testimoni" (At
1, 8) ». Questa Esortazione si sforzerà perciò di seguire da
vicino questo stesso itinerario. Prenderà l'avvio dal momento
storico, vero kairos, in cui s'è tenuto il Sinodo,
esaminandone gli obiettivi, la preparazione, lo svolgimento. Si
soffermerà sull'attuale situazione della Chiesa in Africa, ricordando
le varie fasi dell'impegno missionario. Affronterà, poi, i vari
aspetti della missione evangelizzatrice con cui la Chiesa deve
misurarsi nel momento presente: l'evangelizzazione, l'inculturazione,
il dialogo, la giustizia e la pace, i mezzi di comunicazione sociale.
L'accenno alle urgenze e alle sfide, che interpellano la
Chiesa in Africa nell'immediata vigilia dell'anno 2000, consentirà
di tratteggiare i compiti del testimone di Cristo in Africa, in ordine
ad un più efficace apporto all'edificazione del Regno di Dio. Sarà
così possibile delineare, alla fine, gli impegni della Chiesa in
Africa come Chiesa missionaria: una Chiesa di missione che diventa
essa stessa missionaria: « Mi sarete testimoni [...] fino agli
estremi confini della terra » (At 1, 8). CAPITOLO
I UNO
STORICO MOMENTO ECCLESIALE 9. « Questa Assemblea speciale
per l'Africa del Sinodo dei Vescovi è un avvenimento
provvidenziale, per il quale dobbiamo rendere grazie al Padre
onnipotente e misericordioso mediante il Figlio nello Spirito, e
glorificarlo ».8 È con queste parole che i Padri, nel corso della
prima Congregazione generale, hanno solennemente aperto la discussione
relativa al tema del Sinodo. In una precedente occasione, io stesso
avevo già espresso una simile convinzione riconoscendo che «
l'Assemblea speciale è un avvenimento ecclesiale di fondamentale
importanza per l'Africa, un kairos, un momento di grazia, in
cui Dio manifesta la sua salvezza. Tutta la Chiesa è invitata a
vivere pienamente questo tempo di grazia, ad accogliere e a diffondere
la Buona Novella. Lo sforzo di preparazione al Sinodo recherà
beneficio non solo alla celebrazione sinodale stessa, ma si volgerà
sin da ora a favore delle Chiese locali pellegrine in Africa, la
cui fede e la cui testimonianza si rafforzano, rendendole sempre più
mature ».9 Professione di fede 10. Questo momento di grazia si
concretò innanzitutto in una solenne professione di fede. Raccolti
intorno alla Tomba di Pietro per l'inaugurazione dell'Assemblea
speciale, i Padri del Sinodo proclamarono la loro fede, la fede di
Pietro che, rispondendo alla domanda di Cristo: « Forse anche voi
volete andarvene? », rispose: « Signore, da chi andremo? Tu hai
parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il
Santo di Dio » (Gv 6, 67-69). I Vescovi dell'Africa, nei quali
la Chiesa cattolica trovava in quei giorni una sua particolare
espressione presso la Tomba dell'Apostolo, ribadirono di credere
fermamente che l'onnipotenza e la misericordia dell'unico Dio si sono
manifestate soprattutto nell'Incarnazione redentrice del Figlio di
Dio, Figlio che è consostanziale al Padre nell'unità dello Spirito
Santo e che, in questa unità trinitaria, riceve in pienezza gloria e
onore. Questa — affermarono i Padri — è la nostra fede, questa è
la fede della Chiesa, questa è la fede di tutte le Chiese locali che,
disseminate sul continente africano, sono in cammino verso la casa di
Dio. Questa fede in Gesù Cristo fu
manifestata in modo costante, con forza e unanimità, negli interventi
dei Padri del Sinodo lungo l'intero svolgimento dell'Assemblea
speciale. Forti di questa fede i Vescovi dell'Africa affidarono il
loro continente a Cristo Signore, convinti che lui solo, col suo
Vangelo e con la sua Chiesa, può salvare l'Africa dalle attuali
difficoltà e guarirla dai suoi numerosi mali.10 11. Al tempo stesso, in occasione
dell'apertura solenne dell'Assemblea speciale, i Vescovi dell'Africa
proclamarono pubblicamente la loro fede nell'« unica Chiesa di
Cristo, che nel simbolo professiamo una, santa, cattolica e apostolica
».11 Questi attributi indicano tratti essenziali della Chiesa e della
sua missione. Essa « non se li conferisce da se stessa; è Cristo
che, per mezzo dello Spirito Santo, concede alla sua Chiesa di essere
una, santa, cattolica e apostolica, ed è ancora lui che la chiama a
realizzare ciascuna di queste caratteristiche ».12 Tutti coloro che hanno avuto il
privilegio di assistere alla celebrazione dell'Assemblea speciale per
l'Africa si sono rallegrati nel vedere che i cattolici africani vanno
assumendo sempre più responsabilità nelle loro Chiese locali e si
sforzano di meglio comprendere quel che significa essere cattolici ed
insieme africani. La celebrazione dell'Assemblea speciale ha
manifestato al mondo intero che le Chiese locali dell'Africa hanno un
posto legittimo nella comunione della Chiesa, che esse hanno il
diritto di conservare e sviluppare « proprie tradizioni, rimanendo
integro il primato della Cattedra di Pietro, la quale presiede alla
comunione universale della carità, tutela le varietà legittime, e
insieme veglia affinché ciò che è particolare, non solo non nuoccia
all'unità, ma piuttosto la serva ».13 Sinodo di risurrezione,
Sinodo di speranza 12. Per un singolare disegno della
Provvidenza, la solenne inaugurazione dell'Assemblea speciale per
l'Africa del Sinodo dei Vescovi ebbe luogo la seconda domenica di
Pasqua, a conclusione cioè dell'ottava di Pasqua. I Padri sinodali,
riuniti quel giorno nella Basilica Vaticana, erano ben consapevoli del
fatto che la gioia della loro Chiesa scaturiva dal medesimo evento che
aveva colmato di letizia i cuori degli Apostoli nel giorno di Pasqua:
la risurrezione del Signore Gesù (cfr Lc 24, 40-41). Essi
erano profondamente coscienti della presenza in mezzo a loro del
Signore risorto, che diceva loro come agli Apostoli: « Pace a voi! »
(Gv 20, 21.26). Essi erano consapevoli della sua promessa di
restare con la sua Chiesa per sempre (cfr Mt 28, 20) e, quindi,
anche durante l'intero svolgimento dell'Assemblea sinodale. Il clima
pasquale in cui l'Assemblea speciale iniziò il suo lavoro, con i suoi
componenti uniti nel celebrare la loro fede in Cristo risorto,
richiamava spontaneamente al mio spirito le parole rivolte da Gesù
all'apostolo Tommaso: « Beati quelli che pur non avendo visto
crederanno! » (Gv 20, 29). 13. È stato, in effetti, il
Sinodo della risurrezione e della speranza, come hanno dichiarato con
gioia ed entusiasmo i Padri sinodali nelle prime frasi del loro Messaggio
indirizzato al popolo di Dio. Sono parole che volentieri faccio
mie: « Come Maria Maddalena la mattina della Risurrezione, come i
discepoli di Emmaus dal cuore ardente e dall'intelligenza illuminata,
l'Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi proclama: Cristo
nostra speranza è risuscitato. Ci ha raggiunti, ha camminato con noi.
Ha commentato per noi le Scritture ed ecco quello che ci ha detto:
"Io sono il Primo e l'Ultimo e il Vivente. Io ero morto, ma ora
vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi" (Ap
1, 17-18) [...]. E come san Giovanni a Patmos, in tempi
particolarmente difficili, ha ricevuto profezie di speranza per il
popolo di Dio, anche noi annunciamo la speranza. In questo stesso
momento in cui tanti odi fratricidi, provocati da interessi politici,
lacerano i nostri popoli, nel momento in cui il peso del debito
internazionale o della svalutazione li schiaccia, noi, Vescovi
dell'Africa, assieme a tutti i partecipanti a questo santo Sinodo,
uniti al Santo Padre e a tutti i nostri Fratelli nell'episcopato che
ci hanno eletti, vogliamo pronunciare una parola di speranza e di
conforto nei tuoi confronti, Famiglia di Dio che sei in Africa: nei
tuoi confronti, Famiglia di Dio sparsa nel mondo: Cristo nostra
speranza è vivo, noi vivremo! ».14 14. Esorto tutto il popolo di Dio
in Africa ad accogliere con animo aperto il messaggio di speranza che
gli è stato indirizzato dall'Assembla sinodale. Durante le loro
discussioni, i Padri del Sinodo, pienamente consapevoli di esser
portatori delle attese non soltanto dei cattolici africani, ma anche
di tutti gli uomini e di tutte le donne di quel continente, hanno
affrontato con chiarezza i molteplici mali che opprimono l'Africa di
oggi. Essi hanno esplorato tutta la complessità e l'estensione di ciò
che la Chiesa è chiamata a compiere per favorire l'auspicato
cambiamento, ma l'hanno fatto con un atteggiamento libero da
pessimismo o da disperazione. Nonostante il panorama prevalentemente
negativo che oggi presentano numerose regioni dell'Africa e malgrado
le tristi esperienze che non pochi paesi attraversano, la Chiesa ha il
dovere di affermare con forza che è possibile superare queste
difficoltà. Essa deve rinvigorire in tutti gli Africani la speranza
in una vera liberazione. La sua fiducia è fondata, in ultima istanza,
sulla consapevolezza della promessa divina, la quale ci assicura che
la nostra storia non è chiusa in se stessa, ma è aperta al Regno di
Dio. Ecco perché né la disperazione né il pessimismo possono essere
giustificati quando si pensa al futuro sia dell'Africa che di ogni
altra parte del mondo. Collegialità affettiva ed
effettiva 15. Prima di inoltrarmi nella
trattazione dei vari argomenti, vorrei rilevare come il Sinodo dei
Vescovi costituisca uno strumento quanto mai propizio per favorire la
comunione ecclesiale. Quando, verso la fine del Concilio Vaticano II,
il Papa Paolo VI di v.m. istituì il Sinodo, indicò chiaramente che
una delle sue finalità essenziali sarebbe stata quella di esprimere e
promuovere, sotto la guida del Successore di Pietro, la comunione
reciproca dei Vescovi sparsi nel mondo.15 Il principio soggiacente
all'istituzione del Sinodo dei Vescovi è semplice: più è salda la
comunione dei Vescovi tra loro, più risulta arricchita la comunione
della Chiesa stessa nel suo insieme. La Chiesa in Africa è testimone
della verità di queste parole, perché ha fatto l'esperienza
dell'entusiasmo e dei concreti risultati che hanno accompagnato i
preparativi dell'Assemblea del Sinodo dei Vescovi a lei dedicata. 16. In occasione del mio primo
incontro con il Consiglio della Segreteria Generale del Sinodo dei
Vescovi, radunato in vista dell'Assemblea speciale per l'Africa,
indicai la ragione per la quale era parso opportuno convocare questa
Assemblea: la promozione di « una solidarietà pastorale organica in
tutto il territorio africano e nelle isole adiacenti ».16 Con questa
espressione intendevo abbracciare gli scopi e gli obiettivi principali
verso i quali detta Assemblea avrebbe dovuto orientarsi. Per meglio
chiarire le mie aspettative, aggiunsi che le riflessioni in
preparazione dell'Assemblea avrebbero dovuto riguardare « tutti gli
aspetti importanti della vita della Chiesa in Africa, comprendendo, in
particolare, l'evangelizzazione, l'inculturazione, il dialogo, la cura
pastorale in campo sociale e i mezzi di comunicazione sociale ».17 17. Durante le mie visite
pastorali in Africa, mi sono riferito di frequente all'Assemblea
speciale per l'Africa ed ai principali obiettivi per i quali essa era
stata convocata. Quando ho partecipato, per la prima volta sul suolo
africano, ad una riunione del Consiglio del Sinodo, non ho mancato di
sottolineare la mia convinzione che un'Assemblea sinodale non può
ridursi ad una consultazione su argomenti pratici. La sua vera ragion
d'essere sta nel fatto che la Chiesa non può crescere se non
rafforzando la comunione tra i suoi membri, a cominciare dai suoi
Pastori.18 Ogni Assemblea sinodale manifesta
e sviluppa la solidarietà tra i capi delle Chiese particolari nel
compimento della loro missione oltre i confini delle rispettive
diocesi. Come ha insegnato il Concilio Vaticano II, « i Vescovi, sia
come legittimi successori degli Apostoli sia come membri del collegio
episcopale, sappiano essere sempre tra loro uniti e dimostrarsi
solleciti di tutte le Chiese; pensando che per divina disposizione e
comando del dovere apostolico ognuno di essi, insieme con gli altri
Vescovi, è garante della Chiesa ».19 18. Il tema che ho assegnato
all'Assemblea speciale — « La Chiesa in Africa e la sua missione
evangelizzatrice verso l'anno 2000: "Mi sarete testimoni" (At
1, 8) » — manifesta il mio desiderio che questa Chiesa viva il
tempo fino al Grande Giubileo come un « nuovo Avvento », tempo di
attesa e di preparazione. Considero infatti la preparazione all'anno
2000 come una delle chiavi di interpretazione del mio Pontificato.20 Le Assemblee sinodali che si sono
succedute nell'arco di quasi trent'anni — le Assemblee Generali e
quelle Speciali continentali, regionali o nazionali — si situano
tutte in questa prospettiva di preparazione del Grande Giubileo. Il
fatto che l'evangelizzazione sia il tema di tutte queste Assemblee
sinodali sta ad indicare quanto viva sia oggi nella Chiesa la
coscienza della missione salvifica ricevuta da Cristo. Tale presa di
coscienza si manifesta con una particolare evidenza nelle Esortazioni
apostoliche post-sinodali dedicate all'evangelizzazione, alla
catechesi, alla famiglia, alla penitenza ed alla riconciliazione nella
vita della Chiesa e dell'intera umanità, alla vocazione e alla
missione dei laici, alla formazione dei presbiteri. In piena comunione con la
Chiesa universale 19. Sin dall'inizio della
preparazione dell'Assemblea speciale è stato mio vivo desiderio,
pienamente condiviso dal Consiglio della Segreteria Generale, di far sì
che questo Sinodo fosse autenticamente africano, senza equivoci. Era
al tempo stesso di fondamentale importanza che l'Assemblea speciale
fosse celebrata in piena comunione con la Chiesa universale. In
effetti, l'Assemblea ha sempre tenuto conto della Chiesa universale.
Reciprocamente, quando venne il momento di pubblicare i Lineamenta,
non mancai di invitare i miei Fratelli nell'episcopato e tutto il
popolo di Dio sparso per il mondo a ricordare nella preghiera
l'Assemblea speciale per l'Africa ed a sentirsi coinvolti nelle
attività promosse in vista di tale evento. Questa Assemblea, come ho spesso
avuto modo di ribadire, riveste notevole importanza per la Chiesa
universale, non solamente a motivo dell'interesse che la sua
convocazione ha suscitato dappertutto, ma anche per la natura stessa
della comunione ecclesiale che trascende ogni frontiera di tempo e di
spazio. Di fatto, l'Assemblea speciale ha ispirato molte preghiere e
buone opere, con le quali i singoli fedeli e le comunità della Chiesa
negli altri continenti hanno accompagnato lo svolgimento del Sinodo. E
come dubitare che, nel mistero della comunione ecclesiale, ad esso
siano venute in sostegno anche le preghiere dei santi nel Cielo? Quando ho disposto che la prima
fase dei lavori dell'Assemblea speciale si tenesse a Roma, l'ho deciso
per sottolineare ancor più eloquentemente la comunione che lega la
Chiesa che è in Africa con la Chiesa universale, sì da evidenziare
l'impegno di tutti i fedeli in favore dell'Africa. 20. La solenne concelebrazione
eucaristica di apertura del Sinodo, che ho presieduto nella Basilica
di san Pietro, ha posto in rilievo l'universalità della Chiesa in
modo meraviglioso e commovente. Questa universalità, « che non è
uniformità ma comunione di differenze compatibili con il Vangelo »,21
è stata vissuta da tutti i Vescovi. Tutti avevano consapevolezza di
essere stati consacrati in quanto membri del corpo episcopale che
succede al Collegio degli Apostoli, non solo per una diocesi, ma per
la salvezza del mondo intero.22 Rendo grazie a Dio Onnipotente per
l'occasione che ci ha donato di sperimentare, grazie all'Assemblea
speciale, ciò che comporta un'autentica cattolicità. « In virtù di
questa cattolicità, le singole parti portano i propri doni alle altre
parti e a tutta la Chiesa ».23 Un messaggio pertinente e
credibile 21. Secondo i Padri sinodali, la
questione principale che la Chiesa in Africa deve affrontare consiste
nel descrivere con tutta la chiarezza possibile ciò che essa è e ciò
che deve realizzare in pienezza, perché il suo messaggio sia
pertinente e credibile.24 Tutte le discussioni in Assemblea hanno
fatto riferimento a tale esigenza veramente essenziale e fondamentale,
che è un'autentica sfida per la Chiesa in Africa. È senz'altro vero « che lo
Spirito Santo è l'agente principale dell'evangelizzazione: è Lui che
spinge ad annunciare il Vangelo e che nell'intimo delle coscienze fa
accogliere e comprendere la parola della salvezza ».25 Ma,
riaffermata questa verità, l'Assemblea speciale ha voluto giustamente
aggiungere che l'evangelizzazione è anche una missione che il Signore
Gesù ha affidato alla sua Chiesa sotto la guida e la potenza dello
Spirito. È necessaria la nostra cooperazione mediante la preghiera
fervente, una grande riflessione, adeguati progetti e la mobilitazione
delle risorse.26 Il dibattito sinodale sul tema
della pertinenza e della credibilità del messaggio
della Chiesa in Africa non poteva non implicare una riflessione sulla credibilità
stessa degli annunciatori di tale messaggio. I Padri hanno
affrontato la questione in modo diretto, con profonda sincerità,
aliena da ogni indulgenza. Di questo s'era già occupato il Papa Paolo
VI che, con parole memorabili, aveva ricordato: « Si ripete spesso,
oggi, che il nostro secolo ha sete di autenticità. Soprattutto a
proposito dei giovani, si afferma che hanno orrore del fittizio, del
falso, e ricercano sopra ogni cosa la verità e la trasparenza. Questi
segni dei tempi dovrebbero trovarci all'erta. Tacitamente o con
alte grida, ma sempre con forza, ci domandano: Credete veramente a
quello che annunziate? Vivete quello che credete? Predicate veramente
quello che vivete? La testimonianza della vita è divenuta più che
mai una condizione essenziale per l'efficacia profonda della
predicazione. Per questo motivo, eccoci responsabili, fino ad un certo
punto, della riuscita del Vangelo che proclamiamo ».27 Ecco perché, in riferimento alla
missione evangelizzatrice della Chiesa nel campo della giustizia e
della pace, io stesso ho detto: « Oggi più che mai la Chiesa è
cosciente che il suo messaggio sociale troverà credibilità nella testimonianza
delle opere, prima che nella sua coerenza e logica interna ».28 22. Come non richiamare qui che
l'ottava Assemblea Plenaria dello S.C.E.A.M., tenutasi a Lagos, in
Nigeria, nel 1987, aveva già preso in considerazione con notevole
chiarezza la questione della credibilità e della pertinenza del
messaggio della Chiesa in Africa? Quella stessa Assemblea aveva
dichiarato che la credibilità della Chiesa in Africa dipendeva da
Vescovi e sacerdoti capaci di dare, sulle orme di Cristo, la
testimonianza di una vita esemplare; da religiosi realmente fedeli,
autentici testimoni con il loro modo di vivere i consigli evangelici;
da un laicato dinamico, con genitori profondamente credenti, educatori
coscienti delle loro responsabilità, dirigenti politici animati da
profondo senso morale.29 Famiglia di Dio in cammino
sinodale 23. Rivolgendomi il 23 giugno 1989
ai Membri del Consiglio della Segreteria Generale, insistei molto
sulla partecipazione dell'intero popolo di Dio, a tutti i livelli,
specialmente in Africa, alla preparazione dell'Assemblea speciale. «
Se è ben preparata, dissi, la sessione del Sinodo permetterà di
coinvolgere tutti i settori della comunità cristiana: singoli,
piccole comunità, parrocchie, diocesi ed istituzioni locali,
nazionali ed internazionali ».30 Tra l'inizio del mio Pontificato e
l'inaugurazione dell'Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei
Vescovi, ho potuto effettuare dieci Visite pastorali in Africa e in
Madagascar, raggiungendo trentasei nazioni. In occasione dei Viaggi
apostolici successivi alla convocazione dell'Assemblea speciale, il
tema del Sinodo e quello della necessità per tutti i fedeli di
prepararsi all'Assemblea sinodale sono sempre stati presenti in
maniera preminente nei miei incontri con il popolo di Dio in Africa.
Ho anche approfittato delle visite ad limina dei Vescovi di
quel continente per sollecitare la collaborazione di tutti alla
preparazione dell'Assemblea speciale per l'Africa. In tre occasioni
diverse, poi, ho tenuto, insieme al Consiglio della Segreteria
Generale del Sinodo, sessioni di lavoro sul suolo africano: a
Yamoussoukro, in Costa d'Avorio (1990), a Luanda, in Angola (1992) e a
Kampala, in Uganda (1993), sempre in vista di chiamare gli Africani a
prendere parte attiva e corale alla preparazione dell'Assemblea
sinodale. 24. La presentazione, il 25 luglio
1990, dei Lineamenta a Lomé, in Togo, in occasione della nona
Assemblea generale dello S.C.E.A.M., è stata senz'altro una tappa
nuova e importante dell'iter preparatorio all'Assemblea speciale. Si
può ben dire che la pubblicazione dei Lineamenta ha avviato
decisamente i preparativi del Sinodo in tutte le Chiese particolari
dell'Africa. L'Assemblea dello S.C.E.A.M. a Lomé ha adottato una Preghiera
per l'Assemblea speciale ed ha chiesto che fosse recitata, sia in
pubblico che in privato, in tutte le parrocchie africane fino alla
celebrazione del Sinodo. Questa iniziativa dello S.C.E.A.M. è stata
veramente felice e non è passata inosservata nella Chiesa universale. Per favorire, poi, la diffusione
dei Lineamenta, parecchie Conferenze episcopali e diocesi hanno
tradotto il documento nella loro lingua, come, per esempio, in swahili,
arabo, malgascio ed altri idiomi. « Pubblicazioni, conferenze e
simposi sui temi del Sinodo sono stati organizzati da diverse
Conferenze episcopali, Istituti di teologia e seminari, Associazioni
di Istituti di vita consacrata, diocesi, alcuni importanti giornali e
periodici, singoli Vescovi e teologi ».31 25. Rendo vivamente grazie a Dio
Onnipotente per la cura attenta con cui sono stati redatti i Lineamenta
e l'Instrumentum laboris 32 del Sinodo. È stato un impegno
affrontato e svolto da africani, Vescovi ed esperti, a cominciare
dalla Commissione antepreparatoria del Sinodo, nel gennaio e nel marzo
1989. La Commissione fu poi rilevata dal Consiglio della Segreteria
Generale dell'Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi,
da me istituito il 20 giugno 1989. Sono profondamente riconoscente,
inoltre, al gruppo di lavoro che ha così ben curato le liturgie
eucaristiche per l'apertura e la chiusura del Sinodo. Il gruppo, che
contava tra i suoi membri teologi, liturgisti ed esperti in canti e
strumenti africani d'espressione liturgica, ha voluto far sì, secondo
il mio desiderio, che esse fossero segnate da un chiaro carattere
africano. 26. Ora devo aggiungere che la
risposta degli Africani al mio appello a partecipare alla preparazione
del Sinodo è stata veramente ammirevole. L'accoglienza riservata ai Lineamenta,
sia all'interno che al di fuori delle comunità ecclesiali
africane, ha superato largamente ogni previsione. Molte Chiese locali
si sono servite dei Lineamenta per mobilitare i fedeli e, fin
d'ora, possiamo senz'altro dire che i frutti del Sinodo cominciano a
manifestarsi in un nuovo impegno e in una rinnovata presa di coscienza
dei cristiani d'Africa.33 Lungo le diverse fasi della
preparazione dell'Assemblea speciale, numerosi membri della Chiesa in
Africa — clero, religiosi, religiose, laici — si sono inseriti in
maniera esemplare nell'itinerario sinodale, « camminando insieme »,
mettendo ciascuno i propri talenti al servizio della Chiesa e pregando
insieme con fervore per il successo del Sinodo. Più d'una volta gli
stessi Padri del Sinodo hanno segnalato, nel corso dell'Assemblea
sinodale, che il loro lavoro veniva facilitato grazie proprio alla «
preparazione accurata e minuziosa di questo Sinodo, svoltasi con il
coinvolgimento attivo di tutta la Chiesa in Africa ad ogni livello ».34 Dio vuole salvare l'Africa 27. L'Apostolo dei Gentili ci dice
che Dio « vuole che tutti gli uomini siano salvati ed arrivino alla
conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il
mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Gesù Cristo, che ha dato se
stesso in riscatto per tutti » (1 Tm 2, 4-6). Poiché Dio
chiama tutti gli uomini ad un unico e medesimo destino, che è divino,
« dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità
di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale
».35 L'amore redentore di Dio abbraccia l'intera umanità, ogni
razza, tribù e nazione: abbraccia quindi anche le popolazioni del
continente africano. La Provvidenza divina volle che l'Africa fosse
presente durante la Passione di Cristo nella persona di Simone di
Cirene, costretto dai soldati romani ad aiutare il Signore nel portare
la Croce (cfr Mc 15, 21). 28. La liturgia della sesta
domenica di Pasqua del 1994, durante la solenne Celebrazione
eucaristica per la conclusione della Sessione di lavoro dell'Assemblea
speciale, mi offrì l'occasione di sviluppare una riflessione sul
disegno salvifico di Dio nei confronti dell'Africa. Una delle letture
bibliche, tratta dagli Atti degli Apostoli, rievocava un avvenimento
che può essere considerato come il primo passo nella missione
della Chiesa verso i pagani: il racconto della visita fatta da
Pietro, sotto l'impulso dello Spirito Santo, alla casa di un pagano,
il centurione Cornelio. Fino a quel momento il Vangelo era stato
proclamato soprattutto tra gli ebrei. Dopo aver esitato non poco,
Pietro, illuminato dallo Spirito, decise di recarsi nella casa di un
pagano. Arrivato colà, fu gioiosamente sorpreso per il fatto che il
centurione attendeva Cristo e il Battesimo. Il libro degli Atti degli
Apostoli riferisce: « I fedeli circoncisi, che erano venuti con
Pietro, si meravigliavano che anche sopra i pagani si effondesse il
dono dello Spirito Santo; li sentivano infatti parlare lingue e
glorificare Dio » (10, 45-46). In casa di Cornelio, in un certo
senso, si riprodusse il miracolo della Pentecoste. Pietro disse
allora: « In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze
di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo
appartenga, è a lui accetto [...]. Forse che si può proibire che
siano battezzati con l'acqua questi che hanno ricevuto lo Spirito
Santo al pari di noi? » (At 10, 34-35.47). Cominciò così la missione della
Chiesa ad gentes, della quale Paolo di Tarso diventerà il
principale araldo. I primi missionari arrivati nel cuore dell?Africa
hanno certamente conosciuto una meraviglia simile a quella
sperimentata dai cristiani dei tempi apostolici davanti all'effusione
dello Spirito Santo. 29. Il disegno di Dio per la
salvezza dell'Africa sta all'origine della diffusione della Chiesa nel
continente africano. Essendo tuttavia la Chiesa, secondo la volontà
di Cristo, per sua natura missionaria, ne segue che la Chiesa in
Africa è chiamata ad assumere essa stessa un ruolo attivo al servizio
del progetto salvifico di Dio. Per questo ho spesso detto che « la
Chiesa in Africa è la Chiesa missionaria e di missione ».36 L'Assemblea speciale per l'Africa
del Sinodo dei Vescovi ha avuto il compito di esaminare gli strumenti
mediante i quali gli Africani potranno meglio realizzare il mandato
che il Signore risorto ha donato ai suoi discepoli: « Andate, dunque,
ed ammaestrate tutte le nazioni » (Mt 28, 19). CAPITOLO
II LA
CHIESA IN AFRICA I. Breve storia
dell'Evangelizzazione nel Continente 30. Il giorno dell'apertura
dell'Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi, prima
assise del genere nella storia, i Padri sinodali hanno ricordato
alcune delle meraviglie operate da Dio nel corso dell'evangelizzazione
dell'Africa. È una storia che risale all'epoca della nascita stessa
della Chiesa. La diffusione del Vangelo in Africa è avvenuta in fasi
diverse. I primi secoli del cristianesimo videro l'evangelizzazione
dell'Egitto e dell'Africa del Nord. Una seconda fase, riguardante le
regioni di quel continente situate al sud del Sahara, ha avuto luogo
nei secoli XV e XVI. Una terza fase, caratterizzata da uno sforzo
missionario straordinario, è iniziata nel XIX secolo. Prima fase 31. In un messaggio ai Vescovi e a
tutti i popoli dell'Africa in ordine alla promozione del benessere
materiale e spirituale del continente, il mio venerato predecessore
Paolo VI richiamò con parole memorabili il glorioso splendore del
passato cristiano dell'Africa. « Pensiamo alle Chiese cristiane
d'Africa, l'origine delle quali risale ai tempi apostolici ed è
legata, secondo la tradizione, al nome e all'insegnamento
dell'evangelista Marco. Pensiamo alla schiera innumerevole di santi,
martiri, confessori, vergini, che ad esse appartengono. In realtà,
dal secolo II al secolo IV la vita cristiana nelle regioni
settentrionali dell'Africa fu intensissima e all'avanguardia tanto
nello studio teologico quanto nella espressione letteraria. Balzano
alla memoria i nomi dei grandi dottori e scrittori, come Origene,
sant'Atanasio, san Cirillo, luminari della Scuola alessandrina, e,
sull'altro lembo della sponda mediterranea africana, Tertulliano, san
Cipriano, e soprattutto sant'Agostino, una delle luci più fulgenti
della cristianità. Ricorderemo i grandi santi del deserto, Paolo,
Antonio, Pacomio, primi fondatori del monachesimo, diffusosi poi, sul
loro esempio, in Oriente e in Occidente. E, tra i tanti altri, non
vogliamo omettere il nome di san Frumenzio, chiamato Abba Salama, il
quale, consacrato vescovo da sant'Atanasio, fu l'apostolo dell'Etiopia
».37 Durante questi primi secoli della Chiesa in Africa, anche alcune
donne hanno reso la loro testimonianza a Cristo. Tra esse è doverosa
una menzione particolare delle sante Felicita e Perpetua, di santa
Monica e di santa Tecla. « Questi luminosi esempi, come
pure le figure dei santi Papi africani Vittore I, Melchiade e Gelasio
I, appartengono al patrimonio comune della Chiesa, e gli scritti degli
autori cristiani d'Africa ancor oggi sono fondamentali per
approfondire, alla luce della Parola di Dio, la storia della salvezza.
Nel ricordo delle antiche glorie dell'Africa cristiana, noi
desideriamo esprimere il nostro profondo rispetto per le Chiese con le
quali non siamo in piena comunione: la Chiesa greca del Patriarcato di
Alessandria, la Chiesa copta dell'Egitto e la Chiesa etiopica, che
hanno in comune con la Chiesa cattolica l'origine e l'eredità
dottrinale e spirituale dei grandi Padri e Santi, non soltanto della
loro terra, ma di tutta la Chiesa antica. Esse hanno molto operato e
sofferto per mantenere vivo il nome cristiano in Africa attraverso le
vicende dei tempi ».38 Tali Chiese recano ancora oggi la
testimonianza della vitalità cristiana che esse attingono dalle loro
radici apostoliche, particolarmente in Egitto e in Etiopia e, fino al
XVII secolo, in Nubia. Sul resto del continente cominciava allora
un'altra tappa dell'evangelizzazione. Seconda fase 32. Nei secoli XV e XVI,
l'esplorazione della costa africana da parte dei portoghesi fu ben
presto accompagnata dall'evangelizzazione delle regioni dell'Africa
situate a sud del Sahara. Tale sforzo riguardava, tra altre zone, le
regioni dell'attuale Benin, di São Tomé, dell'Angola, del Mozambico
e del Madagascar. Il 7 giugno 1992, domenica di
Pentecoste, in occasione della commemorazione dei 500 anni
dell'evangelizzazione dell'Angola, a Luanda, ebbi a dire tra l'altro:
« Gli Atti degli Apostoli indicano con il loro nome gli abitanti di
diversi luoghi che presero direttamente parte alla nascita della
Chiesa ad opera del soffio dello Spirito Santo. Ecco ciò che tutti
dicevano: "Li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi
opere di Dio" (At 2, 11). Cinquecento anni fa, a questo
coro di lingue si sono aggiunti i popoli dell'Angola. In quel momento,
nella vostra Patria africana, si è rinnovata la Pentecoste di
Gerusalemme. I vostri antenati udirono il messaggio della Buona
Novella, che è la lingua dello Spirito. I loro cuori accolsero per la
prima volta questa parola ed essi chinarono il capo nell'acqua del
fonte battesimale, in cui l'uomo, ad opera dello Spirito Santo, muore
insieme a Cristo crocifisso e rinasce a nuova vita nella sua
risurrezione [...]. Fu certamente lo stesso Spirito a spingere quegli
uomini di fede, i primi missionari, che nel 1491 approdarono alla foce
del fiume Zaire, a Pinda, dando inizio ad una vera e propria epopea
missionaria. Fu ancora lo Spirito Santo, operante a modo suo nel cuore
degli uomini, che spinse il grande re del Congo Nzinga-a-Nkuwu a
sollecitare la venuta di missionari per annunciare il Vangelo. Fu lo
Spirito Santo che sostenne la vita di quei quattro primi cristiani
angolani che, di ritorno dall'Europa, testimoniarono il valore della
fede cristiana. Dopo i primi missionari, molti altri vennero dal
Portogallo e da altri paesi europei per continuare, ampliare e
consolidare l'opera iniziata».39 Un certo numero di sedi episcopali
fu eretto durante tale periodo, e una delle primizie di questo impegno
missionario fu la consacrazione a Roma, nel 1518, da parte di Leone X,
di Don Enrico, figlio di Don Alfonso I, re del Congo, come vescovo
titolare di Utica. Don Enrico diventò così il primo vescovo
autoctono dell'Africa nera. Fu in quel periodo, esattamente
nell'anno 1622, che il mio predecessore Gregorio XV eresse stabilmente
la Congregazione De Propaganda Fide con lo scopo di meglio
organizzare e sviluppare le missioni. A causa di difficoltà di vario
genere, la seconda fase dell'evangelizzazione dell'Africa si concluse
nel XVIII secolo con l'estinzione di pressoché tutte le missioni
nelle regioni situate a sud del Sahara. Terza fase 33. La terza fase di
evangelizzazione sistematica dell'Africa cominciò nel XIX secolo,
periodo caratterizzato da uno sforzo straordinario, promosso dai
grandi apostoli e animatori della missione africana. Fu un periodo di
rapida crescita, come mostrano chiaramente le statistiche presentate
all'Assemblea sinodale dalla Congregazione per l'Evangelizzazione dei
Popoli.40 L'Africa ha risposto molto generosamente alla chiamata di
Cristo. In questi ultimi decenni numerosi paesi africani hanno
celebrato il primo centenario dell'inizio della loro evangelizzazione.
Veramente la crescita della Chiesa in Africa, da cent'anni a questa
parte, costituisce una meraviglia della grazia di Dio. La gloria e lo splendore del
periodo contemporaneo dell'evangelizzazione in Africa sono illustrati
in modo mirabile dai santi che l'Africa moderna ha donato alla Chiesa.
Papa Paolo VI ebbe modo di esprimere con eloquenza questa realtà
quando canonizzò i martiri dell'Uganda nella Basilica di San Pietro,
in occasione della Giornata Missionaria Mondiale del 1964: « Questi
martiri africani aggiungono all'albo dei vittoriosi, qual è il
Martirologio, una pagina tragica e magnifica, veramente degna di
aggiungersi a quelle meravigliose dell'Africa antica [...]. L'Africa,
bagnata dal sangue di questi Martiri, primi dell'èra nuova (oh, Dio
voglia che siano gli ultimi, tanto il loro olocausto è grande e
prezioso!), risorge libera e redenta ».41 34. La lista dei santi che
l'Africa dona alla Chiesa, lista che è il suo più grande titolo di
onore, continua ad allungarsi. Come potremmo non menzionare, tra i più
recenti, Clementina Anwarite, vergine e martire dello Zaire, che ho
beatificato in terra africana nel 1985, Vittoria Rasoamanarivo, del
Madagascar e Giuseppina Bakhita, del Sudan, beatificate anch'esse
durante il mio Pontificato? E come non ricordare il beato Isidoro
Bakanja, martire dello Zaire, che ho avuto il privilegio di elevare
all'onore degli altari durante l'Assemblea speciale per l'Africa? « Altre cause stanno maturando. La
Chiesa in Africa deve provvedere a redigere il suo proprio
Martirologio, aggiungendo alle magnifiche figure dei primi secoli
[...] i martiri e i santi degli ultimi tempi ».42 Di fronte alla formidabile
crescita della Chiesa in Africa durante gli ultimi cent'anni, di
fronte ai frutti di santità che sono stati ottenuti, non vi è che
un'unica spiegazione possibile: tutto ciò è dono di Dio, poiché
nessuno sforzo umano avrebbe potuto compiere una simile opera in un
periodo relativamente così breve. Tuttavia, non c'è posto per un
trionfalismo umano. Facendo memoria dello splendore glorioso della
Chiesa in Africa, i Padri sinodali hanno voluto soltanto celebrare le
meraviglie compiute da Dio per la liberazione e la salvezza
dell'Africa. « Ecco l'opera del Signore, Omaggio ai missionari 35. La splendida crescita e le
realizzazioni della Chiesa in Africa sono dovute in gran parte
all'eroica e disinteressata dedizione di generazioni di missionari. Ciò
è da tutti riconosciuto. La terra benedetta dell'Africa è, in
effetti, disseminata di tombe di valorosi araldi del Vangelo. Quando i Vescovi dell'Africa si
sono incontrati a Roma per l'Assemblea speciale, erano ben consapevoli
del debito di riconoscenza che il loro continente ha verso i suoi
antenati nella fede. Nel discorso rivolto alla prima
Assemblea dello S.C.E.A.M. a Kampala, il 31 luglio 1969, Papa Paolo VI
fece riferimento a questo debito di riconoscenza: « Voi Africani
siete oramai i missionari di voi stessi. La Chiesa di Cristo è
davvero piantata in questa terra benedetta (cfr Decr. Ad gentes, 6).
Un dovere dobbiamo noi compiere: noi dobbiamo ricordare coloro che
hanno in Africa, prima di voi ed ancora oggi con voi, predicato il
Vangelo, come ci ammonisce la Sacra Scrittura: "Ricordatevi dei
vostri predecessori, che vi hanno annunciato la parola di Dio, e
considerando la fine della loro vita, imitate la loro fede" (Eb
13, 7). È una storia che non dobbiamo dimenticare. Essa
conferisce alla Chiesa locale la nota della sua autenticità e della
sua nobiltà, la nota "apostolica"; essa è un dramma di
carità, di eroismo, di sacrificio, che fa grande e santa, fin
dall'origine, la Chiesa africana ».43 36. L'Assemblea speciale ha
degnamente assolto questo debito di riconoscenza in occasione della
sua prima Congregazione generale, quando ha dichiarato: « È il caso
qui di rendere un vibrante omaggio ai missionari, uomini e
donne di tutti gli Istituti religiosi e secolari, e a tutti i paesi
che, nel corso dei 2000 anni circa di evangelizzazione del continente
africano [...] si sono dedicati intensamente a trasmettere la fiamma
della fede cristiana [...]. Ecco perché noi, felici eredi di questa
meravigliosa avventura, vogliamo rendere grazie a Dio in questa
solenne circostanza ».44 Nel Messaggio al popolo di
Dio i Padri sinodali hanno rinnovato con vigore l'omaggio ai
missionari, ma non hanno dimenticato di rendere omaggio ai figli ed
alle figlie dell'Africa, specialmente ai catechisti ed agli
interpreti, che hanno collaborato con loro.45 37. È grazie alla grande epopea
missionaria, di cui il continente africano è stato teatro
particolarmente durante gli ultimi due secoli, che abbiamo potuto
incontrarci a Roma per celebrare l'Assemblea speciale per l'Africa. Il
seme a suo tempo sparso ha recato frutti abbondanti. I miei Fratelli
nell'episcopato, figli dei popoli dell'Africa, ne sono eloquenti
testimoni. Insieme con i loro presbiteri, essi portano ormai sulle
spalle gran parte del lavoro dell'evangelizzazione. L'attestano anche
i numerosi figli e figlie dell'Africa che aderiscono alle antiche
Congregazioni missionarie o che entrano nei nuovi Istituti nati in
terra africana, raccogliendo nelle loro mani la fiaccola della
consacrazione totale al servizio di Dio e del Vangelo. Radicamento e crescita della
Chiesa 38. Il fatto che nell'arco di
quasi due secoli il numero dei cattolici in Africa sia rapidamente
cresciuto costituisce di per sé un risultato notevole sotto ogni
punto di vista. Confermano, in particolare, il consolidamento della
Chiesa nel continente elementi quali il sensibile e rapido aumento del
numero delle circoscrizioni ecclesiastiche, la crescita del clero
autoctono, dei seminaristi e dei candidati negli Istituti di vita
consacrata, la progressiva estensione della rete dei catechisti, il
cui contributo alla diffusione del Vangelo fra le popolazioni africane
è a tutti ben noto. Di fondamentale rilievo è, infine, l'alta
percentuale di Vescovi nativi, che compongono ormai la Gerarchia nel
continente. I Padri sinodali hanno preso atto
di numerosi passi assai significativi compiuti dalla Chiesa in Africa
nei campi dell'inculturazione e del dialogo ecumenico.46 Le notevoli e
meritorie realizzazioni nel campo dell'educazione sono universalmente
riconosciute. Anche se i cattolici costituiscono
solo il quattordici per cento della popolazione africana, le
istituzioni cattoliche nel campo della sanità rappresentano il
diciassette per cento dell'insieme delle strutture sanitarie di tutto
il continente. Le iniziative intraprese con
coraggio dalle giovani Chiese dell'Africa per portare il Vangelo «
fino agli estremi confini della terra » (At 1, 8) sono
sicuramente degne di nota. Gli Istituti missionari sorti in Africa si
sono numericamente accresciuti ed hanno iniziato a fornire missionari
non solo per i paesi del continente, ma anche per altre regioni della
terra. Sacerdoti diocesani d'Africa, il cui numero sta lentamente
crescendo, cominciano a rendersi disponibili, per periodi limitati,
come presbiteri fidei donum, in altre diocesi, povere di
personale, nella loro nazione o altrove. Le province africane degli
Istituti religiosi di diritto pontificio, sia maschili che femminili,
hanno anch'esse visto aumentare i loro membri. In tal modo la Chiesa
si pone al servizio dei popoli africani; essa accetta inoltre di
essere coinvolta nello « scambio di doni » con altre Chiese
particolari nell'ambito dell'intero popolo di Dio. Tutto questo
manifesta, in modo tangibile, la maturità raggiunta dalla Chiesa in
Africa: è questo che ha reso possibile la celebrazione dell'Assemblea
speciale del Sinodo dei Vescovi. Che cosa è diventata
l'Africa? 39. Poco meno di trent'anni fa,
non pochi paesi africani si rendevano indipendenti rispetto alle
potenze coloniali. Questo ha suscitato grandi attese per quanto
riguarda lo sviluppo politico, economico, sociale e culturale dei
popoli africani. Benché « in alcuni paesi la situazione interna,
purtroppo, non si sia ancora consolidata, e la violenza abbia avuto o
abbia ancora talvolta il sopravvento, ciò non può dar luogo ad una
condanna generale che coinvolga tutto un popolo o tutta una nazione o,
peggio ancora, tutto un continente ».47 40. Ma qual è la situazione reale
d'insieme del continente africano oggi, specialmente dal punto di
vista della missione evangelizzatrice della Chiesa? I Padri sinodali,
in proposito, si sono posti innanzitutto una domanda: « In un
continente saturo di cattive notizie, in che modo il messaggio
cristiano costituisce una "buona novella" per il nostro
popolo? In mezzo ad una disperazione che invade ogni cosa, dove sono
la speranza e l'ottimismo che il Vangelo reca con sé?
L'evangelizzazione promuove molti di quei valori essenziali che tanto
mancano al nostro continente: speranza, pace, gioia, armonia, amore e
unità ».48 Dopo aver sottolineato,
giustamente, che l'Africa è un immenso continente con situazioni
molto diverse e che occorre per questo evitare di generalizzare sia
nel valutare problemi che nel suggerire soluzioni, l'Assemblea
sinodale ha dovuto con dolore rilevare: « Una situazione comune è,
senza dubbio, il fatto che l'Africa sia piena di problemi: in quasi
tutte le nostre nazioni c'è una miseria spaventosa, cattiva
amministrazione delle scarse risorse disponibili, instabilità
politica e disorientamento sociale. Il risultato è sotto i nostri
occhi: squallore, guerre, disperazione. In un mondo controllato dalle
nazioni ricche e potenti, l'Africa è praticamente divenuta
un'appendice senza importanza, spesso dimenticata e trascurata da
tutti ».49 41. Per molti Padri sinodali
l'Africa di oggi può essere paragonata a quell'uomo che scendeva da
Gerusalemme a Gerico; egli cadde nelle mani dei briganti che lo
spogliarono, lo percossero e se ne andarono lasciandolo mezzo morto (cfr
Lc 10, 30-37). L'Africa è un continente in cui innumerevoli
esseri umani — uomini e donne, bambini e giovani — sono distesi,
in qualche modo, sul bordo della strada, malati, feriti, impotenti,
emarginati e abbandonati. Essi hanno un bisogno estremo di buoni
Samaritani che vengano loro in aiuto. Da parte mia, auspico che la
Chiesa continui pazientemente ed instancabilmente la sua opera di buon
Samaritano. In effetti per un lungo periodo regimi, oggi scomparsi,
hanno posto a dura prova gli Africani ed hanno indebolito la loro
capacità di reazione: l'uomo ferito deve ritrovare tutte le risorse
della propria umanità. I figli e le figlie dell'Africa hanno bisogno
di presenza comprensiva e di sollecitudine pastorale. Occorre aiutarli
a raccogliere le proprie energie, per porle al servizio del bene
comune. Valori positivi della
cultura africana 42. L'Africa, malgrado le sue
grandi ricchezze naturali, permane in una situazione economica di
povertà. Essa possiede, tuttavia, una molteplice varietà di valori
culturali e di inestimabili qualità umane, che può offrire alle
Chiese e all'intera umanità. I Padri sinodali hanno posto in evidenza
alcuni di tali valori culturali, che certamente costituiscono una
preparazione provvidenziale alla trasmissione del Vangelo; sono valori
che possono favorire un'evoluzione positiva della drammatica
situazione del continente, ed avviare quella ripresa globale da cui
dipende l'auspicato sviluppo delle singole nazioni. Gli Africani hanno un profondo
senso religioso, il senso del sacro, il senso dell'esistenza di Dio
creatore e di un mondo spirituale. La realtà del peccato nelle sue
forme individuali e sociali è assai presente alla coscienza di quei
popoli, e sentito è pure il bisogno di riti di purificazione e di
espiazione. 43. Nella cultura e nella
tradizione africane, il ruolo della famiglia è universalmente
considerato come fondamentale. Aperto a questo senso della famiglia,
dell'amore e del rispetto della vita, l'Africano ama i figli, che sono
accolti gioiosamente come un dono di Dio. « I figli e le figlie
dell'Africa amano la vita. È proprio l'amore per la vita a
comandare loro di attribuire così grande importanza alla venerazione
degli avi. Credono istintivamente che quei morti continuino a vivere e
rimangono in comunione con loro. Non è questa, in qualche modo, una
preparazione alla fede nella comunione dei santi? I popoli
dell'Africa rispettano la vita che viene concepita e nasce. Gioiscono
di questa vita. Rifiutano l'idea che possa essere annientata, anche
quando a ciò vorrebbero indurli le cosiddette "civiltà
progressiste". E le pratiche ostili alla vita vengono loro
imposte per mezzo di sistemi economici al servizio dell'egoismo dei
ricchi ».50 Gli Africani manifestano rispetto per la vita fino al suo
termine naturale e riservano in seno alla famiglia un posto agli
anziani e ai parenti. Le culture africane hanno un senso
acuto della solidarietà e della vita comunitaria. Non si concepisce
in Africa una festa che non venga condivisa con l'intero villaggio. Di
fatto, la vita comunitaria nelle società africane è espressione
della famiglia allargata. Con ardente desiderio prego e chiedo di
pregare perché l'Africa conservi sempre tale preziosa eredità
culturale e perché mai soccomba alla tentazione dell'individualismo,
così estraneo alle sue migliori tradizioni. Alcune opzioni dei popoli
africani 44. Anche se non vanno affatto
minimizzati gli aspetti tragici della situazione africana più sopra
evocati, vale la pena di ricordare qui talune realizzazioni positive
dei popoli del continente che meritano di essere lodate e
incoraggiate. I Padri sinodali nel loro Messaggio al popolo di
Dio hanno, ad esempio, ricordato con gioia l'avvio del processo
democratico in tanti paesi africani, ed hanno auspicato che esso si
consolidi e siano prontamente rimossi gli ostacoli e le resistenze
allo Stato di diritto, grazie alla collaborazione di tutti i
protagonisti ed al loro senso del bene comune.51 I « venti di cambiamento »
soffiano con vigore in molti luoghi del continente, e il popolo chiede
con sempre maggiore insistenza il riconoscimento e la promozione dei
diritti e delle libertà dell'uomo. Al riguardo, rilevo con
soddisfazione che la Chiesa in Africa, fedele alla sua vocazione, si
colloca con decisione al fianco degli oppressi, dei popoli senza voce
ed emarginati. L'incoraggio fermamente a continuare nel rendere tale
testimonianza. L'opzione preferenziale per i poveri è « una
forma speciale di primato nell'esercizio della carità cristiana,
testimoniata da tutta la tradizione della Chiesa [...]. La
preoccupazione stimolante verso i poveri — i quali, secondo la
significativa formula, sono i « poveri del Signore » — deve
tradursi, a tutti i livelli, in atti concreti e giungere con decisione
a una serie di necessarie riforme ».52 45. Nonostante la povertà e i
pochi mezzi a disposizione, la Chiesa in Africa riveste un ruolo di
primo piano in ciò che concerne lo sviluppo umano integrale; le sue
notevoli realizzazioni in questo campo sono spesso riconosciute dai
governi e dagli esperti internazionali. L'Assemblea speciale per l'Africa
ha espresso profonda riconoscenza verso « tutti i cristiani e tutti
gli uomini di buona volontà che lavorano nel campo dell'assistenza e
della promozione umana con la nostra Caritas o con le nostre
organizzazioni per lo sviluppo ».53 L'assistenza che essi, come buoni
Samaritani, danno alle vittime africane delle guerre e delle
catastrofi, ai rifugiati ed ai profughi, merita ammirazione,
riconoscenza e sostegno da parte di tutti. Ritengo doveroso manifestare un
vivo ringraziamento alla Chiesa in Africa per il ruolo che essa ha
svolto, nel corso degli anni, a favore della pace e della
riconciliazione in non poche situazioni di conflitto, di
sconvolgimento politico o di guerra civile. II. Problemi attuali della
Chiesa in Africa 46. I Vescovi d'Africa si trovano
di fronte a due quesiti di fondo: come deve la Chiesa portare avanti
la sua missione evangelizzatrice all'approssimarsi dell'anno 2000?
Come i cristiani africani potranno divenire testimoni sempre più
fedeli del Signore Gesù? Per offrire a tali quesiti adeguate risposte
i Vescovi, prima e durante l'Assemblea speciale, hanno passato in
rassegna le principali sfide alle quali la comunità ecclesiale
africana deve oggi far fronte. Evangelizzazione in
profondità 47. Il primo, fondamentale dato
rilevato dai Padri sinodali è la sete di Dio dei popoli africani. Per
non mandare delusa una simile attesa, i membri della Chiesa devono
anzitutto approfondire la loro fede.54 In effetti, proprio perché
evangelizzatrice, la Chiesa deve cominciare « con l'evangelizzare se
stessa ».55 Occorre che essa raccolga la sfida contenuta in « questo
tema della Chiesa che si evangelizza mediante una conversione e un
rinnovamento costanti, per evangelizzare il mondo con credibilità ».56 Il Sinodo ha preso atto
dell'urgenza di proclamare in Africa la Buona Novella a milioni di
persone non ancora evangelizzate. La Chiesa sicuramente rispetta e
stima le religioni non cristiane professate da numerosissime persone
sul continente africano, perché esse costituiscono l'espressione
vivente dell'anima di larghi settori della popolazione, tuttavia « né
il rispetto e la stima verso queste religioni, né la complessità dei
problemi sollevati costituiscono per la Chiesa un invito a tacere
l'annuncio di Cristo di fronte ai non cristiani. Al contrario, essa
pensa che queste moltitudini hanno il diritto di conoscere la
ricchezza del mistero di Cristo (cfr Ef 3, 8), nella quale noi
crediamo che tutta l'umanità può trovare, in una pienezza
insospettabile, tutto ciò che essa cerca a tentoni su Dio, sull'uomo
e sul suo destino, sulla vita e sulla morte, sulla verità ».57 48. I Padri sinodali affermano con
ragione che « un interesse profondo per un'inculturazione vera ed
equilibrata del Vangelo si rivela necessario per evitare la confusione
e l'alienazione nella nostra società, sottoposta ad una rapida
evoluzione ».58 Visitando il Malawi, io stesso ebbi modo di dire: « Io
vi lancio una sfida oggi, una sfida che consiste nel rigettare un
modo di vivere che non corrisponde al meglio delle vostre tradizioni
locali e della fede cristiana. Molte persone in Africa guardano al di
là dell'Africa, verso la cosiddetta "libertà del modo di vivere
moderno". Oggi io vi raccomando caldamente di guardare in voi
stessi. Guardate alle ricchezze delle vostre tradizioni, guardate alla
fede che abbiamo celebrato in questa assemblea. Là voi troverete
la vera libertà, là troverete il Cristo che vi condurrà alla verità
».59 Superamento delle divisioni 49. Un'altra sfida evidenziata dai
Padri sinodali riguarda le diverse forme di divisione che occorre
comporre grazie ad una sincera pratica del dialogo.60 È stato a
ragione rilevato che, all'interno delle frontiere ereditate dalle
potenze coloniali, la coesistenza di gruppi etnici, di tradizioni, di
lingue ed anche di religioni diverse incontra spesso ostacoli dovuti a
gravi ostilità reciproche. « Le opposizioni tribali mettono a
volte in pericolo se non la pace, almeno il perseguimento del bene
comune della società nel suo insieme, e creano anche difficoltà alla
vita delle Chiese e all'accoglienza dei Pastori di altre etnie ».61
Ecco perché la Chiesa in Africa si sente interpellata dal preciso
compito di ridurre tali fratture. Anche da questo punto di vista
l'Assemblea speciale ha sottolineato l'importanza del dialogo
ecumenico con le altre Chiese e Comunità ecclesiali, come pure del
dialogo con la religione tradizionale africana e con l'Islam. I Padri
si sono domandati, inoltre, con quali mezzi si possa raggiungere tale
meta. Matrimonio e vocazioni 50. Una sfida importante,
sottolineata quasi unanimemente dalle Conferenze episcopali d'Africa
nelle risposte ai Lineamenta, concerne il Matrimonio cristiano
e la vita familiare.62 La posta in gioco è altissima: infatti « il
futuro del mondo e della Chiesa passa attraverso la famiglia ».63 Un altro fondamentale compito che
l'Assemblea speciale ha posto in evidenza è costituito dalla cura
delle vocazioni al sacerdozio ed alla vita consacrata: occorre
discernerle con saggezza, farle accompagnare da formatori capaci,
controllare la qualità della formazione di fatto offerta. Dalla
sollecitudine posta nella soluzione di questo problema dipende
l'avverarsi della speranza di una fioritura di vocazioni missionarie
africane, quale è richiesta dall'annunzio del Vangelo in ogni parte
del continente ed anche oltre i suoi confini. Difficoltà socio-politiche 51. « In Africa, la necessità di
applicare il Vangelo alla vita concreta è fortemente sentita. Come si
potrebbe annunciare Cristo in quell'immenso continente, dimenticando
che esso coincide con una delle aree più povere del mondo? Come non
tener conto della storia intrisa di sofferenze di una terra dove molte
nazioni sono tuttora alle prese con la fame, la guerra, le tensioni
razziali e tribali, l'instabilità politica e la violazione dei
diritti umani? Tutto ciò costituisce una sfida all'evangelizzazione
».64 Tutti i documenti preparatori,
come anche le discussioni durante lo svolgimento dell'Assemblea, hanno
messo ampiamente in evidenza il fatto che questioni come la povertà
crescente in Africa, l'urbanizzazione, il debito internazionale, il
commercio delle armi, il problema dei rifugiati e dei profughi, i
problemi demografici e le minacce che pesano sulla famiglia,
l'emancipazione delle donne, la propagazione dell'AIDS, la
sopravvivenza in alcuni luoghi della pratica della schiavitù, l'etnocentrismo
e le opposizioni tribali, fanno parte delle sfide fondamentali
esaminate dal Sinodo. Invadenza dei mass-media 52. Infine, l'Assemblea speciale
si è preoccupata dei mezzi di comunicazione sociale, questione di
enorme importanza poiché si tratta, al tempo stesso, di strumenti di
evangelizzazione e di mezzi di diffusione di una nuova cultura che ha
bisogno di essere evangelizzata.65 I Padri sinodali sono stati, così,
messi di fronte al triste fatto che « i paesi in via di sviluppo, più
che trasformarsi in nazioni autonome, preoccupate del proprio cammino
verso la giusta partecipazione ai beni ed ai servizi destinati a
tutti, diventano pezzi di un meccanismo, parti di un ingranaggio
gigantesco. Ciò si verifica spesso anche nel campo dei mezzi di
comunicazione sociale, i quali, essendo per lo più gestiti da centri
nella parte Nord del mondo, non tengono sempre nella dovuta
considerazione le priorità e i problemi propri di questi paesi né
rispettano la loro fisionomia culturale, ma anzi, non di rado, essi
impongono una visione distorta della vita e dell'uomo, e così non
rispondono alle esigenze del vero sviluppo ».66 III. Formazione degli operatori
dell'Evangelizzazione 53. Con quali risorse la Chiesa in
Africa riuscirà a rilevare le sfide appena menzionate? « La più
importante, dopo la grazia di Cristo, è evidentemente quella del
popolo. Il popolo di Dio — inteso nel senso teologico della Lumen
gentium, questo popolo che comprende i membri del Corpo di Cristo
nella sua totalità — ha ricevuto il mandato, che è allo stesso
tempo un onore e un dovere, di proclamare il messaggio evangelico
[...]. La comunità intera ha bisogno di essere preparata, motivata e
rafforzata per l'evangelizzazione, ognuno secondo il proprio ruolo
specifico all'interno della Chiesa ».67 Per questo il Sinodo ha messo
fortemente l'accento sulla formazione degli operatori
dell'evangelizzazione in Africa. Ho già ricordato la necessità di
una formazione appropriata dei candidati al sacerdozio e di quelli che
sono chiamati alla vita consacrata. L'Assemblea ha ugualmente prestato
dovuta attenzione alla formazione dei fedeli laici, ben riconoscendone
il ruolo insostituibile nell'evangelizzazione dell'Africa. In
particolare, si è messo l'accento, giustamente, sulla formazione dei
catechisti laici. 54. Un'ultima domanda s'impone: la
Chiesa in Africa ha formato sufficientemente i laici ad assumere con
competenza le loro responsabilità civili ed a considerare i problemi
d'ordine socio-politico alla luce del Vangelo e della fede in Dio? È
questo sicuramente un compito che interpella i cristiani; esercitare
sul tessuto sociale un influsso volto a trasformare non soltanto le
mentalità, ma le stesse strutture della società in modo che vi si
rispecchino meglio i disegni di Dio sulla famiglia umana. Proprio per
questo ho auspicato per i laici una formazione completa che li aiuti a
condurre una vita pienamente coerente. La fede, la speranza e la carità
non possono non orientare il comportamento dell'autentico discepolo di
Cristo in ogni sua attività, situazione e responsabilità. Giacché
« evangelizzare per la Chiesa è portare la Buona Novella in tutti
gli strati dell'umanità e, con il suo influsso, trasformare dal di
dentro, rendere nuova l'umanità stessa »,68 i cristiani devono
essere formati a vivere le implicazioni sociali del Vangelo in modo
che la loro testimonianza divenga una sfida profetica nei confronti di
tutto ciò che nuoce al vero bene degli uomini e delle donne
dell'Africa, come di ogni altro continente. CAPITOLO
III EVANGELIZZAZIONE
E INCULTURAZIONE Missione della Chiesa 55. « Andate in tutto il mondo e
predicate il Vangelo ad ogni creatura » (Mc 16, 15). Tale è
il mandato che, prima di salire al Padre, Cristo risorto lasciò agli
Apostoli: « Allora essi partirono e predicarono dappertutto » (Mc
16, 20). « Il mandato di evangelizzare
tutti gli uomini costituisce la missione essenziale della Chiesa
[...]. Evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della
Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per
evangelizzare ».69 Nata dall'azione evangelizzatrice di Gesù e
dei Dodici, essa è a sua volta inviata, « depositaria della Buona
Novella che si deve annunziare [...]. La Chiesa comincia con
l'evangelizzare se stessa ». In seguito, « la Chiesa, a sua volta,
invia gli evangelizzatori. Mette nella loro bocca la parola che salva
».70 Come l'Apostolo dei Gentili, la Chiesa può dire: « Predicare
il Vangelo è per me un dovere: guai a me se non predicassi il
Vangelo! » (1 Cor 9, 16). La Chiesa annuncia la Buona
Novella non solamente attraverso la proclamazione della parola che
ha ricevuto dal Signore, ma anche mediante la testimonianza della
vita, grazie alla quale i discepoli di Cristo rendono ragione
della fede, della speranza e dell'amore che sono in essi (cfr 1 Pt 3,
15). Questa testimonianza che il
cristiano rende a Cristo e al Vangelo può condurre fino al sacrificio
supremo: il martirio (cfr Mc 8, 35). La Chiesa e il cristiano,
infatti, annunciano Colui che è « segno di contraddizione » (Lc 2,
34). Proclamano « un Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei e
stoltezza per i pagani » (1 Cor 1, 23). Come ho avuto modo di
dire più sopra, oltre agli illustri martiri dei primi secoli,
l'Africa può gloriarsi dei suoi martiri e santi dell'epoca moderna. L'evangelizzazione ha per scopo di
« trasformare dal di dentro, rendere nuova l'umanità stessa ».71
Nell'unico Figlio e attraverso di Lui, saranno rinnovati i rapporti
degli uomini con Dio, con gli altri uomini, con la creazione tutta
intera. Per questo l'annuncio del Vangelo può contribuire
all'interiore trasformazione di tutte le persone di buona volontà che
hanno il cuore aperto all'azione dello Spirito Santo. 56. Testimoniare il Vangelo con le
parole e con gli atti: ecco la consegna che l'Assemblea speciale per
l'Africa del Sinodo dei Vescovi ha ricevuto e che trasmette ora alla
Chiesa del continente. « Mi sarete testimoni » (At 1, 8):
questa è la posta in gioco, questi dovranno essere in Africa i frutti
del Sinodo in ogni ambito della vita umana. Nata dalla predicazione di
coraggiosi Vescovi e sacerdoti missionari, efficacemente aiutati dai
catechisti — « degna di lode è anche quella schiera tanto
benemerita dell'opera missionaria tra le genti »72 —, la Chiesa in
Africa, terra divenuta « nuova Patria di Cristo »,73 è ormai
responsabile della missione nel continente e nel mondo: « Africani,
voi siete ormai missionari di voi stessi », diceva a Kampala il mio
predecessore Paolo VI.74 Poiché la grande maggioranza degli abitanti
del continente africano non ha ancora ricevuto l'annuncio della Buona
Novella della salvezza, il Sinodo raccomanda che siano incoraggiate le
vocazioni missionarie e domanda che sia favorita e attivamente
sostenuta l'offerta di preghiere, di sacrifici e di aiuti concreti in
favore del lavoro missionario della Chiesa.75 Annuncio 57. « Il Sinodo ricorda che
evangelizzare è annunciare attraverso la parola e la vita la Buona
Novella di Gesù Cristo, crocifisso, morto e risuscitato, via, verità
e vita ».76 All'Africa, pressata d'ogni parte da germi d'odio e di
violenza, da conflitti e da guerre, gli evangelizzatori devono
proclamare la speranza della vita radicata nel mistero pasquale. È
proprio quando, umanamente parlando, la sua vita sembrava destinata
alla sconfitta, che Gesù instituì l'Eucaristia, « pegno dell'eterna
gloria »,77 per perpetuare nel tempo e nello spazio la sua vittoria
sulla morte. Ecco perché l'Assemblea speciale per l'Africa, in questo
periodo in cui il continente africano per certi aspetti versa in
condizioni critiche, ha voluto presentarsi come « Sinodo della
risurrezione, Sinodo della speranza [...]. Cristo, nostra
Speranza, è vivo, noi vivremo! ».78 L'Africa non è votata alla
morte, ma alla vita! È dunque necessario « che la
nuova evangelizzazione sia centrata sull'incontro con la persona
vivente di Cristo ».79 « Il primo annuncio deve mirare a far
fare questa esperienza sconvolgente ed entusiasmante di Gesù Cristo
che chiama e trascina al suo seguito in un'avventura di fede ».80
Compito, questo, singolarmente facilitato dal fatto che « l'Africano
crede in Dio creatore a partire dalla sua vita e dalla sua religione
tradizionale. È dunque aperto anche alla piena e definitiva
rivelazione di Dio in Gesù Cristo, Dio con noi, Verbo fatto carne.
Gesù, la Buona Novella, è Dio che salva l'Africano [...]
dall'oppressione e dalla schiavitù ».81 L'evangelizzazione deve
raggiungere « l'uomo e la società a tutti i livelli della loro
esistenza. Essa si manifesta in attività diverse, in particolare in
quelle specificamente prese in considerazione dal Sinodo: annuncio,
inculturazione, dialogo, giustizia e pace, mezzi di comunicazione
sociale ».82 Perché questa missione riesca
pienamente, occorre fare in modo che « nell'evangelizzazione il
ricorso allo Spirito Santo sia insistente, così che si realizzi una
continua Pentecoste, nella quale Maria, come già nella prima, avrà
il suo posto ».83 In effetti, la forza dello Spirito Santo guida la
Chiesa alla verità tutta intera (cfr Gv 16, 13) e le dona di
andare incontro al mondo per testimoniare Cristo con fiduciosa
sicurezza. 58. La parola che esce dalla bocca
di Dio è viva ed efficace, e non ritorna mai a Lui senza effetto (cfr
Is 55, 11; Eb 4, 12-13). Bisogna dunque proclamarla
senza sosta, insistere « in ogni occasione opportuna e non opportuna
[...] con ogni magnanimità e dottrina » (2 Tm 4, 2). Affidata
in primo luogo alla Chiesa, la parola di Dio scritta « non va
soggetta a privata spiegazione » (2 Pt 1, 20); spetta alla
Chiesa di offrirne l'autentica interpretazione.84 Per far sì che la parola di Dio
sia conosciuta, amata, meditata e serbata nel cuore dei fedeli (cfr Lc
2, 19.51) è necessario intensificare gli sforzi per facilitare
l'accesso alla Sacra Scrittura, specialmente mediante traduzioni
integrali o parziali della Bibbia, fatte per quanto possibile in
collaborazione con le altre Chiese e Comunità ecclesiali e
accompagnate da guide di lettura per la preghiera, lo studio in
famiglia o in comunità. Occorre inoltre promuovere la formazione
biblica per i membri del clero, per i religiosi, per i catechisti e
per gli stessi laici in generale; predisporre adeguate celebrazioni
della Parola; favorire l'apostolato biblico con l'aiuto del Centro
Biblico per l'Africa e il Madagascar e di altre strutture simili, da
incoraggiare ad ogni livello. In breve, si dovrà cercare di porre la
Sacra Scrittura nelle mani di tutti i fedeli sin dall'infanzia.85 Urgenza e necessità dell'inculturazione 59. I Padri sinodali hanno a più
riprese sottolineato l'importanza particolare che riveste per
l'evangelizzazione l'inculturazione, quel processo cioè mediante il
quale la « catechesi "s'incarna" nelle differenti
culture ».86 L'inculturazione comprende una duplice dimensione: da
una parte, « l'intima trasformazione degli autentici valori culturali
mediante l'integrazione nel cristianesimo » e, dall'altra, « il
radicamento del cristianesimo nelle varie culture ».87 Il Sinodo
considera l'inculturazione come una priorità e un'urgenza nella vita
delle Chiese particolari per un reale radicamento del Vangelo in
Africa,88 « un'esigenza dell'evangelizzazione »,89 « un cammino
verso una piena evangelizzazione »,90 una delle maggiori sfide per la
Chiesa nel continente all'approssimarsi del terzo millennio.91 Fondamenti teologici 60. « Ma quando venne la pienezza
del tempo » (Gal 4, 4), il Verbo, seconda Persona della
Santissima Trinità, Figlio unico di Dio, « si è incarnato per opera
dello Spirito Santo nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo ».92
È il sublime mistero dell'Incarnazione del Verbo, un mistero che ha
avuto luogo nella storia: in circostanze di tempo e di luogo
ben definite, in mezzo ad un popolo con una sua propria cultura, che
Dio aveva eletto ed accompagnato lungo l'intera storia della salvezza
allo scopo di mostrare, mediante quanto operava in esso, ciò che
intendeva fare per tutto il genere umano. Dimostrazione evidente dell'amore
di Dio per gli uomini (cfr Rm 5, 8), Gesù Cristo, con la sua
vita, con la Buona Novella annunciata ai poveri, con la passione, la
morte e la gloriosa risurrezione, ha operato la remissione dei nostri
peccati e la nostra riconciliazione con Dio, suo Padre e, grazie a
Lui, nostro Padre. La Parola che la Chiesa annuncia è precisamente il
Verbo di Dio fatto uomo, soggetto e oggetto Egli stesso di tale
Parola. La Buona Novella è Gesù Cristo. Come « il Verbo si fece carne e
venne ad abitare in mezzo a noi » (Gv 1, 14), così la Buona
Novella, la parola di Gesù Cristo annunciata alle nazioni, deve
calarsi dentro l'ambiente di vita dei suoi ascoltatori. L'inculturazione
è precisamente questo inserimento del messaggio evangelico nelle
culture.93 In effetti, l'Incarnazione del Figlio di Dio, proprio perché
integrale e concreta,94 è stata anche incarnazione in una specifica
cultura. 61. Data la stretta e organica
relazione che esiste tra Gesù Cristo e la parola che annuncia la
Chiesa, l'inculturazione del messaggio rivelato non potrà non seguire
la « logica » propria del mistero della Redenzione. L'Incarnazione
del Verbo, in effetti, non costituisce un momento isolato, ma tende
verso « l'Ora » di Gesù e il mistero pasquale: « Se il chicco di
grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce
molto frutto » (Gv 12, 24). « Io, dice Gesù, quando sarò
elevato da terra, attirerò tutti a me » (Gv 12, 32). Questo
annientamento di sé, questa kenosi necessaria all'esaltazione,
itinerario di Gesù e di ciascuno dei suoi discepoli (cfr Fil 2,
6-9), è illuminante per l'incontro delle culture con Cristo e il
suo Vangelo. « Ogni cultura ha bisogno di essere trasformata dai
valori del Vangelo alla luce del mistero pasquale ».95 È guardando al mistero
dell'Incarnazione e della Redenzione che si deve operare il
discernimento dei valori e degli anti-valori delle culture. Come il
Verbo di Dio è divenuto in tutto simile a noi, ad eccezione del
peccato, così l'inculturazione della Buona Novella assume tutti gli
autentici valori umani purificandoli dal peccato e restituendoli al
loro pieno significato. L'inculturazione ha profondi
legami anche con il mistero della Pentecoste. Grazie
all'effusione e all'azione dello Spirito, che unifica doni e talenti,
tutti i popoli della terra, entrando nella Chiesa, vivono una nuova
Pentecoste, professano nella loro lingua l'unica fede in Gesù Cristo
e proclamano le meraviglie che il Signore ha operato per loro. Lo
Spirito, che sul piano naturale è sorgente originaria della saggezza
dei popoli, conduce con un'illuminazione soprannaturale la Chiesa alla
conoscenza della Verità tutta intera. A sua volta la Chiesa,
assumendo i valori delle diverse culture, diviene la « sponsa
ornata monilibus suis », la « sposa che si adorna dei suoi
gioielli » (cfr Is 61, 10). Criteri e ambiti dell'inculturazione 62. È un compito difficile e
delicato, poiché pone in questione la fedeltà della Chiesa al
Vangelo e alla Tradizione apostolica nell'evoluzione costante delle
culture. Giustamente, quindi, i Padri sinodali hanno osservato: «
Circa i rapidi cambiamenti culturali, sociali, economici e politici,
le nostre Chiese locali dovranno lavorare ad un processo d'inculturazione
sempre rinnovato, rispettando i due criteri seguenti: la compatibilità
con il messaggio cristiano e la comunione con la Chiesa universale
[...]. In ogni caso si avrà cura di evitare ogni sincretismo ».96 « Come cammino verso una piena
evangelizzazione, l'inculturazione mira a porre l'uomo in condizione
di accogliere Gesù Cristo nell'integralità del proprio essere
personale, culturale, economico e politico, in vista della piena
adesione a Dio Padre, e di una vita santa mediante l'azione dello
Spirito Santo ».97 Nel rendere grazie a Dio per i
frutti che gli sforzi dell'inculturazione hanno già portato alla vita
delle Chiese del continente, particolarmente alle antiche Chiese
orientali d'Africa, il Sinodo ha raccomandato « ai Vescovi e alle
Conferenze episcopali di tenere conto che l'inculturazione ingloba
tutti gli ambiti della vita della Chiesa e dell'evangelizzazione:
teologia, liturgia, vita e struttura della Chiesa. Tutto ciò
sottolinea il bisogno di una ricerca nell'ambito delle culture
africane in tutta la loro complessità ». Proprio per questo il
Sinodo ha invitato i Pastori « a sfruttare al massimo le molteplici
possibilità che la disciplina attuale della Chiesa già accorda al
riguardo ».98 Chiesa come Famiglia di Dio 63. Non solo il Sinodo ha parlato
dell'inculturazione, ma l'ha anche concretamente applicata, assumendo
come idea-guida per l'evangelizzazione dell'Africa quella di Chiesa
come Famiglia di Dio.99 In essa i Padri sinodali hanno
riconosciuto una espressione della natura della Chiesa particolarmente
adatta per l'Africa. L'immagine pone, in effetti, l'accento sulla
premura per l'altro, sulla solidarietà, sul calore delle relazioni,
sull'accoglienza, il dialogo e la fiducia.100 La nuova
evangelizzazione tenderà dunque ad edificare la Chiesa come
famiglia, escludendo ogni etnocentrismo e ogni particolarismo
eccessivo, cercando invece di promuovere la riconciliazione e una vera
comunione tra le diverse etnie, favorendo la solidarietà e la
condivisione per quanto concerne il personale e le risorse tra le
Chiese particolari, senza indebite considerazioni di ordine etnico.101
« È vivamente auspicabile che i teologi elaborino la teologia della
Chiesa-Famiglia in tutta la ricchezza insita in tale concetto,
sviluppandone la complementarietà mediante altre immagini della
Chiesa ».102 Ciò suppone una riflessione
approfondita sul patrimonio biblico e tradizionale che il Concilio
Vaticano II ha raccolto nella Costituzione dogmatica Lumen gentium.
Il mirabile testo espone la dottrina sulla Chiesa ricorrendo ad
immagini, tratte dalla Sacra Scrittura, quali Corpo mistico, popolo di
Dio, tempio dello Spirito, gregge ed ovile, casa in cui Dio dimora con
gli uomini. Secondo il Concilio, la Chiesa è sposa di Cristo ed è
madre nostra, città santa e primizia del Regno venturo. Di queste
suggestive immagini occorrerà tener conto nello sviluppare, secondo
il suggerimento del Sinodo, una ecclesiologia centrata sul concetto di
Chiesa-famiglia di Dio.103 Si potrà allora apprezzare in tutta la sua
ricchezza e densità l'affermazione da cui prende le mosse la
Costituzione conciliare: « La Chiesa è in Cristo come il sacramento,
cioè segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di
tutto il genere umano ».104 Campi di applicazione 64. Nella pratica, senza alcun
pregiudizio per le tradizioni proprie di ciascuna Chiesa, latina o
orientale, « dovrà essere perseguita l'inculturazione della liturgia,
avendo cura che nulla cambi quanto agli elementi essenziali,
affinché il popolo fedele possa meglio comprendere e vivere le
celebrazioni liturgiche ».105 Il Sinodo ha inoltre riaffermato
che, anche quando la dottrina è difficilmente assimilabile nonostante
un lungo periodo di evangelizzazione, o, ancora, quando la sua pratica
pone seri problemi pastorali, soprattutto nella vita sacramentale,
occorre restare fedeli all'insegnamento della Chiesa e, al tempo
stesso, rispettare le persone nella giustizia e con vera carità
pastorale. Ciò presupposto, il Sinodo ha espresso l'auspicio che le
Conferenze episcopali, in collaborazione con le Università e gli
Istituti cattolici, creino delle commissioni di studio, specialmente
per quanto riguarda il Matrimonio, la venerazione degli antenati e il
mondo degli spiriti, al fine di esaminare a fondo tutti gli aspetti
culturali dei problemi posti dal punto di vista teologico,
sacramentale, rituale e canonico.106 Dialogo 65. « L'atteggiamento di dialogo
è il modo d'essere del cristiano all'interno della sua comunità,
come nei confronti degli altri credenti e degli uomini e donne di
buona volontà ».107 Il dialogo anzitutto va praticato all'interno
della Chiesa-Famiglia, a tutti i livelli: tra Vescovi, Conferenze
episcopali o Assemblee della Gerarchia e Sede Apostolica, fra le
Conferenze o Assemblee episcopali delle varie nazioni dello stesso
continente e quelle degli altri continenti e, in ciascuna Chiesa
particolare, tra il Vescovo, il presbiterio, le persone consacrate,
gli operatori pastorali ed i fedeli laici; come pure tra i differenti
riti all'interno della stessa Chiesa. Sarà cura dello S.C.E.A.M.
dotarsi « di strutture e di mezzi che garantiscano l'esercizio di
questo dialogo »,108 in particolare per favorire una solidarietà
pastorale organica. « Uniti a Cristo nella loro
testimonianza in Africa, i cattolici sono invitati a sviluppare un dialogo
ecumenico con tutti i fratelli battezzati delle altre Confessioni
cristiane, affinché si realizzi l'unità per la quale Cristo ha
pregato ed in tal modo il loro servizio alle popolazioni del
continente renda il Vangelo più credibile agli occhi di quanti e di
quante cercano Dio ».109 Tale dialogo potrà concretizzarsi in
iniziative come la traduzione ecumenica della Bibbia,
l'approfondimento teologico dell'uno o dell'altro aspetto della fede
cristiana, o ancora offrendo insieme una testimonianza evangelica a
favore della giustizia, della pace e del rispetto della dignità
umana. Ci si preoccuperà per questo di creare commissioni nazionali e
diocesane per l'ecumenismo.110 Insieme, i cristiani sono responsabili
della testimonianza da rendere al Vangelo nel continente. I progressi
dell'ecumenismo hanno anche come scopo quello di dare maggiore
efficacia a questa testimonianza. 66. « L'impegno del dialogo deve
abbracciare pure i musulmani di buona volontà. I cristiani non
possono dimenticare che molti musulmani intendono imitare la fede di
Abramo e vivere le esigenze del Decalogo ».111 A questo riguardo, il Messaggio
del Sinodo sottolinea che il Dio vivo, Creatore del cielo e della
terra e Signore della storia, è il Padre della grande famiglia umana
che noi formiamo. Come tale, Egli vuole che gli rendiamo testimonianza
nel rispetto dei valori e delle tradizioni religiose proprie di
ognuno, lavorando insieme per la promozione umana e lo sviluppo a
tutti i livelli. Lungi dal desiderare di essere colui in nome del
quale si uccidono altri uomini, Egli impegna i credenti a mettersi
insieme al servizio della vita nella giustizia e nella pace.112 Si farà
dunque particolare attenzione a che il dialogo islamico-cristiano
rispetti da una parte e dall'altra l'esercizio della libertà
religiosa, con tutto ciò che questo comporta, comprese anche le
manifestazioni esteriori e pubbliche della fede.113 Cristiani e
musulmani sono chiamati ad impegnarsi nel promuovere un dialogo immune
dai rischi derivanti da un irenismo di cattiva lega o da un
fondamentalismo militante, e nel levare la loro voce contro politiche
e pratiche sleali, così come contro ogni mancanza di reciprocità in
fatto di libertà religiosa.114 67. Quanto alla religione
tradizionale africana, un dialogo sereno e prudente potrà, da una
parte, garantire da influssi negativi che condizionano il modo di
vivere di molti cattolici e, dall'altra, assicurare l'assimilazione di
valori positivi quali la credenza in un Essere Supremo, Eterno,
Creatore, Provvidente e giusto Giudice che ben s'armonizzano col
contenuto della fede. Essi possono anzi essere visti come una preparazione
al Vangelo, poiché contengono preziosi semina Verbi in
grado di condurre, come già è avvenuto nel passato, un grande numero
di persone ad « aprirsi alla pienezza della Rivelazione in Gesù
Cristo attraverso la proclamazione del Vangelo ».115 Occorre, pertanto, trattare con
molto rispetto e stima quanti aderiscono alla religione tradizionale,
evitando ogni linguaggio inadeguato ed irrispettoso. A tal fine, nelle
case di formazione sacerdotali e religiose verranno date opportune
istruzioni sulla religione tradizionale.116 Sviluppo umano integrale 68. Lo sviluppo umano integrale
— sviluppo di ogni uomo e di tutto l'uomo, specialmente di chi è più
povero ed emarginato nella comunità — si pone nel cuore stesso
dell'evangelizzazione. « Tra evangelizzazione e promozione umana —
sviluppo e liberazione — ci sono infatti dei legami profondi. Legami
d'ordine antropologico, perché l'uomo da evangelizzare non è un
essere astratto, ma condizionato dalle questioni sociali ed
economiche. Legami di ordine teologico, poiché non si può dissociare
il piano della creazione da quello della redenzione che arriva fino
alle situazioni molto concrete dell'ingiustizia da combattere e della
giustizia da restaurare. Legami dell'ordine eminentemente evangelico,
quale è quello della carità: come infatti proclamare il comandamento
nuovo senza promuovere nella giustizia e nella pace la vera, autentica
crescita dell'uomo? ».117 Così, quando inaugurò il
ministero pubblico nella sinagoga di Nazaret, il Signore Gesù scelse,
per illustrare la sua missione, il testo messianico del libro di
Isaia: « Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha
consacrato con l'unzione e mi ha mandato per annunziare ai poveri un
lieto messaggio; per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai
ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un
anno di grazia del Signore » (Lc 4, 18-19; cfr Is 61,
1-2). Il Signore si considera, dunque,
come inviato per alleviare la miseria degli uomini e combattere ogni
forma di emarginazione. È venuto a liberare l'uomo; è venuto
a prendere le nostre infermità e a caricarsi delle nostre malattie:
« Di fatto tutto il ministero di Gesù è legato all'attenzione di
quanti, attorno a lui, erano toccati dalla sofferenza: persone nel
dolore, paralitici, lebbrosi, ciechi, sordi, muti (cfr Mt 8,
17) ».118 « È impossibile accettare che nell'evangelizzazione si
possa o si debba trascurare l'importanza dei problemi, oggi così
dibattuti, che riguardano la giustizia, la liberazione, lo sviluppo e
la pace del mondo »: 119 la liberazione che l'evangelizzazione
annuncia « non può limitarsi alla semplice e ristretta dimensione
economica, politica, sociale o culturale, ma deve mirare all'uomo
intero, in ogni sua dimensione, compresa la sua apertura verso
l'assoluto, anche l'Assoluto che è Dio ».120 Giustamente afferma il Concilio
Vaticano II: « La Chiesa, perseguendo il suo proprio fine di
salvezza, non solo comunica all'uomo la vita divina, ma anche diffonde
la sua luce con ripercussione, in qualche modo, su tutto il mondo,
soprattutto per il fatto che risana ed eleva la dignità della persona
umana, consolida la compagine della umana società, e immette nel
lavoro quotidiano degli uomini un più profondo senso e significato.
Così la Chiesa, con i singoli suoi membri e con tutta intera la sua
comunità, crede di poter contribuire molto a rendere più umana la
famiglia degli uomini e la sua storia ».121 La Chiesa annuncia e
comincia ad attuare il Regno di Dio sulle orme di Gesù, poiché « la
natura del Regno è la comunione di tutti gli esseri umani tra di loro
e con Dio ».122 Così « il Regno è fonte di liberazione piena e di
salvezza totale per gli uomini: con questi la Chiesa cammina e vive,
realmente e intimamente solidale con la loro storia ».123 69. La storia degli uomini assume
il proprio autentico senso nell'Incarnazione del Verbo di Dio che è
il fondamento della ripristinata dignità umana. È mediante
Cristo, « immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni
creatura » (Col 1, 15), che l'uomo è stato redento; anzi, «
con l'Incarnazione, il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni
uomo ».124 Come non gridare con san Leone Magno: « Cristiano, prendi
coscienza della tua dignità »? 125 Annunciare Cristo è dunque rivelare
all'uomo la sua dignità inalienabile, che Dio ha riscattato
mediante l'incarnazione del suo unico Figlio. Il Concilio Vaticano II
così prosegue: « Poiché la Chiesa ha ricevuto l'incarico di
manifestare il mistero di Dio, il quale è il fine ultimo personale
dell'uomo, essa al tempo stesso svela all'uomo il senso della sua
propria esistenza, vale a dire la verità profonda sull'uomo ».126 Dotato di tale incomparabile
dignità, l'uomo non può vivere in condizioni di vita sociale,
economica, culturale e politica infra-umane. Ecco il fondamento
teologico della lotta per la difesa della dignità personale, per la
giustizia e la pace sociale, per la promozione umana, la liberazione e
lo sviluppo integrale dell'uomo e di ogni uomo. Ecco anche perché,
tenendo conto di questa dignità, lo sviluppo dei popoli —
all'interno di ciascuna nazione e nelle relazioni internazionali —
deve realizzarsi in maniera solidale, come osservava in modo
quanto mai appropriato il mio predecessore Paolo VI.127 È
precisamente in questa prospettiva che egli poteva affermare: « Lo
sviluppo è il nuovo nome della pace ».128 Si può, dunque, a giusto
titolo dire che « lo sviluppo integrale suppone il rispetto della
dignità umana, la quale non può realizzarsi che nella giustizia e
nella pace ».129 Farsi voce di chi non ha
voce 70. Forti della fede e della
speranza nella potenza salvifica di Gesù, i Padri del Sinodo hanno
concluso i lavori rinnovando l'impegno ad accettare la sfida di essere
strumenti della salvezza in ogni differente ambito della vita dei
popoli africani. « La Chiesa — hanno dichiarato — deve continuare
ad esercitare il suo ruolo profetico ed essere la voce di coloro che
non hanno voce »,130 affinché ovunque la dignità umana sia
riconosciuta ad ogni persona, e l'uomo sia sempre al centro di ogni
programma dei governi. Il Sinodo « interpella la coscienza dei capi
di Stato e dei responsabili della cosa pubblica, perché garantiscano
sempre più la liberazione e lo sviluppo delle loro popolazioni ».131
Solo a questo prezzo si costruisce la pace tra le nazioni. L'evangelizzazione deve promuovere
quelle iniziative che contribuiscono a sviluppare e a nobilitare l'uomo
nella sua esistenza spirituale e materiale. Si tratta dello sviluppo
di ogni uomo e di tutto l'uomo, preso non soltanto in modo isolato, ma
anche e specialmente nel quadro di uno sviluppo solidale ed armonioso
di tutti i membri di una nazione e di tutti i popoli della terra.132 Infine, l'evangelizzazione deve
denunciare e combattere quanto avvilisce e distrugge l'uomo. «
All'esercizio del ministero dell'evangelizzazione in campo
sociale, che è un aspetto della funzione profetica della
Chiesa, appartiene pure la denuncia dei mali e delle ingiustizie. Ma
conviene chiarire che l'annuncio è sempre più importante della
denuncia, e questa non può prescindere da quello, che le offre la
vera solidità e la forza della motivazione più alta ».133 Mezzi di comunicazione
sociale 71. « Da sempre Dio si
caratterizza per la sua volontà di comunicare. Egli lo compie in modi
differenti. A tutte le creature animate o inanimate egli dona
l'essere. Con l'uomo particolarmente egli intreccia delle relazioni
privilegiate. "Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi
molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti,
ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del
Figlio" (Eb 1, 1-2) ».134 Il Verbo di Dio è, per sua
natura, parola, dialogo e comunicazione. Egli è venuto a restaurare,
da una parte, la comunicazione e la relazione fra Dio e gli uomini, e,
dall'altra, quella degli uomini tra di loro. I mass-media hanno attirato
l'attenzione del Sinodo sotto due aspetti importanti e complementari:
come universo culturale nuovo ed emergente e come un insieme di mezzi
al servizio della comunicazione. Essi costituiscono dall'inizio una
cultura nuova che ha il suo linguaggio proprio e soprattutto i suoi
valori e controvalori specifici. A questo titolo hanno bisogno, come
tutte le culture, di essere evangelizzati.135 In effetti, ai nostri giorni i
mass-media costituiscono non solamente un mondo, ma una cultura e una
civiltà. Ed è anche a questo mondo che la Chiesa è inviata a
portare la Buona Novella della salvezza. Gli araldi del Vangelo devono
dunque entrarvi per lasciarsi permeare da tale nuova
civiltà e cultura, al fine però di sapersene opportunamente servire.
« Il primo areopago del tempo moderno è il mondo della
comunicazione, che sta unificando l'umanità rendendola — come
si suol dire — "un villaggio globale". I mezzi di
comunicazione sociale hanno raggiunto una tale importanza da essere
per molti il principale strumento informativo e formativo, di guida e
di ispirazione per i comportamenti individuali, familiari e sociali ».136 La formazione all'uso dei
mass-media è dunque una necessità, non soltanto per chi annuncia il
Vangelo, il quale deve, tra l'altro, possedere lo stile della
comunicazione, ma anche per il lettore, il recettore ed
il telespettatore che, formati alla comprensione del tipo di
comunicazione, devono saperne cogliere gli apporti con discernimento e
spirito critico. In Africa, dove la trasmissione
orale è una delle caratteristiche della cultura, tale formazione
riveste una capitale importanza. Questo stesso tipo di comunicazione
deve ricordare ai Pastori, specialmente ai Vescovi ed ai sacerdoti,
che la Chiesa è inviata per parlare, per predicare il Vangelo
mediante la parola ed i gesti. Essa non può dunque tacere, col
rischio di venir meno alla sua missione; a meno che, in certe
circostanze, il silenzio non sia esso stesso un modo di parlare e di
testimoniare. Noi dobbiamo dunque sempre annunciare in ogni occasione
opportuna e non opportuna (cfr 2 Tm 4, 2), allo scopo di
edificare nella carità e nella verità. CAPITOLO
IV NELLA
PROSPETTIVA DEL TERZO MILLENNIO CRISTIANO I. Le sfide attuali 72. L'Assemblea speciale per
l'Africa del Sinodo dei Vescovi è stata convocata per dare modo alla
Chiesa di Dio, diffusa sul continente, di riflettere sulla sua
missione evangelizzatrice in vista del terzo millennio, e di
predisporre, come ebbi a ricordare, « un'organica solidarietà
pastorale nell'intero territorio africano e nelle isole attigue ».137
Tale missione comporta, come già s'è rilevato, urgenze e sfide
dovute ai profondi e rapidi mutamenti delle società africane ed
agli effetti derivanti dall'affermarsi di una civiltà planetaria. La necessità del Battesimo 73. La prima urgenza è
naturalmente l'evangelizzazione stessa. Da un lato, la Chiesa deve
assimilare e vivere sempre meglio il messaggio di cui il Signore l'ha
costituita depositaria. Dall'altro, essa deve testimoniare ed
annunciare questo messaggio a quanti ancora non conoscono Gesù
Cristo. È infatti per loro che il Signore ha detto agli Apostoli: «
Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni » (Mt 28,
19). Come nella Pentecoste, la
predicazione del kérigma ha come scopo naturale di condurre
chi ascolta alla metànoia e al Battesimo: « L'annuncio
della parola di Dio mira alla conversione cristiana, cioè
all'adesione piena e sincera a Cristo e al suo Vangelo mediante la
fede ».138 La conversione a Cristo, peraltro, « è connessa col
Battesimo: lo è non solo per la prassi della Chiesa, ma per volere di
Cristo, che ha inviato la sua Chiesa a far discepole tutte le genti e
a battezzarle (cfr Mt 28, 19); lo è anche per l'intrinseca
esigenza di ricevere la pienezza della vita in Lui: "In verità,
in verità ti dico — Gesù insegna a Nicodemo — se uno non
nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel Regno di Dio" (Gv
3, 5). Il Battesimo, infatti, ci rigenera alla vita dei figli di
Dio, ci unisce a Gesù Cristo, ci unge nello Spirito Santo: esso non
è un semplice suggello della conversione, quasi un segno esteriore
che la dimostri e la attesti, bensì è sacramento che
significa e opera questa nuova nascita dallo Spirito, instaura
vincoli reali e inscindibili con la Trinità, rende membri del Corpo
di Cristo, che è la Chiesa ».139 Pertanto, un itinerario di
conversione che non giungesse al Battesimo si fermerebbe a metà
strada. In verità, gli uomini di buona
volontà che, senza alcuna loro colpa, non sono raggiunti
dall'annuncio evangelico, ma vivono in armonia con la loro coscienza
secondo la legge di Dio, saranno salvati da Cristo e in Cristo. Per
ogni essere umano, infatti, c'è sempre in atto la chiamata di
Dio, che attende di essere riconosciuta ed accolta (cfr 1 Tm 2,
4). È proprio per facilitare questo riconoscimento e questa
accoglienza che ai discepoli di Cristo è richiesto di non darsi pace
finché a tutti non sia portato il lieto annuncio della salvezza. Urgenza
dell'evangelizzazione 74. Il Nome di Gesù Cristo,
infatti, è il solo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati
(cfr At 4, 12). Poiché vi sono in Africa milioni di persone
non ancora evangelizzate, la Chiesa si trova di fronte al compito,
necessario ed urgente, di proclamare la Buona Novella a tutti, e di
condurre coloro che ascoltano al Battesimo e alla vita cristiana. «
L'urgenza dell'attività missionaria emerge dalla radicale novità
di vita, portata da Cristo e vissuta dai suoi discepoli. Questa
nuova vita è dono di Dio, e all'uomo è richiesto di accoglierlo e di
svilupparlo, se vuole realizzarsi secondo la sua vocazione integrale
in conformità a Cristo ».140 Questa vita nuova nell'originalità
radicale del Vangelo comporta anche delle rotture rispetto ai costumi
ed alla cultura di qualunque popolo della terra, poiché il Vangelo
non è mai un prodotto interno di un determinato paese, ma viene
sempre « da fuori », viene dall'Alto. Per i battezzati la grande
sfida sarà sempre costituita dalla coerenza di un'esistenza cristiana
conforme agli impegni del Battesimo, che significa morte al peccato e
risurrezione quotidiana ad una vita nuova (cfr Rm 6, 4-5).
Senza tale coerenza, i discepoli di Cristo difficilmente potranno
essere « sale della terra » e « luce del mondo » (Mt
5, 13.14). Se la Chiesa in Africa s'impegna con vigore e senza
esitazioni su questa via, la Croce potrà essere piantata in ogni
parte del continente per la salvezza dei popoli che non hanno paura di
aprire le porte al Redentore. Importanza della formazione 75. In tutti i settori della vita
ecclesiale la formazione è di capitale importanza. Nessuno, infatti,
può realmente conoscere le verità di fede che non ha mai avuto modo
di apprendere, né è in grado di porre atti ai quali non è mai stato
iniziato. Ecco perché « la comunità intera ha bisogno di essere
preparata, motivata e rafforzata per l'evangelizzazione, ognuno
secondo il proprio ruolo specifico all'interno della Chiesa ».141
Questo concerne pure i Vescovi, i presbiteri, i membri degli Istituti
di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, quelli degli
Istituti secolari e tutti i fedeli laici. La formazione missionaria non può
non occupare un posto privilegiato. Essa è « opera della Chiesa
locale con l'aiuto dei missionari e dei loro Istituti, nonché del
personale delle giovani Chiese. Questo lavoro deve essere inteso non
come marginale, ma come centrale nella vita cristiana ».142 Il
programma di formazione includerà, in modo particolare, la formazione
dei laici a svolgere appieno il loro ruolo di animazione cristiana
dell'ordine temporale (politico, culturale, economico, sociale), che
è impegno caratteristico della vocazione secolare del laicato. Non si
mancherà, a questo proposito, di incoraggiare laici competenti e
motivati ad impegnarsi nell'azione politica,143 nella quale, mediante
un degno esercizio delle cariche pubbliche, potranno « provvedere al
bene comune e al tempo stesso aprire la via al Vangelo ».144 Approfondire la fede 76. La Chiesa in Africa, per
essere evangelizzatrice, deve « cominciare con l'evangelizzare se
stessa [...]. Essa ha bisogno di ascoltare di continuo ciò che deve
credere, le ragioni della sua speranza, il comandamento nuovo
dell'amore. Popolo di Dio immerso nel mondo, e spesso tentato dagli
idoli, essa ha sempre bisogno di sentir proclamare le grandi opere di
Dio ».145 Oggi in Africa, « la formazione
alla fede [...] è rimasta troppo spesso allo stadio elementare, e le
sètte traggono facilmente vantaggio da questa ignoranza ».146 È
perciò urgente un serio approfondimento della fede, perché la rapida
evoluzione della società ha fatto sorgere nuove sfide, legate in
particolare ai fenomeni di sradicamento familiare, di urbanizzazione,
di disoccupazione, come pure alle molteplici seduzioni materialiste,
ad una certa secolarizzazione e a quella sorta di trauma intellettuale
che provoca la valanga di idee insufficientemente vagliate, diffuse
dai media.147 La forza della testimonianza 77. La formazione deve mirare a
dare ai cristiani non soltanto un'abilità tecnica per trasmettere
meglio i contenuti della fede, ma anche una convinzione personale
profonda per testimoniarli efficacemente nella vita. Tutti coloro che
sono chiamati a proclamare il Vangelo cercheranno dunque di agire con
totale docilità allo Spirito, il quale « oggi come agli inizi della
Chiesa, opera in ogni evangelizzatore che si lasci possedere e
condurre da Lui ».148 « Le tecniche dell'evangelizzazione sono
buone, ma neppure le più perfette tra di esse potrebbero sostituire
l'azione discreta dello Spirito. Anche la preparazione più raffinata
dell'evangelizzatore, non opera nulla senza di Lui. Senza di Lui la
dialettica più convincente è impotente sullo spirito degli uomini.
Senza di Lui, i più elaborati schemi a base sociologica o psicologica
si rivelano vuoti e privi di valore ».149 Una vera testimonianza da parte
dei credenti è oggi essenziale in Africa per proclamare in maniera
autentica la fede. In particolare, è necessario che essi offrano la
testimonianza di un sincero amore reciproco. « La vita eterna è che
"conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù
Cristo" (Gv 17, 3). Scopo ultimo della missione è di far
partecipare alla comunione che esiste tra il Padre e il Figlio: i
discepoli devono vivere l'unità tra loro, rimanendo nel Padre e nel
Figlio, perché il mondo conosca e creda (cfr Gv 17, 21-23). È,
questo, un significativo testo missionario, il quale fa capire che si
è missionari anzitutto per ciò che si è, come Chiesa che
vive profondamente l'unità nell'amore, prima di esserlo per ciò
che si dice o si fa ».150 Inculturare la fede 78. A motivo della profonda
convinzione che « la sintesi tra cultura e fede non è solo
un'esigenza della cultura, ma anche della fede », perché « una
fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non
interamente pensata, non fedelmente vissuta »,151 l'Assemblea
speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi ha ritenuto l'inculturazione
una priorità ed un'urgenza nella vita delle Chiese particolari in
Africa: solo così il Vangelo può porre salde radici nelle comunità
cristiane del continente. Sulla scia del Concilio Vaticano II,152 i
Padri sinodali hanno interpretato l'inculturazione come un processo
comprendente tutta l'estensione della vita cristiana — teologia,
liturgia, consuetudini, strutture della Chiesa —, senza ovviamente
intaccare il diritto divino e la grande disciplina della Chiesa,
avvalorata nel corso dei secoli da straordinari frutti di virtù e di
eroismo.153 La sfida dell'inculturazione in
Africa consiste nel far sì che i discepoli di Cristo possano
assimilare sempre meglio il messaggio evangelico, pur restando fedeli
a tutti i valori africani autentici. Inculturare la fede in tutti i
settori della vita cristiana ed umana si pone quindi come compito
arduo, per il cui assolvimento è necessaria l'assistenza dello
Spirito del Signore che conduce la Chiesa alla verità tutta intera (cfr
Gv 16, 13). Una comunità riconciliata 79. La sfida del dialogo è, in
fondo, la sfida della trasformazione delle relazioni tra gli uomini,
tra le nazioni e tra i popoli nella vita religiosa, politica,
economica, sociale e culturale. È la sfida dell'amore di Cristo per
tutti gli uomini, amore che il discepolo deve riprodurre nella sua
vita: « Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete
amore gli uni per gli altri » (Gv 13, 35). « L'evangelizzazione continua il
dialogo di Dio con l'umanità, un dialogo che tocca il suo vertice
nella persona di Gesù Cristo ».154 Per mezzo della Croce, Egli ha
distrutto in se stesso l'inimicizia (cfr Ef 2, 16) che divide
ed allontana gli uomini gli uni dagli altri. Ora, nonostante la civiltà
contemporanea del « villaggio globale », in Africa come altrove nel
mondo lo spirito di dialogo, di pace e di riconciliazione è lungi
dall'abitare il cuore di tutti gli uomini. Le guerre, i conflitti, gli
atteggiamenti razzisti e xenofobi dominano ancora troppo il mondo
delle relazioni umane. La Chiesa in Africa avverte
l'esigenza di diventare per tutti, grazie alla testimonianza resa dai
suoi figli e dalle sue figlie, luogo di autentica riconciliazione. Così,
perdonati e riconciliati vicendevolmente, essi potranno recare al
mondo il perdono e la riconciliazione che Cristo, nostra pace (cfr Ef
2, 14), offre all'umanità mediante la sua Chiesa. Altrimenti il
mondo assomiglierà sempre più ad un campo di battaglia, dove contano
solo gli interessi egoistici e dove regna la legge della forza, che
allontana fatalmente l'umanità dall'auspicata civiltà dell'amore. II. La famiglia Evangelizzare la famiglia 80. « Il futuro del mondo e della
Chiesa passa attraverso la famiglia ».155 In effetti, non solamente
la famiglia è la prima cellula della comunità ecclesiale viva, ma lo
è anche della società. In Africa, in particolare, la famiglia
rappresenta il pilastro su cui è costruito l'edificio della società.
Ecco perché il Sinodo considera l'evangelizzazione della famiglia
africana come una delle priorità maggiori, se si vuole che essa
assuma, a sua volta, il ruolo di soggetto attivo nella
prospettiva dell'evangelizzazione delle famiglie mediante le famiglie. Dal punto di vista pastorale, ciò
costituisce una vera sfida, date le difficoltà d'ordine politico,
economico, sociale e culturale alle quali i nuclei familiari in Africa
devono far fronte nel contesto dei grandi mutamenti della società
contemporanea. Pur adottando i valori positivi della modernità, la
famiglia africana dovrà pertanto salvaguardare i propri valori
essenziali. La Santa Famiglia come
modello 81. A questo proposito la Santa
Famiglia che, secondo il Vangelo (cfr Mt 2, 14-15), ha vissuto
per qualche tempo in Africa, è « prototipo ed esempio di tutte le
famiglie cristiane »,156 modello e sorgente spirituale per
ogni famiglia cristiana.157 Per riprendere le parole di Papa
Paolo VI, pellegrino in Terra Santa, « Nazaret è la scuola dove si
è iniziati a comprendere la vita di Gesù: la scuola del Vangelo [...].
Qui, a questa scuola si comprende la necessità di avere una
disciplina spirituale, se si vuole [...] diventare discepoli di Cristo
».158 Nella sua profonda meditazione sul mistero di Nazaret, Paolo VI
invita a raccogliere una triplice lezione: di silenzio, di vita
familiare, di lavoro. Nella casa di Nazaret ciascuno vive
la propria missione in perfetta armonia con gli altri membri della
Santa Famiglia. Dignità e ruolo dell'uomo e
della donna 82. La dignità dell'uomo e della
donna deriva dal fatto che, quando Dio creò l'uomo, « a immagine
di Dio lo creò; maschio e femmina li creò » (Gn 1, 27).
Sia l'uomo che la donna sono creati « ad immagine di Dio », dotati
cioè d'intelligenza e di volontà e, conseguentemente, di libertà.
Lo dimostra il racconto relativo al peccato dei progenitori (cfr Gn
3). Il Salmista canta così la dignità incomparabile dell'uomo:
« Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo
hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto
hai posto sotto i suoi piedi » (Sal 8, 6-7). Creati l'uno e l'altro ad immagine
di Dio, l'uomo e la donna, pur differenti, sono essenzialmente
uguali dal punto di vista dell'umanità. « Ambedue sin
dall'inizio sono persone, a differenza degli altri esseri viventi del
mondo che li circonda. La donna è un altro "io" nella loro
comune umanità »,159 e ciascuno costituisce un aiuto per l'altro (cfr
Gn 2, 18-25). « Creando l'uomo "maschio e
femmina", Dio dona la dignità personale in eguale modo all'uomo
e alla donna, arricchendoli dei diritti inalienabili e delle
responsabilità che sono proprie della persona umana ».160 Il Sinodo
ha deplorato quei costumi africani e quelle pratiche « che privano le
donne dei loro diritti e del rispetto che è loro dovuto » 161 e ha
chiesto che la Chiesa nel continente si sforzi di promuovere la
salvaguardia di tali diritti. Dignità e ruolo del
Matrimonio 83. Dio, Padre, Figlio e Spirito
Santo, è Amore (cfr 1 Gv 4, 8). « La comunione tra Dio e gli
uomini trova il suo definitivo compimento in Gesù Cristo, lo sposo
che ama e si dona come Salvatore dell'umanità, unendola a sé come
suo proprio corpo. Egli rivela la verità originaria del Matrimonio,
la verità del "principio" e, liberando l'uomo dalla durezza
del cuore, lo rende capace di realizzarla interamente. Questa
rivelazione raggiunge la sua pienezza definitiva nel dono d'amore che
il Verbo di Dio fa all'umanità assumendo la natura umana e nel
sacrificio che Gesù Cristo fa di se stesso sulla croce per la sua
Sposa, la Chiesa. In questo sacrificio si svela interamente quel
disegno che Dio ha impresso nell'umanità dell'uomo e della donna fin
dalla loro creazione (cfr Ef 5, 32-33); il Matrimonio dei
battezzati diviene così il simbolo reale della nuova ed eterna
Alleanza, sancita nel sangue di Cristo ».162 L'amore reciproco fra gli sposi
battezzati manifesta l'amore di Cristo e della Chiesa. Segno
dell'amore di Cristo, il Matrimonio è un sacramento della Nuova
Alleanza: « Gli sposi sono per la Chiesa il richiamo
permanente di ciò che è accaduto sulla Croce; sono l'uno per
l'altro, e per i figli, testimoni della salvezza, di cui il
sacramento li rende partecipi. Di questo evento di salvezza il
Matrimonio, come ogni sacramento, è memoriale, attualizzazione e
profezia ».163 Esso dunque è uno stato di vita,
una via di santità cristiana, una vocazione che deve condurre alla
risurrezione gloriosa ed al Regno, dove « non si prende né moglie né
marito » (Mt 22, 30). Per questo, il Matrimonio esige un amore
indissolubile; grazie a questa sua stabilità può contribuire
efficacemente a realizzare appieno la vocazione battesimale degli
sposi. Salvare la famiglia africana 84. Molti sono stati gli
interventi nell'aula del Sinodo che hanno evidenziato le minacce
attualmente incombenti sulla famiglia africana. Le preoccupazioni dei
Padri sinodali erano tanto più giustificate in quanto il documento
preparatorio di una Conferenza delle Nazioni Unite, tenutasi nel
settembre del 1994 al Cairo, in terra africana, sembrava con tutta
evidenza voler adottare risoluzioni in contrasto con non pochi valori
familiari africani. Facendo proprie le preoccupazioni da me
precedentemente manifestate alla Conferenza ed ai Capi di Stato del
mondo intero,164 essi hanno lanciato un pressante appello perché sia
salvaguardata la famiglia: « Non lasciate — essi hanno gridato —
che la famiglia africana venga umiliata proprio sulla sua terra! Non
permettete che l'Anno Internazionale della Famiglia divenga l'anno
della distruzione della famiglia! ».165 La famiglia aperta alla
società 85. Il matrimonio, per sua natura,
trascende la coppia, avendo la speciale missione di perpetuare
l'umanità. Allo stesso modo, per natura, la famiglia va oltre i
limiti del focolare domestico: essa è orientata verso la società. «
La famiglia possiede vincoli vitali ed organici con la società, perché
ne costituisce il fondamento e l'alimento continuo mediante il suo
compito di servizio alla vita: dalla famiglia infatti nascono i
cittadini e nella famiglia essi trovano la prima scuola di quelle virtù
sociali, che sono l'anima della vita e lo sviluppo della società
stessa. Così in forza della sua natura e vocazione, lungi dal
rinchiudersi in se stessa, la famiglia si apre alle altre famiglie e
alla società, assumendo il suo compito sociale ».166 In tale linea, l'Assemblea
speciale per l'Africa afferma che fine dell'evangelizzazione è
edificare la Chiesa, come Famiglia di Dio, anticipazione, anche se
imperfetta, del Regno sulla terra. Le famiglie cristiane dell'Africa
diventeranno in questo modo vere « chiese domestiche », contribuendo
al progresso della società verso una vita più fraterna. È così che
si opererà la trasformazione delle società africane mediante il
Vangelo! CAPITOLO
V «
MI SARETE TESTIMONI » IN AFRICA Testimonianza e santità 86. Le sfide segnalate mostrano
quanto opportuna sia stata l'Assemblea speciale per l'Africa del
Sinodo dei Vescovi: il compito della Chiesa nel continente è immenso;
per affrontarlo è necessaria la collaborazione di tutti. La
testimonianza ne costituisce l'elemento centrale. Cristo interpella i
suoi discepoli in Africa ed affida loro il mandato che diede agli
Apostoli il giorno dell'Ascensione: « Mi sarete testimoni » (At 1,
8) in Africa. 87. L'annuncio della Buona Novella
con la parola e le opere apre il cuore delle persone al desiderio
della santità, della configurazione a Cristo. San Paolo, nella
prima Lettera ai Corinti, si rivolge « a coloro che sono stati
santificati in Cristo Gesù, chiamati ad essere santi insieme a tutti
quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù
Cristo » (1, 2). La predicazione del Vangelo ha pure come scopo la
costruzione della Chiesa di Dio, nella prospettiva dell'avvento del
Regno, che Cristo consegnerà al Padre alla fine dei tempi (cfr 1
Cor 15, 24). « L'entrata nel Regno di Dio
domanda una trasformazione di mentalità (metanoia) e di
comportamento e una vita di testimonianza in parole e opere, nutrita
in seno alla Chiesa dalla partecipazione ai sacramenti,
particolarmente all'Eucarestia, sacramento della salvezza ».167 Costituisce una via alla santità
anche l'inculturazione, mediante la quale la fede penetra nella vita
delle persone e delle loro comunità originarie. Come
nell'Incarnazione Cristo ha assunto la natura umana con esclusione
solo del peccato, analogamente mediante l?inculturazione il messaggio
cristiano assimila i valori della società alla quale è annunciato,
scartando quanto è segnato dal peccato. Nella misura in cui la
comunità ecclesiale sa integrare i valori positivi di una determinata
cultura, diventa strumento della sua apertura alle dimensioni della
santità cristiana. Una inculturazione condotta con saggezza purifica
ed eleva le culture dei vari popoli. Un ruolo importante, da questo
punto di vista, è chiamata a svolgere la liturgia. In quanto
modo efficace di proclamare e di vivere i misteri della salvezza, essa
può validamente contribuire ad elevare ed arricchire specifiche
manifestazioni della cultura di un certo popolo. Sarà pertanto
compito dell'autorità competente curare l'inculturazione, secondo
modelli artisticamente pregevoli, di quegli elementi liturgici che,
alla luce delle norme vigenti, possono essere modificati.168 I. Operatori
dell'Evangelizzazione 88. L'evangelizzazione ha bisogno
di operatori. Infatti, « come potranno invocarlo [il Signore] senza
aver prima creduto in lui? E come potranno credere, senza averne
sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo
annunzi? E come lo annunzieranno, senza essere prima inviati? » (Rm
10, 14-15). L'annuncio del Vangelo può realizzarsi pienamente
solo con il contributo di tutti i credenti, ad ogni livello della
Chiesa sia universale che locale. Spetta in particolare a quest'ultima,
la Chiesa locale posta sotto la responsabilità del Vescovo, di
coordinare l'impegno dell'evangelizzazione, raccogliendo i fedeli,
confermandoli nella fede mediante l'opera dei presbiteri e dei
catechisti, sostenendoli nell'adempimento delle rispettive missioni. A
questo scopo, la diocesi provvederà ad istituire le necessarie
strutture di incontro, di dialogo, di programmazione. Valendosi di
esse, il Vescovo potrà orientare opportunamente il lavoro di
sacerdoti, religiosi e laici, accogliendo doni e carismi di ciascuno
per metterli al servizio di una pastorale aggiornata ed incisiva. Di
grande utilità saranno in tal senso i vari Consigli previsti dalle
vigenti norme del Diritto Canonico. Comunità ecclesiali vive 89. I Padri sinodali hanno subito
riconosciuto che la Chiesa come Famiglia potrà dare la sua piena
misura di Chiesa solo ramificandosi in comunità sufficientemente
piccole per permettere strette relazioni umane. Le caratteristiche di
tali comunità sono state così sintetizzate dall'Assemblea: esse
dovranno essere luoghi in cui provvedere innanzitutto alla propria
evangelizzazione per poi portare la Buona Novella agli altri; dovranno
perciò essere luoghi di preghiera e di ascolto della Parola di Dio;
di responsabilizzazione dei membri stessi; di apprendistato di vita
ecclesiale; di riflessione sui vari problemi umani, alla luce del
Vangelo. Soprattutto, in esse ci si impegnerà a vivere l'amore
universale di Cristo, che trascende le barriere delle solidarietà
naturali dei clan, delle tribù o di altri gruppi d'interesse.169 Laicato 90. I laici saranno aiutati a
prendere sempre più coscienza del ruolo che devono occupare nella
Chiesa, onorando così la missione che è loro peculiare in quanto
battezzati e cresimati, conformemente all'insegnamento
dell'Esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici
170 e dell'Enciclica Redemptoris missio.171 Essi devono
conseguentemente essere formati a questo mediante appositi centri o
scuole di formazione biblica e pastorale. In una prospettiva simile, i
cristiani che occupano posti di responsabilità saranno accuratamente
preparati al loro compito politico, economico e sociale con una solida
formazione nella dottrina sociale della Chiesa, al fine di essere
fedeli testimoni del Vangelo nel loro ambito d'azione.172 Catechisti 91. « Il ruolo dei catechisti è
stato e rimane determinante nella fondazione e nell'espansione della
Chiesa in Africa. Il Sinodo raccomanda che i catechisti non solo
beneficino di una perfetta preparazione iniziale [...], ma continuino
anche a ricevere una formazione dottrinale nonché un sostegno morale
e spirituale ».173 Tanto i Vescovi che i sacerdoti abbiano perciò a
cuore i loro catechisti, procurando che siano loro assicurate degne
condizioni di vita e di lavoro, così che essi possano compiere bene
la loro missione. Il loro compito sia riconosciuto e onorato
all'interno della comunità cristiana. La famiglia 92. Il Sinodo ha lanciato un
esplicito appello affinché ciascuna famiglia cristiana divenga « un
luogo privilegiato di testimonianza evangelica »,174 una vera «
chiesa domestica »,175 una comunità che crede ed evangelizza,176 una
comunità in dialogo con Dio 177 e generosamente aperta al servizio
dell'uomo.178 « È in seno alla famiglia che i genitori devono essere
per i loro figli, con la parola e con l'esempio, i primi annunciatori
della fede ».179 « È qui che si esercita in maniera privilegiata il
sacerdozio battesimale del padre di famiglia, della madre, dei
figli, di tutti i membri della famiglia, "con la partecipazione
ai sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la
testimonianza di una vita santa, con l'abnegazione e l'operosa carità".
Il focolare è così la prima scuola di vita cristiana e "una
scuola di umanità più ricca" ».180 I genitori si prenderanno cura
dell'educazione cristiana dei figli. Con l'aiuto concreto di famiglie
cristiane salde, serene ed impegnate, le diocesi programmeranno
l'apostolato familiare nel quadro della pastorale d'insieme. In quanto
« chiesa domestica », costruita sulle solide basi culturali e sui
ricchi valori della tradizione familiare africana, la famiglia
cristiana è chiamata ad essere una valida cellula di testimonianza
cristiana nella società segnata da mutamenti rapidi e profondi. Il
Sinodo ha sentito quest'appello con particolare urgenza nel contesto
dell'Anno della Famiglia, che la Chiesa stava allora celebrando
insieme a tutta la comunità internazionale. Giovani 93. La Chiesa in Africa sa bene
che la gioventù non è solo il presente, ma soprattutto l'avvenire
dell'umanità. Bisogna dunque aiutare i giovani a superare gli
ostacoli che frenano il loro sviluppo: l'analfabetismo, l'oziosità,
la fame, la droga.181 Per far fronte a queste sfide, si dovranno
chiamare i giovani ad essere evangelizzatori del loro ambiente.
Nessuno può esserlo meglio di loro. È necessario che la pastorale
della gioventù sia esplicitamente presente nella pastorale
complessiva delle diocesi e delle parrocchie, in modo da fornire ai
giovani l'occasione di scoprire molto presto il valore del dono di sé,
essenziale cammino di sviluppo della persona.182 A questo proposito,
la celebrazione della Giornata Mondiale dei Giovani si presenta come
un mezzo privilegiato di pastorale della gioventù, che ne favorisce
la formazione mediante la preghiera, lo studio e la riflessione. Uomini e donne consacrati 94. « In una Chiesa Famiglia di
Dio, la vita consacrata riveste un ruolo particolare, non solo
per indicare a tutti l'appello alla santità, ma anche per
testimoniare la vita fraterna nella comunità. Di conseguenza i
consacrati sono invitati a rispondere alla loro vocazione in spirito
di comunione e di collaborazione con i rispettivi Vescovi, con il
clero e i laici ».183 Nelle presenti condizioni della
missione in Africa, è urgente promuovere le vocazioni religiose alla
vita contemplativa ed attiva, operando innanzitutto scelte oculate e
provvedendo poi ad impartire una solida formazione umana, spirituale e
dottrinale, apostolica e missionaria, biblica e teologica. Questa
formazione va rinnovata nel corso degli anni, con costanza e regolarità.
Per la fondazione di nuovi Istituti religiosi, si deve procedere con
grande prudenza ed illuminato discernimento, facendo riferimento ai
criteri indicati dal Concilio Vaticano II ed alle norme canoniche
vigenti.184 Gli Istituti, una volta fondati, vanno aiutati ad
acquisire la personalità giuridica ed a raggiungere l'autonomia nella
gestione tanto delle proprie opere che dei rispettivi cespiti
finanziari. L'Assemblea sinodale, dopo aver
ammonito « gli Istituti religiosi che non hanno case in Africa » a
non sentirsi autorizzati a « cercarvi nuove vocazioni senza un
preventivo dialogo con l'Ordinario del luogo »,185 ha poi esortato i
responsabili delle Chiese locali, come anche degli Istituti di vita
consacrata e delle Società di vita apostolica, a promuovere tra loro
il dialogo per creare, nello spirito della Chiesa Famiglia, gruppi
misti di concertazione quale testimonianza di fraternità e segno di
unità a servizio della comune missione.186 In questa prospettiva, ho
anche accolto l'invito dei Padri sinodali a rivedere, se necessario,
qualche punto del documento Mutuae relationes 187 per una
migliore definizione del ruolo della vita religiosa nella Chiesa
locale.188 Futuri sacerdoti 95. « Oggi più che mai — hanno
affermato i Padri sinodali — ci si preoccuperà di formare i futuri
sacerdoti ai veri valori culturali dei rispettivi paesi, al senso
dell'onestà, della responsabilità e della fedeltà alla parola data.
Saranno formati in modo da rivestire le qualità di rappresentanti di
Cristo, di veri servitori e animatori di comunità cristiane [...] così
da essere sacerdoti spiritualmente solidi e disponibili, votati alla
causa del Vangelo, capaci di gestire con trasparenza i beni della
Chiesa e di condurre una vita semplice in conformità al loro ambiente
».189 Pur rispettando le tradizioni proprie delle Chiese orientali, i
seminaristi siano formati in modo « che acquisiscano una vera maturità
affettiva ed abbiano idee chiare e un'intima convinzione sull'indissociabilità
del celibato e della castità del sacerdote »; 190 essi inoltre «
ricevano una adeguata formazione sul senso e il posto della
consacrazione a Cristo nel sacerdozio ».191 Diaconi 96. Laddove le condizioni
pastorali si prestino alla stima e alla comprensione di questo antico
ministero della Chiesa, le Conferenze e le Assemblee episcopali
studieranno i modi più adatti per promuovere ed incoraggiare il
diaconato permanente « come ministero ordinato e anche come mezzo di
evangelizzazione ».192 E dove i diaconi esistono già, ci si adopererà
per fornire loro un aggiornamento organico e completo. Sacerdoti 97. Profondamente grata a tutti i
sacerdoti, diocesani e membri di Istituti, per l'opera apostolica da
essi svolta e cosciente delle esigenze poste dall'evangelizzazione dei
popoli d'Africa e Madagascar, l'Assemblea sinodale li ha esortati a
vivere la « fedeltà alla loro vocazione, nel dono totale di sé alla
missione e in piena comunione con il proprio Vescovo ».193 Sarà
compito dei Vescovi prendersi cura della formazione permanente dei
sacerdoti, soprattutto nei primi anni di ministero,194 aiutandoli in
particolare ad approfondire il senso del sacro celibato ed a
perseverare nella fedele adesione ad esso, « sapendo apprezzare
questo dono meraviglioso che il Padre ha loro concesso e che il
Signore ha così esplicitamente esaltato, ed avendo anche presenti i
grandi misteri che in esso sono significati e realizzati ».195 In
tale iter formativo va pure riservata attenzione ai sani valori
dell'ambiente di vita dei sacerdoti. È opportuno ricordare, inoltre,
che il Concilio Vaticano II ha incoraggiato fra i presbiteri « una
certa vita comune », ossia una qualche comunità di vita nelle
diverse forme suggerite dai concreti bisogni personali e pastorali. Ciò
contribuirà a fomentare la vita spirituale ed intellettuale, l'azione
apostolica e pastorale, la carità e la sollecitudine reciproca,
specie nei riguardi dei sacerdoti anziani, malati o in difficoltà.196 Vescovi 98. I Vescovi stessi porranno ogni
cura nel pascere la Chiesa che Dio si è acquistata con il sangue del
proprio Figlio, in adempimento dell'incarico loro affidato dallo
Spirito Santo (cfr At 20, 28). Impegnati, secondo la
raccomandazione conciliare, a « svolgere il loro dovere apostolico
come testimoni di Cristo davanti a tutti gli uomini »,197 essi
eserciteranno personalmente, in collaborazione fiduciosa col
presbiterio e con gli altri operatori pastorali, l'insostituibile
servizio dell'unità nella carità, attendendo con sollecitudine ai
compiti di insegnamento, di santificazione e di governo pastorale. Non
mancheranno, inoltre, di provvedere all'approfondimento della loro
cultura teologica ed al corroboramento della loro vita spirituale,
prendendo parte, per quanto possibile, alle sessioni di aggiornamento
e di formazione organizzate dalle Conferenze episcopali o dalla Sede
apostolica.198 Mai dimenticheranno, in particolare, l'ammonimento di
san Gregorio Magno, secondo cui il Pastore è luce dei suoi fedeli
soprattutto mediante una condotta morale esemplare e impregnata di
santità.199 II. Strutture di
evangelizzazione 99. È motivo di gioia e
consolazione costatare che « i fedeli laici sono sempre più
associati alla missione della Chiesa in Africa e Madagascar », grazie
specialmente « al dinamismo dei movimenti di azione cattolica, delle
associazioni di apostolato e dei nuovi movimenti di spiritualità. I
Padri del Sinodo hanno caldamente auspicato che « questo slancio
continui e si sviluppi a tutti i livelli del laicato, sia che si
tratti degli adulti, che dei giovani, come pure dei bambini ».200 Parrocchie 100. La parrocchia è per sua
natura l'abituale luogo di vita e di culto dei fedeli. Essi possono
esprimervi ed attuarvi le iniziative che la fede e la carità
cristiana suggeriscono alla comunità dei credenti. La parrocchia è
il luogo dove si manifesta la comunione dei diversi gruppi e
movimenti, che vi trovano sostegno spirituale e appoggio
materiale. Sacerdoti e laici porranno ogni impegno perché la vita
della parrocchia sia armoniosa, nel contesto di una Chiesa come
Famiglia, dove tutti sono « assidui nell'ascoltare l'insegnamento
degli Apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle
preghiere » (At 2, 42). Movimenti e associazioni 101. L'unione fraterna per una
testimonianza vivente del Vangelo sarà anche la finalità dei
movimenti apostolici e delle associazioni a carattere religioso. I
fedeli laici vi trovano, in effetti, un'occasione privilegiata per
essere lievito nella pasta (cfr Mt 13, 33), specialmente per
quanto riguarda la gestione delle cose temporali secondo Dio e la
lotta per la promozione della dignità umana, della giustizia e della
pace. Scuole 102. « Le scuole cattoliche sono
contemporaneamente luoghi di evangelizzazione, di educazione
integrale, d'inculturazione e di apprendimento di un dialogo vitale
tra giovani di religioni e ambienti sociali differenti ».201 La
Chiesa in Africa e in Madagascar offrirà pertanto il proprio
contributo alla promozione della « scuola per tutti » 202 nel quadro
della scuola cattolica, senza trascurare « l'educazione cristiana
degli alunni delle scuole non cattoliche. Agli universitari sarà
fornito un programma di formazione religiosa corrispondente al loro
livello di studio ».203 Tutto ciò, ovviamente, suppone la
preparazione umana, culturale e religiosa degli educatori stessi. Università e Istituti
superiori 103. « Le Università e gli
Istituti superiori cattolici in Africa svolgono un ruolo importante
nella proclamazione della Parola salvifica di Dio. Sono un segno della
crescita della Chiesa in quanto integrano nelle loro ricerche le verità
e le esperienze della fede, ed aiutano ad interiorizzarle. Questi
centri di studio sono così a servizio della Chiesa, fornendole
personale ben preparato; studiando importanti questioni teologiche e
sociali; sviluppando la teologia africana; promuovendo il lavoro d'inculturazione
specialmente nella celebrazione liturgica; pubblicando libri e
diffondendo il pensiero cattolico; intraprendendo le ricerche loro
affidate dai Vescovi e contribuendo ad uno studio scientifico delle
culture ».204 In questi tempi di capovolgimenti
sociali generalizzati sul continente, la fede cristiana può
illuminare efficacemente la società africana. « I centri
culturali cattolici offrono alla Chiesa singolari possibilità di
presenza e di azione nel campo dei mutamenti culturali. In effetti,
essi costituiscono dei forum pubblici che permettono la larga
diffusione, mediante il dialogo creativo, delle convinzioni cristiane
sull'uomo, sulla donna, sulla famiglia, sul lavoro, sull'economia,
sulla società, sulla politica, sulla vita internazionale,
sull'ambiente ».205 Essi so no così luoghi d'ascolto, di rispetto e
di tolleranza. Mezzi materiali 104. Proprio in questa
prospettiva, i Padri sinodali hanno messo in rilievo come sia
necessario che ogni comunità cristiana sia posta in grado di
provvedere da sola, per quanto è possibile, alle proprie necessità.206
L'evangelizzazione richiede, oltre a personale qualificato, mezzi
materiali e finanziari cospicui, e le diocesi sono non di rado ben
lungi dal disporne in misura sufficiente. È dunque urgente che le
Chiese particolari d'Africa si propongano l'obiettivo di giungere
quanto prima a provvedere esse stesse ai loro bisogni, assicurando così
la loro autosufficienza. Di conseguenza, invito pressantemente le
Conferenze episcopali, le diocesi e tutte le comunità cristiane delle
Chiese del continente, in ciò che è di loro competenza, ad
impegnarsi perché questa autosufficienza divenga sempre più reale.
Al tempo stesso, faccio appello alle Chiese sorelle del mondo, affinché
sostengano più generosamente le Pontificie Opere Missionarie così
che, mediante i loro organismi di aiuto, esse possano offrire alle
diocesi bisognose aiuti economici destinati a progetti d'investimento,
capaci di produrre risorse che conducano al loro progressivo
autofinanziamento.207 Non si deve, peraltro, dimenticare che una
Chiesa può pervenire all'autosufficienza materiale e finanziaria solo
se il popolo ad essa affidato non subisce condizioni di miseria
estrema. CAPITOLO
VI EDIFICARE
IL REGNO DI DIO Regno di giustizia e di pace 105. Il mandato che Gesù ha
conferito ai discepoli al momento di salire al cielo è indirizzato
alla Chiesa di Dio per tutti i tempi e tutti i luoghi. La Chiesa
Famiglia di Dio in Africa deve testimoniare Cristo anche mediante la
promozione della giustizia e della pace sul continente e nel mondo
intero. « Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli
di Dio. Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di
essi è il regno dei cieli » (Mt 5, 9-10), dice il Signore. La
testimonianza della Chiesa deve essere accompagnata dall'impegno
convinto di ciascun membro del popolo di Dio per la giustizia e la
solidarietà. Ciò è particolarmente importante per i laici che
occupano funzioni pubbliche, poiché questa testimonianza esige un
atteggiamento spirituale permanente e uno stile di vita in armonia con
la fede cristiana. La dimensione ecclesiale
della testimonianza 106. I Padri sinodali,
sottolineando la dimensione ecclesiale di tale testimonianza, hanno
solennemente dichiarato: « La Chiesa deve continuare a svolgere il
suo ruolo profetico ed essere voce di chi non ha voce ».208 Ma per realizzare ciò in maniera
efficace, la Chiesa, in quanto comunità di fede, dev'essere una
testimone forte della giustizia e della pace nelle sue strutture e
nelle relazioni tra i suoi membri. Il Messaggio del Sinodo
coraggiosamente dichiara: « Le Chiese d'Africa hanno anche
riconosciuto che nel loro seno la giustizia non è sempre rispettata
nei confronti di quanti sono al loro servizio. La Chiesa deve essere
testimone di giustizia e, perciò, riconosce che chiunque osi parlare
agli uomini di giustizia deve sforzarsi egli stesso di essere giusto
ai loro occhi. Bisogna perciò prendere in esame con cura le
procedure, i beni e lo stile di vita della Chiesa ».209 Il suo apostolato, per quanto
riguarda la promozione della giustizia e, in particolare, la difesa
dei diritti umani fondamentali, non può essere lasciato
all'improvvisazione. Cosciente del fatto che in numerosi paesi
d'Africa vengono perpetrate flagranti violazioni della dignità e dei
diritti dell'uomo, domando alle Conferenze episcopali d'istituire,
laddove non esistano ancora, delle Commissioni « Giustizia e Pace »
ai vari livelli. Queste dovranno sensibilizzare le comunità cristiane
alle loro responsabilità evangeliche in merito alla difesa dei
diritti umani.210 107. Se l'annuncio della giustizia
e della pace è parte integrante del compito di evangelizzazione, ne
deriva che la promozione di questi valori dovrà anche far parte del
programma pastorale di ciascuna comunità cristiana. Ecco perché
insisto sulla necessità di formare tutti gli operatori pastorali in
modo adeguato in vista di tale apostolato: « La formazione del clero,
dei religiosi e dei laici impartita nei campi propri del loro
apostolato porrà l'accento sulla dottrina sociale della Chiesa.
Ciascuno, secondo il proprio stato di vita, prenderà coscienza dei
suoi diritti e dei suoi doveri, imparerà il senso e il servizio del
bene comune, come pure i criteri di una onesta gestione dei beni
pubblici e di una corretta presenza nella vita politica, così da
poter intervenire in maniera credibile dinanzi alle ingiustizie
sociali ».211 Come corpo organizzato all'interno
della comunità e della nazione, la Chiesa ha il diritto e il dovere
di partecipare pienamente all'edificazione di una società giusta e
pacifica con tutti i mezzi a sua disposizione. Bisogna qui ricordare
il suo apostolato nei campi dell'educazione, delle cure sanitarie,
della sensibilizzazione sociale e di altri programmi di assistenza.
Nella misura in cui con queste sue attività contribuisce a ridurre
l'ignoranza, a migliorare la salute pubblica e favorire una maggiore
partecipazione di tutti ai problemi della società in spirito di
libertà e di corresponsabilità, la Chiesa crea le condizioni per il
progresso della giustizia e della pace. Il sale della terra 108. Ai nostri giorni, nel
contesto di una società pluralista, è soprattutto grazie all'impegno
dei cattolici nella vita pubblica che la Chiesa può esercitare
un'influenza efficace. Dai cattolici, siano essi professionisti o
insegnanti, uomini d'affari o funzionari, agenti di sicurezza o
politici, ci si aspetta che testimonino bontà, verità, giustizia e
amore di Dio nelle loro attività di ogni giorno. « Il compito del
fedele laico [...] è quello di essere il sale e la luce nella vita
quotidiana, specialmente laddove è il solo a poter intervenire ».212 Collaborare con gli altri
credenti 109. L'obbligo di impegnarsi per
lo sviluppo dei popoli non è un dovere soltanto individuale, né
tanto meno individualistico, come se fosse possibile conseguirlo con
gli sforzi isolati di ciascuno. Esso è un imperativo per ogni uomo ed
ogni donna, come per le società e le nazioni; in particolare, esso è
un imperativo per la Chiesa cattolica e per le altre Chiese e Comunità
ecclesiali, con le quali i cattolici sono disposti a collaborare in
questo campo.213 In tal senso, come i cattolici invitano i fratelli
cristiani a partecipare alle loro iniziative, così, accogliendo gli
inviti che sono loro rivolti, si dichiarano pronti a collaborare a
quelle da questi avviate. Per favorire lo sviluppo integrale dell'uomo
i cattolici possono fare molto anche con i credenti delle altre
religioni, come del resto già stanno facendo in diversi luoghi.214 Una buona gestione degli
affari pubblici 110. I Padri del Sinodo sono stati
unanimi nel riconoscere che la più grande sfida per realizzare la
giustizia e la pace in Africa consiste nel gestire bene gli affari
pubblici nei due campi, tra loro connessi, della politica e
dell'economia. Certi problemi hanno origine fuori dal continente e,
per questo motivo, non sono interamente sotto il controllo dei
governanti e dei dirigenti nazionali. Ma l'Assemblea sinodale ha
riconosciuto che molte problematiche del continente sono la
conseguenza di un modo di governare sovente inquinato dalla
corruzione. È necessario un forte risveglio delle coscienze, unito ad
una ferma determinazione della volontà, per porre in essere quelle
soluzioni che non è ormai più possibile rimandare. Costruire la nazione 111. Sul versante politico,
l'arduo processo della costruzione di unità nazionali incontra nel
continente africano particolari ostacoli, essendo la maggior parte
degli Stati entità politiche relativamente recenti. Conciliare
profonde differenze, superare antiche animosità di natura etnica e
integrarsi in un ordine mondiale esige grande abilità nell'arte di
governare. Per questo motivo, l'Assemblea sinodale ha elevato al
Signore una fervente preghiera perché sorgano in Africa politici —
uomini e donne — santi; perché si abbiano santi capi di Stato, che
amino il proprio popolo fino in fondo e che desiderino servire
piuttosto che servirsi.215 La via del diritto 112. Le fondamenta di un buon
governo devono essere stabilite sulla solida base delle leggi, che
proteggono i diritti e definiscono i doveri dei cittadini.216 Debbo
constatare con grande tristezza che non poche nazioni africane
soffrono ancora sotto regimi autoritari e oppressivi, che negano ai
sudditi la libertà personale e i diritti umani fondamentali, in
particolar modo la libertà di associazione e di espressione politica,
e il diritto di scegliere i propri governanti mediante libere ed eque
elezioni. Tali ingiustizie politiche provocano tensioni che sovente
degenerano in conflitti armati e in guerre interne, recando con sé
gravi conseguenze, quali carestie, epidemie, distruzioni, per non
parlare degli stermini, dello scandalo e della tragedia dei rifugiati.
Per questo motivo, il Sinodo ha sostenuto con ragione che un'autentica
democrazia, nel rispetto del pluralismo, è « una delle vie
principali sulle quali la Chiesa cammina con il popolo. [...] Il laico
cristiano, impegnato nelle lotte democratiche secondo lo spirito del
Vangelo, è il segno di una Chiesa che vuol essere presente alla
costruzione di uno Stato di diritto, in tutta l'Africa ».217 Gestire il patrimonio comune 113. Il Sinodo, inoltre, fa
appello ai governi africani affinché adottino politiche appropriate
al fine di promuovere la crescita economica e gli investimenti, in
vista della creazione di nuovi posti di lavoro.218 Ciò comporta
l'impegno di perseguire politiche economiche sane, stabilendo corrette
priorità per lo sfruttamento e la distribuzione delle risorse
nazionali talora esigue, in modo da provvedere ai bisogni fondamentali
delle persone e da assicurare un'onesta ed equa divisione dei benefici
e degli oneri. I governi hanno, in particolare, l'inderogabile dovere
di proteggere il patrimonio comune contro tutte le forme di spreco e
di appropriazione indebita da parte di cittadini privi di senso civico
o di stranieri senza scrupoli. Ai governi spetta pure di intraprendere
adeguate iniziative per migliorare le condizioni del commercio
internazionale. I problemi economici dell'Africa
sono resi più gravi dalla disonestà di taluni governanti corrotti,
che, in connivenza con interessi privati locali o stranieri, stornano
a loro profitto le risorse nazionali, trasferendo denaro pubblico su
conti privati in banche estere. Si tratta di veri e propri furti,
qualunque ne sia la copertura legale. Auspico vivamente che gli
organismi internazionali e persone integre di paesi africani o di
altri paesi del mondo sappiano apprestare i mezzi giuridici adeguati
per far rientrare i capitali indebitamente sottratti. Anche nella
concessione di prestiti è importante assicurarsi circa la
responsabilità e la trasparenza dei destinatari.219 La dimensione internazionale 114. In quanto Assemblea di
Vescovi della Chiesa universale presieduta dal Successore di Pietro,
il Sinodo è stato una occasione provvidenziale per valutare in
maniera positiva il posto e il ruolo dell'Africa nel contesto della
Chiesa universale e della comunità mondiale. Essendo il mondo in cui
viviamo sempre più interdipendente, i destini e i problemi delle
varie regioni sono tra loro connessi. La Chiesa, in quanto Famiglia di
Dio sulla terra, deve essere il segno vivente e lo strumento efficace
della solidarietà universale, in vista dell'edificazione di una
comunità di giustizia e di pace di dimensioni planetarie. Un mondo
migliore sorgerà soltanto se verrà costruito sulle fondamenta solide
di sani principi etici e spirituali. Nell'attuale situazione mondiale,
le nazioni africane sono tra le più svantaggiate. È necessario che i
paesi ricchi prendano chiara coscienza del loro dovere di sostenere
gli sforzi dei paesi che lottano per uscire dalla povertà e dalla
miseria. Del resto, è nello stesso interesse delle nazioni ricche
scegliere la via della solidarietà, perché solo così è possibile
assicurare all'umanità una pace ed una armonia durevoli. La Chiesa,
poi, che vive nei paesi sviluppati non può ignorare la responsabilità
aggiuntiva che le deriva dall'impegno cristiano per la giustizia e la
carità: poiché tutti, uomini e donne, portano in sé l'immagine di
Dio e sono chiamati a far parte della stessa famiglia redenta dal
sangue di Cristo, deve essere garantito a ciascuno un giusto accesso
alle risorse della terra che Dio ha posto a disposizione di tutti.220 Non è difficile intravvedere le
numerose implicazioni pratiche che una simile impostazione comporta.
Occorre innanzitutto adoperarsi per migliori relazioni socio-politiche
tra le nazioni, assicurando condizioni di maggiore giustizia e dignità
per quelle tra di esse che, con la raggiunta indipendenza, sono
entrate da minor tempo nel consesso internazionale. È necessario poi
prestare ascolto con interiore partecipazione al grido angosciato
delle nazioni povere, che chiedono aiuto in ambiti di particolare
importanza: la denutrizione, il deterioramento generalizzato della
qualità della vita, l'insufficienza dei mezzi per la formazione dei
giovani, la carenza dei servizi sanitari e sociali elementari, con la
conseguente persistenza di malattie endemiche, la diffusione del
terribile flagello dell'AIDS, il gravoso e talora insopportabile peso
del debito internazionale, l'orrore delle guerre fratricide alimentate
da un traffico d'armi senza scrupoli, lo spettacolo vergognoso e
miserando dei profughi e dei rifugiati. Ecco alcuni campi in cui sono
necessari interventi immediati, che restano opportuni anche se
appaiono insufficienti nel quadro globale dei problemi. I. Elementi di preoccupazione Ridare la speranza ai
giovani 115. La situazione economica di
povertà ha un impatto particolarmente negativo sui giovani. Essi
entrano nella vita degli adulti con scarso entusiasmo a causa di un
presente segnato da non poche frustrazioni, e guardano con ancor
minore speranza all'avvenire, che appare ai loro occhi triste ed
oscuro. Per questo tendono a fuggire dalle zone rurali trascurate e si
raggruppano nelle città, che, in fondo, non hanno da offrire loro
molto di meglio. Non pochi di loro vanno all'estero come in esilio, e
lì vivono un'esistenza precaria di rifugiati economici. Sento il
dovere, insieme ai Padri del Sinodo, di perorare la loro causa: è
necessario ed urgente trovare una soluzione alla loro impazienza di
partecipare alla vita della nazione e della Chiesa.221 Al tempo stesso, però, è ai
giovani che voglio pure rivolgere un appello: Cari giovani, il Sinodo
vi chiede di farvi carico dello sviluppo delle vostre nazioni, di
amare la cultura del vostro popolo e di lavorare alla sua
rivitalizzazione con fedeltà alla vostra eredità culturale, con
l'affinamento dello spirito scientifico e tecnico e, soprattutto, con
la testimonianza della fede cristiana.222 Il flagello dell'AIDS 116. Su questo sfondo di povertà
generale e di servizi sanitari inadeguati, il Sinodo ha preso in
considerazione il tragico flagello dell'AIDS, che semina dolore e
morte in numerose zone dell'Africa. Esso ha costatato il ruolo svolto
nella diffusione di tale malattia da comportamenti sessuali
irresponsabili e ha formulato questa ferma raccomandazione: «
L'affetto, la gioia, la felicità e la pace procurati dal Matrimonio
cristiano e dalla fedeltà, così come la sicurezza data dalla castità,
devono essere continuamente presentati ai fedeli, soprattutto ai
giovani ».223 La lotta contro l'AIDS deve essere
ingaggiata da tutti. Facendo eco alla voce dei Padri sinodali, anch'io
domando agli operatori pastorali di portare ai fratelli e alle sorelle
colpiti dall'AIDS tutto il conforto possibile sia materiale che morale
e spirituale. Agli uomini di scienza e ai responsabili politici di
tutto il mondo chiedo con viva insistenza che, mossi dall'amore e dal
rispetto dovuti ad ogni persona umana, non facciano economia quanto ai
mezzi capaci di mettere fine a questo flagello. « Forgiate le spade in
vomeri » (cfr Is 2, 4): mai più guerre! 117. La tragedia delle guerre che
dilaniano l'Africa è stata descritta dai Padri sinodali con parole
incisive: « L'Africa è da parecchi decenni il teatro di guerre
fratricide, che decimano le popolazioni e distruggono le loro
ricchezze naturali e culturali ».224 Il dolorosissimo fenomeno, oltre
a cause esterne all'Africa, ha pure cause interne, quali « il
tribalismo, il nepotismo, il razzismo, l'intolleranza religiosa, la
sete di potere, spinta all'estremo nei regimi totalitari che deridono
impunemente i diritti e la dignità dell'uomo. Le popolazioni beffate
e ridotte al silenzio subiscono, quali vittime innocenti e rassegnate,
tutte queste situazioni d'ingiustizia ».225 Non posso non unire la mia voce a
quella dei membri dell'Assemblea sinodale per deplorare le situazioni
di indicibile sofferenza, provocate dai tanti conflitti in atto o
potenziali, e per chiedere a quanti ne hanno la possibilità di
impegnarsi a fondo per porre fine a simili tragedie. Esorto, inoltre, insieme con i
Padri sinodali, a fattivo impegno per promuovere nel continente
condizioni di maggiore giustizia sociale e di più equo esercizio del
potere, per preparare così il terreno alla pace. « Se vuoi la pace,
lavora per la giustizia ».226 È preferibile — ed anche più facile
— prevenire le guerre piuttosto che tentare di arrestarle dopo che
sono scoppiate. tempo che i popoli spezzino le loro spade per farne
vomeri e le loro lance per farne falci (cfr Is 2, 4). 118. La Chiesa in Africa — in
particolare attraverso taluni suoi responsabili — è stata in prima
linea nella ricerca di soluzioni negoziate per i conflitti armati
scoppiati in numerose zone del continente. Questa missione di
pacificazione dovrà continuare, incoraggiata da quanto il Signore
promette nelle Beatitudini: « Beati gli operatori di pace, perché
saranno chiamati figli di Dio » (Mt 5, 9). Coloro che alimentano le guerre in
Africa mediante il traffico di armi sono complici di odiosi crimini
contro l'umanità. Faccio mie, al riguardo, le raccomandazioni del
Sinodo che, dopo aver dichiarato: « Il commercio di armi che semina
la morte è uno scandalo », ha fatto appello a tutti i Paesi che
vendono armi all'Africa per implorarli di « smettere questo commercio
» ed ha chiesto ai governi africani di « rinunciare alle eccessive
spese militari per dedicare più risorse all'educazione, alla sanità
e al benessere dei loro popoli ».227 L'Africa deve continuare a cercare
mezzi pacifici ed efficaci affinché i regimi militari passino il
potere ai civili. Tuttavia, è altrettanto vero che i militari sono
chiamati a svolgere un loro peculiare ruolo nel paese. Per questo il
Sinodo, mentre elogia « i fratelli soldati, per il servizio che
rendono in nome delle nostre nazioni »,228 li avverte subito con
forza che « dovranno rispondere direttamente a Dio di qualsiasi atto
di violenza compiuto contro la vita degli innocenti ».229 Rifugiati e profughi 119. Uno dei frutti più amari
delle guerre e delle difficoltà economiche è il triste fenomeno dei
rifugiati e dei profughi, fenomeno che, come ricorda il Sinodo, ha
raggiunto dimensioni tragiche. La soluzione ideale sta nel
ristabilimento di una pace giusta, nella riconciliazione e nello
sviluppo economico. È, pertanto, urgente che le organizzazioni
nazionali, regionali e internazionali risolvano in modo equo e
durevole i problemi dei rifugiati e dei profughi.230 Nel frattempo,
però, giacché il continente continua a soffrire della migrazione in
massa di rifugiati, lancio un pressante appello affinché ad essi sia
recato aiuto materiale e sia offerto sostegno pastorale là dove si
trovano, in Africa o in altri continenti. Il peso del debito
internazionale 120. La questione del debito delle
nazioni povere verso quelle ricche è oggetto di grande preoccupazione
per la Chiesa, come risulta da numerosi documenti ufficiali e da non
pochi interventi della Santa Sede in varie occasioni.231 Riprendendo ora le parole dei
Padri sinodali, sento innanzitutto il dovere di esortare « i capi di
Stato e i loro governi in Africa a non schiacciare il popolo con
debiti interni ed esterni ».232 Rivolgo poi un pressante appello «
al Fondo Monetario Internazionale, alla Banca Mondiale, come pure a
tutti i creditori, perché alleggeriscano i debiti che soffocano le
nazioni africane ».233 Chiedo infine con insistenza « alle
Conferenze episcopali dei Paesi industrializzati di farsi avvocati di
tale causa presso i loro governi ed altri organismi interessati ».234
La situazione di numerosi Paesi africani è così drammatica da non
consentire atteggiamenti di indifferenza e di disimpegno. Dignità della donna
africana 121. Uno dei segni tipici della
nostra epoca è la crescente presa di coscienza della dignità della
donna e del suo specifico ruolo nella Chiesa e nella società in
generale. « Dio creò l'uomo a sua immagine, ad immagine di Dio lo
creò, maschio e femmina li creò » (Gn 1, 27). Io stesso ho ripetutamente
affermato la fondamentale uguaglianza e l'arricchente complementarietà
esistente tra l'uomo e la donna.235 Il Sinodo ha applicato questi
principi alla condizione delle donne in Africa. I loro diritti e
doveri quanto all'edificazione della famiglia e alla piena
partecipazione allo sviluppo della Chiesa e della società sono stati
fortemente sottolineati. Per quanto riguarda specificamente la Chiesa,
è opportuno che le donne, adeguatamente formate, vengano rese
partecipi, ai livelli appropriati, dell'attività apostolica della
Chiesa. La Chiesa deplora e condanna,
nella misura in cui sono ancora presenti in diverse società africane,
tutti « i costumi e le pratiche che privano le donne dei loro diritti
e del rispetto che è loro dovuto ».236 È quanto mai auspicabile che
le Conferenze episcopali diano vita a commissioni speciali per
approfondire lo studio dei problemi della donna in collaborazione con
gli uffici governativi interessati, là dove è possibile.237 II. Comunicare la Buona novella Seguire Cristo, Comunicatore
per eccellenza 122. Il Sinodo ha avuto molto da
dire circa il tema della comunicazione sociale nel campo
dell'evangelizzazione dell'Africa, tenendo ben presenti le attuali
circostanze. Il punto di partenza teologico è Cristo, il Comunicatore
per eccellenza, che a coloro che credono in lui partecipa la verità,
la vita e l'amore condiviso con il Padre celeste e lo Spirito Santo.
Per questo « la Chiesa prende coscienza del dovere di promuovere la
comunicazione sociale ad intra e ad extra. Essa intende favorire la
comunicazione al suo interno migliorando la diffusione
dell'informazione tra i suoi membri ».238 Ciò l'avvantaggerà nel
comunicare al mondo la Buona Novella dell'amore di Dio rivelato in Gesù
Cristo. Forme tradizionali di
comunicazione 123. Le forme tradizionali di
comunicazione sociale non devono in nessun caso essere sottovalutate.
In numerosi ambienti africani esse risultano ancora molto utili ed
efficaci. Inoltre, esse sono « meno costose e più accessibili ».239
Comprendono i canti e la musica, i mimi e il teatro, i proverbi e i
racconti. In quanto veicoli della saggezza e dello spirito popolare,
essi costituiscono una sorgente preziosa di contenuti e di ispirazione
per i mezzi moderni. Evangelizzazione del mondo
dei mezzi di comunicazione 124. I moderni mass-media non
costituiscono soltanto strumenti di comunicazione; sono anche un mondo
da evangelizzare. Circa i messaggi da essi trasmessi, bisogna
assicurarsi che vi si propongano il bene, il vero e il bello. Facendo
eco alla preoccupazione dei Padri del Sinodo, manifesto la mia
inquietudine per quanto riguarda il contenuto morale di moltissimi
programmi che i mezzi di comunicazione diffondono nel continente
africano; in particolare, metto in guardia contro la pornografia e la
violenza, con cui si intende invadere le nazioni povere. D'altra
parte, giustamente il Sinodo ha deplorato « la rappresentazione molto
negativa che i mass-media fanno dell'Africano e domanda che essa
finisca immediatamente ».240 Ogni cristiano deve preoccuparsi
che i mezzi di comunicazione siano veicolo di evangelizzazione. Ma il
cristiano che opera come professionista in questo settore ha un suo
ruolo speciale da svolgere. È suo dovere, infatti, fare in modo che i
principi cristiani influenzino la pratica della professione, ivi
compreso anche il settore tecnico e amministrativo. Per permettergli
di svolgere tale ruolo in modo adeguato, occorre fornirgli una sana
formazione umana, religiosa e spirituale. Uso dei mezzi della
comunicazione sociale 125. La Chiesa di oggi può
disporre di una varietà di mezzi di comunicazione sociale, tanto
tradizionali quanto moderni. È suo dovere farne il miglior uso per
diffondere il messaggio della salvezza. Per quanto concerne la Chiesa
in Africa, l'accesso a questi mezzi è reso difficile da numerosi
ostacoli, non ultimo il loro costo elevato. In molte località,
inoltre, esistono norme governative che impongono, al riguardo, un
controllo indebito. È necessario fare ogni sforzo per rimuovere tali
ostacoli: i mezzi di comunicazione, privati o pubblici che siano,
devono essere al servizio delle persone, senza eccezione. Invito
pertanto le Chiese particolari d'Africa a fare tutto ciò che è in
loro potere per conseguire tale obiettivo.241 Collaborazione e
coordinamento dei mass-media 126. I mezzi di comunicazione,
soprattutto nelle loro forme più moderne, esercitano un influsso che
supera ogni frontiera; in tale ambito si rende perciò necessario un
coordinamento stretto, che consenta una più efficace collaborazione a
tutti i livelli: diocesano, nazionale, continentale e universale. In
Africa, la Chiesa ha molto bisogno della solidarietà delle Chiese
sorelle dei Paesi più ricchi, e più avanzati dal punto di vista
tecnologico. Sempre in Africa, alcuni programmi di collaborazione
continentale già operanti, come il « Comitato episcopale
pan-africano di comunicazioni sociali », dovrebbero essere
incoraggiati e rivitalizzati. E come ha suggerito il Sinodo, bisognerà
stabilire una più stretta collaborazione in altri settori, quali la
formazione professionale, le strutture produttive della radio e della
televisione, e le emittenti a portata continentale.242 CAPITOLO
VII «
MI SARETE TESTIMONI FINO AGLI ESTREMI CONFINI DELLA TERRA » 127. Durante l'Assemblea speciale
i Padri sinodali hanno esaminato a fondo la situazione africana nel
suo insieme, al fine di incoraggiare una sempre più concreta e
credibile testimonianza a Cristo in seno a ciascuna Chiesa locale, a
ciascuna nazione, a ciascuna regione, e nell'intero continente
africano. In tutte le riflessioni e le raccomandazioni fatte
dall'Assemblea speciale traspare il desiderio preponderante di testimoniare
Cristo. Vi ho ritrovato lo spirito di quanto avevo detto ad un
gruppo di Vescovi in Africa: « Rispettando, preservando e favorendo i
valori propri e le ricchezze dell'eredità culturale del vostro
popolo, sarete in condizione di guidarlo verso una migliore
comprensione del mistero di Cristo che dev'essere vissuto nelle
esperienze nobili, concrete e quotidiane della vita africana. Non si
tratta di falsificare la Parola di Dio o di svuotare la Croce della
sua potenza (cfr 1 Cor 1, 17), ma piuttosto di portare Cristo
al cuore stesso della vita africana e di elevare la vita africana
tutta intera fino a Cristo. Così, non soltanto il cristianesimo si
rivela adatto all'Africa, ma Cristo stesso, nelle membra del suo
corpo, è africano ».243 Aperti alla missione 128. La Chiesa in Africa non è
chiamata a testimoniare Cristo solamente sul continente; anche ad essa
è infatti rivolta la parola del Signore risorto: « Mi sarete
testimoni [...] fino agli estremi confini della terra » (At 1,
8). Proprio per questo, nel corso delle discussioni sul tema del
Sinodo, i Padri hanno accuratamente evitato ogni tendenza
all'isolamento della Chiesa in Africa. In ogni momento l'Assemblea
speciale s'è mantenuta nella prospettiva del mandato missionario che
la Chiesa ha ricevuto da Cristo di testimoniarlo nel mondo intero.244
I Padri sinodali hanno riconosciuto la chiamata che Dio rivolge
all'Africa perché svolga a pieno titolo, su scala mondiale, il suo
ruolo nel piano di salvezza del genere umano (cfr 1 Tm 2, 4). 129. È proprio in funzione di
questo impegno per la cattolicità della Chiesa che già i Lineamenta
dell'Assemblea speciale per l'Africa dichiaravano: « Nessuna
Chiesa particolare, neanche la più povera, potrà essere dispensata
dall'obbligo di condividere le sue risorse spirituali, temporali e
umane con altre Chiese particolari e con la Chiesa universale (cfr At
2, 44-45) ».245 Da parte sua, l'Assemblea speciale ha fortemente
sottolineato la responsabilità dell'Africa per la missione « fino
agli estremi confini del mondo » con i seguenti termini: « La frase
profetica di Paolo VI — "Voi, Africani, siete chiamati ad
essere missionari di voi stessi" — va intesa così: "siete
missionari per il mondo intero" [...]. È stato lanciato un
appello alle Chiese particolari d'Africa per la missione al di fuori
dei limiti delle loro proprie diocesi ».246 130. Approvando con gioia e
riconoscenza questa dichiarazione dell'Assemblea speciale, desidero
ripetere a tutti i miei fratelli Vescovi d'Africa ciò che dicevo
qualche anno fa: « L'obbligo per la Chiesa in Africa di essere
missionaria nel proprio seno e di evangelizzare il continente implica
la collaborazione tra Chiese particolari nel contesto di ogni paese
africano e in quello delle diverse nazioni del continente o anche di
altri continenti. È in questo modo che l'Africa si integra pienamente
nell'attività missionaria ».247 In un appello precedente,
indirizzato a tutte le Chiese particolari, di recente e di antica
fondazione, già dicevo che « il mondo va sempre più unificandosi,
lo spirito evangelico deve portare al superamento di barriere
culturali e nazionalistiche, evitando ogni chiusura ».248 La coraggiosa determinazione
manifestata dall'Assemblea speciale di impegnare le giovani Chiese
d'Africa nella missione « fino agli estremi confini della terra »
riflette il desiderio di seguire, il più generosamente possibile, una
delle importanti direttive del Concilio Vaticano II: « Perché questo
zelo missionario fiorisca nei membri della loro patria, è assai
conveniente che le giovani Chiese partecipino quanto prima di fatto
alla missione universale della Chiesa, inviando anch'esse dei
missionari a predicare dappertutto il Vangelo, anche quando soffrono
per scarsezza di clero. La comunione con la Chiesa universale
raggiungerà in un certo modo la sua perfezione solo quando anch'esse
prenderanno parte attiva allo sforzo missionario diretto verso le
altre nazioni ».249 Solidarietà pastorale
organica 131. All'inizio della presente
Esortazione ho fatto notare che, annunciando la convocazione
dell'Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi, miravo in
prospettiva alla promozione di « una solidarietà pastorale organica
nell'intero territorio africano ed isole attigue ».250 Ho il piacere
di costatare che l'Assemblea ha coraggiosamente perseguito tale
obiettivo. Le discussioni al Sinodo hanno rivelato la premura e la
generosità dei Vescovi per questa solidarietà pastorale e per la
condivisione delle loro risorse con altri, anche quando avevano essi
stessi bisogno di missionari. 132. Proprio ai miei fratelli
Vescovi, che « sono con me direttamente responsabili
dell'evangelizzazione del mondo, sia come membri del Collegio
episcopale, sia come Pastori delle Chiese particolari »,251 voglio
rivolgere a questo riguardo una speciale parola. Nella quotidiana
dedizione al gregge loro affidato, essi non devono mai perdere di
vista le necessità della Chiesa nel suo insieme. In quanto Vescovi cattolici,
essi non possono non avvertire la sollecitudine per tutte le
Chiese, che bruciava nel cuore dell'Apostolo (cfr 2 Cor 11,
28). Non possono non avvertirla soprattutto quando riflettono e
decidono insieme, come membri delle rispettive Conferenze
episcopali, le quali, mediante gli organismi di collegamento a livello
regionale e continentale, sono in grado di meglio percepire e valutare
le urgenze pastorali emergenti in altre parti del mondo.
Un'espressione eminente di solidarietà apostolica i Vescovi la
realizzano, poi, nel Sinodo: esso « tra gli affari di importanza
generale deve seguire con particolare sollecitudine l'attività
missionaria, che è il dovere più alto e più sacro della Chiesa ».252 133. L'Assemblea speciale ha fatto
inoltre giustamente notare che, per preparare una solidarietà
pastorale d'insieme in Africa, è necessario promuovere il
rinnovamento della formazione dei sacerdoti. Non si mediteranno mai
abbastanza le parole del Concilio Vaticano II là dove afferma che «
il dono spirituale che i presbiteri hanno ricevuto nell'ordinazione
non li prepara ad una missione limitata e ristretta, bensì ad una
vastissima e universale missione di salvezza, "fino agli estremi
confini della terra" (At 1, 8) ».253 Per questo motivo io stesso ho
esortato i sacerdoti a « rendersi concretamente disponibili allo
Spirito Santo e al Vescovo, per essere mandati a predicare il Vangelo
oltre i confini del loro paese. Ciò richiederà in essi non solo
maturità nella vocazione, ma pure una capacità non comune di
distacco dalla propria patria, etnia e famiglia, e una particolare
idoneità a inserirsi nelle altre culture con intelligenza e rispetto
».254 Sono profondamente grato a Dio
nell'apprendere che in numero crescente sacerdoti africani hanno
risposto all'appello ad essere testimoni « fino agli estremi confini
della terra ». Spero ardentemente che questa tendenza venga stimolata
e consolidata in tutte le Chiese particolari d'Africa. 134. È pure motivo di grande
conforto sapere che gli Istituti missionari, presenti in Africa da
lungo tempo, « accolgono oggi in misura crescente candidati
provenienti dalle giovani Chiese che hanno fondato »,255 permettendo
così a queste stesse Chiese di partecipare all'attività missionaria
della Chiesa universale. Esprimo parimenti grato compiacimento ai
nuovi Istituti missionari che sono sorti nel continente e che oggi
inviano i loro membri ad gentes. È uno sviluppo provvidenziale
e meraviglioso che manifesta la maturità e il dinamismo della Chiesa
che è in Africa. 135. Vorrei far mia in modo
particolare l'esplicita raccomandazione dei Padri sinodali perché si
stabiliscano le quattro Pontificie Opere Missionarie in ciascuna
Chiesa particolare e in ciascun Paese, come mezzo per realizzare una solidarietà
pastorale organica in favore della missione « fino agli estremi
confini della terra ». Opere del Papa e del Collegio episcopale, esse
occupano « giustamente il primo posto, perché sono mezzi sia per
infondere nei cattolici, fin dall'infanzia, uno spirito veramente
universale e missionario, sia per favorire un'adeguata raccolta di
sussidi a vantaggio di tutte le missioni e secondo le necessità di
ciascuna ».256 Un frutto significativo della loro attività « è
quello di suscitare vocazioni ad gentes e a vita, sia nelle
Chiese antiche come in quelle più giovani. Raccomando vivamente di
orientare sempre più a questo fine il loro servizio di animazione ».257 Santità e missione 136. Il Sinodo ha riaffermato che
tutti i figli e le figlie d'Africa sono chiamati alla santità e ad
essere testimoni di Cristo in ogni parte del mondo. « Le lezioni
della storia confermano che, mediante l'azione dello Spirito Santo,
l'evangelizzazione si compie prima di tutto attraverso la testimonianza
di carità, la testimonianza di santità ».258 Per questo,
desidero ripetere a tutti i cristiani d'Africa le parole che ho
scritto qualche anno fa: « Ogni missionario è autenticamente tale
solo se si impegna nella via della santità [...]. Ogni fedele è
chiamato alla santità e alla missione [...]. La rinnovata spinta
verso la missione ad gentes esige missionari santi. Non basta
rinnovare i metodi pastorali, né organizzare e coordinare meglio le
forze ecclesiali, né esplorare con maggiore acutezza le basi bibliche
e teologiche della fede: occorre suscitare un nuovo "ardore di
santità" fra i missionari e in tutta la comunità cristiana ».259 Anche adesso, come allora, mi
rivolgo ai cristiani delle giovani Chiese per metterli di fronte alle
loro responsabilità: « Siete voi, oggi, la speranza di questa nostra
Chiesa, che ha duemila anni: essendo giovani nella fede, dovete essere
come i primi cristiani, ed irradiare entusiasmo e coraggio, in
generosa dedizione a Dio e al prossimo; in una parola, dovete mettervi
sulla via della santità. Solo così potete essere segno di Dio nel
mondo e rivivere nei vostri paesi l'epopea missionaria della Chiesa
primitiva. E sarete anche fermento di spirito missionario per le
Chiese più antiche ».260 137. La Chiesa che è in Africa
condivide con la Chiesa universale « la sublime vocazione di
realizzare, in se stessa prima di tutto, l'unità del genere umano al
di là delle differenze etniche, culturali, nazionali, sociali e di
altro genere, al fine di mostrare proprio la caducità di queste
differenze, abolite dalla croce di Cristo ».261 Rispondendo alla
vocazione di essere nel mondo il popolo redento e riconciliato, la
Chiesa contribuisce a promuovere una coesistenza fraterna tra i
popoli, trascendendo le distinzioni di razza e di nazionalità. Attesa la specifica vocazione
affidata alla Chiesa dal suo divino Fondatore, chiedo con insistenza
alla comunità cattolica che è in Africa di offrire davanti
all'intera umanità un'autentica testimonianza dell'universalismo
cristiano che sgorga dalla paternità di Dio. « Tutti gli uomini
creati in Dio hanno la stessa origine; qualunque possa essere
la loro dispersione geografica o l'accentuazione delle loro differenze
nel corso della storia, essi sono destinati a formare una sola
famiglia secondo il disegno di Dio stabilito "al principio"
».262 La Chiesa in Africa è chiamata ad andare incontro per amore ad
ogni essere umano credendo con forza che « con l'incarnazione il
Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo ».263 In particolare, l'Africa deve
offrire il proprio contributo al movimento ecumenico, del quale, nella
Lettera enciclica Ut unum sint, ho di recente nuovamente
sottolineato l'urgenza in vista del terzo millennio.264 Essa può
sicuramente giocare un ruolo importante anche nel dialogo tra le
religioni, soprattutto coltivando relazioni intense con i musulmani e
favorendo un attento rispetto verso i valori della religione
tradizionale africana. Praticare la solidarietà 138. Testimoniando Cristo « fino
agli estremi confini della terra », la Chiesa in Africa sarà
sostenuta di sicuro dalla convinzione del « valore positivo e
morale » che riveste la « crescente consapevolezza dell'interdipendenza
tra gli uomini e le nazioni. Il fatto che uomini e donne, in varie
parti del mondo, sentano come proprie le ingiustizie e le violazioni
dei diritti umani commesse in paesi lontani, che forse non visiteranno
mai, è un segno ulteriore di una realtà interiorizzata dalla coscienza,
ed elevata così ad una connotazione morale ».265 Auspico che i cristiani in Africa
diventino sempre più coscienti di questa interdipendenza tra gli
individui e le nazioni, e siano pronti a corrispondervi, praticando la
virtù della solidarietà. Il frutto della solidarietà è la
pace, bene così prezioso per i popoli e le nazioni di ogni parte del
mondo. In effetti, proprio attraverso mezzi capaci di promuovere e di
rafforzare la solidarietà, la Chiesa può fornire un contributo
specifico e determinante ad una vera cultura della pace. 139. Entrando in rapporto senza
discriminazioni con i popoli del mondo nel dialogo con le varie
culture, la Chiesa avvicina gli uni agli altri ed aiuta ciascuno di
essi ad assumere, nella fede, gli autentici valori degli altri. Pronta a cooperare con ogni uomo
di buona volontà e con la comunità internazionale, la Chiesa in
Africa non cerca vantaggi per se stessa. La solidarietà che essa
esprime « tende a superare se stessa, a rivestire le dimensioni specificamente
cristiane della gratuità totale, del perdono e della
riconciliazione ».266 La Chiesa cerca di contribuire alla conversione
dell'umanità, portandola ad aprirsi al piano salvifico di Dio
mediante la testimonianza evangelica, accompagnata dall?attività
caritativa a servizio dei poveri e degli ultimi. E quando compie
questo, non perde mai di vista il primato del trascendente e di quelle
realtà spirituali che costituiscono le primizie dell'eterna salvezza
dell'uomo. Durante i dibattiti riguardanti la
solidarietà della Chiesa nei confronti dei popoli e delle nazioni, i
Padri sinodali sono stati, in ogni momento, consapevoli che « si deve
accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del
Regno di Cristo » e che, tuttavia, « nella misura in cui può
contribuire a meglio ordinare l'umana società, tale progresso è di
grande importanza per il Regno di Dio ».267 Proprio per questo la
Chiesa in Africa è convinta — e il lavoro dell'Assemblea speciale
lo ha chiaramente mostrato — che l'attesa del ritorno finale di
Cristo « non potrà esser mai una scusa per disinteressarsi degli
uomini nella loro concreta situazione personale e nella loro vita
sociale, nazionale e internazionale »,268 poiché le condizioni
terrene influenzano il pellegrinaggio dell'uomo verso l'eternità. CONCLUSIONE Verso il nuovo millennio
cristiano 140. Riuniti attorno alla Vergine
Maria come per una nuova Pentecoste, i membri dell'Assemblea speciale
hanno esaminato a fondo la missione evangelizzatrice della Chiesa in
Africa alla soglia del terzo millennio. Concludendo questa
Esortazione apostolica post-sinodale, nella quale presento i frutti di
tale Assemblea alla Chiesa che è in Africa, nel Madagascar e nelle
isole attigue e all'intera Chiesa cattolica, rendo grazie a Dio,
Padre, Figlio e Spirito Santo, che ci ha accordato il privilegio di
vivere quest'autentico « momento di grazia » che è stato il Sinodo.
Sono vivamente grato al popolo di Dio in Africa per quanto ha fatto
per l'Assemblea speciale. Questo Sinodo è stato preparato con zelo ed
entusiasmo, come attestano le risposte al questionario, allegato al
documento preliminare (Lineamenta), e le riflessioni raccolte
nel documento di lavoro (Instrumentum laboris). Le comunità
cristiane d'Africa hanno pregato con fervore per la riuscita dei
lavori dell'Assemblea speciale, che è stata largamente benedetta dal
Signore. 141. Poiché il Sinodo è stato
convocato per permettere alla Chiesa in Africa di assumere, in maniera
per quanto possibile efficace, la sua missione evangelizzatrice in
vista del terzo millennio cristiano, invito con questa Esortazione il
popolo di Dio in Africa — Vescovi, sacerdoti, persone consacrate e
laici — a volgersi risolutamente verso il Grande Giubileo, che sarà
celebrato fra qualche anno. Per tutti i popoli dell'Africa la miglior
preparazione al nuovo millennio non può consistere che nel fermo
impegno di porre in atto con grande fedeltà le decisioni e gli
orientamenti che, con l'autorità apostolica di Successore di Pietro,
presento in questa Esortazione. Sono decisioni e orientamenti che si
iscrivono nella genuina linea degli insegnamenti e delle direttive
della Chiesa e, in particolare, del Concilio Vaticano II, che è stato
la principale fonte d'ispirazione dell'Assemblea speciale per
l'Africa. 142. Il mio invito al popolo di
Dio che è in Africa a prepararsi per il Grande Giubileo dell'Anno
2000 vuol essere anche un vibrante appello alla gioia cristiana. «
La grande gioia annunciata dall'angelo, nella notte di Natale, è
davvero per tutto il popolo (cfr Lc 2, 10) [...]. Per prima, la
Vergine Maria, ne aveva ricevuto l'annuncio dall'angelo Gabriele e il
suo Magnificat era già l'inno di esultanza di tutti gli umili.
I misteri gaudiosi ci mettono così, ogni volta che recitiamo il
Rosario, dinanzi all'avvenimento ineffabile che è centro e culmine
della storia: la venuta sulla terra dell'Emmanuele, Dio con noi ».269 È il duemillesimo anniversario di
tale avvenimento, ricco di gioia, che ci prepariamo a celebrare con il
prossimo Grande Giubileo. L'Africa, che « è, in un certo senso, la
"seconda patria" di Gesù di Nazaret, (il quale), piccolo
bambino, proprio in Africa ha trovato rifugio contro la crudeltà di
Erode »,270 è chiamata dunque alla gioia. Nello stesso tempo, «
tutto dovrà mirare all'obiettivo prioritario del Giubileo che è il
rinvigorimento della fede e della testimonianza dei cristiani ».271 143. A causa delle numerose
difficoltà, crisi e conflitti che portano tanta miseria e sofferenza
sul continente, vi sono Africani talvolta tentati di pensare che il
Signore li abbia abbandonati, che Egli li abbia dimenticati (cfr Is
49, 14)! « E Dio risponde con le parole del grande Profeta:
"Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non
commuoversi per il figlio del suo seno? Anche se ci fosse una donna
che si dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai. Ecco, ti ho
disegnato sulle palme delle mie mani" (Is 49, 15-16). Sì,
sulle palme delle mani di Cristo, trafitte dai chiodi della
crocifissione! Il nome di ciascuno di voi (Africani) è scritto su
queste mani. Quindi, con grande fiducia, diciamo: "Il Signore è
la mia forza e il mio scudo, ho posto in Lui la mia fiducia; mi ha
dato aiuto ed esulta il mio cuore" (Sal 28 [27], 7) ».272 Preghiera a Maria, Madre
della Chiesa 144. Riconoscente per la grazia di
questo Sinodo, mi rivolgo a Maria, Stella dell'evangelizzazione, e,
mentre il terzo millennio s'avvicina, affido a Lei l'Africa e la sua
missione evangelizzatrice. A Lei mi rivolgo con i pensieri e i
sentimenti espressi nella preghiera che i miei fratelli Vescovi hanno
composto a conclusione della sessione di lavoro del Sinodo a Roma: O Maria, Madre di Dio e Madre
della Chiesa, Dato a Yaoundé, in Camerun, il
14 settembre, Festa dell'Esaltazione della Santa Croce, dell'anno
1995, decimosettimo di Pontificato.
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ESORTAZIONE
APOSTOLICA Ai Vescovi INTRODUZIONE 1. I FEDELI LAICI (Christifideles
laici), la cui « vocazione e missione nella Chiesa e nel mondo a
vent'anni dal Concilio Vaticano II » è stato l'argomento del Sinodo
dei Vescovi del 1987, appartengono a quel Popolo di Dio che è
raffigurato dagli operai della vigna, dei quali parla il Vangelo di
Matteo: « Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì
all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna.
Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua
vigna » (Mt 20, 1-2). La parabola evangelica spalanca
davanti al nostro sguardo l'immensa vigna del Signore e la moltitudine
di persone, uomini e donne, che da Lui sono chiamate e mandate perché
in essa abbiano a lavorare. La vigna è il mondo intero (cf. Mt 13,
38), che dev'essere trasformato secondo il disegno di Dio in vista
dell'avvento definitivo del Regno di Dio. Andate anche voi nella mia
vigna 2. « Uscito poi verso le nove del
mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse
loro: "andate anche voi nella mia vigna" » (Mt 20,
3-4). L'appello del Signore Gesù «Andate
anche voi nella mia vigna » non cessa di risuonare da quel
lontano giorno nel corso della storia: è rivolto a ogni uomo che
viene in questo mondo. Ai nostri tempi, nella rinnovata
effusione dello Spirito pentecostale avvenuta con il Concilio Vaticano
II, la Chiesa ha maturato una più viva coscienza della sua natura
missionaria e ha riascoltato la voce del suo Signore che la manda nel
mondo come « sacramento universale di salvezza »(1). Andate anche voi. La
chiamata non riguarda soltanto i Pastori, i sacerdoti, i religiosi e
le religiose, ma si estende a tutti: anche i fedeli laici sono
personalmente chiamati dal Signore, dal quale ricevono una missione
per la Chiesa e per il mondo. Lo ricorda S. Gregorio Magno che,
predicando al popolo, così commenta la parabola degli operai della
vigna: « Guardate al vostro modo di vivere, fratelli carissimi, e
verificate se siete già operai del Signore. Ciascuno valuti quello
che fa e consideri se lavora nella vigna del Signore »(2). In particolare il Concilio, con il
suo ricchissimo patrimonio dottrinale, spirituale e pastorale, ha
riservato pagine quanto mai splendide sulla natura, dignità,
spiritualità, missione e responsabilità dei fedeli laici. E i
Padri conciliari, riecheggiando l'appello di Cristo, hanno
chiamato tutti i fedeli laici, uomini e donne, a lavorare nella sua
vigna: «Il sacro Concilio scongiura nel Signore tutti i laici a
rispondere volentieri, con animo generoso e con cuore pronto, alla
voce di Cristo, che in quest'ora li invita con maggiore insistenza, e
all'impulso dello Spirito Santo. In modo speciale i più giovani
sentano questo appello come rivolto a se stessi, e l'accolgano con
slancio e magnanimità. Il Signore stesso infatti ancora una volta per
mezzo di questo Santo Sinodo invita tutti i laici ad unirsi sempre più
intimamente a Lui e, sentendo come proprio tutto ciò che è di Lui (cf.
Fil 2, 5), si associno alla sua missione salvifica; li manda
ancora in ogni città e in ogni luogo dov'egli sta per venire (cf. Lc
10, 1)»(3). Andate anche voi nella mia
vigna. Queste parole sono
spiritualmente risuonate, ancora una volta, durante la celebrazione
del Sinodo dei Vescovi, tenutosi a Roma dal 1° al 30 ottobre
1987. Ponendosi sui sentieri del Concilio e aprendosi alla luce delle
esperienze personali e comunitarie di tutta la Chiesa, i Padri,
arricchiti dai Sinodi precedenti, hanno affrontato in modo specifico e
ampio l'argomento riguardante la vocazione e la missione dei laici
nella Chiesa e nel mondo. In questa Assemblea episcopale non
è mancata una qualificata rappresentanza di fedeli laici, uomini e
donne, che hanno portato un contributo prezioso ai lavori del Sinodo,
come è stato pubblicamente riconosciuto nell'omelia di conclusione:
«Ringraziamo per il fatto che nel corso del Sinodo abbiamo potuto non
solo gioire per la partecipazione dei laici (auditores e auditrices),
ma ancor di più perché lo svolgimento delle discussioni sinodali
ci ha permesso di ascoltare la voce degli invitati, i rappresentanti
del laicato provenienti da tutte le parti del mondo, dai diversi
Paesi, e ci ha consentito di profittare delle loro esperienze, dei
loro consigli, dei suggerimenti che scaturiscono dal loro amore per la
causa comune»(4). Con lo sguardo rivolto al
dopo-Concilio i Padri sinodali hanno potuto costatare come lo Spirito
abbia continuato a ringiovanire la Chiesa, suscitando nuove energie di
santità e di partecipazione in tanti fedeli laici. Ciò è
testimoniato, tra l'altro, dal nuovo stile di collaborazione tra
sacerdoti, religiosi e fedeli laici; dalla partecipazione attiva nella
liturgia, nell'annuncio della Parola di Dio e nella catechesi; dai
molteplici servizi e compiti affidati ai fedeli laici e da essi
assunti; dal rigoglioso fiorire di gruppi, associazioni e movimenti di
spiritualità e di impegno laicali; dalla partecipazione più ampia e
significativa delle donne nella vita della Chiesa e nello sviluppo
della società. Nello stesso tempo, il Sinodo ha
rilevato come il cammino postconciliare dei fedeli laici non sia stato
esente da difficoltà e da pericoli. In particolare si possono
ricordare due tentazioni alle quali non sempre essi hanno saputo
sottrarsi: la tentazione di riservare un interesse così forte ai
servizi e ai compiti ecclesiali, da giungere spesso a un pratico
disimpegno nelle loro specifiche responsabilità nel mondo
professionale, sociale, economico, culturale e politico; e la
tentazione di legittimare l'indebita separazione tra la fede e la
vita, tra l'accoglienza del Vangelo e l'azione concreta nelle più
diverse realtà temporali e terrene. Nel corso dei suoi lavori il
Sinodo ha fatto costante riferimento al Concilio Vaticano II, il cui
insegnamento sul laicato, a distanza di vent'anni, è apparso di
sorprendente attualità e talvolta di portata profetica: tale
insegnamento è capace di illuminare e di guidare le risposte che oggi
devono essere date ai nuovi problemi. In realtà, la sfida che i Padri
sinodali hanno accolto è stata quella di individuare le strade
concrete perché la splendida «teoria» sul laicato espressa dal
Concilio possa diventare un'autentica «prassi» ecclesiale. Alcuni
problemi poi s'impongono per una certa loro «novità», tanto da
poterli chiamare postconciliari, almeno in senso cronologico: ad essi
i Padri sinodali hanno giustamente riservato una particolare
attenzione nel corso della loro discussione e riflessione. Tra questi
problemi sono da ricordare quelli riguardanti i ministeri e i servizi
ecclesiali affidati o da affidarsi ai fedeli laici, la diffusione e la
crescita di nuovi «movimenti» accanto ad altre forme aggregative di
laici, il posto e il ruolo della donna sia nella Chiesa che nella
società. I Padri sinodali, al termine dei
loro lavori, svolti con grande impegno, competenza e generosità, mi
hanno manifestato il desiderio e mi hanno rivolto la preghiera perché,
a tempo opportuno, offrissi alla Chiesa universale un documento
conclusivo sui fedeli laici(5). Questa Esortazione Apostolica
post-sinodale intende valorizzare tutta quanta la ricchezza dei lavori
sinodali, dai Lineamenta all'Instrumentum laboris, dalla
relazione introduttiva agli interventi dei singoli vescovi e laici e
alla relazione di sintesi dopo la discussione in aula, dalle
discussioni e relazioni dei «circoli minori» alle «proposizioni» e
al Messaggio finale. Per questo il presente documento non si
pone a lato del Sinodo, ma ne costituisce la fedele e coerente
espressione, è il frutto d'un lavoro collegiale, al cui esito finale
hanno apportato il loro contributo il Consiglio della Segreteria
Generale del Sinodo e la stessa Segreteria. Suscitare e alimentare una più
decisa presa di coscienza del dono e della responsabilità che tutti i
fedeli laici, e ciascuno di essi in particolare, hanno nella comunione
e nella missione della Chiesa è lo scopo che l'Esortazione intende
perseguire. Le urgenze attuali del
mondo: perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? 3. Il significato fondamentale di
questo Sinodo, e quindi il frutto più prezioso da esso desiderato, è
l'ascolto da parte dei fedeli laici dell'appello di Cristo a
lavorare nella sua vigna, a prendere parte viva, consapevole e
responsabile alla missione della Chiesa in quest'ora magnifica e
drammatica della storia, nell'imminenza del terzo millennio. Situazioni nuove, sia ecclesiali
sia sociali, economiche, politiche e culturali, reclamano oggi, con
una forza del tutto particolare, l'azione dei fedeli laici. Se il
disimpegno è sempre stato inaccettabile, il tempo presente lo rende
ancora più colpevole. Non è lecito a nessuno rimanere in ozio. Riprendiamo la lettura della
parabola evangelica: «Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri
che se ne stavano là e disse loro: "Perché ve ne state qui
tutto il giorno oziosi?". Gli risposero: "Perché nessuno ci
ha presi a giornata". Ed egli disse loro: "Andate anche voi
nella mia vigna"» (Mt 20, 6-7). Non c'è posto per l'ozio, tanto
è il lavoro che attende tutti nella vigna del Signore. Il «padrone
di casa» ripete con più forza il suo invito: «Andate anche voi
nella mia vigna». La voce del Signore risuona
certamente nell'intimo dell'essere stesso d'ogni cristiano, che
mediante la fede e i sacramenti dell'iniziazione cristiana è
configurato a Gesù Cristo, è inserito come membro vivo nella Chiesa
ed è soggetto attivo della sua missione di salvezza. La voce del
Signore passa però anche attraverso le vicende storiche della Chiesa
e dell'umanità, come ci ricorda il Concilio: «Il Popolo di Dio,
mosso dalla fede, per cui crede di essere condotto dallo Spirito del
Signore, che riempie l'universo, cerca di discernere negli
avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte
insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri
segni della presenza e del disegno di Dio. La fede infatti tutto
rischiara di una luce nuova e svela le intenzioni di Dio sulla
vocazione integrale dell'uomo, e perciò guida l'intelligenza verso
soluzioni pienamente umane»(6). E' necessario, allora, guardare in
faccia questo nostro mondo, con i suoi valori e problemi, le sue
inquietudini e speranze, le sue conquiste e sconfitte: un mondo le cui
situazioni economiche, sociali, politiche e culturali presentano
problemi e difficoltà più gravi rispetto a quello descritto dal
Concilio nella Costituzione pastorale Gaudium et spes(7). E'
comunque questa la vigna, è questo il campo nel quale i
fedeli laici sono chiamati a vivere la loro missione. Gesù li vuole,
come tutti i suoi discepoli, sale della terra e luce del mondo (cf. Mt
5, 13-14). Ma qual è il volto attuale della «terra» e
del «mondo», di cui i cristiani devono essere «sale» e «luce»? E' assai grande la diversità
delle situazioni e delle problematiche che oggi esistono nel mondo,
peraltro caratterizzate da una crescente accelerazione di mutamento.
Per questo è del tutto necessario guardarsi dalle generalizzazioni e
dalle semplificazioni indebite. E' però possibile rilevare alcune
linee di tendenza che emergono nella società attuale. Come nel
campo evangelico insieme crescono la zizzania e il buon grano, così
nella storia, teatro quotidiano di un esercizio spesso contraddittorio
della libertà umana, si trovano, accostati e talvolta profondamente
aggrovigliati tra loro, il male e il bene, l'ingiustizia e la
giustizia, l'angoscia e la speranza. Secolarismo e bisogno
religioso 4. Come non pensare alla
persistente diffusione dell'indifferentismo religioso e dell'ateismo
nelle sue più diverse forme, in particolare nella forma, oggi forse
più diffusa, del secolarismo? Inebriato dalle prodigiose
conquiste di un inarrestabile sviluppo scientifico-tecnico e
soprattutto affascinato dalla più antica e sempre nuova tentazione,
quella di voler diventare come Dio (cf. Gen 3, 5) mediante
l'uso d'una libertà senza limiti, l'uomo taglia le radici religiose
che sono nel suo cuore: dimentica Dio, lo ritiene senza significato
per la propria esistenza, lo rifiuta ponendosi in adorazione dei più
diversi «idoli». E' veramente grave il fenomeno
attuale del secolarismo: non riguarda solo i singoli, ma in qualche
modo intere comunità, come già rilevava il Concilio: «Moltitudini
crescenti praticamente si staccano dalla religione»(8). Più volte io
stesso ho ricordato il fenomeno della scristianizzazione che colpisce
i popoli cristiani di vecchia data e che reclama, senza alcuna
dilazione, una nuova evangelizzazione. Eppure l'aspirazione e il
bisogno religiosi non possono essere totalmente estinti. La
coscienza di ogni uomo, quando ha il coraggio di affrontare gli
interrogativi più gravi dell'esistenza umana, in particolare
l'interrogativo sul senso del vivere, del soffrire e del morire, non
può non fare propria la parola di verità gridata da Sant'Agostino:
«Tu ci hai fatto per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto
sino a quando non riposa in Te»(9). Così anche il mondo attuale
testimonia, in forme sempre più ampie e vive, l'apertura ad una
visione spirituale e trascendente della vita, il risveglio della
ricerca religiosa, il ritorno al senso del sacro e alla preghiera, la
richiesta di essere liberi nell'invocare il Nome del Signore. La persona umana: dignità
calpestata ed esaltata 5. Pensiamo, inoltre, alle
molteplici violazioni alle quali viene oggi sottoposta la persona
umana. Quando non è riconosciuto e amato nella sua dignità di
immagine vivente di Dio (cf. Gen 1, 26), l'essere umano è
esposto alle più umilianti e aberranti forme di «strumentalizzazione»,
che lo rendono miseramente schiavo del più forte. E «il più forte»
può assumere i nomi più diversi: ideologia, potere economico,
sistemi politici disumani, tecnocrazia scientifica, invadenza dei
mass-media. Di nuovo ci troviamo di fronte a moltitudini di persone,
nostri fratelli e sorelle, i cui diritti fondamentali sono violati,
anche in seguito all'eccessiva tolleranza e persino alla palese
ingiustizia di certe leggi civili: il diritto alla vita e all'integrità,
il diritto alla casa e al lavoro, il diritto alla famiglia e alla
procreazione responsabile, il diritto alla partecipazione alla vita
pubblica e politica, il diritto alla libertà di coscienza e di
professione di fede religiosa. Chi può contare i bambini non
nati perché uccisi nel seno delle loro madri, i bambini abbandonati e
maltrattati dagli stessi genitori, i bambini che crescono senza
affetto ed educazione? In alcuni Paesi intere popolazioni sono
sprovviste di casa e di lavoro, mancano dei mezzi assolutamente
indispensabili per condurre una vita degna di esseri umani e sono
private persino del necessario per la stessa sussistenza. Tremende
sacche di povertà e di miseria, fisica e morale ad un tempo, stanno
oramai di casa ai margini delle grandi metropoli e colpiscono
mortalmente interi gruppi umani. Ma la sacralità della persona non
può essere annullata, quantunque essa troppo spesso venga disprezzata
e violata: avendo il suo incrollabile fondamento in Dio Creatore e
Padre, la sacralità della persona torna ad imporsi, sempre e di
nuovo. Di qui il diffondersi sempre più
vasto e l'affermarsi sempre più forte del senso della dignità
personale di ogni essere umano. Una corrente benefica oramai
percorre e pervade tutti i popoli della terra, resi sempre più
consapevoli della dignità dell'uomo: non è affatto una «cosa» o un
«oggetto» di cui servirsi, ma è sempre e solo un «soggetto»,
dotato di coscienza e di libertà, chiamato a vivere responsabilmente
nella società e nella storia, ordinato ai valori spirituali e
religiosi. E stato detto che il nostro è il
tempo degli «umanesimi»: alcuni, per la loro matrice atea e
secolaristica, finiscono paradossalmente per mortificare e annullare
l'uomo; altri umanesimi invece lo esaltano a tal punto da giungere a
forme di vera e propria idolatria; altri, infine, riconoscono secondo
verità la grandezza e la miseria dell'uomo, manifestando, sostenendo
e favorendo la sua dignità totale. Segno e frutto di queste correnti
umanistiche è il crescente bisogno della partecipazione. E'
questa, indubbiamente, uno dei tratti distintivi dell'umanità
attuale, un vero «segno dei tempi» che viene maturando in diversi
campi e in diverse direzioni: nel campo soprattutto delle donne e del
mondo giovanile, e nella direzione della vita non solo familiare e
scolastica, ma anche culturale, economica, sociale e politica.
L'essere protagonisti, in qualche modo creatori di una nuova cultura
umanistica, è un'esigenza insieme universale e individuale(10). Conflittualità e pace 6. Non possiamo infine, non
ricordare un altro fenomeno che contraddistingue l'attuale umanità:
forse come non mai nella sua storia, l'umanità è quotidianamente e
profondamente colpita e scardinata dalla conflittualità. E'
questo un fenomeno pluriforme, che si distingue dal pluralismo
legittimo delle mentalità e delle iniziative, e si manifesta
nell'infausto contrapporsi di persone, gruppi, categorie, nazioni e
blocchi di nazioni. E' una contrapposizione che assume forme di
violenza, di terrorismo, di guerra. Ancora una volta, ma con
proporzioni enormemente ampliate, diversi settori dell'umanità
d'oggi, volendo dimostrare la loro «onnipotenza», rinnovano la
stolta esperienza della costruzione della «torre di Babele» (cf. Gen
11, 1-9), la quale però prolifera confusione, lotta,
disgregazione ed oppressione. La famiglia umana è così in se stessa
drammaticamente sconvolta e lacerata. D'altra parte, del tutto
insopprimibile è l'aspirazione dei singoli e dei popoli al bene
inestimabile della pace nella giustizia. La beatitudine
evangelica: «Beati gli operatori di pace» (Mt 5, 9) trova
negli uomini del nostro tempo una nuova e significativa risonanza: per
l'avvento della pace e della giustizia popolazioni intere oggi vivono,
soffrono e lavorano. La partecipazione di tante persone e
gruppi alla vita della società è la strada oggi sempre più percorsa
perché da desiderio la pace diventi realtà. Su questa strada
incontriamo tanti fedeli laici generosamente impegnati nel campo
sociale e politico, nelle più varie forme sia istituzionali che di
volontariato e di servizio agli ultimi. Gesù Cristo, la speranza
dell'umanità 7. Questo è l'immenso e
travagliato campo che sta davanti agli operai mandati dal «padrone di
casa» a lavorare nella sua vigna. In questo campo è presente e
operante la Chiesa, noi tutti, pastori e fedeli, sacerdoti, religiosi
e laici. Le situazioni ora ricordate toccano profondamente la Chiesa:
da esse è in parte condizionata, non però schiacciata né tanto meno
sopraffatta, perché lo Spirito Santo, che ne è l'anima, la sostiene
nella sua missione. La Chiesa sa che tutti gli sforzi
che l'umanità va compiendo per la comunione e la partecipazione,
nonostante ogni difficoltà, ritardo e contraddizione causati dai
limiti umani, dal peccato e dal Maligno, trovano piena risposta
nell'intervento di Gesù Cristo, Redentore dell'uomo e del mondo. La Chiesa sa di essere mandata da
Lui come «segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità
di tutto il genere umano»(11). Nonostante tutto, dunque, l'umanità
può sperare, deve sperare: il Vangelo vivente e personale, Gesù
Cristo stesso, è la «notizia» nuova e apportatrice di gioia che
la Chiesa ogni giorno annuncia e testimonia a tutti gli uomini. In questo annuncio e in questa
testimonianza i fedeli laici hanno un posto originale e
insostituibile: per mezzo loro la Chiesa di Cristo è resa presente
nei più svariati settori del mondo, come segno e fonte di speranza e
di amore. CAPITOLO
I IO
SONO LA VITE, VOI I TRALCI Il mistero della vigna 8. L'immagine della vigna viene
usata dalla Bibbia in molti modi e con diversi significati: in
particolare, essa serve ad esprimere il mistero del Popolo di Dio. In
questa prospettiva più interiore i fedeli laici non sono
semplicemente gli operai che lavorano nella vigna, ma sono parte della
vigna stessa: «Io sono la vite, voi i tralci» (Gv 15, 5),dice
Gesù. Già nell'Antico Testamento i
profeti per indicare il popolo eletto ricorrono all'immagine della
vigna. Israele è la vigna di Dio, l'opera del Signore, la gioia del
suo cuore: «Io ti avevo piantato come vigna scelta» (Ger 2,
21); «Tua madre era come una vite piantata vicino alle acque. Era
rigogliosa e frondosa per l'abbondanza dell'acqua» (Ez 19,
10); «Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle. Egli
l'aveva vangata e sgombrata dai sassi, e vi aveva piantato scelte viti
(...)» (Is 5, 1-2). Gesù riprende il simbolo della
vigna e se ne serve per rivelare alcuni aspetti del Regno di Dio: «Un
uomo piantò una vigna, vi pose attorno una siepe, scavò un torchio,
costruì una torre, poi la diede in affitto a dei vignaioli e se ne
andò lontano» (Mc 12, 1; cf. Mt 21, 28 ss.). L'evangelista Giovanni ci invita a
scendere in profondità e ci introduce a scoprire il mistero della
vigna: essa è il simbolo e la figura non solo del Popolo di Dio,
ma di Gesù stesso. Lui è il ceppo e noi, i discepoli, siamo i
tralci; Lui è la «vera vite», nella quale sono vitalmente inseriti
i tralci (cf. Gv 15, 1 ss.). Il Concilio Vaticano II, riferendo
le varie immagini bibliche che illuminano il mistero della Chiesa,
ripropone l'immagine della vite e dei tralci: «Cristo è la vera
vite, che dà vita e fecondità ai tralci, cioè a noi, che per mezzo
della Chiesa rimaniamo in Lui, e senza di Lui nulla possiamo fare (Gv
15, 1-5)»(12). La Chiesa stessa è, dunque, la vigna evangelica.
E' mistero perché l'amore e la vita del Padre, del Figlio e
dello Spirito Santo sono il dono assolutamente gratuito offerto a
quanti sono nati dall'acqua e dallo Spirito (cf. Gv 3, 5),
chiamati a rivivere la comunione stessa di Dio e a manifestarla
e comunicarla nella storia (missione): «In quel giorno _ dice
Gesù _ voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi» (Gv
14, 20). Ora solo all'interno del
mistero della Chiesa come mistero di comunione si rivela l'«identità»
dei fedeli laici, la loro originale dignità. E solo all'interno
di questa dignità si possono definire la loro vocazione e la loro
missione nella Chiesa e nel mondo. Chi sono i fedeli laici 9. I Padri sinodali hanno
giustamente rilevato la necessità di individuare e di proporre una descrizione
positiva della vocazione e della missione dei fedeli laici,
approfondendo lo studio della dottrina del Concilio Vaticano II alla
luce sia dei più recenti documenti del Magisterio sia dell'esperienza
della vita stessa della Chiesa guidata dallo Spirito Santo(13). Nel dare risposta
all'interrogativo «chi sono i fedeli laici», il Concilio, superando
precedenti interpretazioni prevalentemente negative, si è aperto ad
una visione decisamente positiva e ha manifestato il suo fondamentale
intento nell'asserire la piena appartenenza dei fedeli laici alla
Chiesa e al suo mistero e il carattere peculiare della loro vocazione,
che ha in modo speciale lo scopo di «cercare il Regno di Dio
trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio»(14). «Col
nome di laici _ così la Costituzione Lumen gentium li descrive
_ si intendono qui tutti i fedeli ad esclusione dei membri dell'ordine
sacro e dello stato religioso sancito dalla Chiesa, i fedeli cioè,
che, dopo essere stati incorporati a Cristo col Battesimo e costituiti
Popolo di Dio e, a loro modo, resi partecipi dell'ufficio sacerdotale,
profetico e regale di Cristo, per la loro parte compiono, nella Chiesa
e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano»(15). Già Pio XII diceva: «I fedeli, e
più precisamente i laici, si trovano nella linea più avanzata della
vita della Chiesa; per loro la Chiesa è il principio vitale della
società umana. Perciò essi, specialmente essi, debbono avere una
sempre più chiara consapevolezza, non soltanto di appartenere alla
Chiesa, ma di essere la Chiesa, vale a dire la comunità dei
fedeli sulla terra sotto la condotta del Capo comune, il Papa, e dei
Vescovi in comunione con lui. Essisono la Chiesa(...)»(16). Secondo l'immagine biblica della
vigna, i fedeli laici, come tutti quanti i membri della Chiesa, sono
tralci radicati in Cristo, la vera vite, da Lui resi vivi e
vivificanti. L'inserimento in Cristo per mezzo
della fede e dei sacramenti dell'iniziazione cristiana è la radice
prima che origina la nuova condizione del cristiano nel mistero della
Chiesa, che costituisce la sua più profonda «fisionomia», che sta
alla base di tutte le vocazioni e del dinamismo della vita cristiana
dei fedeli laici: in Gesù Cristo, morto e risorto, il battezzato
diventa una «creatura nuova» (Gal 6, 15; 2 Cor 5, 17),
una creatura purificata dal peccato e vivificata dalla grazia. In tal modo, solo cogliendo la
misteriosa ricchezza che Dio dona al cristiano nel santo Battesimo è
possibile delineare la «figura» del fedele laico. Il battesimo e la novità
cristiana 10. Non è esagerato dire che
l'intera esistenza del fedele laico ha lo scopo di portarlo a
conoscere la radicale novità cristiana che deriva dal Battesimo,
sacramento della fede, perché possa viverne gli impegni secondo la
vocazione ricevuta da Dio. Per descrivere la «figura» del fedele
laico prendiamo ora in esplicita e più diretta considerazione, tra
gli altri, questi tre fondamentali aspetti: il Battesimo ci
rigenera alla vita dei figli di Dio, ci unisce a Gesù Cristo e al suo
Corpo che è la Chiesa, ci unge nello Spirito Santo costituendoci
templi spirituali. Figli nel Figlio 11. Ricordiamo le parole di Gesù
a Nicodemo: «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da
acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio» (Gv 3,
5). Il santo Battesimo è, dunque, una nuova nascita, è una
rigenerazione. Proprio pensando a questo aspetto
del dono battesimale l'apostolo Pietro prorompe nel canto: «Sia
benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo; nella sua
grande misericordia egli ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di
Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per una eredità che
non si corrompe, non si macchia e non marcisce» (1 Pt 1, 3-4).
E chiama i cristiani coloro che sono stati «rigenerati non da un seme
corruttibile, ma immortale, cioè dalla parola di Dio viva ed eterna»
(1 Pt 1, 23). Con il santo Battesimo diventiamo figli
di Dio nell'Unigenito suo Figlio, Cristo Gesù. Uscendo dalle
acque del sacro fonte, ogni cristiano riascolta la voce che un giorno
si è udita sulle rive del fiume Giordano: «Tu sei il mio figlio
prediletto, in te mi sono compiaciuto» (Lc 3, 22), e capisce
che è stato associato al Figlio prediletto, diventando figlio di
adozione (cf. Gal 4, 4-7) e fratello di Cristo. Si compie così
nella storia di ciascuno l'eterno disegno del Padre: «quelli che egli
da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi
all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti
fratelli» (Rom 8, 29). E' lo Spirito Santo che
costituisce i battezzati in figli di Dio e nello stesso tempo membra
del corpo di Cristo. Lo ricorda Paolo ai cristiani di Corinto: «Noi
tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo
corpo» (1 Cor 12, 13), sicché l'apostolo può dire ai fedeli
laici: «Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la
sua parte» (1 Cor 12, 27);«Che voi siete figli ne è prova il
fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio» (Gal
4, 6; cf. Rom 8, 15-16). Un solo corpo in Cristo 12. Rigenerati come «figli nel
Figlio», i battezzati sono inscindibilmente «membri di Cristo e
membri del corpo della Chiesa», come insegna il Concilio di
Firenze(17). Il Battesimo significa e produce
un'incorporazione mistica ma reale al corpo crocifisso e glorioso di
Gesù. Mediante il sacramento Gesù unisce il battezzato alla sua
morte per unirlo alla sua risurrezione (cf. Rom 6, 3-5), lo
spoglia dell'«uomo vecchio» e lo riveste dell'«uomo nuovo», ossia
di Se stesso: «Quanti siete stati battezzati in Cristo _ proclama
l'apostolo Paolo _ vi siete rivestiti di Cristo» (Gal 3,27; cf.
Ef 4, 22-24; Col 3, 9-10). Ne risulta che «noi, pur
essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo» (Rom 12, 5). Ritroviamo nelle parole di Paolo
l'eco fedele dell'insegnamento di Gesù stesso, il quale ha rivelato
la misteriosa unità dei suoi discepoli con Lui e tra di loro, presentandola
come immagine e prolungamento di quell'arcana comunione che lega il
Padre al Figlio e il Figlio al Padre nel vincolo amoroso dello Spirito
(cf. Gv 17, 21). E' la stessa unità di cui Gesù
parla con l'immagine della vite e dei tralci: «Io sono la vite, voi i
tralci» (Gv 15, 5), un'immagine che fa luce non solo
sull'intimità profonda dei discepoli con Gesù ma anche sulla
comunione vitale dei discepoli tra loro: tutti tralci dell'unica Vite. Templi vivi e santi dello
Spirito 13. Con un'altra immagine, quella
di un edificio, l'apostolo Pietro definisce i battezzati come «pietre
vive» fondate su Cristo, la «pietra angolare», e destinate alla «costruzione
di un edificio spirituale» (1 Pt 2, 5 ss). L'immagine ci
introduce a un altro aspetto della novità battesimale, così
presentato dal Concilio Vaticano II: «Per la rigenerazione e
l'unzione dello Spirito Santo i battezzati vengono consacrati a
formare una dimora spirituale»(18). Lo Spirito Santo «unge» il
battezzato, vi imprime il suo indelebile sigillo (cf. 2 Cor 1, 21-22),
e lo costituisce tempio spirituale, ossia lo riempie della santa
presenza di Dio grazie all'unione e alla conformazione a Gesù Cristo. Con questa spirituale «unzione»,
il cristiano può, a suo modo, ripetere le parole di Gesù: «Lo
Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con
l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto
messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la
vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di
grazia del Signore» (Lc 4, 18-19; cf. Is 61, 1-2). Così
con l'effusione battesimale e cresimale il battezzato partecipa alla
medesima missione di Gesù il Cristo, il Messia Salvatore. Partecipi dell'ufficio
sacerdotale, profetico e regale di Gesù Cristo 14. Rivolgendosi ai battezzati
come a «bambini appena nati», l'apostolo Pietro scrive: «Stringendovi
a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa
davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la
costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per
offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo
(...). Ma voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione
santa, il popoio che Dio si è acquistato perché proclami le opere
meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua
ammirabile luce (...)» (1 Pt 2, 4-5. 9). Ecco un nuovo aspetto della grazia
e della dignità battesimale: i fedeli laici partecipano, per la loro
parte, al triplice ufficio _ sacerdotale, profetico e regale _ di Gesù
Cristo. E questo un aspetto non mai dimenticato dalla tradizione viva
della Chiesa, come appare, ad esempio, dalla spiegazione che del Salmo
26 offre Sant'Agostino. Scrive: «Davide fu unto re. A quel tempo si
ungevano solo il re e il sacerdote. In queste due persone era
prefigurato il futuro unico re e sacerdote, Cristo (e perciò
"Cristo" viene da "crisma"). Non solo però è
stato unto il nostro capo, ma siamo stati unti anche noi, suo corpo
(...). Perciò l'unzione spetta a tutti i cristiani, mentre al tempo
dell'Antico Testamento apparteneva a due sole persone. Appare chiaro
che noi siamo il corpo di Cristo dal fatto che siamo tutti unti e
tutti in lui siamo cristi e Cristo, perché in certo modo la testa e
il corpo formano il Cristo nella sua integrità»(19). Nella scia del Concilio Vaticano
II(20), sin dall'inizio del mio servizio pastorale, ho inteso esaltare
la dignità sacerdotale, profetica e regale dell'intero Popolo di Dio
dicendo: «Colui che è nato dalla Vergine Maria, il Figlio del
falegname _ come si riteneva _ il Figlio del Dio vivente, come ha
confessato Pietro, è venuto per fare di tutti noi "un regno di
sacerdoti". Il Concilio Vaticano II ci ha ricordato il mistero di
questa potestà e il fatto che la missione di Cristo _ Sacerdote,
Profeta-Maestro, Re _ continua nella Chiesa. Tutti, tutto il Popolo di
Dio è partecipe di questa triplice missione»(21). Con questa Esortazione i fedeli
laici sono invitati ancora una volta a rileggere, a meditare e ad
assimilare con intelligenza e con amore il ricco e fecondo
insegnamento del Concilio circa la loro partecipazione al triplice
ufficio di Cristo(22). Ecco ora in sintesi gli elementi essenziali di
questo insegnamento. I fedeli laici sono partecipi
dell'ufficio sacerdotale, per il quale Gesù ha offerto
Se stesso sulla Croce e continuamente si offre nella celebrazione
eucaristica a gloria del Padre per la salvezza dell'umanità.
Incorporati a Gesù Cristo, i battezzati sono uniti a Lui e al suo
sacrificio nell'offerta di se stessi e di tutte le loro attività (cf.
Rom 12, 1-2). Parlando dei fedeli laici il Concilio dice: «Tutte
le loro opere, le preghiere e le iniziative apostoliche, la vita
coniugale e familiare, il lavoro giornaliero, il sollievo spirituale e
corporale, se sono compiute nello Spirito, e persino le molestie della
vita se sono sopportate con pazienza, diventano spirituali sacrifici
graditi a Dio per Gesù Cristo (cf. 1 Pt 2, 5), i quali nella
celebrazione dell'Eucaristia sono piissimamente offerti al Padre
insieme all'oblazione del Corpo del Signore. Così anche i laici,
operando santamente dappertutto come adoratori, consacrano a Dio il
mondo stesso»(23). La partecipazione all'ufficio
profetico di Cristo, «il quale e con la testimonianza della vita
e con la virtù della parola ha proclamato il Regno del Padre»(24),
abilita e impegna i fedeli laici ad accogliere nella fede il Vangelo e
ad annunciarlo con la parola e con le opere non esitando a denunciare
coraggiosamente il male. Uniti a Cristo, il «grande profeta» (Lc
7, 16), e costituiti nello Spirito «testimoni» di Cristo Risorto, i
fedeli laici sono resi partecipi sia del senso di fede soprannaturale
della Chiesa che «non può sbagliarsi nel credere» (25) sia della
grazia della parola (cf. At 2, 17-18; Ap 19, 10); sono
altresì chiamati a far risplendere la novità e la forza del Vangelo
nella loro vita quotidiana, familiare e sociale, come pure ad
esprimere, con pazienza e coraggio, nelle contraddizioni dell'epoca
presente la loro speranza nella gloria «anche attraverso le strutture
della vita secolare»(26). Per la loro appartenenza a Cristo
Signore e Re dell'universo i fedeli laici partecipano al suo
ufficio regale e sono da Lui chiamati al servizio del Regno di Dio
e alla sua diffusione nella storia. Essi vivono la regalità
cristiana, anzitutto mediante il combattimento spirituale per vincere
in se stessi il regno del peccato (cf. Rom 6, 12), e poi
mediante il dono di sé per servire, nella carità e nella giustizia,
Gesù stesso presente in tutti i suoi fratelli, soprattutto nei più
piccoli (cf. Mt 25, 40). Ma i fedeli laici sono chiamati in
particolare a ridare alla creazione tutto il suo originario valore.
Nell'ordinare il creato al vero bene dell'uomo con un'attività
sorretta dalla vita di grazia, essi partecipano all'esercizio del
potere con cui Gesù Risorto attrae a sé tutte le cose e le
sottomette, con Se stesso, al Padre, così che Dio sia tutto in tutti
(cf. Gv 12, 32; 1 Cor 15, 28). La partecipazione dei fedeli laici
al triplice ufficio di Cristo Sacerdote, Profeta e Re trova la sua
radice prima nell'unzione del Battesimo, il suo sviluppo nella
Confermazione e il suo compimento e sostegno dinamico nell'Eucaristia.
E una partecipazione donata ai singoli fedeli laici, ma in
quanto formano l'unico Corpo del Signore. Infatti, Gesù
arricchisce dei suoi doni la Chiesa stessa, quale suo Corpo e sua
Sposa. In tal modo i singoli sono partecipi del triplice ufficio di
Cristo in quanto membra della Chiesa, come chiaramente insegna
l'apostolo Pietro, che definisce i battezzati come «la stirpe eletta,
il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è
acquistato» (1 Pt 2, 9). Proprio perché deriva dalla comunione
ecclesiale, la partecipazione dei fedeli laici al triplice ufficio di
Cristo esige d'essere vissuta e attuata nella comunione e per
la crescita della comunione stessa. Scriveva Sant'Agostino: «Come
chiamiamo tutti cristiani in forza del mistico crisma, così chiamiamo
tutti sacerdoti perché sono membra dell'unico sacerdote»(27). I fedeli laici e l'indole
secolare 15. La novità cristiana è il
fondamento e il titolo dell'eguaglianza di tutti i battezzati in
Cristo, di tutti i membri del Popolo di Dio: «comune è la dignità
dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia dei
figli, comune la vocazione alla perfezione, una sola salvezza, una
sola speranza e indivisa carità»(28). In forza della comune dignità
battesimale il fedele laico è corresponsabile, insieme con i ministri
ordinati e con i religiosi e le religiose, della missione della
Chiesa. Ma la comune dignità battesimale
assume nel fedele laico una modalità che lo distingue, senza però
separarlo, dal presbitero, dal religioso e dalla religiosa. Il
Concilio Vaticano II ha indicato questa modalità nell'indole
secolare: «L'indole secolare è propria e peculiare dei laici»(29). Proprio per cogliere in modo
completo, adeguato e specifico la condizione ecclesiale del fedele
laico è necessario approfondire la portata teologica dell'indole
secolare alla luce del disegno salvifico di Dio e del mistero della
Chiesa. Come diceva Paolo VI, la Chiesa «ha
un'autentica dimensione secolare, inerente alla sua intima natura e
missione, la cui radice affonda nel mistero del Verbo Incarnato, e che
è realizzata in forme diverse per i suoi membri»(30). La Chiesa, infatti, vive nel mondo
anche se non è del mondo (cf. Gv 17, 16) ed è mandata a
continuare l'opera redentrice di Gesù Cristo, la quale «mentre per
natura sua ha come fine la salvezza degli uomini, abbraccia pure la
instaurazione di tutto l'ordine temporale»(31). Certamente tutti i membri della
Chiesa sono partecipi della sua dimensione secolare; ma lo sono in forme
diverse. In particolare la partecipazione dei fedeli laici ha
una sua modalità di attuazione e di funzione che, secondo il
Concilio, è loro «propria e peculiare»: tale modalità viene
designata con l'espressione «indole secolare»(32). In realtà il Concilio descrive la
condizione secolare dei fedeli laici indicandola, anzitutto, come il
luogo nel quale viene loro rivolta la chiamata di Dio: «Ivi sono
da Dio chiamati»(33). Si tratta di un «luogo» presentato in
termini dinamici: i fedeli laici «vivono nel secolo, cioèimplicati
in tutti e singoli gli impieghi e gli affari del mondo e nelle
ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro
esistenza è come intessuta»(34). Essi sono persone che vivono la
vita normale nel mondo, studiano, lavorano, stabiliscono rapporti
amicali, sociali, professionali, culturali, ecc. Il Concilio considera
la loro condizione non semplicemente come un dato esteriore e
ambientale, bensì come una realtà destinata a trovare in Gesù
Cristo la pienezza del suo significato(35). Anzi afferma che «lo
stesso Verbo incarnato volle essere partecipe della convivenza umana
(...) Santificò le relazioni umane, innanzitutto quelle familiari,
dalle quali traggono origine i rapporti sociali, volontariamente
sottomettendosi alle leggi della sua patria. Volle condurre la vita di
un lavoratore del suo tempo e della sua regione»(36). Il «mondo» diventa così
l'ambito e il mezzo della vocazione cristiana dei fedeli laici, perché
esso stesso è destinato a glorificare Dio Padre in Cristo. Il
Concilio può allora indicare il senso proprio e peculiare della
vocazione divina rivolta ai fedeli laici. Non sono chiamati ad
abbandonare la posizione ch'essi hanno nel mondo. Il Battesimo non li
toglie affatto dal mondo, come rileva l'apostolo Paolo: «Ciascuno,
fratelli, rimanga davanti a Dio in quella condizione in cui era quando
è stato chiamato» (1 Cor 7, 24); ma affida loro una vocazione
che riguarda proprio la situazione intramondana: i fedeli laici,
infatti, «sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall'interno a
modo di fermento, alla santificazione del mondo mediante
l'esercizio della loro funzione propria e sotto la guida dello spirito
evangelico, e in questo modo a rendere visibile Cristo agli altri,
principalmente con la testimonianza della loro vita e con il fulgore
della fede, della speranza e della carità»(37). Così l'essere e
l'agire nel mondo sono per i fedeli laici una realtà non solo
antropologica e sociologica, ma anche e specificamente teologica ed
ecclesiale. Nella loro situazione intramondana, infatti, Dio manifesta
il suo disegno e comunica la particolare vocazione di «cercare il
Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio»(38). Proprio in questa prospettiva i
Padri sinodali hanno detto: «L'indole secolare del fedele laico non
è quindi da definirsi soltanto in senso sociologico, ma soprattutto
in senso teologico. La caratteristica secolare va intesa alla luce
dell'atto creativo e redentivo di Dio, che ha affidato il mondo agli
uomini e alle donne, perché essi partecipino all'opera della
creazione, liberino la creazione stessa dall'influsso del peccato e
santifichino se stessi nel matrimonio o nella vita celibe, nella
famiglia, nella professione e nelle varie attività sociali»(39). La condizione ecclesiale dei
fedeli laici viene radicalmente definita dalla loro novità
cristiana e caratterizzata dalla loro indole secolare(40). Le immagini evangeliche del sale,
della luce e del lievito, pur riguardando indistintamente tutti i
discepoli di Gesù, trovano una specifica applicazione ai fedeli
laici. Sono immagini splendidamente significative, perché dicono non
solo l'inserimento profondo e la partecipazione piena dei fedeli laici
nella terra, nel mondo, nella comunità umana; ma anche e soprattutto
la novità e l'originalità di un inserimento e di una partecipazione
destinati alla diffusione del Vangelo che salva. Chiamati alla santità 16. La dignità dei fedeli laici
ci si rivela in pienezza se consideriamo la prima e fondamentale
vocazione che il Padre in Gesù Cristo per mezzo dello Spirito
rivolge a ciascuno di loro: la vocazione alla santità, ossia alla
perfezione della carità. Il santo è la testimonianza più splendida
della dignità conferita al discepolo di Cristo. Sull'universale vocazione alla
santità ha avuto parole luminosissime il Concilio Vaticano II. Si può
dire che proprio questa sia stata la consegna primaria affidata a
tutti i figli e le figlie della Chiesa da un Concilio voluto per il
rinnovamento evangelico della vita cristiana(41). Questa consegna non
è una semplice esortazione morale, bensì un'insopprimibile
esigenza del mistero della Chiesa: essa è la Vigna scelta, per
mezzo della quale i tralci vivono e crescono con la stessa linfa santa
e santificante di Cristo; è il Corpo mistico, le cui membra
partecipano della stessa vita di santità del Capo che è Cristo; è
la Sposa amata dal Signore Gesù, che ha consegnato se stesso per
santificarla (cf. Ef 5, 25 ss.). Lo Spirito che santificò la
natura umana di Gesù nel seno verginale di Maria (cf. Lc 1,
35) è lo stesso Spirito che è dimorante e operante nella Chiesa al
fine di comunicarle la santità del Figlio di Dio fatto uomo. E' quanto mai urgente che oggi
tutti i cristiani riprendano il cammino del rinnovamento evangelico,
accogliendo con generosità l'invito apostolico ad «essere santi in
tutta la condotta» (1 Pt 1, 15). Il Sinodo straordinario del
1985, a vent'anni dalla conclusione del Concilio, ha opportunamente
insistito su questa urgenza: «Poiché la Chiesa in Cristo è
mistero, deve essere considerata segno e strumento di santità (...).
I santi e le sante sempre sono stati fonte e origine di rinnovamento
nelle più difficili circostanze in tutta la storia della Chiesa. Oggi
abbiamo grandissimo bisogno di santi, che dobbiamo implorare da Dio
con assiduità»(42). Tutti nella Chiesa, proprio perché
ne sono membri, ricevono e quindi condividono la comune vocazione alla
santità. A pieno titolo, senz'alcuna differenza dagli altri membri
della Chiesa, ad essa sono chiamati i fedeli laici: «Tutti i fedeli
di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita
cristiana e alla perfezione della carità»(43); «Tutti i fedeli sono
invitati e tenuti a tendere alla santità e alla perfezione del
proprio stato»(44). La vocazione alla santità affonda
le sue radici nel Battesimo e viene riproposta dagli altri
Sacramenti, principalmente dall'Eucaristia: rivestiti di Gesù
Cristo e abbeverati dal suo Spirito, i cristiani sono «santi» e
sono, perciò, abilitati e impegnati a manifestare la santità del
loro essere nella santità di tutto il loro operare. L'apostolo
Paolo non si stanca di ammonire tutti i cristiani perché vivano «come
si addice a santi» (Ef 5, 3). La vita secondo lo Spirito, il cui
frutto è la santificazione (cf. Rom 6, 22; Gal 5, 22),
suscita ed esige da tutti e da ciascun battezzato la sequela e
l'imitazione di Gesù Cristo, nell'accoglienza delle sue
Beatitudini, nell'ascolto e nella meditazione della Parola di Dio,
nella consapevole e attiva partecipazione alla vita liturgica e
sacramentale della Chiesa, nella preghiera individuale, familiare e
comunitaria, nella fame e nella sete di giustizia, nella pratica del
comandamento dell'amore in tutte le circostanze della vita e nel
servizio ai fratelli, specialmente se piccoli, poveri e sofferenti. Santificarsi nel mondo 17. La vocazione dei fedeli laici
alla santità comporta che la vita secondo lo Spirito si esprima in
modo peculiare nel loro inserimento nelle realtà temporali e
nella loro partecipazione alle attività terrene. E' ancora
l'apostolo ad ammonirci: «Tutto quello che fate in parole ed opere,
tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui
grazie a Dio Padre» (Col 3, 17). Riferendo le parole
dell'apostolo ai fedeli laici, il Concilio afferma categoricamente: «Né
la cura della famiglia né gli altri impegni secolari devono essere
estranei all'orientamento spirituale della vita»(45). A loro volta i
Padri sinodali hanno detto: «L'unità della vita dei fedeli laici è
di grandissima importanza: essi, infatti, debbono santificarsi
nell'ordinaria vita professionale e sociale. Perché possano
rispondere alla loro vocazione, dunque, i fedeli laici debbono
guardare alle attività della vita quotidiana come occasione di unione
con Dio e di compimento della sua volontà, e anche di servizio agli
altri uomini, portandoli alla comunione con Dio in Cristo»(46). La vocazione alla santità dev'essere
percepita e vissuta dai fedeli laici, prima che come obbligo esigente
e irrinunciabile, come segno luminoso dell'infinito amore del Padre
che li ha rigenerati alla sua vita di santità. Tale vocazione,
allora, deve dirsi una componente essenziale e inseparabile della
nuova vita battesimale, e pertanto un elemento costitutivo della
loro dignità. Nello stesso tempo la vocazione alla santità è intimamente
connessa con la missione e con la responsabilità affidate ai
fedeli laici nella Chiesa e nel mondo. Infatti, già la stessa santità
vissuta, che deriva dalla partecipazione alla vita di santità della
Chiesa, rappresenta il primo e fondamentale contributo
all'edificazione della Chiesa stessa, quale «Comunione dei Santi».
Agli occhi illuminati dalla fede si spalanca uno scenario
meraviglioso: quello di tantissimi fedeli laici, uomini e donne, che
proprio nella vita e nelle attività d'ogni giorno, spesso inosservati
o addirittura incompresi, sconosciuti ai grandi della terra ma
guardati con amore dal Padre, sono gli operai instancabili che
lavorano nella vigna del Signore, sono gli artefici umili e grandi _
certo per la potenza della grazia di Dio _ della crescita del Regno di
Dio nella storia. La santità, poi, deve dirsi un
fondamentale presupposto e una condizione del tutto insostituibile per
il compiersi della missione di salvezza nella Chiesa. E' la santità
della Chiesa la sorgente segreta e la misura infallibile della sua
operosità apostolica e del suo slancio missionario. Solo nella misura
in cui la Chiesa, Sposa di Cristo, si lascia amare da Lui e Lo riama,
essa diventa Madre feconda nello Spirito. Riprendiamo di nuovo l'immagine
biblica: lo sbocciare e l'espandersi dei tralci dipendono dal loro
inserimento nella vite. «Come il tralcio non può far frutto da se
stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in
me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa
molto frutto, perché senza di me non potete far nulla» (Gv
15, 4-5). E' naturale qui ricordare la
solenne proclamazione di fedeli laici, uomini e donne, come beati e
santi, avvenuta durante il mese del Sinodo. L'intero Popolo di Dio, e
i fedeli laici in particolare, possono trovare ora nuovi modelli di
santità e nuove testimonianze di virtù eroiche vissute nelle
condizioni comuni e ordinarie dell'esistenza umana. Come hanno detto i
Padri sinodali: «Le Chiese locali e soprattutto le cosiddette Chiese
più giovani debbono riconoscere attentamente fra i propri membri
quegli uomini e quelle donne che hanno offerto in tali condizioni (le
condizioni quotidiane del mondo e lo stato coniugale) la testimonianza
della santità e che possono essere di esempio agli altri affinché,
se si dia il caso, li propongano per la beatificazione e la
canonizzazione»(47). Al termine di queste riflessioni,
destinate a definire la condizione ecclesiale del fedele laico,
ritorna alla mente il celebre monito di San Leone Magno: «Agnosce,
o Christiane, dignitatem tuam»(48). E' lo stesso monito di San
Massimo, vescovo di Torino, rivolto a quanti avevano ricevuto
l'unzione del santo Battesimo: «Considerate l'onore che vi è fatto
in questo mistero!»(49). Tutti i battezzati sono invitati a
riascoltare le parole di Sant'Agostino: «Rallegriamoci e ringraziamo:
siamo diventati non solo cristiani, ma Cristo (...). Stupite e gioite:
Cristo siamo diventati!»(50). La dignità cristiana, fonte
dell'eguaglianza di tutti i membri della Chiesa, garantisce e promuove
lo spirito di comunione e di fraternità, e, nello stesso tempo,
diventa il segreto e la forza del dinamismo apostolico e missionario
dei fedeli laici. E' una dignità esigente, la dignità degli
operai chiamati dal Signore a lavorare nella sua vigna: «Grava su
tutti i laici _ leggiamo nel Concilio _ il glorioso peso di lavorare,
perché il divino disegno di salvezza raggiunga ogni giorno di più
tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutta la terra»(51). CAPITOLO
II TUTTI
TRALCI DELL'UNICA VITE Il mistero della
Chiesa-Comunione 18. Riascoltiamo le parole di Gesù:
«Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo (...). Rimanete
in me e io in voi» (Gv 15, 1-4). Con queste semplici parole ci
viene rivelata la comunione misteriosa che vincola in unità il
Signore e i discepoli, Cristo e i battezzati: una comunione viva e
vivificante, per la quale i cristiani non appartengono a se stessi ma
sono proprietà di Cristo, come i tralci inseriti nella vite. La comunione dei cristiani con Gesù
ha quale modello, fonte e meta la comunione stessa del Figlio con il
Padre nel dono dello Spirito Santo: uniti al Figlio nel vincolo
amoroso dello Spirito, i cristiani sono uniti al Padre. Gesù continua: «Io sono la
vite, voi i tralci» (Gv 15, 5). Dalla comunione dei cristiani con
Cristo scaturisce la comunione dei cristiani tra di loro: tutti sono
tralci dell'unica Vite, che è Cristo. In questa comunione fraterna il
Signore Gesù indica il riflesso meraviglioso e la misteriosa
partecipazione all'intima vita d'amore del Padre, del Figlio e dello
Spirito Santo. Per questa comunione Gesù prega: «Tutti siano una
sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in
noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv
17, 21). Tale comunione è il mistero
stesso della Chiesa, come
ci ricorda il Concilio Vaticano II, con la celebre parola di San
Cipriano: «La Chiesa universale si presenta come "un popolo
adunato dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo"»(52).
A questo mistero della Chiesa-Comunione siamo abitualmente richiamati
all'inizio della celebrazione eucaristica, allorquando il sacerdote ci
accoglie con il saluto dell'apostolo Paolo: «La grazia del Signore
Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano
con tutti voi» (2 Cor 13, 13). Dopo aver delineato la «figura»
dei fedeli laici nella loro dignità dobbiamo ora riflettere sulla
loro missione e responsabilità nella Chiesa e nel mondo: ma queste si
possono comprendere adeguatamente solo nel contesto vivo della
Chiesa-Comunione. Il Concilio e
l'ecclesiologia di comunione 19. E' questa l'idea centrale che
di se stessa la Chiesa ha riproposto nel Concilio Vaticano II, come ci
ha ricordato il Sinodo straordinario del 1985, celebratosi a vent'anni
dall'evento conciliare: «L'ecclesiologia di comunione è l'idea
centrale e fondamentale nei documenti del Concilio. La koinonia-comunione,
fondata sulla Sacra Scrittura, è tenuta in grande onore nella Chiesa
antica e nelle Chiese orientali fino ai nostri giorni. Perciò molto
è stato fatto dal Concilio Vaticano II perché la Chiesa come
comunione fosse più chiaramente intesa e concretamente tradotta nella
vita. Che cosa significa la complessa parola "comunione"? Si
tratta fondamentalmente della comunione con Dio per mezzo di Gesù
Cristo, nello Spirito Santo. Questa comunione si ha nella parola di
Dio e nei sacramenti. Il Battesimo è la porta ed il fondamento della
comunione nella Chiesa. L'Eucaristia è la fonte ed il culmine di
tutta la vita cristiana (cf. LG, 11). La comunione del corpo
eucaristico di Cristo significa e produce, cioè edifica l'intima
comunione di tutti i fedeli nel corpo di Cristo che è la Chiesa (cf. 1
Cor 10, 16 s.)»(53). All'indomani del Concilio così
Paolo VI si rivolgeva ai fedeli: «La Chiesa è una comunione. Che
cosa vuol dire in questo caso: comunione? Noi vi rimandiamo al
paragrafo del catechismo che parla della sanctorum communionem, la
comunione dei santi. Chiesa vuol dire comunione dei santi. E comunione
dei santi vuol dire una duplice partecipazione vitale:
l'incorporazione dei cristiani nella vita di Cristo, e la circolazione
della medesima carità in tutta la compagine dei fedeli, in questo
mondo e nell'altro. Unione a Cristo ed in Cristo; e unione fra i
cristiani, nella Chiesa»(54). Le immagini bibliche, con cui il
Concilio ha voluto introdurci a contemplare il mistero della Chiesa,
pongono in luce la realtà della Chiesa-Comunione nella sua
inscindibile dimensione di comunione dei cristiani con Cristo e di
comunione dei cristiani tra loro. Sono le immagini dell'ovile, del
gregge, della vite, dell'edificio spirituale, della città santa(55).
Soprattutto è l'immagine del corpo presentata dall'apostolo
Paolo, la cui dottrina rifluisce fresca e attraente in numerose pagine
del Concilio(56). A sua volta il Concilio riprende dall'intera storia
della salvezza e ripropone l'immagine della Chiesa come Popolo di
Dio: «Piacque a Dio di santificare e salvare gli uomini non
individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di
loro un popolo, che lo riconoscesse nella verità e santamente Lo
servisse»(57). Già nelle sue primissime righe, la Costituzione Lumen
gentium compendia in modo mirabile questa dottrina scrivendo: «La
Chiesa è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento
dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano»(58). La realtà della
Chiesa-Comunione è, allora,
parte integrante, anzi rappresenta il contenuto centrale del «mistero»,
ossia del disegno divino della salvezza dell'umanità. Per questo
la comunione ecclesiale non può essere interpretata in modo adeguato
se viene intesa come una realtà semplicemente sociologica e
psicologica. La Chiesa-Comunione è il popolo «nuovo», il popolo «messianico»,
il popolo che «ha per Capo Cristo (...) per condizione la dignità e
la libertà dei figli di Dio (...) per legge il nuovo precetto di
amare come lo stesso Cristo ci ha amati (...) per fine il Regno di Dio
(... ed è) costituito da Cristo in una comunione di vita, di carità
e di verità»(59). I vincoli che uniscono i membri del nuovo Popolo
tra di loro _ e prima ancora con Cristo _ non sono quelli della «carne»
e del «sangue», bensì quelli dello spirito, più precisamente
quelli dello Spirito Santo, che tutti i battezzati ricevono (cf. Gl
3, 1). Infatti, quello Spirito che
dall'eternità vincola l'unica e indivisa Trinità, quello Spirito che
«nella pienezza del tempo» (Gal 4, 4) unisce
indissolubilmente la carne umana al Figlio di Dio, quello stesso e
identico Spirito è nel corso delle generazioni cristiane la sorgente
ininterrotta e inesauribile della comunione nella e della Chiesa. Una comunione organica:
diversità e complementarietà 20. La comunione ecclesiale si
configura, più precisamente, come una comunione «organica», analoga
a quella di un corpo vivo e operante: essa, infatti, è caratterizzata
dalla compresenza della diversità e della complementarietà
delle vocazioni e condizioni di vita, dei ministeri, dei carismi e
delle responsabilità. Grazie a questa diversità e complementarietà
ogni fedele laico si trova in relazione con tutto il corpo e ad
esso offre il suo proprio contributo. Sulla comunione organica del Corpo
mistico di Cristo insiste in modo tutto particolare l'apostolo Paolo,
il cui ricco insegnamento possiamo riascoltare nella sintesi tracciata
dal Concilio: Gesù Cristo _ leggiamo nella Costituzione Lumen
gentium _ «comunicando il suo Spirito, costituisce misticamente
come suo corpo i suoi fratelli, chiamati da tutte le genti. In quel
corpo la vita di Cristo si diffonde nei credenti (...). Come tutte le
membra del corpo umano, anche se numerose, formano un solo corpo, così
i fedeli in Cristo (cf. 1 Cor 12, 12). Anche nell'edificazione
del corpo di Cristo vige la diversità delle membra e delle funzioni.
Uno è lo Spirito, il quale per l'utilità della Chiesa distribuisce i
suoi vari doni con magnificenza proporzionata alla sua ricchezza e
alle necessità dei servizi (cf. 1 Cor 12, 1-11 ). Fra questi
doni viene al primo posto la grazia degli Apostoli, alla cui autorità
lo stesso Spirito sottomette anche i carismatici (cf. 1 Cor 14). Ed
è ancora lo Spirito stesso che, con la sua forza e mediante l'intima
connessione delle membra, produce e stimola la carità tra i fedeli. E
quindi se un membro soffre, soffrono con esso tutte le altre membra;
se un membro è onorato, ne gioiscono con esso tutte le altre membra (cf.
1 Cor 12, 26)»(60). E' sempre l'unico e identico
Spirito il principio dinamico della varietà e dell'unità nella e
della Chiesa. Leggiamo di nuovo nella Costituzione Lumen gentium:
«Perché poi ci rinnovassimo continuamente in Lui (Cristo) (cf.
Ef 4, 23), ci ha dato del suo Spirito, il quale, unico e identico
nel Capo e nelle membra, dà a tutto il corpo la vita, l'unità e il
movimento, così che i santi Padri poterono paragonare la sua funzione
con quella che esercita il principio vitale, cioè l'anima, nel corpo
umano»(61). E in un altro testo, particolarmente denso e prezioso per
cogliere l'«organicità» propria della comunione ecclesiale anche
nel suo aspetto di crescita incessante verso la perfetta comunione, il
Concilio scrive: «Lo Spirito dimora nella Chiesa e nei cuori dei
fedeli come in un tempio (cf. 1 Cor 3, 16; 6, 19) e in
essi prega e rende testimonianza dell'adozione filiale (cf. Gal 4,
6; Rom 8, 15-16. 26). Egli guida la Chiesa verso tutta intera
la verità (cf. Gv 16, 13), la unifica nella comunione e nel
servizio, la istruisce e dirige con diversi doni gerarchici e
carismatici, la abbellisce dei suoi frutti (cf. Ef 4, 11-12; 1
Cor 12, 4; Gal 5, 22). Con la forza del Vangelo fa
ringiovanire la Chiesa, continuamente la rinnova e la conduce alla
perfetta unione con il suo Sposo. Poiché lo Spirito e la Sposa dicono
al Signore Gesù: Vieni! (cf. Ap 22, 17»(62). La comunione ecclesiale è, dunque,
un dono, un grande dono dello Spirito Santo, che i fedeli laici
sono chiamati ad accogliere con gratitudine e, nello stesso tempo, a
vivere con profondo senso di responsabilità. Ciò si attua
concretamente mediante la loro partecipazione alla vita e alla
missione della Chiesa, al cui servizio i fedeli laici pongono i loro
diversi e complementari ministeri e carismi. Il fedele laico «non può mai
chiudersi in se stesso, isolandosi spiritualmente dalla comunità, ma
deve vivere in un continuo scambio con gli altri, con un vivo senso di
fraternità, nella gioia di una uguale dignità e nell'impegno di far
fruttificare insieme l'immenso tesoro ricevuto in eredità. Lo Spirito
del Signore dona a lui, come agli altri, molteplici carismi, lo invita
a differenti ministeri e incarichi, gli ricorda, come anche lo ricorda
agli altri in rapporto con lui, che tutto ciò che lo distingue non
è un di più di dignità, ma una speciale e complementare
abilitazione al servizio (...).Così, i carismi, i ministeri, gli
incarichi ed i servizi del Fedele Laico esistono nella comunione e per
la comunione. Sono ricchezze complementari a favore di tutti, sotto la
saggia guida dei Pastori»(63). I ministeri e i carismi,
doni dello Spirito alla Chiesa 21. Il Concilio Vaticano II
presenta i ministeri e i carismi come doni dello Spirito Santo per
l'edificazione del Corpo di Cristo e per la sua missione di salvezza
nel mondo(64). La Chiesa, infatti, è diretta e guidata dallo Spirito
che elargisce diversi doni gerarchici e carismatici a tutti i
battezzati chiamandoli ad essere, ciascuno a suo modo, attivi e
corresponsabili. Consideriamo ora i ministeri e i
carismi in diretto riferimento ai fedeli laici e alla loro
partecipazione alla vita della Chiesa-Comunione. Ministeri, uffici e funzioni I ministeri presenti e operanti
nella Chiesa sono tutti, anche se in modalità diverse, una
partecipazione al ministero di Gesù Cristo, il buon Pastore che dà
la vita per le sue pecore (cf. Gv 10, 11 ), il servo umile e
totalmente sacrificato per la salvezza di tutti (cf. Mc 10,
45). Paolo è oltremodo chiaro nel parlare della costituzione
ministeriale delle Chiese apostoliche. Nella Prima Lettera ai Corinzi
scrive: «Alcuni Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come
apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri
(...)» (1 Cor 12, 28). Nella Lettera agli Efesini
leggiamo: «A ciascuno di noi è stata data la grazia secondo la
misura del dono di Cristo (...). E' lui che ha dato da una parte gli
apostoli, d'altra parte i profeti, gli evangelisti, i pastori e i
maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al
fine di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all'unità
della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo
perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo» (Ef
4, 7. 11-13; cf. Rom 12, 4-8). Come appare da questi e da altri
testi del Nuovo Testamento, i ministeri, come pure i doni e i compiti
ecclesiali, sono molteplici e diversi. I ministeri derivanti
dall'Ordine 22. Nella Chiesa si trovano in
primo luogo, i ministeri ordinati, ossia i ministeri che
derivano dal sacramento dell'Ordine. Il Signore Gesù, infatti, ha
scelto e costituito gli Apostoli, seme del Popolo della Nuova Alleanza
e origine della sacra Gerarchia(65), affidando loro il mandato di fare
discepole tutte le genti (cf. Mt 28, 19), di formare e di
reggere il popolo sacerdotale. La missione degli Apostoli, che il
Signore Gesù continua a trasmettere ai pastori del suo popolo, è un
vero servizio, significativamente chiamato nella Sacra Scrittura «diakonia»,
ossia servizio, ministero. Nella ininterrotta successione
apostolica i ministri ricevono il carisma dello Spirito Santo dal
Cristo Risorto mediante il sacramento dell'Ordine: ricevono così
l'autorità e il potere sacro di agire «in persona Christi Capitis»
(nella persona di Cristo Capo)(66) per servire la Chiesa e per
radunarla nello Spirito Santo per mezzo del Vangelo e dei sacramenti. I ministeri ordinati, prima ancora
che per le persone che li ricevono, sono una grazia per l'intera
Chiesa. Essi esprimono e attuano una partecipazione al sacerdozio di
Gesù Cristo che è diversa, non solo per grado ma per essenza, dalla
partecipazione donata con il Battesimo e con la Confermazione a tutti
i fedeli. D'altra parte il sacerdozio ministeriale, come ha ricordato
il Concilio Vaticano II, è essenzialmente finalizzato al sacerdozio
regale di tutti i fedeli e ad esso ordinato(67). Per questo, per assicurare e per
far crescere la comunione nella Chiesa, in particolare nell'ambito dei
diversi e complementari ministeri, i pastori devono riconoscere che il
loro ministero è radicalmente ordinato al servizio di tutto il Popolo
di Dio (cf. Eb 5, 1), e, a loro volta, i fedeli laici
devono riconoscere che il sacerdozio ministeriale è del tutto
necessario per la loro vita e per la loro partecipazione alla missione
nella Chiesa(68). Ministeri, uffici e funzioni
dei laici 23. La missione salvifica della
Chiesa nel mondo è attuata non solo dai ministri in virtù del
sacramento dell'Ordine ma anche da tutti i fedeli laici: questi,
infatti, in virtù della loro condizione battesimale e della loro
specifica vocazione, nella misura a ciascuno propria, partecipano
all'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo. I pastori, pertanto, devono
riconoscere e promuovere i ministeri, gli uffici e le funzioni dei
fedeli laici, che hanno il loro fondamento sacramentale nel
Battesimo e nella Confermazione, nonché, per molti di loro, nel
Matrimonio. Quando poi la necessità o
l'utilità della Chiesa lo esige, i pastori possono affidare ai fedeli
laici, secondo le norme stabilite dal diritto universale, alcuni
compiti che sono connessi con il loro proprio ministero di pastori ma
che non esigono il carattere dell'Ordine. Il Codice di Diritto
Canonico scrive: «Ove le necessità della Chiesa lo suggeriscano, in
mancanza di ministri, anche i laici, pur senza essere lettori o
accoliti, possono supplire alcuni dei loro uffici, cioè esercitare il
ministero della parola, presiedere alle preghiere liturgiche,
amministrare il Battesimo e distribuire la sacra Comunione, secondo le
disposizioni del diritto»(69).L'esercizio però di questi
compiti non fa del fedele laico un pastore: in realtà non è il
compito a costituire il ministero, bensì l'ordinazione sacramentale.
Solo il sacramento dell'Ordine attribuisce al ministero ordinato una
peculiare partecipazione all'ufficio di Cristo Capo e Pastore e al suo
sacerdozio eterno(70). Il compito esercitato in veste di supplente
deriva la sua legittimazione immediatamente e formalmente dalla
deputazione ufficiale data dai pastori, e nella sua concreta
attuazione è diretto dall'autorità ecclesiastica(71). La recente Assemblea del Sinodo ha
presentato un ampio e significativo panorama della situazione
ecclesiale circa i ministeri, gli uffici e le funzioni dei battezzati.
I Padri hanno vivamente apprezzato l'apporto apostolico dei fedeli
laici, uomini e donne, in favore dell'evangelizzazione, della
santificazione e dell'animazione cristiana delle realtà temporali,
come pure la loro generosa disponibilità alla supplenza in situazioni
di emergenza e di croniche necessità(72). In seguito al rinnovamento
liturgico promosso dal Concilio, gli stessi fedeli laici hanno
acquisito più viva coscienza dei loro compiti nell'assemblea
liturgica e nella sua preparazione, e si sono resi ampiamente
disponibili a svolgerli: la celebrazione liturgica, infatti, è
un'azione sacra non soltanto del clero, ma di tutta l'assemblea. E'
naturale, pertanto, che i compiti non propri dei ministri ordinati
siano svolti dai fedeli laici(73). Il passaggio poi da un effettivo
coinvolgimento dei fedeli laici nell'azione liturgica a quello
nell'annuncio della Parola di Dio e nella cura pastorale è stato
spontaneo(74). Nella stessa Assemblea sinodale
non sono mancati però, insieme a quelli positivi, giudizi critici
circa l'uso troppo indiscriminato del termine «ministero», la
confusione e talvolta il livellamento tra il sacerdozio comune e il
sacerdozio ministeriale, la scarsa osservanza di certe leggi e norme
ecclesiastiche, l'interpretazione arbitraria del concetto di «supplenza»,
la tendenza alla «clericalizzazione» dei fedeli laici e il rischio
di creare di fatto una struttura ecclesiale di servizio parallela a
quella fondata sul sacramento dell'Ordine. Proprio per superare questi
pericoli i Padri sinodali hanno insistito sulla necessità che siano
espresse con chiarezza, anche servendosi di una terminologia più
precisa(75), l'unità di missione della Chiesa, alla quale
partecipano tutti i battezzati, ed insieme l'essenziale diversità
di ministero dei pastori, radicato nel sacramento dell'Ordine,
rispetto agli altri ministeri, uffici e funzioni ecclesiali, che sono
radicati nei sacramenti del Battesimo e della Confermazione. E' necessario allora, in primo
luogo, che i pastori, nel riconoscere e nel conferire ai fedeli laici
i vari ministeri, uffici e funzioni, abbiano la massima cura di
instruirli sulla radice battesimale di questi compiti. E' necessario
poi che i pastori siano vigilanti perché si eviti un facile ed
abusivo ricorso a presunte «situazioni di emergenza» o di «necessaria
supplenza», là dove obiettivamente non esistono o là dove è
possibile ovviarvi con una programmazione pastorale più razionale. I vari ministeri, uffici e
funzioni che i fedeli laici possono legittimamente svolgere nella
liturgia, nella trasmissione della fede e nelle strutture pastorali
della Chiesa, dovranno essere esercitati in conformità alla loro
specifica vocazione laicale, diversa da quella dei sacri ministri.
In tal senso, l'Esortazione Evangelii nuntiandi, che tanta e
benefica parte ha avuto nello stimolare la diversificata
collaborazione dei fedeli laici alla vita e alla missione
evangelizzatrice della Chiesa, ricorda che «il campo proprio della
loro attività evangelizzatrice è il mondo vasto e complicato della
politica, della realtà sociale, dell'economia; così pure della
cultura, delle scienze e delle arti, della vita internazionale, degli
strumenti della comunicazione sociale; ed anche di altre realtà
particolarmente aperte all'evangelizzazione, quali l'amore, la
famiglia, l'educazione dei bambini e degli adolescenti, il lavoro
professionale, la sofferenza. Più ci saranno laici penetrati di
spirito evangelico, responsabili di queste realtà ed esplicitamente
impegnati in esse, competenti nel promuoverle e consapevoli di dover
sviluppare tutta la loro capacità cristiana spesso tenuta nascosta e
soffocata, tanto più queste realtà, senza nulla perdere né
sacrificare del loro coefficiente umano, ma manifestando una
dimensione trascendente spesso sconosciuta, si troveranno al servizio
dell'edificazione del Regno di Dio, e quindi della salvezza in Gesù
Cristo»(76). Durante i lavori del Sinodo i
Padri hanno dedicato non poca attenzione al Lettorato e all'Accolitato.
Mentre in passato esistevano nella Chiesa Latina soltanto come
tappe spirituali dell'itinerario verso i ministeri ordinati, con il
Motu proprio di Paolo VI Ministeria quaedam (15Agosto 1972)
essi hanno ricevuto una loro autonomia e stabilità, come pure una
loro possibile destinazione agli stessi fedeli laici, sia pure
soltanto uomini. Nello stesso senso si è espresso il nuovo Codice di
Diritto Canonico(77). Ora i Padri sinodali hanno espresso il desiderio
che «il Motu proprio "Ministeria quaedam" sia rivisto,
tenendo conto dell'uso delle Chiese locali e soprattutto indicando i
criteri secondo cui debbano essere scelti i destinatari di ciascun
ministero»(78). In tal senso è stata costituita
un'apposita Commissione non solo per rispondere a questo desiderio
espresso dai Padri sinodali, ma anche e ancor più per studiare in
modo approfondito i diversi problemi teologici, liturgici, giuridici e
pastorali sollevati dall'attuale grande fioritura di ministeri
affidati ai fedeli laici. In attesa che la Commissione
concluda il suo studio, perché la prassi ecclesiale dei ministeri
affidati ai fedeli laici risulti ordinata e fruttuosa, dovranno essere
fedelmente rispettati da tutte le Chiese particolari i principi
teologici sopra ricordati, in particolare la diversità essenziale tra
il sacerdozio ministeriale e il sacerdozio comune e, conseguentemente,
la diversità tra i ministeri derivanti dal sacramento dell'Ordine e i
ministeri derivanti dai sacramenti del Battesimo e della
Confermazione. I carismi 24. Lo Spirito Santo, mentre
affida alla Chiesa-Comunione i diversi ministeri, l'arricchisce di
altri particolari doni e impulsi, chiamati carismi. Possono
assumere le forme più diverse, sia come espressione dell'assoluta
libertà dello Spirito che li elargisce, sia come risposta alle
esigenze molteplici della storia della Chiesa. La descrizione e la
classificazione che di questi doni fanno i testi del Nuovo Testamento
sono un segno della loro grande varietà: «E a ciascuno è data una
manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune: a uno
viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro
invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio di scienza; a
uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; a un altro il dono di far
guarigioni per mezzo dell'unico Spirito; a uno il potere dei miracoli,
a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di distinguere
gli spiriti; a un altro le varietà delle lingue; a un altro infine
l'interpretazione delle lingue» (1 Cor 12, 7-10; cf. 1 Cor
12, 4-6. 28-31; Rom 12, 6-8; 1 Pt 4, 10-11). Straordinari o semplici e umili, i
carismi sono grazie dello Spirito Santo che hanno, direttamente
o indirettamente, un'utilità ecclesiale, ordinati come sono
all'edificazione della Chiesa, al bene degli uomini e alle necessità
del mondo. Anche ai nostri tempi non manca la
fioritura di diversi carismi tra i fedeli laici, uomini e donne. Sono
dati alla persona singola, ma possono anche essere condivisi da altri
e in tal modo vengono continuati nel tempo come una preziosa e viva
eredità, che genera una particolare affinità spirituale tra le
persone. Proprio in riferimento all'apostolato dei laici il Concilio
Vaticano II scrive: «Per l'esercizio di tale apostolato lo Spirito
Santo, che opera la santificazione del Popolo di Dio per mezzo del
ministero e dei sacramenti, elargisce ai fedeli anche dei doni
particolari (cf. 1 Cor 12, 7), "distribuendoli a
ciascuno come vuole" (1 Cor 12, 11), affinché,
"mettendo ciascuno a servizio degli altri la grazia
ricevuta", contribuiscano anch'essi, "come buoni
dispensatori delle diverse grazie ricevute da Dio" (1 Pt
4, 10), alla edificazione di tutto il corpo nella carità (cf. Ef 4,
16)»(79). Nella logica dell'originaria
donazione da cui sono scaturiti, i doni dello Spirito esigono che
quanti li hanno ricevuti li esercitino per la crescita di tutta la
Chiesa, come ci ricorda il Concilio(80). I carismi vanno accolti con
gratitudine: da parte di chi li riceve, ma anche da parte di tutti
nella Chiesa. Sono, infatti, una singolare ricchezza di grazia per la
vitalità apostolica e per la santità dell'intero Corpo di Cristo:
purché siano doni che derivino veramente dallo Spirito e vengano
esercitati in piena conformità agli impulsi autentici dello Spirito.
In tal senso si rende sempre necessario il discernimento dei
carismi. In realtà, come hanno detto i Padri sinodali, «l'azione
dello Spirito Santo, che soffia dove vuole, non è sempre facile da
riconoscere e da accogliere. Sappiamo che Dio agisce in tutti i fedeli
cristiani e siamo coscienti dei benefici che vengono dai carismi sia
per i singoli sia per tutta la comunità cristiana. Tuttavia, siamo
anche coscienti della potenza del peccato e dei suoi sforzi per
turbare e per confondere la vita dei fedeli e della comunità»(81). Per questo nessun carisma dispensa
dal riferimento e dalla sottomissione ai Pastori della Chiesa. Con
chiare parole il Concilio scrive: «Il giudizio sulla loro (dei
carismi) genuinità e sul loro esercizio ordinato appartiene a quelli
che presiedono nella Chiesa, ai quali spetta specialmente, non di
estinguere lo Spirito, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è
buono (cf. 1 Tess 5, 12 e 19-21)»(82), affinché tutti i
carismi cooperino, nella loro diversità e complementarietà, al bene
comune(83). La pertecipazione dei fedeli
laici alla vita della Chiesa 25. I fedeli laici partecipano
alla vita della Chiesa non solo mettendo in opera i loro compiti e
carismi, ma anche in molti altri modi. Tale partecipazione trova la sua
prima e necessaria espressione nella vita e missione delle Chiese
particolari, delle diocesi, nelle quali «è veramente presente e
agisce la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica»(84). Chiese particolari e Chiesa
universale Per un'adeguata partecipazione
alla vita ecclesiale è del tutto urgente che i fedeli laici abbiano
una visione chiara e precisa della Chiesa particolare nel suo
originale legame con la Chiesa universale. La Chiesa particolare
non nasce da una specie di frammentazione della Chiesa universale, né
la Chiesa universale viene costituita dalla semplice somma delle
Chiese particolari; ma un vivo, essenziale e costante vincolo le
unisce tra loro, in quanto la Chiesa universale esiste e si manifesta
nelle Chiese particolari. Per questo il Concilio dice che le Chiese
particolari sono «formate a immagine della Chiesa universale, nelle
quali e a partire dalle quali esiste la sola e unica Chiesa cattolica»(85). Lo stesso Concilio stimola con
forza i fedeli laici a vivere operosamente la loro appartenenza alla
Chiesa particolare, assumendo nello stesso tempo un respiro sempre più
«cattolico»: «Coltivino costantemente _ leggiamo nel Decreto
sull'apostolato dei laici _ il senso della diocesi, di cui la
parrocchia è come una cellula, sempre pronti, all'invito del loro
Pastore, ad unire anche le proprie forze alle iniziative diocesane.
Anzi, per venire incontro alle necessità delle città e delle zone
rurali, non limitino la loro propria cooperazione entro i confini
della parrocchia o della diocesi, ma procurino di allargarla
all'ambito interparrocchiale, interdiocesano, nazionale o
internazionale, tanto più che il crescente spostamento delle
popolazioni, lo sviluppo delle mutue relazioni e la facilità delle
comunicazioni non consentono più ad alcuna parte della società di
rimanere chiusa in se stessa. Così abbiano a cuore le necessità del
Popolo di Dio sparso su tutta la terra»(86). Il recente Sinodo ha chiesto, in
tal senso, che si favorisca la creazione dei Cansigli Pastorali
diocesani, ai quali ricorrere secondo le opportunità. Si tratta,
in realtà, della principale forma di collaborazione e di dialogo,
come pure di discernimento, a livello diocesano. La partecipazione dei
fedeli laici a questi Consigli potrà ampliare il ricorso alla
consultazione e il principio della collaborazione _ che in certi casi
è anche di decisione _ verrà applicato in un modo più esteso e
forte(87). La partecipazione dei fedeli laici
nei Sinodi diocesani e nei Concili particolari, provinciali
o plenari, è prevista dal Codice di Diritto Canonico(88); essa potrà
contribuire alla comunione e alla missione ecclesiale della Chiesa
particolare, sia nel suo proprio ambito sia in relazione con le altre
Chiese particolari della provincia ecclesiastica o della Conferenza
Episcopale. Le Conferenze Episcopali sono
chiamate a valutare il modo più opportuno di sviluppare, a livello
nazionale o regionale, la consultazione e la collaborazione dei fedeli
laici, uomini e donne: si potranno così soppesare bene i problemi
comuni e meglio si manifesterà la comunione ecclesiale di tutti(89). La parrocchia 26. La comunione ecclesiale, pur
avendo sempre una dimensione universale, trova la sua espressione più
immediata e visibile nella parrocchia: essa è l'ultima
localizzazione della Chiesa, è in un certo senso la Chiesa stessa
che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie(90). E' necessario che tutti
riscopriamo, nella fede, il vero volto della parrocchia, ossia il «mistero»
stesso della Chiesa presente e operante in essa: anche se a volte
povera di persone e di mezzi, anche se altre volte dispersa su
territori quanto mai vasti o quasi introvabile all'interno di popolosi
e caotici quartieri moderni, la parrocchia non è principalmente una
struttura, un territorio, un edificio; è piuttosto «la famiglia di
Dio, come una fraternità animata dallo spirito d'unità»(91), è «una
casa di famiglia, fraterna ed accogliente»(92), è la «comunità di
fedeli»(93). In definitiva, la parrocchia è fondata su di una realtà
teologica, perché essa è unacomunità eucaristica(94). Ciò
significa che essa è una comunità idonea a celebrare l'Eucaristia,
nella quale stanno la radice viva del suo edificarsi e il vincolo
sacramentale del suo essere in piena comunione con tutta la Chiesa.
Tale idoneità si radica nel fatto che la parrocchia è una comunità
di fede e una comunità organica, ossia costituita
dai ministri ordinati e dagli altri cristiani, nella quale il parroco
_ che rappresenta il Vescovo diocesano(95) _ è il vincolo gerarchico
con tutta la Chiesa particolare. E' certamente immane il compito
della Chiesa ai nostri giorni e ad assolverlo non può certo bastare
la parrocchia da sola. Per questo il Codice di Diritto Canonico
prevede forme di collaborazione tra parrocchie nell'ambito del
territorio(96) e raccomanda al Vescovo la cura di tutte le categorie
di fedeli, anche di quelle che non sono raggiunte dalla cura pastorale
ordinaria(97). Infatti, molti luoghi e forme di presenza e di azione
sono necessari per recare la parola e la grazia del Vangelo nelle
svariate condizioni di vita degli uomini d'oggi, e molte altre
funzioni di irradiazione religiosa e d'apostolato d'ambiente, nel
campo culturale, sociale, educativo, professionale, ecc., non possono
avere come centro o punto di partenza la parrocchia. Eppure anche oggi
la parrocchia vive una nuova e promettente stagione. Come diceva Paolo
VI, all'inizio del suo pontificato, rivolgendosi al Clero romano: «Crediamo
semplicemente che questa antica e venerata struttura della parrocchia
ha una missione indispensabile e di grande attualità; ad essa spetta
creare la prima comunità del popolo cristiano; ad essa iniziare e
raccogliere il popolo nella normale espressione della vita liturgica;
ad essa conservare e ravvivare la fede nella gente d'oggi; ad essa
fornirle la scuola della dottrina salvatrice di Cristo; ad essa
praticare nel sentimento e nell'opera l'umile carità delle opere
buone e fraterne»(98). I Padri sinodali, dal canto loro,
hanno attentamente considerato l'attuale situazione di molte
parrocchie, sollecitando un loro più deciso rinnovamento : «Molte
parrocchie, sia in regioni urbanizzate sia in territorio missionario,
non possono funzionare con pienezza effettiva per la mancanza di mezzi
materiali o di uomini ordinati, o anche per l'eccessiva estensione
geografica e per la speciale condizione di alcuni cristiani (come, per
esempio, gli esuli e gli emigranti). Perché tutte queste parrocchie
siano veramente comunità cristiane, le autorità locali devono
favorire: a) l'adattamento delle strutture parrocchiali con la
flessibilità ampia concessa dal Diritto Canonico, soprattutto
promuovendo la partecipazione dei laici alle responsabilità
pastorali; b) le piccole comunità ecclesiali di base, dette
anche comunità vive, dove i fedeli possano comunicarsi a vicenda la
Parola di Dio ed esprimersi nel servizio e nell'amore; queste comunità
sono vere espressioni della comunione ecclesiale e centri di
evangelizzazione, in comunione con i loro Pastori»(99). Per il
rinnovamento delle parrocchie e per meglio assicurare la loro
efficacia operativa si devono favorire forme anche istituzionali di
cooperazione tra le diverse parrocchie di un medesimo territorio. L'impegno apostolico nella
parrocchia 27. E' necessario ora considerare
più da vicino la comunione e la partecipazione dei fedeli laici alla
vita della parrocchia. In tal senso è da richiamarsi l'attenzione di
tutti i fedeli laici, uomini e donne, su di una parola tanto vera,
significativa e stimolante del Concilio: «All'interno delle comunità
della Chiesa _ leggiamo nel Decreto sull'apostolato dei laici _ la
loro azione è talmente necessaria che senza di essa lo stesso
apostolato dei pastori non può per lo più raggiungere la sua piena
efficacia»(100). E', questa, un'affermazione radicale, che dev'essere
evidentemente intesa nella luce della «ecclesiologia di comunione»:
essendo diversi e complementari, i ministeri e i carismi sono tutti
necessari alla crescita della Chiesa, ciascuno secondo la propria
modalità. I fedeli laici devono essere
sempre più convinti del particolare significato che assume l'impegno
apostolico nella loro parrocchia. E' ancora il Concilio a rilevarlo
autorevolmente: «La parrocchia offre un luminoso esempio di
apostolato comunitario, fondendo insieme tutte le differenze umane che
vi si trovano e inserendole nell'universalità della Chiesa. Si
abituino i laici a lavorare nella parrocchia intimamente uniti ai loro
sacerdoti, ad esporre alla comunità della Chiesa i propri problemi e
quelli del mondo e le questioni che riguardano la salvezza degli
uomini, perché siano esaminati e risolti con il concorso di tutti; a
dare, secondo le proprie possibilità, il loro contributo ad ogni
iniziativa apostolica e missionaria della propria famiglia
ecclesiastica»(101). L'accenno conciliare all'esame e
alla risoluzione dei problemi pastorali «con il concorso di tutti»
deve trovare il suo adeguato e strutturato sviluppo nella
valorizzazione più convinta, ampia e decisa dei Consigli pastorali
parrocchiali, sui quali hanno giustamente insistito i Padri
sinodali(102). Nelle circostanze attuali i fedeli
laici possono e devono fare moltissimo per la crescita di un'autentica
comunione ecclesiale all'interno delle loro parrocchie e per
ridestare lo slancio missionario verso i non credenti e verso
gli stessi credenti che hanno abbandonato o affievolito la pratica
della vita cristiana. Se la parrocchia è la Chiesa
posta in mezzo alle case degli uomini, essa vive e opera profondamente
inserita nella società umana e intimamente solidale con le sue
aspirazioni e i suoi drammi. Spesso il contesto sociale, soprattutto
in certi paesi e ambienti, è violentemente scosso da forze di
disgregazione e di disumanizzazione: l'uomo è smarrito e
disorientato, ma nel cuore gli rimane sempre più il desiderio di
poter sperimentare e coltivare rapporti più fraterni e più umani La
risposta a tale desiderio può venire dalla parrocchia, quando questa,
con la viva partecipazione dei fedeli laici, rimane coerente alla sua
originaria vocazione e missione: essere nel mondo «luogo» della
comunione dei credenti e insieme «segno» e «strumento» della
vocazione di tutti alla comunione; in una parola, essere la casa
aperta a tutti e al servizio di tutti o, come amava dire il Papa
Giovanni XXIII, la fontana del villaggio alla quale tutti
ricorrono per la loro sete. Forme di partecipazione
nella vita della Chiesa 28. I fedeli laici, unitamente ai
sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, formano l'unico Popolo di
Dio e Corpo di Cristo. L'essere «membri» della Chiesa
nulla toglie al fatto che ciascun cristiano sia un essere «unico e
irripetibile», bensì garantisce e promuove il senso più profondo
della sua unicità e irripetibilità, in quanto fonte di varietà e di
ricchezza per l'intera Chiesa. In tal senso Dio in Gesù Cristo chiama
ciascuno col proprio inconfondibile nome. L'appello del Signore: «Andate
anche voi nella mia vigna» si rivolge a ciascuno personalmente e
suona: «Vieni anche tu nella mia vigna!». Così ciascuno nella sua unicità
e irripetibilità, con il suo essere e con il suo agire, si pone al
servizio della crescita della comunione ecclesiale, come peraltro
singolarmente riceve e fa sua la comune ricchezza di tutta la Chiesa.
E' questa la «Comunione dei Santi», da noi professata nel Credo: il bene
di tutti diventa il bene di ciascuno e il bene di ciascuno diventa il
bene di tutti. «Nella santa Chiesa _ scrive San Gregorio Magno _
ognuno è sostegno degli altri e gli altri sono suo sostegno»(103). Forme personali di
partecipazione E' del tutto necessario che
ciascun fedele laico abbia sempre viva coscienza di essere un «membro
della Chiesa», al quale è affidato un compito originale
insostituibile e indelegabile, da svolgere per il bene di tutti. In
una simile prospettiva assume tutto il suo significato l'affermazione
conciliare circa l'assoluta necessità dell'apostolato della
singola persona: «L'apostolato che i singoli devono svolgere,
sgorgando abbondantemente dalla fonte di una vita veramente cristiana
(cf. Gv 4, 14), è la prima forma e la condizione di ogni
apostolato dei laici, anche di quello associato, ed è insostituibile.
A tale apostolato, sempre e dovunque proficuo, ma in certe circostanze
l'unico adatto e possibile, sono chiamati e obbligati tutti i laici,
di qualsiasi condizione, anche se manca loro l'occasione o la
possibilità di collaborare nelle associazioni»(104). Nell'apostolato personale ci sono
grandi ricchezze che chiedono di essere scoperte per
un'intensificazione del dinamismo missionario di ciascun fedele laico.
Con tale forma di apostolato, l'irradiazione del Vangelo può farsi
quanto mai capillare, giungendo a tanti luoghi e ambienti
quanti sono quelli legati alla vita quotidiana e concreta dei laici.
Si tratta, inoltre, di un'irradiazione costante, essendo legata
alla continua coerenza della vita personale con la fede; come pure di
un'irradiazione particolarmente incisiva, perché, nella piena
condivisione delle condizioni di vita, del lavoro, delle difficoltà e
speranze dei fratelli, i fedeli laici possono giungere al cuore dei
loro vicini o amici o colleghi, aprendolo all'orizzonte totale, al
senso pieno dell'esistenza: la comunione con Dio e tra gli uomini. Forme aggregative di
partecipazione 29. La comunione ecclesiale, già
presente e operante nell'azione della singola persona, trova una sua
specifica espressione nell'operare associato dei fedeli laici, ossia
nell'azione solidale da essi svolta nel partecipare responsabilmente
alla vita e alla missione della Chiesa. In questi ultimi tempi il fenomeno
dell'aggregarsi dei laici tra loro è venuto ad assumere caratteri di
particolare varietà e vivacità. Se sempre nella storia della Chiesa
l'aggregarsi dei fedeli ha rappresentato in qualche modo una linea
costante, come testimoniano sino ad oggi le varie confraternite, i
terzi ordini e i diversi sodalizi, esso ha però ricevuto uno speciale
impulso nei tempi moderni, che hanno visto il nascere e il diffondersi
di molteplici forme aggregative: associazioni, gruppi, comunità,
movimenti. Possiamo parlare di una nuova stagione aggregativa dei
fedeli laici. Infatti, «accanto all'associazionismo tradizionale, e
talvolta alle sue stesse radici, sono germogliati movimenti e sodalizi
nuovi, con fisionomia e finalità specifiche: tanta è la ricchezza e
la versatilità delle risorse che lo Spirito alimenta nel tessuto
ecclesiale, e tanta è pure la capacità d'iniziativa e la generosità
del nostro laicato»(105). Queste aggregazioni di laici si
presentano spesso assai diverse le une dalle altre in vari
aspetti, come la configurazione esteriore, i cammini e metodi
educativi, e i campi operativi. Trovano però le linee di un'ampia e profonda
convergenza nella finalità che le anima: quella di partecipare
responsabilmente alla missione della Chiesa di portare il Vangelo di
Cristo come fonte di speranza per l'uomo e di rinnovamento per la
società. L'aggregarsi dei fedeli laici per
motivi spirituali e apostolici scaturisce da più fonti e corrisponde
ad esigenze diverse: esprime, infatti, la natura sociale della persona
e obbedisce all'istanza di una più vasta ed incisiva efficacia
operativa. In realtà, l'incidenza «culturale», sorgente e stimolo
ma anche frutto e segno di ogni altra trasformazione dell'ambiente e
della società, può realizzarsi solo con l'opera non tanto dei
singoli quanto di un «soggetto sociale», ossia di un gruppo, di una
comunità, di un'associazione, di un movimento. Ciò è
particolarmente vero nel contesto della società pluralistica e
frantumata _ com'è quella attuale in tante parti del mondo _ e di
fronte a problemi divenuti enormemente complessi e difficili. D'altra
parte, soprattutto in un mondo secolarizzato, le varie forme
aggregative possono rappresentare per tanti un aiuto prezioso per una
vita cristiana coerente alle esigenze del Vangelo e per un impegno
missionario e apostolico. Al di là di questi motivi, la
ragione profonda che giustifica ed esige l'aggregarsi dei fedeli laici
è di ordine teologico: è una ragione ecclesiologica, come
apertamente riconosce il Concilio Vaticano II che indica
nell'apostolato associato un «segno della comunione e dell'unità
della Chiesa in Cristo»(106). E' un «segno» che deve
manifestarsi nei rapporti di «comunione» sia all'interno che
all'esterno delle varie forme aggregative nel più ampio contesto
della comunità cristiana. Proprio la ragione ecclesiologica indicata
spiega, da un lato il «diritto» di aggregazione proprio dei fedeli
laici, dall'altro lato la necessità di «criteri» di discernimento
circa l'autenticità ecclesiale delle loro forme aggregative. E' anzitutto da riconoscersi la libertà
associativa dei fedeli laici nella Chiesa. Tale libertà è un
vero e proprio diritto che non deriva da una specie di «concessione»
dell'autorità, ma che scaturisce dal Battesimo, quale sacramento che
chiama i fedeli laici a partecipare attivamente alla comunione e alla
missione della Chiesa. Al riguardo è del tutto chiaro il Concilio: «Salva
la dovuta relazione con l'autorità ecclesiastica, i laici hanno il
diritto di creare e guidare associazioni e dare nome a quelle fondate»(107).
E il recente Codice testualmente afferma: «I fedeli hanno il diritto
di fondare e di dirigere liberamente associazioni che si propongano un
fine di carità o di pietà, oppure associazioni che si propongano
l'incremento della vocazione cristiana nel mondo; hanno anche il
diritto di tenere riunioni per il raggiungimento comune di tali
finalità»(108). Si tratta di una libertà
riconosciuta e garantita dall'autorità ecclesiastica e che dev'essere
esercitata sempre e solo nella comunione della Chiesa: in tal senso il
diritto dei fedeli laici ad aggregarsi è essenzialmente relativo alla
vita di comunione e alla missione della Chiesa stessa. Criteri di ecclesialità per
le aggregazioni laicali 30. E' sempre nella prospettiva
della comunione e della missione della Chiesa, e dunque non in
contrasto con la libertà associativa, che si comprende la necessità
di criteri chiari e precisi di discernimento e di riconoscimento delle
aggregazioni laicali, detti anche «criteri di ecclesialità». Come criteri fondamentali per il
discernimento di ogni e qualsiasi aggregazione dei fedeli laici nella
Chiesa si possono considerare, in modo unitario, i seguenti: -Il primato dato alla vocazione
di ogni cristiano alla santità, manifestata «nei frutti della
grazia che lo Spirito produce nei fedeli»(109) come crescita verso la
pienezza della vita cristiana e la perfezione della carità(110). In
tal senso ogni e qualsiasi aggregazione di fedeli laici è chiamata ad
essere sempre più strumento di santità nella Chiesa, favorendo e
incoraggiando «una più intima unità tra la vita pratica dei membri
e la loro fede»(111). -La responsabilità di
confessare la fede cattolica, accogliendo e proclamando la verità
su Cristo, sulla Chiesa e sull'uomo in obbedienza al Magistero della
Chiesa, che autenticamente la interpreta. Per questo ogni aggregazione
di fedeli laici dev'essere luogo di annuncio e di proposta della fede
e di educazione ad essa nel suo integrale contenuto. -La testimonianza di una
comunione salda e convinta, in relazione filiale con il Papa,
perpetuo e visibile centro dell'unità della Chiesa universale(112), e
con il Vescovo «principio visibile e fondamento dell'unità»(113)
della Chiesa particolare, e nella «stima vicendevole fra tutte le
forme di apostolato nella Chiesa»(114). La comunione con il Papa e con il
Vescovo è chiamata ad esprimersi nella leale disponibilità ad
accogliere i loro insegnamenti dottrinali e orientamenti pastorali. La
comunione ecclesiale esige, inoltre, il riconoscimento della legittima
pluralità delle forme aggregative dei fedeli laici nella Chiesa e,
nello stesso tempo, la disponibilità alla loro reciproca
collaborazione. - La conformità e la
partecipazione al fine apostolico della Chiesa, ossia «l'evangelizzazione
e la santificazione degli uomini e la formazione cristiana della loro
coscienza, in modo che riescano a permeare di spirito evangelico le
varie comunità e i vari ambienti»(115). In questa prospettiva, da tutte le
forme aggregative di fedeli laici, e da ciascuna di esse, è richiesto
uno slancio missionario che le renda sempre più soggetti di una nuova
evangelizzazione. - L'impegno di una presenza
nella società umana che, alla luce della dottrina sociale della
Chiesa, si ponga a servizio della dignità integrale dell'uomo. In tal senso le aggregazioni dei
fedeli laici devono diventare correnti vive di partecipazione e di
solidarietà per costruire condizioni più giuste e fraterne
all'interno della società. I criteri fondamentali ora esposti
trovano la loro verifica nei frutti concreti che accompagnano
la vita e le opere delle diverse forme associative quali: il gusto
rinnovato per la preghiera, la contemplazione, la vita liturgica e
sacramentale; l'animazione per il fiorire di vocazioni al matrimonio
cristiano, al sacerdozio ministeriale, alla vita consacrata; la
disponibilità a partecipare ai programmi e alle attività della
Chiesa a livello sia locale sia nazionale o internazionale; l'impegno
catechetico e la capacità pedagogica nel formare i cristiani;
l'impulso a una presenza cristiana nei diversi ambienti della vita
sociale e la creazione e animazione di opere caritative, culturali e
spirituali; lo spirito di distacco e di povertà evangelica per una più
generosa carità verso tutti; la conversione alla vita cristiana o il
ritorno alla comunione di battezzati «lontani». Il servizio dei Pastori per
la comunione 31. I Pastori nella Chiesa, sia
pure di fronte a possibili e comprensibili difficoltà di alcune forme
aggregative e all'imporsi di nuove forme, non possono rinunciare al
servizio della loro autorità, non solo per il bene della Chiesa, ma
anche per il bene delle stesse aggregazioni laicali. In tal senso
devono accompagnare l'opera di discernimento con la guida e
soprattutto con l'incoraggiamento per una crescita delle aggregazioni
dei fedeli laici nella comunione e nella missione della Chiesa. E' oltremodo opportuno che alcune
nuove associazioni e alcuni nuovi movimenti, per la loro diffusione
spesso nazionale o anche internazionale, abbiano a ricevere un riconoscimento
ufficiale, un'approvazione esplicita della competente autorità
ecclesiastica. In questo senso già il Concilio affermava: «L'apostolato
dei laici ammette certo vari tipi di rapporti con la Gerarchia secondo
le diverse forme e oggetti dell'apostolato stesso (...). Alcune forme
di apostolato dei laici vengono in vari modi esplicitamente
riconosciute dalla Gerarchia. L'autorità ecclesiastica, per le
esigenze del bene comune della Chiesa, fra le associazioni e
iniziative apostoliche aventi un fine immediatamente spirituale, può
inoltre sceglierne in modo particolare e promuoverne alcune per le
quali assume una speciale responsabilità»(116). Tra le diverse forme apostoliche
dei laici che hanno un particolare rapporto con la Gerarchia i Padri
sinodali hanno esplicitamente ricordato vari movimenti e associazioni
di Azione Cattolica, in cui «i laici si associano liberamente
in forma organica e stabile, sotto la spinta dello Spirito Santo,
nella comunione con il Vescovo e con i sacerdoti, per poter servire,
nel modo proprio della loro vocazione, con un particolare metodo,
all'incremento di tutta la comunità cristiana, ai progetti pastorali
e all'animazione evangelica di tutti gli ambiti della vita, con fedeltà
e operosità»(117). Il Pontificio Consiglio per i
Laici è incaricato di preparare un elenco delle associazioni che
ricevono l'approvazione ufficiale della Santa Sede e di definire,
insieme al Segretariato per l'Unione dei Cristiani, le condizioni in
base alle quali può essere approvata un'associazione ecumenica in cui
la maggioranza sia cattolica e una minoranza non cattolica, stabilendo
anche in quali casi non si può dare un giudizio positivo(118). Tutti, Pastori e fedeli, siamo
obbligati a favorire e ad alimentare di continuo vincoli e rapporti
fraterni di stima, di cordialità, di collaborazione tra le varie
forme aggregative di laici. Solo così la ricchezza dei doni e dei
carismi che il Signore ci offre può portare il suo fecondo e ordinato
contributo all'edificazione della casa comune: «Per la solidale
edificazione della casa comune è necessario, inoltre, che sia deposto
ogni spirito di antagonismo e di contesa, e che si gareggi piuttosto
nello stimarsi a vicenda (cf. Rom 12, 10), nel prevenirsi
reciprocamente nell'affetto e nella volontà di collaborazione, con la
pazienza, la lungimiranza, la disponibilità al sacrificio che ciò
potrà talvolta comportare»(119). Ritorniamo ancora una volta alle
parole di Gesù: «Io sono la vite, voi i tralci» (Gv 15, 5),
per rendere grazie a Dio del grande dono della comunione
ecclesiale, riflesso nel tempo dell'eterna e ineffabile comunione
d'amore di Dio Uno e Trino. La coscienza del dono si deve accompagnare
ad un forte senso di responsabilità: è, infatti, un dono che,
come il talento evangelico, esige d'essere trafficato in una vita di
crescente comunione. Essere responsabili del dono della
comunione significa, anzitutto, essere impegnati a vincere ogni
tentazione di divisione e di contrapposizione, che insidia la vita e
l'impegno apostolico dei cristiani. Il grido di dolore e di sconcerto
dell'apostolo Paolo: «Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice:
"Io sono di Paolo", "Io invece sono di Apollo",
"E io di Cefa", "E io di Cristo!". Cristo è stato
forse diviso?» (1 Cor 1, 12-13 ) continua a suonare come
rimprovero per le «lacerazioni del Corpo di Cristo». Risuonino,
invece, come appello persuasivo queste altre parole dell'apostolo: «Vi
esorto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, ad
essere unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma
siate in perfetta unione di pensiero e d'intenti» (1 Cor 1,
10). Così la vita di comunione
ecclesiale diventa un segno per il mondo e una forza attrattiva
che conduce a credere in Cristo: «Come tu, Padre, sei in me e io in
te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che
tu mi hai mandato» (Gv 17, 21). In tal modo la comunione si
apre alla missione, si fa essa stessa missione. CAPITOLO
III VI
HO COSTITUITI PERCHÉ ANDIATE E PORTIATE FRUTTO Comunione missionaria 32. Riprendiamo l'immagine biblica
della vite e dei tralci. Essa ci apre, in modo immediato e naturale,
alla considerazione della fecondità e della vita. Radicati e
vivificati dalla vite, i tralci sono chiamati a portare frutto: «Io
sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui fa molto
frutto» (Gv 15, 5). Portare frutto è un'esigenza essenziale
della vita cristiana ed ecclesiale. Chi non porta frutto non rimane
nella comunione: «Ogni tralcio che in me non porta frutto, (il Padre
mio) lo toglie» (Gv 15, 2). La comunione con Gesù, dalla
quale deriva la comunione dei cristiani tra loro, è condizione
assolutamente indispensabile per portare frutto: «Senza di me non
potete far nulla» (Gv 15, 5). E la comunione con gli altri è
il frutto più bello che i tralci possono dare: essa, infatti, è dono
di Cristo e del suo Spirito. Ora la comunione genera
comunione, e si configura essenzialmente come comunione
missionaria. Gesù, infatti, dice ai suoi discepoli: «Non voi
avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché
andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Gv
15, 16). La comunione e la missione sono
profondamente congiunte tra loro, si compenetrano e si implicano
mutuamente, al punto che la comunione rappresenta la sorgente e
insieme il frutto della missione: la comunione è missionaria e la
missione è per la comunione. E' sempre l'unico e identico Spirito
colui che convoca e unisce la Chiesa e colui che la manda a predicare
il Vangelo «fino agli estremi confini della terra» (At 1, 8).
Da parte sua, la Chiesa sa che la comunione, ricevuta in dono, ha una
destinazione universale. Così la Chiesa si sente debitrice all'umanità
intera e a ciascun uomo del dono ricevuto dallo Spirito che effonde
nei cuori dei credenti la carità di Gesù Cristo, prodigiosa forza di
coesione interna ed insieme di espansione esterna. La missione della
Chiesa deriva dalla sua stessa natura, così come Cristo l'ha voluta:
quella di «segno e strumento (...) di unità di tutto il genere umano»(120).
Tale missione ha lo scopo di far conoscere e di far vivere a tutti la
«nuova» comunione che nel Figlio di Dio fatto uomo è entrata nella
storia del mondo. In tal senso la testimonianza dell'evangelista
Giovanni definisce oramai in modo irrevocabile il termine beatificante
al quale punta l'intera missione della Chiesa: «Quello che abbiamo
veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate
in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio
suo Gesù Cristo» (1 Gv 1, 3). Ora nel contesto della missione
della Chiesa il Signore affida ai fedeli laici, in comunione con
tutti gli altri membri del Popolo di Dio, una grande parte di
responsabilità. Ne erano pienamente consapevoli i Padri del
Concilio Vaticano II: «I sacri Pastori, infatti, sanno benissimo
quanto contribuiscano i laici al bene di tutta la Chiesa. Sanno di non
essere stati istituiti da Cristo per assumersi da soli tutta la
missione della salvezza che la Chiesa ha ricevuto nei confronti del
mondo, ma che il loro magnifico incarico è di pascere i fedeli e di
riconoscere i loro servizi e i loro carismi, in modo che tutti
concordemente cooperino, nella loro misura, all'opera comune»(121).
La loro consapevolezza è ritornata poi, con rinnovata chiarezza e con
vigore accresciuto, in tutti i lavori del Sinodo. Annunciare il Vangelo 33. I fedeli laici, proprio perché
membri della Chiesa, hanno la vocazione e la missione di essere
annunciatori del Vangelo: per quest'opera sono abilitati e impegnati
dai sacramenti dell'iniziazione cristiana e dai doni dello Spirito
Santo. Leggiamo in un testo limpido e
denso del Concilio Vaticano II: «In quanto partecipi dell'ufficio di
Cristo sacerdote, profeta e re, i laici hanno la loro parte attiva
nella vita e nell'azione della Chiesa (...). Nutriti dell'attiva
partecipazione alla vita liturgica della propria comunità,
partecipano con sollecitudine alle opere apostoliche della medesima;
conducono alla Chiesa gli uomini che forse ne vivono lontani;
cooperano con dedizione nel comunicare la parola di Dio, specialmente
mediante l'insegnamento del catechismo; mettendo a disposizione la
loro competenza rendono più efficace la cura delle anime ed anche
l'amministrazione dei beni della Chiesa»(122). Ora è nell' evangelizzazione che
si concentra e si dispiega l'intera missione della Chiesa, il cui
cammino storico si snoda sotto la grazia e il comando di Gesù Cristo:
«Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc
16, 15); «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine
del mondo» (Mt 28, 20). «Evangelizzare _ scrive Paolo VI _ è la
grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più
profonda»(123). Dall'evangelizzazione la Chiesa
viene costruita e plasmata come comunità di fede: più
precisamente, come comunità di una fede confessata nell'adesione
alla Parola di Dio, celebrata nei sacramenti, vissuta nella
carità, quale anima dell'esistenza morale cristiana. Infatti, la «buona
novella» tende a suscitare nel cuore e nella vita dell'uomo la
conversione e l'adesione personale a Gesù Cristo Salvatore e Signore;
dispone al Battesimo e all'Eucaristia e si consolida nel proposito e
nella realizzazione della vita nuova secondo lo Spirito. Certamente l'imperativo di Gesù:
«Andate e predicate il Vangelo» mantiene sempre vivo il suo valore
ed è carico di un'urgenza intramontabile. Tuttavia la situazione
attuale, non solo del mondo ma anche di tante parti della Chiesa, esige
assolutamente che la parola di Cristo riceva un'obbedienza più pronta
e generosa. Ogni discepolo è chiamato in prima persona; nessun
discepolo può sottrarsi nel dare la sua propria risposta: «Guai a
me, se non predicassi il Vangelo!» (1 Cor 9, 16). L'ora è venuta per
intraprendere una nuova evangelizzazione 34. Interi paesi e nazioni, dove
la religione e la vita cristiana erano un tempo quanto mai fiorenti e
capaci di dar origine a comunità di fede viva e operosa, sono ora
messi a dura prova, e talvolta sono persino radicalmente trasformati,
dal continuo diffondersi dell'indifferentismo, del secolarismo e
dell'ateismo. Si tratta, in particolare, dei paesi e delle nazioni del
cosiddetto Primo Mondo, nel quale il benessere economico e il
consumismo, anche se frammisti a paurose situazioni di povertà e di
miseria, ispirano e sostengono una vita vissuta «come se Dio non
esistesse». Ora l'indifferenza religiosa e la totale insignificanza
pratica di Dio per i problemi anche gravi della vita non sono meno
preoccupanti ed eversivi rispetto all'ateismo dichiarato. E anche la
fede cristiana, se pure sopravvive in alcune sue manifestazioni
tradizionali e ritualistiche, tende ad essere sradicata dai momenti più
significativi dell'esistenza, quali sono i momenti del nascere, del
soffrire e del morire. Di qui l'imporsi di interrogativi e di enigmi
formidabili che, rimanendo senza risposta, espongono l'uomo
contemporaneo alla delusione sconsolata o alla tentazione di eliminare
la stessa vita umana che quei problemi pone. In altre regioni o nazioni,
invece, si conservano tuttora molto vive tradizioni di pietà e di
religiosità popolare cristiana; ma questo patrimonio morale e
spirituale rischia oggi d'essere disperso sotto l'impatto di
molteplici processi, tra i quali emergono la secolarizzazione e la
diffusione delle sette. Solo una nuova evangelizzazione può
assicurare la crescita di una fede limpida e profonda, capace di fare
di queste tradizioni una forza di autentica libertà. Certamente urge dovunque rifare il
tessuto cristiano della società umana. Ma la condizione è che si
rifaccia il tessuto cristiano delle stesse comunità ecclesiali che
vivono in questi paesi e in queste nazioni. Ora i fedeli laici, in forza della
loro partecipazione all'ufficio profetico di Cristo, sono pienamente
coinvolti in questo compito della Chiesa. Ad essi tocca, in
particolare, testimoniare come la fede cristiana costituisca l'unica
risposta pienamente valida, più o meno coscientemente da tutti
percepita e invocata, dei problemi e delle speranze che la vita pone
ad ogni uomo e ad ogni società. Ciò sarà possibile se i fedeli
laici sapranno superare in se stessi la frattura tra il Vangelo e la
vita, ricomponendo nella loro quotidiana attività in famiglia, sul
lavoro e nella società, l'unità d'una vita che nel Vangelo trova
ispirazione e forza per realizzarsi in pienezza. A tutti gli uomini contemporanei
ripeto, ancora una volta, il grido appassionato con il quale ho
iniziato il mio servizio pastorale: «Non abbiate paura! Aprite,
anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla Sua salvatrice potestà
aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli
politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non
abbiate paura! Cristo sa "cosa è dentro l'uomo". Solo Lui
lo sa! Oggi così spesso l'uomo non sa cosa si porta dentro, nel
profondo del suo animo, del suo cuore. Così spesso è in certo del
senso della sua vita su questa terra. E' invaso dal dubbio che si
tramuta in disperazione. Permettete, quindi _ vi prego, vi imploro con
umiltà e con fiducia _ permettete a Cristo di parlare all'uomo. Solo
Lui ha parole di vita, sì! di vita eterna»(124). Spalancare le porte a Cristo,
accoglierlo nello spazio della propria umanità non è affatto una
minaccia per l'uomo, bensì è l'unica strada da percorrere se si
vuole riconoscere l'uomo nell'intera sua verità ed esaltarlo nei suoi
valori. Sarà la sintesi vitale che i
fedeli laici sapranno operare tra il Vangelo e i doveri quotidiani
della vita la più splendida e convincente testimonianza che, non la
paura, ma la ricerca e l'adesione a Cristo sono il fattore
determinante perché l'uomo viva e cresca, e perché si costituiscano
nuovi modi di vivere più conformi alla dignità umana. L'uomo è amato da Dio! E'
questo il semplicissimo e sconvolgente annuncio del quale la Chiesa è
debitrice all'uomo. La parola e la vita di ciascun cristiano possono e
devono far risuonare questo annuncio: Dio ti ama, Cristo è venuto per
te, per te Cristo è «Via, Verità, Vita!» (Gv 14, 6). Questa nuova evangelizzazione,
rivolta non solo alle singole persone ma anche ad intere fasce di
popolazioni nelle loro varie situazioni, ambienti e culture, è
destinata alla formazione dicomunità ecclesiali mature, nelle
quali cioè la fede sprigioni e realizzi tutto il suo originario
significato di adesione alla persona di Cristo e al suo Vangelo, di
incontro e di comunione sacramentale con Lui, di esistenza vissuta
nella carità e nel servizio. I fedeli laici hanno la loro parte
da compiere nella formazione di simili comunità ecclesiali, non solo
con una partecipazione attiva e responsabile nella vita comunitaria, e
pertanto con la loro insostituibile testimonianza, ma anche con lo
slancio e l'azione missionaria verso quanti ancora non credono o non
vivono più la fede ricevuta con il Battesimo. In rapporto alle nuove generazioni
un contributo prezioso, quanto mai necessario, deve essere offerto dai
fedeli laici con una sistematica opera di catechesi. I Padri
sinodali hanno accolto con gratitudine il lavoro dei catechisti,
riconoscendo che essi «hanno un compito di grande peso
nell'animazione delle comunità ecclesiali»(125). Certamente i
genitori cristiani sono i primi e insostituibili catechisti dei loro
figli, a ciò abilitati dal sacramento del Matrimonio; nello stesso
tempo però dobbiamo essere tutti coscienti del «diritto» che ogni
battezzato ha di venire istruito, educato, accompagnato nella fede e
nella vita cristiana. Andate in tutto il mondo 35. La Chiesa, mentre avverte e
vive l'urgenza attuale di una nuova evangelizzazione, non può
sottrarsi alla missione permanente di portare il Vangelo a quanti _
e sono milioni e milioni di uomini e di donne _ ancora non
conoscono Cristo Redentore dell'uomo. E' questo il compito più
specificamente missionario che Gesù ha affidato e quotidianamente
riaffida alla sua Chiesa. L'opera dei fedeli laici, che
peraltro non è mai mancata in questo ambito, si rivela oggi sempre più
necessaria e preziosa. In realtà, il comando del Signore «Andate in
tutto il mondo» continua a trovare molti laici generosi, pronti a
lasciare il loro ambiente di vita, il loro lavoro, la loro regione o
patria per recarsi, almeno per un determinato tempo, in zone di
missione. Anche coppie di sposi cristiani, a imitazione di Aquila e
Priscilla (cf. At 18; Rom 16, 3 s), vanno offrendo una
confortante testimonianza di amore appassionato a Cristo e alla Chiesa
mediante la loro presenza operosa nelle terre di missione. Autentica
presenza missionaria è anche quella di coloro che, vivendo per vari
motivi in paesi o ambienti dove la Chiesa non è ancora stabilita,
testimoniano la loro fede. Ma il problema missionario si
presenta attualmente alla Chiesa con un'ampiezza e con una gravità
tali che solo un'assunzione veramente solidale di responsabilità da
parte di tutti i membri della Chiesa, sia come singoli sia come
comunità, può far sperare in una risposta più efficace. L'invito che il Concilio Vaticano
II ha rivolto alle Chiese particolari conserva tutto il suo valore,
anzi esige oggi un'accoglienza più generalizzata e più decisa: «La
Chiesa particolare, dovendo rappresentare nel modo più perfetto la
Chiesa universale, abbia la piena coscienza di essere inviata anche a
coloro che non credono in Cristo»(126). La Chiesa deve fare oggi un
grande passo in avanti nella sua evangelizzazione, deve entrare in
una nuova tappa storica del suo dinamismo missionario. In un
mondo che con il crollare delle distanze si fa sempre più piccolo, le
comunità ecclesiali devono collegarsi tra loro, scambiarsi energie e
mezzi, impegnarsi insieme nell'unica e comune missione di annunciare e
di vivere il Vangelo. «Le Chiese cosiddette più giovani _ hanno
detto i Padri sinodali _ abbisognano della forza di quelle antiche,
mentre queste hanno bisogno della testimonianza e della spinta delle
più giovani, in modo che le singole Chiese attingano dalle ricchezze
delle altre Chiese»(127). In questa nuova tappa, la
formazione non solo del clero locale ma anche di un laicato maturo e
responsabile si pone nelle giovani Chiese come elemento essenziale e
irrinunciabile della plantatio Ecclesiae(128). In tal modo le
stesse comunità evangelizzate si slanciano verso nuove contrade del
mondo per rispondere anch'esse alla missione di annunciare e
testimoniare il Vangelo di Cristo. I fedeli laici, con l'esempio
della loro vita e con la propria azione, possono favorire il
miglioramento dei rapporti tra i seguaci delle diverse religioni, come
hanno opportunamente rilevato i Padri sinodali: «Oggi la Chiesa vive
dappertutto in mezzo a uomini di religioni diverse (...). Tutti i
fedeli, specialmente i laici che vivono in mezzo ai popoli di altre
religioni, sia nelle regioni di origine, sia in terre di emigrazione,
debbono essere per costoro un segno del Signore e della sua Chiesa, in
modo adatto alle circostanze di vita di ciascun luogo. Il dialogo tra
le religioni ha un'importanza preminente perché conduce all'amore e
al rispetto reciproco, elimina, o almeno diminuisce, i pregiudizi tra
i seguaci delle diverse religioni e promuove l'unità e l'amicizia tra
i popoli»(129). Per l'evangelizzazione del mondo
occorrono, anzitutto, gli evangelizzatori. Per questo tutti, a
cominciare dalle famiglie cristiane, dobbiamo sentire la responsabilità
di favorire il sorgere e il maturare di vocazioni specificamente
missionarie, sia sacerdotali e religiose sia laicali, ricorrendo
ad ogni mezzo opportuno, senza mai trascurare il mezzo privilegiato
della preghiera, secondo la parola stessa del Signore Gesù: «La
messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone
della messe che mandi operai nella sua messe!» (Mt 9, 37-38). Vivere il Vangelo servendo
la persona e la società 36. Accogliendo e annunciando il
Vangelo nella forza dello Spirito la Chiesa diviene comunità
evangelizzata ed evangelizzante e proprio per questo si fa serva
degli uomini. In essa i fedeli laici partecipano alla missione di
servire la persona e la società. Certamente la Chiesa ha come supremo
fine il Regno di Dio, del quale «costituisce in terra il germe e
l'inizio»(130), ed è quindi totalmente consacrata alla
glorificazione del Padre. Ma il Regno è fonte di liberazione piena e
di salvezza totale per gli uomini: con questi, allora, la Chiesa
cammina e vive, realmente e intimamente solidale con la loro storia. Avendo ricevuto l'incarico di
manifestare al mondo il mistero di Dio che splende in Cristo Gesù, al
tempo stesso la Chiesa svela l'uomo all'uomo, gli fa noto il
senso della sua esistenza, lo apre alla verità intera su di sé e sul
suo destino(131). In questa prospettiva la Chiesa è chiamata, in
forza della sua stessa missione evangelizatrice, a servire l'uomo.
Tale servizio si radica primariamente nel fatto prodigioso e
sconvolgente che «con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in
certo modo a ogni uomo»(132). Per questo l'uomo «è la prima
strada che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua
missione: egli è la prima fondamentale via della Chiesa, via
tracciata da Cristo stesso, via che immutabilmente passa attraverso il
mistero dell'Incarnazione e della Redenzione»(133). Proprio in questo senso si è
espresso, ripetutamente e con singolare chiarezza e forza, il Concilio
Vaticano II nei suoi diversi documenti. Rileggiamo un testo
particolarmente illuminante della Costituzione Gaudium et spes: «La
Chiesa, certo, perseguendo il suo proprio fine di salvezza, non solo
comunica all'uomo la vita divina, ma anche diffonde la sua luce con
ripercussione, in qualche modo, su tutto il mondo, soprattutto per il
fatto che risana ed eleva la dignità della persona umana, consolida
la compagine dell'umana società, e immette nel lavoro quotidiano
degli uomini un più profondo senso e significato. Così la Chiesa,
con i singoli suoi membri e con tutta intera la sua comunità, crede
di poter contribuire molto a rendere più umana la famiglia degli
uomini e la sua storia»(134). In questo contributo alla famiglia
degli uomini, del quale è responsabile l'intera Chiesa, un posto
particolare compete ai fedeli laici, in ragione della loro «indole
secolare», che li impegna, con modalità proprie e insostituibili,
nell'animazione cristiana dell'ordine temporale. Promuovere la dignità della
persona 37. Riscoprire e far riscoprire
la dignità inviolabile di ogni persona umana costituisce un
compito essenziale, anzi, in un certo senso, il compito centrale e
unificante del servizio che la Chiesa e, in essa, i fedeli laici sono
chiamati a rendere alla famiglia degli uomini. Tra tutte le creature terrene, solo
l'uomo è «persona», soggetto cosciente e libero e, proprio per
questo, «centro e vertice» di tutto quanto esiste sulla terra(135). La dignità personale è il
bene più prezioso che l'uomo possiede, grazie al quale egli
trascende in valore tutto il mondo materiale. La parola di Gesù: «Che
giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria
anima?» (Mc 8, 36) implica una luminosa e stimolante
affermazione antropologica: l'uomo vale non per quello che «ha» _
possedesse pure il mondo intero! _ , quanto per quello che «è».
Contano non tanto i beni del mondo, quanto il bene della persona, il
bene che è la persona stessa. La dignità della persona
manifesta tutto il suo fulgore quando se ne considerano l'origine e la
destinazione: creato da Dio a sua immagine e somiglianza e redento dal
sangue preziosissimo di Cristo, l'uomo è chiamato ad essere «figlio
nel Figlio» e tempio vivo dello Spirito, ed è destinato all'eterna
vita di comunione beatificante con Dio. Per questo ogni violazione
della dignità personale dell'essere umano grida vendetta al cospetto
di Dio e si configura come offesa al Creatore dell'uomo. In forza della sua dignità
personale l'essere umano è sempre un valore in sé e per sé, e
come tale esige d'essere considerato e trattato, mai invece può
essere considerato e trattato come un oggetto utilizzabile, uno
strumento, una cosa. La dignità personale costituisce
il fondamento dell'eguaglianza di tutti gli uomini tra loro. Di
qui l'assoluta inaccettabilità di tutte le più svariate forme di
discriminazione che, purtroppo, continuano a dividere e a umiliare la
famiglia umana, da quelle razziali ed economiche a quelle sociali e
culturali, da quelle politiche a quelle geografiche, ecc. Ogni
discriminazione costituisce un'ingiustizia del tutto intollerabile,
non tanto per le tensioni e per i conflitti ch'essa può generare nel
tessuto sociale, quanto per il disonore inferto alla dignità della
persona: non solo alla dignità di chi è vittima dell'ingiustizia, ma
ancor più di chi quell'ingiustizia compie. Fondamento dell'uguaglianza di
tutti gli uomini tra loro, la dignità personale è anche il fondamento
della partecipazione e della solidarietà degli uomini tra loro: il
dialogo e la comunione si radicano ultimamente su ciò che gli uomini
«sono», prima e più ancora che su quanto essi «hanno». La dignità personale è proprietà
indistruttibile di ogni essere umano. E' fondamentale avvertire
tutta la forza dirompente di questa affermazione, che si basa sull'unicità
e sull'irripetibilità di ogni persona. Ne deriva che
l'individuo è assolutamente irriducibile a tutto ciò che lo vorrebbe
schiacciare e annullare nell'anonimato della collettività,
dell'istituzione, della struttura, del sistema. La persona, nella sua
individualità, non è un numero, non è un anello d'una catena, né
un ingranaggio di un sistema. L'affermazione più radicale ed
esaltante del valore di ogni essere umano è stata fatta dal Figlio di
Dio nel suo incarnarsi nel seno d'una donna. Anche di questo continua
a parlarci il Natale cristiano(136). Venerare l'inviolabile
diritto alla vita 38. Il riconoscimento effettivo
della dignità personale di ogni essere umano esige il rispetto, la
difesa e la promozione dei diritti della persona umana. Si tratta
di diritti naturali, universali e inviolabili: nessuno, né il
singolo, né il gruppo, né l'autorità, né lo Stato, li può
modificare né tanto meno li può eliminare, perché tali diritti
provengono da Dio stesso. Ora l'inviolabilità della
persona, riflesso dell'assoluta inviolabilità di Dio stesso, trova la
sua prima e fondamentale espressione nell'inviolabilità della vita
umana. E' del tutto falso e illusorio il comune discorso, che
peraltro giustamente viene fatto, sui diritti umani _ come ad esempio
sul diritto alla salute, alla casa, al lavoro, alla famiglia e alla
cultura _ se non si difende con la massima risolutezza il diritto
alla vita, quale diritto primo e fontale, condizione per tutti gli
altri diritti della persona. La Chiesa non si è mai data per
vinta di fronte a tutte le violazioni che il diritto alla vita,
proprio di ogni essere umano, ha ricevuto e continua a ricevere sia
dai singoli sia dalle stesse autorità. Titolare di tale diritto è
l'essere umano in ogni fase del suo sviluppo, dal concepimento
sino alla morte naturale; e in ogni sua condizione, sia essa di
salute o di malattia, di perfezione o di handicap, di ricchezza o di
miseria. Il Concilio Vaticano II proclama apertamente: «Tutto ciò
che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il
genocidio, l'aborto, l'eutanasia e lo stesso suicidio volontario;
tutto ciò che viola l'integrità della persona umana, come le
mutilazioni, le torture inflitte al corpo e alla mente, gli sforzi per
violentare l'intimo dello spirito; tutto ciò che offende la dignità
umana, come le condizioni infraumane di vita, le incarcerazioni
arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, il
mercato delle donne e dei giovani, o ancora le ignominiose condizioni
di lavoro con le quali i lavoratori sono trattati come semplici
strumenti di guadagno, e non come persone libere e responsabili; tutte
queste cose, e altre simili, sono certamente vergognose e, mentre
guastano la civiltà umana, ancor più inquinano coloro che così si
comportano, che non quelli che le subiscono; e ledono grandemente
l'onore del Creatore»(137). Ora se di tutti sono la missione e
la responsabilità di riconoscere la dignità personale di ogni essere
umano e di difenderne il diritto alla vita, alcuni fedeli laici vi
sono chiamati ad un titolo particolare: tali sono i genitori, gli
educatori, gli operatori della salute, e quanti detengono il potere
economico e politico. Nell'accoglienza amorosa e
generosa di ogni vita umana, soprattutto se debole o malata, la Chiesa
vive oggi un momento fondamentale della sua missione, tanto più
necessaria quanto più dominante si è fatta una «cultura di morte».
Infatti «la Chiesa fermamente crede che la vita umana, anche se
debole e sofferente, è sempre uno splendido dono del Dio della bontà.
Contro il pessimismo e l'egoismo, che oscurano il mondo, la Chiesa sta
dalla parte della vita: e in ciascuna vita umana sa scoprire lo
splendore di quel "Sì", di quell' "Amen", che è
Cristo stesso (cf. 2 Cor 1, 19; Ap 3, 14). Al
"no" che invade e affligge il mondo, contrappone questo
vivente "Sì", difendendo in tal modo l'uomo e il mondo da
quanti insidiano e mortificano la vita»(138). Tocca ai fedeli laici,
che più direttamente o per vocazione o per professione sono coinvolti
nell'accoglienza della vita, rendere concreto ed efficace il «sì»
della Chiesa alla vita umana. Sulle frontiere della vita umana
possibilità e responsabilità nuove si sono oggi spalancate con
l'enorme sviluppo delle scienze biologiche e mediche, unitamente
al sorprendente potere tecnologico: l'uomo, infatti, è in
grado oggi non solo di «osservare», ma anche di «manipolare» la
vita umana nello stesso suo inizio e nei suoi primi stadi di sviluppo. La coscienza morale dell'umanità
non può rimanere estranea o indifferente di fronte ai passi
giganteschi compiuti da una potenza tecnologica che acquista un
dominio sempre più vasto e profondo sui dinamismi che presiedono alla
procreazione e alle prime fasi dello sviluppo della vita umana. Forse
non mai come oggi e in questo campo la sapienza si dimostra l'unica
àncora di salvezza, perché l'uomo nella ricerca scientifica e in
quella applicata possa agire sempre con intelligenza e con amore,
ossia rispettando, anzi venerando l'inviolabile dignità personale di
ogni essere umano, sin dal primo istante della sua esistenza. Ciò
avviene quando con mezzi leciti, la scienza e la tecnica si impegnano
nella difesa della vita e nella cura della malattia sin dagli inizi,
rifiutando invece _ per la dignità stessa della ricerca _ interventi
che risultano alterativi del patrimonio genetico dell'individuo e
della generazione umana(139). I fedeli laici, a vario titolo e a
diverso livello impegnati nella scienza e nella tecnica, come pure
nell'ambito medico, sociale, legislativo ed economico devono coraggiosamente
accettare le «sfide» poste dai nuovi problemi della bioetica. Come
hanno detto i Padri sinodali, «i cristiani debbono esercitare la loro
responsabilità come padroni della scienza e della tecnologia, non
come servi di essa (...). Nella prospettiva di quelle «sfide»
morali, che stanno per essere provocate dalla nuova e immensa potenza
tecnologica e che mettono in pericolo non solo i diritti fondamentali
degli uomini, ma la stessa essenza biologica della specie umana, è
della massima importanza che i laici cristiani _ con l'aiuto di tutta
la Chiesa _ si prendano a carico di richiamare la cultura ai principi
di un autentico umanesimo, affinché la promozione e la difesa dei
diritti dell'uomo possano trovare fondamento dinamico e sicuro nella
stessa sua essenza, quella essenza che la predicazione evangelica ha
rivelato agli uomini»(140). Urge oggi, da parte di tutti, la
massima vigilanza di fronte al fenomeno della concentrazione del
potere, e in primo luogo di quello tecnologico. Tale concentrazione,
infatti, tende a manipolare non solo l'essenza biologica ma anche i
contenuti della stessa coscienza degli uomini e i loro modelli di
vita, aggravando in tal modo la discriminazione e l'emarginazione di
interi popoli. Liberi di invocare il Nome
del Signore 39. Il rispetto della dignità
personale, che comporta la difesa e la promozione dei diritti umani,
esige il riconoscimento della dimensione religiosa dell'uomo. Non è,
questa, un'esigenza semplicemente «confessionale», bensì
un'esigenza che trova la sua radice inestirpabile nella realtà stessa
dell'uomo. Il rapporto con Dio, infatti, è elemento costitutivo dello
stesso «essere» ed «esistere» dell'uomo: è in Dio che noi «viviamo,
ci muoviamo ed esistiamo» (At 17, 28). Se non tutti credono a
tale verità, quanti ne sono convinti hanno il diritto di essere
rispettati nella loro fede e nelle scelte di vita, individuale e
comunitaria, che da essa derivano. E' questo il diritto alla libertà
di coscienza e alla libertà religiosa, il cui riconoscimento
effettivo è tra i beni più alti e tra i doveri più gravi di ogni
popolo che voglia veramente assicurare il bene della persona e della
società: «La libertà religiosa, esigenza insopprimibile della
dignità di ogni uomo, è una pietra angolare dell'edificio dei
diritti umani e, pertanto, è un fattore insostituibile del bene delle
persone e di tutta la società, così come della propria realizzazione
di ciascuno. Ne consegue che la libertà dei singoli e delle comunità
di professare e di praticare la propria religione è un elemento
essenziale della pacifica convivenza degli uomini (...): Il diritto
civile e sociale alla libertà religiosa, in quanto attinge la sfera
più intima dello spirito, si rivela punto di riferimento e, in certo
modo, diviene misura degli altri diritti fondamentali»(141). Il Sinodo non ha dimenticato i
tanti fratelIi e sorelle che ancora non godono di tale diritto e che
devono affrontare disagi, emarginazioni, sofferenze, persecuzioni, e
talvolta la morte a causa della confessione della fede. Nella
maggioranza sono fratelli e sorelle del laicato cristiano. L'annuncio
del Vangelo e la testimonianza cristiana della vita nella sofferenza e
nel martirio costituiscono l'apice dell'apostolato dei discepoli di
Cristo, così come l'amore al Signore Gesù sino al dono della propria
vita costituisce una sorgente di fecondità straordinaria per
l'edificazione della Chiesa. La mistica vite testimonia così la sua
rigogliosità, come rilevava Sant'Agostino: «Ma quella vite, com'era
stato preannunciato dai Profeti e dallo stesso Signore, che diffondeva
in tutto il mondo i suoi tralci fruttuosi, tanto più diveniva
rigogliosa quanto più era irrigata dal molto sangue dei martiri»(142). La Chiesa tutta è profondamente
grata per questo esempio e per questo dono: da questi suoi figli essa
trae motivo per rinnovare il suo slancio di vita santa e apostolica.
In tal senso i Padri sinodali hanno ritenuto loro speciale dovere «ringraziare
quei laici i quali vivono come instancabili testimoni della fede, in
fedele unione con la Sede Apostolica, nonostante le restrizioni della
libertà e la privazione dei ministri sacri. Essi si giocano tutto,
perfino la vita. I laici in questo modo danno testimonianza di una
proprietà essenziale della Chiesa: la Chiesa di Dio nasce dalla
grazia di Dio e ciò si manifesta nel modo più sublime nel martirio»(143). Quanto abbiamo sinora detto sul
rispetto della dignità personale e sul riconoscimento dei diritti
umani riguarda senza dubbio la responsabilità di ciascun cristiano,
di ciascun uomo. Ma dobbiamo immediatamente rilevare come tale
problema rivesta oggi una dimensione mondiale: è, infatti, una
questione che investe oramai interi gruppi umani, anzi interi popoli
che sono violentemente vilipesi nei loro fondamentali diritti. Di qui
quelle forme di disuguaglianza dello sviluppo tra i diversi Mondi che
nella recente Enciclica Sollicitudo rei socialis sono state
apertamente denunciate. Il rispetto della persona umana va
oltre la esigenza di una morale individuale e si pone come criterio
basilare, quasi pilastro fondamentale, per la strutturazione della
società stessa, essendo la società finalizzata interamente alla
persona. Così, intimamente congiunta alla
responsabilità di servire la persona, si pone la responsabilità
di servire la società, quale compito generale di quella
animazione cristiana dell'ordine temporale alla quale i fedeli laici
sono chiamati secondo loro proprie e specifiche modalità. La famiglia, primo spazio
per l'impegno sociale 40. La persona umana ha una nativa
e strutturale dimensione sociale in quanto è chiamata dall'intimo di
sé alla comunione con gli altri e alla donazione agli
altri: «Dio, che ha cura paterna di tutti, ha voluto che gli uomini
formassero una sola famiglia e si trattassero tra loro con animo di
fratelli»(144). E così la società, frutto e segno della socialità
dell'uomo, rivela la sua piena verità nell'essere una comunità
di persone. Si dà interdipendenza e
reciprocità tra persona e società: tutto ciò che viene compiuto a
favore della persona è anche un servizio reso alla società, e tutto
ciò che viene compiuto a favore della società si risolve a beneficio
della persona. Per questo l'impegno apostolico dei fedeli laici
nell'ordine temporale riveste sempre e in modo inscindibile il
significato del servizio all'uomo singolo nella sua unicità e
irripetibilità e il significato del servizio a tutti gli uomini. Ora la prima e originaria
espressione della dimensione sociale della persona è la coppia e
la famiglia: «Ma Dio non creò l'uomo lasciandolo solo: fin da
principio "uomo e donna li creò" (Gen 1, 27) e la
loro unione costituisce la prima forma di comunione di persone»(145).
Gesù si è preoccupato di restituire alla coppia l'intera sua dignità
e alla famiglia la saldezza sua propria (cf. Mt 19, 3-9); San
Paolo ha mostrato il rapporto profondo del matrimonio con il mistero
di Cristo e della Chiesa (cf. Ef 5, 22-6, 4; Col 3, 18-21;
1 Pt 3, 1-7). La coppia e la famiglia
costituiscono il primo spazio per l'impegno sociale dei fedeli
laici. E' un impegno che può essere assolto adeguatamente solo
nella convinzione del valore unico e insostituibile della famiglia per
lo sviluppo della società e della stessa Chiesa. Culla della vita e dell'amore,
nella quale l'uomo «nasce» e «cresce», la famiglia è la cellula
fondamentale della società. A questa comunità è da riservarsi una
privilegiata sollecitudine, soprattutto ogniqualvolta l'egoismo umano,
le campagne antinataliste, le politiche totalitarie, ma anche le
situazioni di povertà e di miseria fisica, culturale e morale, nonché
la mentalità edonistica e consumistica fanno disseccare le sorgenti
della vita, mentre le ideologie e i diversi sistemi, insieme a forme
di disinteresse e di disamore, attentano alla funzione educativa
propria della famiglia. Urge così un'opera vasta,
profonda e sistematica, sostenuta non solo dalla cultura ma anche dai
mezzi economici e dagli strumenti legislativi, destinata ad assicurare
alla famiglia il suo compito di essere il luogo primario della «umanizzazione»
della persona e della società. L'impegno apostolico dei fedeli
laici è anzitutto quello di rendere la famiglia cosciente della sua
identità di primo nucleo sociale di base e del suo originale ruolo
nella società, perché divenga essa stessa sempre più protagonista
attiva e responsabile della propria crescita e della propria
partecipazione alla vita sociale. In tal modo la famiglia potrà e
dovrà esigere da tutti, a cominciare dalle autorità pubbliche, il
rispetto di quei diritti che, salvando la famiglia, salvano la società
stessa. Quanto è scritto nell'Esortazione
Familiaris consortio circa la partecipazione allo sviluppo
della società(146) e quanto la Santa Sede, su invito del Sinodo dei
Vescovi del 1980, ha formulato con la «Carta dei Diritti della
Famiglia» rappresentano un programma operativo completo e organico
per tutti quei fedeli laici che, a diverso titolo, sono interessati
alla promozione dei valori e delle esigenze della famiglia: un
programma la cui realizzazione è da urgere con tanta maggior
tempestività e decisione quanto più gravi si fanno le minacce alla
stabilità e alla fecondità della famiglia e quanto più pesante e
sistematico si fa il tentativo di emarginare la famiglia e di
vanificarne il peso sociale. Come l'esperienza attesta, la
civiltà e la saldezza dei popoli dipendono soprattutto dalla qualità
umana delle loro famiglie. Per questo l'impegno apostolico verso la
famiglia acquista un incomparabile valore sociale. La Chiesa, da parte
sua, ne è profondamente convinta, ben sapendo che «l'avvenire
dell'umanità passa attraverso la famiglia»(147). La carità anima e sostegno
della solidarietà 41. Il servizio alla società si
esprime e si realizza in diversissime modalità: da quelle libere e
informali a quelle istituzionali, dall'aiuto dato ai singoli a quello
rivolto a vari gruppi e comunità di persone. Tutta la Chiesa come tale è
direttamente chiamata al servizio della carità: «La santa Chiesa,
come nelle sue origini unendo l'agape con la Cena Eucaristica
si manifestava tutta unita nel vincolo della carità attorno a Cristo,
così, in ogni tempo, si riconosce da questo contrassegno della carità
e, mentre gode delle iniziative altrui, rivendica le opere di carità
come suo dovere e diritto inalienabile. Perciò la misericordia verso
i poveri e gli infermi come pure le cosiddette opere caritative e di
mutuo aiuto, destinate ad alleviare le necessità umane di ogni
genere, sono tenute dalla Chiesa in particolare onore»(148). La
carità verso il prossimo, nelle forme antiche e sempre nuove
delle opere di misericordia corporale e spirituale, rappresenta il
contenuto più immediato, comune e abituale di quell'animazione
cristiana dell'ordine temporale che costituisce l'impegno specifico
dei fedeli laici. Con la carità verso il prossimo i
fedeli laici vivono e manifestano la loro partecipazione alla regalità
di Gesù Cristo, al potere cioè del Figlio dell'uomo che «non è
venuto per essere servito, ma per servire» (Mc 10, 45): essi
vivono e manifestano tale regalità nel modo più semplice, possibile
a tutti e sempre, ed insieme nel modo più esaltante, perché la carità
è il più alto dono che lo Spirito offre per l'edificazione della
Chiesa (cf. 1 Cor 13, 13) e per il bene dell'umanità. La
carità, infatti, anima e sostiene un'operosa solidarietà
attenta alla totalità dei bisogni dell'essere umano. Una simile carità, attuata non
solo dai singoli ma anche in modo solidale dai gruppi e dalle comunità,
è e sarà sempre necessaria: niente e nessuno la può e la potrà
sostituire, neppure le molteplici istituzioni e iniziative pubbliche,
che pure si sforzano di dare risposta ai bisogni _ spesso oggi così
gravi e diffusi _ d'una popolazione. Paradossalmente tale carità si
fa più necessaria quanto più le istituzioni, diventando complesse
nell'organizzazione e pretendendo di gestire ogni spazio disponibile,
finiscono per essere rovinate dal funzionalismo impersonale,
dall'esagerata burocrazia, dagli ingiusti interessi privati, dal
disimpegno facile e generalizzato. Proprio in questo contesto
continuano a sorgere e a diffondersi, in particolare nelle società
organizzate, varie forme di volontariato che si esprimono in
una molteplicità di servizi e di opere. Se vissuto nella sua verità
di servizio disinteressato al bene delle persone, specialmente le più
bisognose e le più dimenticate dagli stessi servizi sociali, il
volontariato deve dirsi una espressione importante di apostolato, nel
quale i fedeli laici, uomini e donne, hanno un ruolo di primo piano. Tutti destinatari e
protagonisti della politica 42. La carità che ama e serve la
persona non può mai essere disgiunta dalla giustizia: e l'una
e l'altra, ciascuna a suo modo, esigono il pieno riconoscimento
effettivo dei diritti della persona, alla quale è ordinata la società
con tutte le sue strutture ed istituzioni(149). Per animare cristianamente
l'ordine temporale, nel senso detto di servire la persona e la società,
i fedeli laici non possono affatto abdicare alla partecipazione
alla «politica», ossia alla molteplice e varia azione economica,
sociale, legislativa, amministrativa e culturale, destinata a
promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune. Come
ripetutamente hanno affermato i Padri sinodali, tutti e ciascuno hanno
diritto e dovere di partecipare alla politica, sia pure con diversità
e complementarietà di forme, livelli, compiti e responsabilità. Le
accuse di arrivismo, di idolatria del potere, di egoismo e di
corruzione che non infrequentemente vengono rivolte agli uomini del
governo, del parlamento, della classe dominante, del partito politico;
come pure l'opinione non poco diffusa che la politica sia un luogo di
necessario pericolo morale, non giustificano minimamente né lo
scetticismo né l'assenteismo dei cristiani per la cosa pubblica. E', invece, quanto mai
significativa la parola del Concilio Vaticano II: «La Chiesa stima
degna di lode e di considerazione l'opera di coloro che per servire
gli uomini si dedicano al bene della cosa pubblica e assumono il peso
delle relative responsabilità»(150). Una politica per la persona e per
la società trova il suo criterio basilare nel perseguimento
del bene comune, come bene di tutti gli uomini e di tutto
l'uomo, bene offerto e garantito alla libera e responsabile
accoglienza delle persone, sia singole che associate: «La comunità
politica _ leggiamo nella Costituzione Gaudium et spes _ esiste
proprio in funzione di quel bene comune, nel quale essa trova piena
giustificazione e significato e dal quale ricava il suo ordinamento
giuridico, originario e proprio. Il bene comune si concreta
nell'insieme di quelle condizioni della vita sociale, con le quali gli
uomini, le famiglie e le associazioni possono ottenere il
conseguimento più pieno della propria perfezione»(151). Inoltre, una politica per la
persona e per la società trova la sua linea costante di cammino nella
difesa e nella promozione della giustizia, intesa come
«virtù» alla quale tutti devono essere educati e come «forza»
morale che sostiene l'impegno a favorire i diritti e i doveri di tutti
e di ciascuno, sulla base della dignità personale dell'essere umano. Nell'esercizio del potere politico
è fondamentale lo spirito di servizio, che solo, unitamente
alla necessaria competenza ed efficienza, può rendere «trasparente»
o «pulita» l'attività degli uomini politici, come del resto la
gente giustamente esige. Ciò sollecita la lotta aperta e il deciso
superamento di alcune tentazioni, quali il ricorso alla slealtà e
alla menzogna, lo sperpero del pubblico denaro per il tornaconto di
alcuni pochi e con intenti clientelari, l'uso di mezzi equivoci o
illeciti per conquistare, mantenere e aumentare ad ogni costo il
potere. I fedeli laici impegnati nella
politica devono certamente rispettare l'autonomia rettamente intesa
delle realtà terrene, così come leggiamo nella Costituzione Gaudium
et spes: «E' di grande importanza, soprattutto in una società
pluralistica, che si abbia una giusta visione dei rapporti tra la
comunità politica e la Chiesa e che si faccia una chiara distinzione
tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in
proprio nome, come cittadini, guidati dalla coscienza cristiana, e le
azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro
pastori. La Chiesa, che, in ragione del suo ufficio e della sua
competenza, in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e
non è legata ad alcun sistema politico, è insieme il segno e la
salvaguardia del carattere trascendente della persona umana»(152).
Nello stessotempo _ e questo è sentito oggi come urgenza e
responsabilità _ i fedeli laici devono testimoniare quei valori umani
ed evangelici che sono intimamente connessi con l'attività politica
stessa, come la libertà e la giustizia, la solidarietà, la dedizione
fedele e disinteressata al bene di tutti, lo stile semplice di vita,
l'amore preferenziale per i poveri e gli ultimi. Ciò esige che i
fedeli laici siano sempre più animati da una reale partecipazione
alla vita della Chiesa e illuminati dalla sua dottrina sociale. In
questo potranno essere accompagnati e aiutati dalla vicinanza delle
comunità cristiane e dei loro Pastori(153). Stile e mezzo per il realizzarsi
d'una politica che intenda mirare al vero sviluppo umano è la solidarietà:
questa sollecita la partecipazione attiva e responsabile di
tutti alla vita politica, dai singoli cittadini ai gruppi vari, dai
sindacati ai partiti: insieme, tutti e ciascuno, siamo destinatari e
protagonisti della politica. In questo ambito, come ho scritto
nell'Enciclica Sollicitudo rei socialis, la solidarietà «non
è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento
per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la
determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene
comune:ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti
siamo veramente responsabili di tutti»(154). La solidarietà politica esige
oggi d'attuarsi secondo un orizzonte che, superando la singola nazione
o il singolo blocco di nazioni, si configura come propriamente
continentale e mondiale. Il frutto dell'attività politica
solidale, da tutti tanto desiderato ma pur sempre tanto immaturo, è la
pace. I fedeli laici non possono rimanere indifferenti, estranei e
pigri di fronte a tutto ciò che è negazione e compromissione della
pace: violenza e guerra, tortura e terrorismo, campi di
concentramento, militarizzazione della politica, corsa agli armamenti,
minaccia nucleare. Al contrario, come discepoli di Gesù Cristo «Principe
della pace» (Is 9, 5) e «Nostra Pace» (Ef 2,
14), i fedeli laici devono assumersi il compito di essere «operatori
di pace» (Mt 5, 9), sia mediante la conversione del «cuore»,
sia mediante l'azione a favore della verità, della libertà, della
giustizia e della carità, che della pace sono gli irrinunciabili
fondamenti(155). Collaborando con tutti coloro che
cercano veramente la pace e servendosi degli specifici organismi e
istituzioni nazionali e internazionali, i fedeli laici devono
promuovere un'opera educativa capillare destinata a sconfiggere
l'imperante cultura dell'egoismo, dell'odio, della vendetta e
dell'inimicizia e a sviluppare la cultura della solidarietà ad ogni
livello. Tale solidarietà, infatti, «è via alla pace e insieme
allo sviluppo»(156). In questa prospettiva i Padri sinodali hanno
invitato i cristiani a rifiutare forme inaccettabili di violenza, a
promuovere atteggiamenti di dialogo e di pace e ad impegnarsi per
instaurare un ordine sociale e internazionale giusto(157). Porre l'uomo al centro della
vita economico-sociale 43. Il servizio alla società da
parte dei fedeli laici trova un suo momento essenziale nella questione
economico-sociale, la cui chiave è data dall'organizzazione del lavoro. La gravità attuale di tali
problemi, colta nel panorama dello sviluppo e secondo la proposta di
soluzione da parte della dottrina sociale della Chiesa, è stata
ricordata recentemente nell'Enciclica Sollicitudo rei socialis, alla
quale desidero caldamente rimandare tutti, in particolare i fedeli
laici. Tra i caposaldi della dottrina
sociale della Chiesa sta il principio della destinazione universale
dei beni: i beni della terra sono, nel disegno di Dio, offerti a
tutti gli uomini e a ciascun uomo come mezzo per lo sviluppo d'una
vita autenticamente umana. Al servizio di questa destinazione si pone
la proprietà privata, la quale _ proprio per questo _ possiede
un'intrinseca funzione sociale. Concretamente il lavoro dell'uomo
e della donna rappresenta lo strumento più comune e più immediato
per lo sviluppo della vita economica, strumento che insieme
costituisce un diritto e un dovere d'ogni uomo. Tutto questo rientra in modo
particolare nella missione dei fedeli laici. Il fine e il criterio
della loro presenza e della loro azione sono formulati in termini
generali dal Concilio Vaticano II: «Anche nella vita
economico-sociale sono da onorare e da promuovere la dignità e
l'integrale vocazione della persona umana come pure il bene
dell'intera società. L'uomo infatti è l'autore, il centro e il fine
di tutta la vita economico-sociale»(158). Nel contesto delle sconvolgenti
trasformazioni in atto nel mondo dell'economia e del lavoro, i fedeli
laici siano impegnati in prima fila a risolvere i gravissimi problemi
della crescente disoccupazione, a battersi per il superamento più
tempestivo di numerose ingiustizie che derivano da distorte
organizzazioni del lavoro, a far diventare il luogo di lavoro una
comunità di persone rispettate nella loro soggettività e nel loro
diritto alla partecipazione, a sviluppare nuove solidarietà tra
coloro che partecipano al lavoro comune, a suscitare nuove forme di
imprenditorialità e a rivedere i sistemi di commercio, di finanza e
di scambi tecnologici. A tal fine i fedeli laici devono
compiere il loro lavoro con competenza professionale, con onestà
umana, con spirito cristiano, come via della propria
santificazione(159), secondo l'esplicito invito del Concilio: «Con il
lavoro, l'uomo ordinariamente provvede alla vita propria e dei suoi
familiari, comunica con gli altri e rende servizio agli uomini suoi
fratelli, può praticare una vera carità e collaborare con la propria
attività al completarsi della divina creazione. Ancor più: sappiamo
che, offrendo a Dio il proprio lavoro, l'uomo si associa all'opera
stessa redentiva di Cristo, il quale ha conferito al lavoro una
elevatissima dignità, lavorando con le proprie mani a Nazareth»(160). In rapporto alla vita
economico-sociale e al lavoro si pone oggi, in modo sempre più acuto,
la questione cosiddetta «ecologica». Certamente l'uomo ha da
Dio stesso il compito di «dominare» le cose create e di «coltivare
il giardino» del mondo; ma è un compito, questo, che l'uomo deve
assolvere nel rispetto dell'immagine divina ricevuta, e quindi con
intelligenza e con amore: egli deve sentirsi responsabile dei doni che
Dio gli ha elargito e continuamente gli elargisce. L'uomo ha fra le
mani un dono che deve passare _ e, se possibile, persino migliorato _
alle generazioni future, anch'esse destinatarie dei doni del Signore:
«Il dominio accordato dal Creatore all'uomo (...) non è un potere
assoluto, né si può parlare di libertà di "usare e
abusare", o di disporre delle cose come meglio aggrada. La
limitazione imposta dallo stesso Creatore fin dal principio, ed
espressa simbolicamente con la proibizione di "mangiare il frutto
dell'albero" (cf. Gen 2, 16-17), mostra con sufficiente
chiarezza che, nei confronti della natura visibile (...), siamo
sottomessi a leggi non solo biologiche, ma anche morali, che non si
possono impunemente trasgredire. Una giusta concezione dello sviluppo
non può prescindere da queste considerazioni _ relative all'uso degli
elementi della natura, alla rinnovabilità delle risorse e alle
conseguenze di una industrializzazione disordinata _, le quali
ripropongono alla nostra coscienza la dimensione morale, che
deve distinguere lo sviluppo»(161). Evangelizzare la cultura e
le culture dell'uomo 44. Il servizio alla persona e
alla società umana si esprime e si attua attraverso la creazione e
la trasmissione della cultura, che, specialmente ai nostri giorni,
costituisce uno dei più gravi compiti della convivenza umana e
dell'evoluzione sociale. Alla luce del Concilio, intendiamo per «cultura»
tutti quei «mezzi con i quali l'uomo affina ed esplica le molteplici
sue doti di anima e di corpo; procura di ridurre in suo potere il
cosmo stesso con la conoscenza e il lavoro; rende più umana la vita
sociale sia nella famiglia che in tutta la società civile, mediante
il progresso del costume e delle istituzioni; infine, con l'andare del
tempo, esprime, comunica e conserva nelle sue opere le grandi
esperienze e aspirazioni spirituali, affinché possano servire al
progresso di molti, anzi di tutto il genere umano»(162). In questo
senso, la cultura deve ritenersi come il bene comune di ciascun
popolo, l'espressione della sua dignità, libertà e creatività; la
testimonianza del suo cammino storico. In particolare, solo
all'interno e tramite la cultura la fede cristiana diventa storica e
creatrice di storia. Di fronte allo sviluppo di una
cultura che si configura dissociata non solo dalla fede cristiana, ma
persino dagli stessi valori umani(163); come pure di fronte ad una
certa cultura scientifica e tecnologica impotente nel dare risposta
alla pressante domanda di verità e di bene che brucia nel cuore degli
uomini, la Chiesa è pienamente consapevole dell'urgenza pastorale che
alla cultura venga riservata un'attenzione del tutto speciale. Per questo la Chiesa sollecita i
fedeli laici ad essere presenti, all'insegna del coraggio e della
creatività intellettuale, nei posti privilegiati della cultura, quali
sono il mondo della scuola e dell'università, gli ambienti della
ricerca scientifica e tecnica, i luoghi della creazione artistica e
della riflessione umanistica. Tale presenza è destinata non solo al
riconoscimento e all'eventuale purificazione degli elementi della
cultura esistente criticamente vagliati, ma anche alla loro elevazione
mediante le originali ricchezze del Vangelo e della fede cristiana.
Quanto il Concilio Vaticano II scrive circa il rapporto tra il Vangelo
e la cultura rappresenta un fatto storico costante ed insieme un
ideale operativo di singolare attualità e urgenza; è un programma
impegnativo consegnato alla responsabilità pastorale dell'intera
Chiesa e in essa alla responsabilità specifica dei fedeli laici: «La
buona novella di Cristo rinnova continuamente la vita e la cultura
dell'uomo decaduto, combatte e rimuove gli errori e i mali, derivanti
dalla sempre minacciosa seduzione del peccato. Continuamente purifica
ed eleva la moralità dei popoli (...). In tal modo la Chiesa,
compiendo la sua missione, già con questo stesso fatto stimola e dà
il suo contributo alla cultura umana e civile e, mediante la sua
azione, anche liturgica, educa l'uomo alla libertà interiore»(164). Meritano di essere qui riascoltate
alcune espressioni particolarmente significative della Esortazione Evangelii
nuntiandi di Paolo VI: «La Chiesa evangelizza
allorquando, in virtù della sola potenza divina del Messaggio che
essa proclama (cf. Rom 1, 16; 1 Cor 1, 18; 2, 4), cerca
di convertire la coscienza personale e insieme collettiva degli
uomini, l'attività nella quale essi sono impegnati, la vita e
l'ambiente concreto loro propri. Strati dell'umanità che si
trasformano: per la Chiesa non si tratta soltanto di predicare il
Vangelo in fasce geografiche sempre più vaste o a popolazioni sempre
più estese, ma anche di raggiungere e quasi sconvolgere mediante la
forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i
punti d'interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i
modelli di vita dell'umanità, che sono in contrasto con la Parola di
Dio e col disegno della salvezza. Si potrebbe esprimere tutto ciò
dicendo così: occorre evangelizzare _ non in maniera decorativa, a
somiglianza di vernice superficiale, ma in modo vitale, in profondità
e fino alle radici _ la cultura e le culture dell'uomo (...). La
rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra
epoca, come lo fu anche di altre. Occorre quindi fare tutti gli sforzi
in vista di una generosa evangelizzazione della cultura, più
esattamente delle culture»(165). La via attualmente privilegiata
per la creazione e per la trasmissione della cultura sono gli strumenti
della comunicazione sociale(166). Anche il mondo dei mass-media,
in seguito all'accelerato sviluppo innovativo e all'influsso insieme
planetario e capillare sulla formazione della mentalità e del
costume, rappresenta una nuova frontiera della missione della Chiesa.
In particolare, la responsabilità professionale dei fedeli laici in
questo campo, esercitata sia a titolo personale sia mediante
iniziative ed istituzioni comunitarie, esige di essere riconosciuta in
tutto il suo valore e sostenuta con più adeguate risorse materiali,
intellettuali e pastorali. Nell'impiego e nella recezione
degli strumenti di comunicazione urgono sia un'opera educativa al
senso critico, animato dalla passione per la verità, sia un'opera di
difesa della libertà, del rispetto alla dignità personale,
dell'elevazione dell'autentica cultura dei popoli, mediante il rifiuto
fermo e coraggioso di ogni forma di monopolizzazione e di
manipolazione. Né a quest'opera di difesa si
ferma la responsabilità pastorale dei fedeli laici: su tutte le
strade del mondo, anche su quelle maestre della stampa, del cinema,
della radio, della televisione e del teatro, dev'essere annunciato il
Vangelo che salva. CAPITOLO
IV GLI
OPERAI DELLA VIGNA DEL SIGNORE La varietà delle vocazioni 45. Secondo la parabola
evangelica, il «padrone di casa» chiama gli operai alla sua vigna
nelle diverse ore della giornata: alcuni all'alba, altri verso
le nove del mattino, altri ancora verso mezzogiorno e le tre, gli
ultimi verso le cinque (cf. Mt 20, 1 ss.). Nel commento a
questa pagina del Vangelo, San Gregorio Magno interpreta le ore
diverse della chiamata rapportandole alle età della vita: «E'
possibile applicare la diversità delle ore _ egli scrive _ alle
diverse età dell'uomo. Il mattino può certo rappresentare, in questa
nostra interpretazione, la fanciullezza. L'ora terza, poi, si può
intendere come l'adolescenza: il sole si muove verso l'alto del cielo,
cioè cresce l'ardore dell'età. La sesta ora è la giovinezza: il
sole sta come nel mezzo del cielo, ossia in quest'età si rafforza la
pienezza del vigore. L'anzianità rappresenta l'ora nona, perché come
il sole declina dal suo alto asse così quest'età comincia a perdere
l'ardore della giovinezza. L'undicesima ora è l'età di quelli molto
avanzati negli anni (...). Gli operai sono, dunque, chiamati alla
vigna in diverse ore, come per dire che alla vita santa uno è
condotto durante la fanciullezza, un altro nella giovinezza, un altro
nell'anzianità e un altro nell'età più avanzata»(167). Possiamo riprendere ed estendere
il commento di San Gregorio Magno in rapporto alla straordinaria
varietà di presenze nella Chiesa, tutte e ciascuna chiamate a
lavorare per l'avvento del Regno di Dio secondo la diversità di
vocazioni e situazioni, carismi e ministeri. E' una varietà legata
non solo all'età, ma anche alla differenza di sesso e alla diversità
delle doti, come pure alle vocazioni e alle condizioni di vita; è una
varietà che rende più viva e concreta la ricchezza della Chiesa. Giovani, bambini, anziani I giovani, speranza della
Chiesa 46. Il Sinodo ha voluto riservare un'attenzione
particolare ai giovani. E giustamente. In tanti paesi del mondo,
essi rappresentano la metà dell'intera popolazione e, spesso, la metà
numerica dello stesso Popolo di Dio che in quei paesi vive. Già sotto questo aspetto i
giovani costituiscono una forza eccezionale e sono una grande sfida
per l'avvenire della Chiesa. Nei giovani, infatti, la Chiesa legge
il suo camminare verso il futuro che l'attende e trova l'immagine e il
richiamo di quella lieta giovinezza di cui lo Spirito di Cristo
costantemente l'arricchisce. In questo senso il Concilio ha definito i
giovani «speranza della Chiesa»(168). Nella lettera scritta ai giovani e
alle giovani del mondo, il 31 marzo 1985, leggiamo: «La Chiesa guarda
i giovani; anzi, la Chiesa in modo speciale guarda se stessa nei
giovani, in voi tutti ed insieme in ciascuna e in ciascuno di voi.
Così è stato sin dall'inizio, dai tempi apostolici. Le parole di san
Giovanni nella sua Prima Lettera possono essere una particolare
testimonianza: "Scrivo a voi, giovani, perché avete
vinto il maligno. Ho scritto a voi, figlioli, perché avete
conosciuto il Padre (...). Ho scritto a voi, giovani, perché
siete forti, e la parola di Dio dimora in voi" (1 Gv 2,
13 ss.) (...). Nella nostra generazione, al termine del secondo
Millennio dopo Cristo, anche la Chiesa guarda se stessa nei giovani»(169). I giovani non devono essere
considerati semplicemente come l'oggetto della sollecitudine pastorale
della Chiesa: sono di fatto, e devono venire incoraggiati ad esserlo,
soggetti attivi, protagonisti dell'evangelizzazione e artefici del
rinnovamento sociale(170). La giovinezza è il tempo di una scoperta
particolarmente intensa del proprio «io» e del proprio «progetto
di vita», è il tempo di una crescita che deve avvenire «in
sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,
52). Come hanno detto i Padri sinodali,
«la sensibilità dei giovani percepisce profondamente i valori della
giustizia, della non violenza e della pace. Il loro cuore è aperto
alla fraternità, alla amicizia e alla solidarietà. Sono mobilitati
al massimo per le cause che riguardano la qualità della vita e la
conservazione della natura. Ma essi sono anche carichi di
inquietudini, di delusioni, di angosce e paure del mondo, oltre che
delle tentazioni proprie del loro stato»(171). La Chiesa deve rivivere l'amore di
predilezione che Gesù ha testimoniato al giovane del Vangelo: «Gesù,
fissatolo, lo amò» (Mc 10, 21). Per questo la Chiesa non si
stanca di annunciare Gesù Cristo, di proclamare il suo Vangelo come
l'unica e sovrabbondante risposta alle più radicali aspirazioni dei
giovani, come la proposta forte ed esaltante di una sequela personale
(«vieni e seguimi» [Mc 10, 21]), che comporta la condivisione
all'amore filiale di Gesù per il Padre e la partecipazione alla sua
missione di salvezza per l'umanità. La Chiesa ha tante cose da dire
ai giovani, e i giovani hanno tante cose da dire alla Chiesa. Questo
reciproco dialogo, da attuarsi con grande cordialità, chiarezza e
coraggio, favorirà l'incontro e lo scambio tra le generazioni, e sarà
fonte di ricchezza e di giovinezza per la Chiesa e per la società
civile. Nel suo messaggio ai giovani il Concilio dice: «La Chiesa vi
guarda con fiducia e con amore (...). Essa è la vera giovinezza del
mondo (...), guardatela e troverete in lei il volto di Cristo»(172). I bambini e il regno dei
cieli 47. I bambini sono certamente il
termine dell'amore delicato e generoso del Signore Gesù: ad essi
riserva la sua benedizione e ancor più assicura il regno dei cieli
(cf. Mt 19, 13-15; Mc 10, 14). In particolare Gesù
esalta il ruolo attivo che i piccoli hanno nel Regno di Dio: sono il
simbolo eloquente e la splendida immagine di quelle condizioni morali
e spirituali che sono essenziali per entrare nel Regno di Dio e per
viverne la logica di totale affidamento al Signore: «In verità vi
dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non
entrerete nel regno dei cieli. Perché chiunque diventerà piccolo
come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. E chi
accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio accoglie me» (Mt
18, 3-5; cf. Lc 9, 48). I bambini ci ricordano che la
fecondità missionaria della Chiesa ha la sua radice vivificante non
nei mezzi e nei meriti umani, ma nel dono assolutamente gratuito di
Dio. La vita di innocenza e di grazia dei bambini, come pure le
sofferenze loro ingiustamente inflitte, ottengono, in virtù della
Croce di Cristo, uno spirituale arricchimento per loro e per l'intera
Chiesa: di questo tutti dobbiamo prendere più viva e grata coscienza. Si deve riconoscere, inoltre, che
anche nell'età dell'infanzia e della fanciullezza sono aperte
preziose possibilità operative sia per l'edificazione della Chiesa
che per l'umanizzazione della società. Quanto il Concilio dice della
presenza benefica e costruttiva dei figli all'interno della famiglia
«chiesa domestica»: «I figli, come membra vive della famiglia,
contribuiscono pure a loro modo alla santificazione dei genitori»(173)
dev'essere ripetuto dei bambini in rapporto alla Chiesa particolare e
universale. Lo rilevava già Jean Gerson, teologo ed educatore del xv
secolo, per il quale «i fanciulli e gli adolescenti non sono certo
una parte trascurabile della Chiesa»(174). Gli anziani e il dono della
sapienza 48. Alle persone anziane, spesso
ingiustamente ritenute inutili se non addirittura d'insopportabile
peso, ricordo che la Chiesa chiede e attende che esse abbiano a
continuare la loro missione apostolica e missionaria, non solo
possibile e doverosa anche a quest'età, ma da questa stessa età resa
in qualche modo specifica e originale. La Bibbia ama presentare l'anziano
come il simbolo della persona ricca di sapienza e di timore di Dio
(cf. Sir 25, 4-6). In questo senso il «dono» dell'anziano
potrebbe qualificarsi come quello di essere, nella Chiesa e nella
società, il testimone della tradizione di fede (cf. Sal 44, 2;
Es 12, 26-27), il maestro di vita (cf. Sir 6, 34; 8,
11-12), l'operatore di carità. Ora l'aumentato numero di persone
anziane in diversi paesi del mondo e la cessazione anticipata
dell'attività professionale e lavorativa aprono uno spazio nuovo al
compito apostolico degli anziani: è un compito da assumersi superando
con decisione la tentazione di rifugiarsi nostalgicamente in un
passato che non ritorna più o di rifuggire da un impegno presente per
le difficoltà incontrate in un mondo dalle continue novità; e
prendendo sempre più chiara coscienza che il proprio ruolo nella
Chiesa e nella società non conosce affatto soste dovute all'età,
bensì conosce solo modi nuovi. Come dice il salmista: «Nella
vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti e rigogliosi, per
annunziare quanto è retto il Signore» (Sal 92, 15-16). Ripeto
quanto ho detto durante la celebrazione del Giubileo degli Anziani: «L'ingresso
nella terza età è da considerarsi un privilegio: non solo perché
non tutti hanno la fortuna di raggiungere questo traguardo, ma anche e
soprattutto perché questo è il periodo delle possibilità concrete
di riconsiderare meglio il passato, di conoscere e di vivere più
profondamente il mistero pasquale, di divenire esempio nella Chiesa a
tutto il Popolo di Dio (...). Nonostante la complessità dei vostri
problemi da risolvere, le forze che progressivamente si
affievoliscono, e malgrado le insufficienze delle organizzazioni
sociali, i ritardi della legislazione ufficiale, le incomprensioni di
una società egoistica, voi non siete né dovete sentirvi ai margini
della vita della Chiesa, elementi passivi di un mondo in eccesso di
movimento, ma soggetti attivi di un periodo umanamente e
spiritualmente fecondo dell'esistenza umana. Avete ancora una missione
da compiere, un contributo da dare. Secondo il progetto divino ogni
singolo essere umano è una vita in crescita, dalla prima scintilla
dell'esistenza fino all'ultimo respiro»(175). Donne e uomini 49. I Padri sinodali hanno
riservato una speciale attenzione alla condizione e al ruolo della
donna, secondo un duplice intento: riconoscere e invitare a
riconoscere, da parte di tutti ed ancora una volta, l'indispensabile
contributo della donna all'edificazione della Chiesa e allo sviluppo
della società; operare, inoltre, un'analisi più specifica circa la
partecipazione della donna alla vita e alla missione della Chiesa. Riferendosi a Giovanni XXIII, che
vide nella coscienza femminile della propria dignità e nell'ingresso
delle donne nella vita pubblica un segno dei nostri tempi(176), i
Padri del Sinodo hanno affermato ripetutamente e fortemente, di fronte
alle forme più varie di discriminazioni e di emarginazioni alle quali
soggiace la donna a motivo del suo semplice essere donna, l'urgenza di
difendere e di promuovere la dignità personale della donna, e
quindi la sua eguaglianza con l'uomo. Se di tutti nella Chiesa e nella
società è questo compito, lo è in particolare delle donne, che si
devono sentire impegnate come protagoniste in prima linea. C'è ancora
tanto sforzo da compiere, in più parti del mondo e in diversi ambiti,
perché sia distrutta quella ingiusta e deleteria mentalità che
considera l'essere umano come una cosa, come un oggetto di
compra-vendita, come uno strumento dell'interesse egoistico o del solo
piacere, tanto più che di tale mentalità la prima vittima è proprio
la donna stessa. Al contrario, solo l'aperto riconoscimento della
dignità personale della donna costituisce il primo passo da compiere
per promuoverne la piena partecipazione sia alla vita ecclesiale che a
quella sociale e pubblica. Si deve dare risposta più ampia e decisiva
alla richiesta fatta dall'Esortazione Familiaris consortio circa
le molteplici discriminazioni delle quali le donne sono vittime: «che
da parte di tutti si svolga un'azione pastorale specifica più
vigorosa e incisiva, affinché esse siano definitivamente vinte, così
da giungere alla stima piena dell'immagine di Dio che risplende in
tutti gli esseri umani, nessuno escluso»(177). Nella stessa linea i
Padri sinodali hanno affermato: «La Chiesa, come espressione della
sua missione, deve opporsi con fermezza contro tutte le forme di
discriminazione e di abuso delle donne»(178). E ancora: «La dignità
della donna, gravemente ferita nell'opinione pubblica, dev'essere
ricuperata per mezzo dell'effettivo rispetto dei diritti della persona
umana e per mezzo della pratica della dottrina della Chiesa»(179). In particolare, circa la
partecipazione attiva e responsabile alla vita e alla missione della
Chiesa, è da rilevarsi come già il Concilio Vaticano II sia
stato oltre modo esplicito nel sollecitarla: «Poiché ai nostri
giorni le donne prendono sempre più parte attiva in tutta la vita
della società, è di grande importanza una loro più larga
partecipazione anche nei vari campi dell'apostolato della Chiesa»(180). La coscienza che la donna, con i
doni e i compiti propri, ha una sua specifica vocazione è
andata crescendo e approfondendosi nel periodo post-conciliare,
ritrovando la sua ispirazione più originale nel Vangelo e nella
storia della Chiesa. Per il credente, infatti, il Vangelo, ossia la
parola e l'esempio di Gesù Cristo, rimane il punto di riferimento
necessario e decisivo: ed è quanto mai fecondo ed innovativo anche
per l'attuale momento storico. Pur non chiamate all'apostolato
proprio dei Dodici, e quindi al sacerdozio ministeriale, molte donne
accompagnano Gesù nel suo ministero e assistono il gruppo degli
Apostoli (cf. Lc 8, 2-3); sono presenti sotto la Croce (cf. Lc
23, 49); assistono alla sepoltura di Gesù (cf. Lc 23, 55) e il
mattino di Pasqua ricevono e trasmettono l'annuncio della risurrezione
(cf. Lc 24, 1-10); pregano con gli Apostoli nel Cenacolo
nell'attesa della Pentecoste (cf. At 1, 14). Nella scia del Vangelo, la Chiesa
delle origini si distacca dalla cultura del tempo e chiama la donna a
compiti connessi con l'evangelizzazione. Nelle sue Lettere l'apostolo
Paolo ricorda, anche per nome, numerose donne per le loro varie
funzioni all'interno e al servizio delle prime comunità ecclesiali
(cf. Rom 16, 1-15; Fil 4, 2-3; Col 4, 15 e 1
Cor 11, 5; 1 Tim 5, 16). «Se la testimonianza degli
Apostoli fonda la Chiesa _ ha detto Paolo VI _, quella delle donne
contribuisce grandemente a nutrire la fede delle comunità cristiane»(181). E come alle origini, così nello
sviluppo successivo la Chiesa ha sempre conosciuto, anche se in
differenti modi e con accentuazioni diverse, donne che hanno
esercitato un ruolo talvolta decisivo e svolto compiti di valore
considerevole per la Chiesa stessa. E' una storia d'immensa operosità,
il più delle volte umile e nascosta ma non per questo meno decisiva
per la crescita e per la santità della Chiesa. E' necessario che
questa storia sia continuata, anzi che si allarghi e si intensifichi
di fronte all'accresciuta e universalizzata consapevolezza della
dignità personale della donna e della sua vocazione, nonché di
fronte all'urgenza di una «nuova evangelizzazione» e di una maggiore
«umanizzazione» delle relazioni sociali. Raccogliendo la consegna del
Concilio Vaticano II, nella quale si specchia il messaggio del Vangelo
e della storia della Chiesa, i Padri del Sinodo hanno formulato, tra
le altre, questa precisa «raccomandazione»: «E' necessario che la
Chiesa, per la sua vita e la sua missione, riconosca tutti i doni
delle donne e degli uomini e li traduca in pratica»(182). E ancora:
«Questo Sinodo proclama che la Chiesa esige il riconoscimento e
l'utilizzazione di tutti questi doni, esperienze e attitudini degli
uomini e delle donne perché la sua missione risulti più efficace
(cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Instructio de
libertate christiana et liberatione, 72)»(183). Fondamenti antropologici e
teologici 50. La condizione per assicurare
la giusta presenza della donna nella Chiesa e nella società è una
considerazione più penetrante e accurata dei fondamenti
antropologici della condizione maschile e femminile, destinata a
precisare l'identità personale propria della donna nel suo rapporto
di diversità e di reciproca complementarietà con l'uomo, non solo
per quanto riguarda i ruoli da tenere e le funzioni da svolgere, ma
anche e più profondamente per quanto riguarda la sua struttura e il
suo significato personale. I Padri sinodali hanno sentito vivamente
questa esigenza affermando che «i fondamenti antropologici e
teologici hanno bisogno di studi approfonditi per la risoluzione dei
problemi relativi al vero significato e alla dignità di ambedue i
sessi»(184). Impegnandosi nella riflessione sui
fondamenti antropologici e teologici della condizione femminile, la
Chiesa si rende presente nel processo storico dei vari movimenti di
promozione della donna e, scendendo alle radici stesse dell'essere
personale della donna, vi apporta il suo contributo più prezioso. Ma
prima e più ancora la Chiesa intende, in tal modo, obbedire a Dio
che, creando l'uomo «a sua immagine», «maschio e femmina li creò»
(Gen 1, 27); così come intende accogliere la chiamata di Dio a
conoscere, ad ammirare e a vivere il suo disegno. E' un disegno che «al
principio» è stato indelebilmente impresso nello stesso essere della
persona umana _ uomo e donna _ e, pertanto, nelle sue strutture
significative e nei suoi profondi dinamismi. Proprio questo disegno,
sapientissimo e amoroso, chiede di essere esplorato in tutta la
ricchezza del suo contenuto: è la ricchezza che dal «principio» si
è venuta poi progressivamente manifestando e attuando lungo l'intera
storia della salvezza, ed è culminata nella «pienezza del tempo»,
allorquando «Dio mandò il suo Figlio, nato da donna» (Gal 4,
4). Quella «pienezza» continua nella storia: la lettura del
disegno di Dio sulla donna è incessantemente operata e da operarsi
nella fede della Chiesa, anche grazie alla vita vissuta di tante donne
cristiane. Senza dimenticare l'aiuto che può venire dalle diverse
scienze umane e dalle varie culture: queste, grazie ad un illuminato
discernimento, potranno aiutare a cogliere e a precisare i valori e le
esigenze che appartengono all'essenza perenne della donna e quelli
legati all'evolversi storico delle culture stesse. Come ci ricorda il
Concilio Vaticano II, «la Chiesa afferma che al di sotto di tutti i
mutamenti ci sono molte cose che non cambiano: esse trovano il loro
ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei
secoli (cf. Ebr 13, 8)»(185). Sui fondamenti antropologici e
teologici della dignità personale della donna si sofferma la Lettera
Apostolica sulla dignità e sulla vocazione della donna. Il documento,
che riprende, prosegue e specifica le riflessioni della catechesi del
mercoledì dedicata per lungo tempo alla «teologia del corpo», vuole
essere insieme l'adempimento di una promessa fatta nell'Enciclica Redemptoris
Mater(186) e la risposta alla richiesta dei Padri sinodali. La lettura della Lettera Mulieris
dignitatem, anche per il suo carattere di meditazione
biblicoteologica, potrà stimolare tutti, uomini e donne, e in
particolare i cultori delle scienze umane e delle discipline
teologiche, a proseguire nello studio critico così da approfondire
sempre meglio, sulla base della dignità personale dell'uomo e della
donna e della loro reciproca relazione, i valori ed i doni specifici
della femminilità e della mascolinità, non solo nell'ambito del
vivere sociale ma anche e soprattutto in quello dell'esistenza
cristiana ed ecclesiale. La meditazione sui fondamenti
antropologici e teologici della donna deve illuminare e guidare la
risposta cristiana alla domanda così frequente, e talvolta così
acuta, circa lo «spazio» che la donna può e deve avere nella
Chiesa e nella società. Dalla parola e dall'atteggiamento
di Cristo, che sono normativi per la Chiesa, risulta con grande
chiarezza che nessuna discriminazione esiste sul piano del rapporto
con Cristo, nel quale «non c'è più uomo né donna, poiché tutti
voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3, 28) e sul piano della
partecipazione alla vita e alla santità della Chiesa, come
splendidamente attesta la profezia di Gioele realizzatasi con la
Pentecoste: «Io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e
diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie» (Gl 3,
1; cf. At 2, 17 ss.). Come si legge nella Lettera Apostolica
sulla dignità e sulla vocazione della donna, «tutt'e due _ la donna
come l'uomo _ (...) sono suscettibili in eguale misura
dell'elargizione della verità divina e dell'amore nello Spirito
Santo. Ambedue accolgono le sue "visite" salvifiche e
santificanti»(187). Missione nella Chiesa e nel
mondo 51. Circa poi la partecipazione
alla missione apostolica della Chiesa, non c'è dubbio che, in forza
del Battesimo e della Cresima, la donna _ come l'uomo _ è resa
partecipe del triplice ufficio di Gesù Cristo Sacerdote, Profeta, Re,
e quindi è abilitata e impegnata all'apostolato fondamentale della
Chiesa: l'evangelizzazione. D'altre parte, proprio nel compimento di
questo apostolato, la donna è chiamata a mettere in opera i suoi «doni»
propri: anzitutto, il dono che è la sua stessa dignità personale,
mediante la parola e la testimonianza di vita; i doni, poi, connessi
con la sua vocazione femminile. Nella partecipazione alla vita e
alla missione della Chiesa la donna non può ricevere il sacramento
dell'Ordine e, pertanto, non può compiere le funzioni proprie del
sacerdozio ministeriale. E' questa una disposizione che la Chiesa ha
sempre ritrovato nella precisa volontà, totalmente libera e sovrana,
di Gesù Cristo che ha chiamato solo uomini come suoi apostoli(188);
una disposizione che può trovare luce nel rapporto tra Cristo Sposo e
la Chiesa Sposa(189). Siamo nell'ambito della funzione, non
della dignità e della santità. Si deve, in realtà,
affermare: «Anche se la Chiesa possiede una struttura
"gerarchica", tuttavia tale struttura è totalmente ordinata
alla santità delle membra di Cristo»(190). Ma, come già diceva Paolo VI, se
«noi non possiamo cambiare il comportamento di nostro Signore né la
chiamata da Lui rivolta alle donne, però dobbiamo riconoscere e
promuovere il ruolo delle donne nella missione evangelizzatrice e
nella vita della comunità cristiana»(191). E' del tutto necessario passare
dal riconoscimento teorico della presenza attiva e responsabile
della donna nella Chiesa alla realizzazione pratica. E in
questo preciso senso deve leggersi la presente Esortazione che si
rivolge ai fedeli laici, con la deliberata e ripetuta specificazione
«uomini e donne». Inoltre il nuovo Codice di Diritto Canonico
contiene molteplici disposizioni sulla partecipazione della donna alla
vita e alla missione della Chiesa: sono disposizioni che esigono
d'essere più comunemente conosciute e, sia pure secondo le diverse
sensibilità culturali e opportunità pastorali, attuate con maggiore
tempestività e risoluzione. Si pensi, ad esempio, alla
partecipazione delle donne ai Consigli pastorali diocesani e
parrocchiali, come pure ai Sinodi diocesani e ai Concili particolari.
In questo senso i Padri sinodali hanno scritto: «Le donne partecipino
alla vita della Chiesa senza alcuna discriminazione, anche nelle
consultazioni e nell'elaborazione di decisioni»(192). E ancora: «Le
donne, le quali hanno già una grande importanza nella trasmissione
della fede e nel prestare servizi di ogni genere nella vita della
Chiesa, devono essere associate alla preparazione dei documenti
pastorali e delle iniziative missionarie e devono essere riconosciute
come cooperatrici della missione della Chiesa nella famiglia, nella
professione e nella comunità civile»(193). Nell'ambito più specifico
dell'evangelizzazione e della catechesi è da promuovere con più
forza il compito particolare che la donna ha nella trasmissione della
fede, non solo nella famiglia ma anche nei più diversi luoghi
educativi e, in termini più ampi, in tutto ciò che riguarda
l'accoglienza della Parola di Dio, la sua comprensione e la sua
comunicazione, anche mediante lo studio, la ricerca e la docenza
teologica. Mentre adempirà il suo impegno di
evangelizzazione, la donna sentirà più vivo il bisogno di essere
evangelizzata. Così, con gli occhi illuminati dalla fede (cf. Ef
1, 18), la donna potrà distinguere ciò che veramente risponde alla
sua dignità personale e alla sua vocazione da tutto ciò che, magari
sotto il pretesto di questa «dignità» e nel nome della «libertà»
e del «progresso», fa sì che la donna non serva al consolidamento
dei veri valori ma, al contrario, diventi responsabile del degrado
morale delle persone, degli ambienti e della società. Operare un
simile «discernimento» è un'urgenza storica indilazionabile e,
nello stesso tempo, è una possibilità e un'esigenza che derivano
dalla partecipazione all'ufficio profetico di Cristo e della sua
Chiesa da parte della donna cristiana. Il «discernimento», di cui
parla più volte l'apostolo Paolo, non è solo valutazione delle realtà
e degli avvenimenti alla luce della fede; è anche decisione concreta
e impegno operativo, non solo nell'ambito della Chiesa ma anche in
quello della società umana. Si può dire che tutti i problemi
del mondo contemporaneo, di cui già parlava la seconda parte della
Costituzione conciliare Gaudium et spes e che il tempo non ha
affatto né risolto né attutito, devono vedere le donne presenti e
impegnate, e precisamente con il loro contributo tipico e
insostituibile. In particolare, due grandi compiti
affidati alla donna meritano di essere riproposti all'attenzione di
tutti. Il compito, anzitutto, di dare
piena dignità alla vita matrimoniale e alla maternità. Nuove
possibilità si aprono oggi alla donna per una comprensione più
profonda e per una realizzazione più ricca dei valori umani e
cristiani implicati nella vita coniugale e nell'esperienza della
maternità: l'uomo stesso _ il marito e il padre _ può superare forme
di assenteismo o di presenza episodica e parziale, anzi può
coinvolgersi in nuove e significative relazioni di comunione
interpersonale, proprio grazie all'intervento intelligente, amorevole
e decisivo della donna. Il compito, poi, di assicurare
la dimensione morale della cultura, la dimensione cioè di una cultura
degna dell'uomo, della sua vita personale e sociale. Il Concilio
Vaticano II sembra collegare la dimensione morale della cultura con la
partecipazione dei laici alla missione regale di Cristo: «I laici,
anche mettendo in comune la loro forza, risanino le istituzioni e le
condizioni di vita del mondo, se ve ne sono che spingono i costumi al
peccato, così che tutte siano rese conformi alle norme della
giustizia e, anziché ostacolare, favoriscano l'esercizio delle virtù.
Così agendo impregneranno di valore morale la cultura e i lavori
dell'uomo»(194). Man mano che la donna partecipa
attivamente e responsabilmente alla funzione delle istituzioni, dalle
quali dipende la salvaguardia del primato dovuto ai valori umani nella
vita delle comunità politiche, le parole del Concilio ora citate
indicano un importante campo d'apostolato della donna: in tutte le
dimensioni della vita di queste comunità, dalla dimensione
socio-economica a quella socio-politica, devono essere rispettate e
promosse la dignità personale della donna e la sua specifica
vocazione: nell'ambito non solo individuale ma anche comunitario, non
solo in forme lasciate alla libertà responsabile delle persone ma
anche in forme garantite da leggi civili giuste. «Non è bene che l'uomo sia solo:
gli voglio fare un aiuto a lui simile» (Gen 2, 18). Alla
donna Dio Creatore ha affidato l'uomo. Certo, l'uomo è stato
affidato ad ogni uomo, ma in modo particolare alla donna, perché
proprio la donna sembra avere una specifica sensibilità, grazie
alla speciale esperienza della sua maternità, per l'uomo e per
tutto ciò che costituisce il suo vero bene, a cominciare dal
fondamentale valore della vita. Quanto grandi sono le possibilità e
le responsabilità della donna in questo campo, in un tempo nel quale
lo sviluppo della scienza e della tecnica non è sempre ispirato e
misurato dalla vera sapienza, con l'inevitabile rischio di «disumanizzare»
la vita umana, soprattutto quando essa esigerebbe amore più intenso e
più generosa accoglienza. La partecipazione della donna alla
vita della Chiesa e della società, mediante i suoi doni, costituisce
insieme la strada necessaria per la sua realizzazione personale _
sulla quale oggi giustamente tanto si insiste _ e il contributo
originale della donna all'arricchimento della comunione ecclesiale e
al dinamismo apostolico del Popolo di Dio. In questa prospettiva si deve
considerare la presenza anche dell'uomo, insieme alla donna. Compresenza e collaborazione
degli uomini e delle donne 52. Non è mancata nell'aula
sinodale la voce di quanti hanno espresso il timore che un'eccessiva
insistenza portata sulla condizione e sul ruolo delle donne potesse
sfociare in un'inaccettabile dimenticanza: quella, appunto,
riguardante gli uomini. In realtà diverse situazioni
ecclesiali devono lamentare l'assenza o la troppo scarsa presenza
degli uomini, una parte dei quali abdica alle proprie responsabilità
ecclesiali, lasciando che siano assolte soltanto dalle donne: così,
ad esempio, la partecipazione alla preghiera liturgica in Chiesa,
l'educazione e in particolare la catechesi ai propri figli e ad altri
fanciulli, la presenza ad incontri religiosi e culturali, la
collaborazione ad iniziative caritative e missionarie. E' allora da urgere pastoralmente
la presenza coordinata degli uomini e delle donne perché sia resa più
completa, armonica e ricca la partecipazione dei fedeli laici alla
missione salvifica della Chiesa. La ragione fondamentale che esige
e spiega la compresenza e la collaborazione degli uomini e delle donne
non è solo, come ora si è rilevato, la maggiore significatività ed
efficacia dell'azione pastorale della Chiesa; né, tanto meno, il
semplice dato sociologico di una convivenza umana che è naturalmente
fatta di uomini e di donne. E', piuttosto, il disegno originario del
Creatore che dal «principio» ha voluto l'essere umano come «unità
dei due», ha voluto l'uomo e la donna come prima comunità di
persone, radice di ogni altra comunità, e, nello stesso tempo, come
«segno» di quella comunione interpersonale d'amore che costituisce
la misteriosa vita intima di Dio Uno e Trino. Proprio per questo il modo più
comune e capillare, e nello stesso tempo fondamentale, per assicurare
questa presenza coordinata e armonica di uomini e di donne nella vita
e nella missione della Chiesa, è l'esercizio dei compiti e delle
responsabilità della coppia e della famiglia cristiana, nel quale
traspare e si comunica la varietà delle diverse forme di amore e di
vita: la forma coniugale, paterna e materna, filiale e fraterna.
Leggiamo nell'Esortazione Familiaris consortio: «Se la
famiglia cristiana è comunità, i cui vincoli sono rinnovati da
Cristo mediante la fede e i sacramenti, la sua partecipazione alla
missione della Chiesa deve avvenire secondo una modalità
comunitaria: insieme, dunque i coniugi in quanto coppia, i
genitori e i figli in quanto famiglia, devono vivere il loro
servizio alla Chiesa e al mondo (...). La famiglia cristiana, poi,
edifica il Regno di Dio nella storia mediante quelle stesse realtà
quotidiane che riguardano e contraddistinguono la sua condizione di
vita: è allora nell'amore coniugale e familiare _ vissuto
nella sua straordinaria ricchezza di valori ed esigenze di totalità,
unicità, fedeltà e fecondità _ che si esprime e si realizza la
partecipazione della famiglia cristiana alla missione profetica,
sacerdotale e regale di Gesù Cristo e della sua Chiesa»(195). Situandosi in questa prospettiva,
i Padri sinodali hanno ricordato il significato che il sacramento del
Matrimonio deve assumere nella Chiesa e nella società per illuminare
e ispirare tutte le relazioni tra l'uomo e la donna. In tal senso
hanno ribadito «l'urgente necessità che ciascun cristiano viva e
annunci il messaggio di speranza contenuto nella relazione tra l'uomo
e la donna Il sacramento del Matrimonio, che consacra questa relazione
nella sua forma coniugale e la rivela come segno della relazione di
Cristo con la sua Chiesa, contiene un insegnamento di grande
importanza per la vita della Chiesa; questo insegnamento deve arrivare
per mezzo della Chiesa al mondo di oggi; tutte le relazioni tra l'uomo
e la donna debbono ispirarsi a questo spirito. La Chiesa deve
utilizzare queste ricchezze ancora più pienamente»(196). Gli stessi
Padri hanno giustamente rilevato che «la stima della verginità e il
rispetto della maternità debbono ambedue essere ricuperate»(197):
ancora una volta per lo sviluppo di vocazioni diverse e complementari
nel contesto vivo della comunione ecclesiale e al servizio della sua
continua crescita. Malati e sofferenti 53. L'uomo è chiamato alla gioia
ma fa quotidiana esperienza di tantissime forme di sofferenza e di
dolore. Agli uomini e alle donne colpiti dalle più varie forme di
sofferenza e di dolore i Padri sinodali si sono rivolti nel loro
finale Messaggio con queste parole: «Voi abbandonati ed
emarginati dalla nostra società consumistica; voi malati,
handicappati, poveri, affamati, emigranti, profughi, prigionieri,
disoccupati, anziani, bambini abbandonati e persone sole; voi, vittime
della guerra e di ogni violenza emananti dalla nostra società
permissiva. La Chiesa partecipa alla vostra sofferenza conducente al
Signore, che vi associa alla sua Passione redentrice e vi fa vivere
alla luce della sua Redenzione. Contiamo su di voi per insegnare al
mondo intero che cosa è l'amore. Faremo tutto il possibile perché
troviate il posto di cui avete diritto nella società e nella Chiesa»(198). Nel contesto di un mondo
sconfinato come quello della sofferenza umana, rivolgiamo ora
l'attenzione a quanti sono colpiti dalla malattia nelle sue diverse
forme: i malati, infatti, sono l'espressione più frequente e più
comune del soffrire umano. A tutti e a ciascuno è rivolto
l'appello del Signore: anche i malati sono mandati come operai
nella sua vigna. Il peso, che affatica le membra del corpo e
scuote la serenità dell'anima, lungi dal distoglierli dal lavorare
nella vigna, li chiama a vivere la loro vocazione umana e cristiana ed
a partecipare alla crescita del Regno di Dio in modalità nuove,
anche più preziose. Le parole dell'apostolo Paolo devono divenire
il loro programma e, prima ancora, sono luce che fa splendere ai loro
occhi il significato di grazia della loro stessa situazione: «Completo
quello che manca ai patimenti di Cristo nella mia carne, in favore del
suo corpo, che è la Chiesa» (Col 1, 24). Proprio
facendo questa scoperta, l'apostolo è approdato alla gioia: «Perciò
sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi» (Col 1, 24).
Similmente molti malati possono diventare portatori della «gioia
dello Spirito Santo in molte tribolazioni» (1 Tess 1, 6)
ed essere testimoni della Risurrezione di Gesù. Come ha espresso un
handicappato nel suo intervento in aula sinodale, «è di grande
importanza porre in luce il fatto che i cristiani che vivono in
situazioni di malattia, di dolore e di vecchiaia, non sono invitati da
Dio soltanto ad unire il proprio dolore con la Passione di Cristo, ma
anche ad accogliere già ora in se stessi e a trasmettere agli altri
la forza del rinnovamento e la gioia di Cristo risuscitato (cf. 2 Cor
4, 10-11; 1 Pt 4, 13; Rm 8, 18 ss.)»(199). Da parte
sua _ come si legge nella Lettera Apostolica Salvifici doloris _ «la
Chiesa, che nasce dal mistero della redenzione nella Croce di Cristo,
è tenuta a cercare l'incontro con l'uomo in modo particolare
sulla via della sofferenza. In un tale incontro l'uomo "diventa
la via della Chiesa", ed è, questa, una delle vie più
importanti»(200). Ora l'uomo sofferente è via della Chiesa perché
egli è, anzitutto, via di Cristo stesso, il buon Samaritano che «non
passa oltre», ma «ne ha compassione, si fa vicino (...) gli fascia
le ferite (...) si prende cura di lui» (Lc 10, 32-34). La comunità cristiana ha
ritrascritto, di secolo in secolo nell'immensa moltitudine delle
persone malate e sofferenti, la parabola evangelica del buon
Samaritano, rivelando e comunicando l'amore di guarigione e di
consolazione di Gesù Cristo. Ciò è avvenuto mediante la
testimonianza della vita religiosa consacrata al servizio degli
ammalati e mediante l'infaticabile impegno di tutti gli operatori
sanitari. Oggi, anche negli stessi ospedali e case di cura cattolici
si fa sempre più numerosa, e talvolta anche totale ed esclusiva, la
presenza dei fedeli laici, uomini e donne: proprio loro, medici,
infermieri, altri operatori della salute, volontari, sono chiamati ad
essere l'immagine viva di Cristo e della sua Chiesa nell'amore verso i
malati e i sofferenti. Azione pastorale rinnovata 54. E' necessario che questa
preziosissima eredità, che la Chiesa ha ricevuto da Gesù Cristo «medico
di carne e di spirito»(201), non solo non venga mai meno, ma sia
sempre più valorizzata e arricchita attraverso una ripresa e un
rilancio deciso di un'azione pastorale per e con i malati e
i sofferenti. Dev'essere un'azione capace di sostenere e di
promuovere attenzione, vicinanza, presenza, ascolto, dialogo,
condivisione e aiuto concreto verso l'uomo nei momenti nei quali, a
causa della malattia e della sofferenza, sono messe a dura prova non
solo la sua fiducia nella vita ma anche la sua stessa fede in Dio e
nel suo amore di Padre. Questo rilancio pastorale ha la sua
espressione più significativa nella celebrazione sacramentale con e
per gli ammalati, come fortezza nel dolore e nella debolezza, come
speranza nella disperazione, come luogo d'incontro e di festa. Uno dei fondamentali obiettivi di
questa rinnovata e intensificata azione pastorale, che non può non
coinvolgere e in modo coordinato tutte le componenti della comunità
ecclesiale, è di considerare il malato, il portatore di handicap, il
sofferente non semplicemente come termine dell'amore e del servizio
della Chiesa, bensì come soggetto attivo e responsabile dell'opera
di evangelizzazione e di salvezza. In questa prospettiva la Chiesa
ha una buona novella da far risuonare all'interno di società e di
culture che, avendo smarrito il senso del soffrire umano, «censurano»
ogni discorso su tale dura realtà della vita. E la buona novella sta
nell'annuncio che il soffrire può avere anche un significato positivo
per l'uomo e per la stessa società, chiamato com'è a divenire una
forma di partecipazione alla sofferenza salvifica di Cristo e alla sua
gioia di risorto, e pertanto una forza di santificazione e di
edificazione della Chiesa. L'annuncio di questa buona novella
diventa credibile allorquando non risuona semplicemente sulle labbra,
ma passa attraverso la testimonianza della vita, sia di tutti coloro
che curano con amore i malati, gli handicappati e i sofferenti, sia di
questi stessi, resi sempre più coscienti e responsabili del loro
posto e del loro compito nella Chiesa e per la Chiesa. Di grande utilità perché «la
civiltà dell'amore» possa fiorire e fruttificare nell'immenso mondo
del dolore umano, potrà essere la rinnovata meditazione della Lettera
Apostolica Salvifici doloris, di cui ricordiamo ora le righe
conclusive: «Occorre pertanto, che sotto la Croce del Calvario
idealmente convengano tutti i sofferenti che credono in Cristo e,
particolarmente, coloro che soffrono a causa della loro fede in lui
Crocifisso e Risorto, affinché l'offerta delle loro sofferenze
affretti il compimento della preghiera dello stesso Salvatore per
l'unità di tutti (cf. Gv 17, 11. 21-22). Là pure convengano
gli uomini di buona volontà, perché sulla Croce sta il
"Redentore dell'uomo", l'Uomo dei dolori, che in sé ha
assunto le sofferenze fisiche e morali degli uomini di tutti i tempi,
affinché nell'amore possano trovare il senso salvifico del
loro dolore e risposte valide a tutti i loro interrogativi. Insieme
con Maria, Madre di Cristo, che stava sotto la Croce (cf. Gv
19, 25), ci fermiamo accanto a tutte le croci dell'uomo d'oggi (...).
E chiediamo a tutti voi, che soffrite, di sostenerci. Proprio a
voi, che siete deboli, chiediamo che diventiate una sorgente di
forza per la Chiesa e per l'umanità. Nel terribile combattimento
tra le forze del bene e del male, di cui ci offre spettacolo il nostro
mondo contemporaneo, vinca la vostra sofferenza in unione con la Croce
di Cristo!»(202). Stati di vita e vocazioni 55. Operai della vigna sono tutti
i membri del Popolo di Dio: i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i
fedeli laici, tutti ad un tempo oggetto e soggetto della comunione
della Chiesa e della partecipazione alla sua missione di salvezza.
Tutti e ciascuno lavoriamo nell'unica e comune vigna del Signore con
carismi e con ministeri diversi e complementari. Già sul piano dell'essere,
prima ancora che su quello dell'agire, i cristiani sono tralci
dell'unica feconda vite che è Cristo, sono membra vive dell'unico
Corpo del Signore edificato nella forza dello Spirito. Sul piano
dell'essere: non significa solo mediante la vita di grazia e di santità,
che è la prima e più rigogliosa sorgente della fecondità apostolica
e missionaria della santa Madre Chiesa; ma significa anche mediante lo
stato di vita che caratterizza i sacerdoti e i diaconi, i religiosi e
le religiose, i membri degli istituti secolari, i fedeli laici. Nella Chiesa-Comunione gli stati
di vita sono tra loro così collegati da essere ordinati l'uno
all'altro. Certamente comune, anzi unico è il loro significato
profondo: quello di essere modalità secondo cui vivere l'eguale
dignità cristiana e l'universale vocazione alla santità nella
perfezione dell'amore. Sono modalità insieme diverse e
complementari, sicché ciascuna di esse ha una sua originale e
inconfondibile fisionomia e nello stesso tempo ciascuna di esse si
pone in relazione alle altre e al loro servizio. Così lo stato di vita laicale ha
nell'indole secolare la sua specificità e realizza un servizio
ecclesiale nel testimoniare e nel richiamare, a suo modo, ai
sacerdoti, ai religiosi e alle religiose il significato che le realtà
terrene e temporali hanno nel disegno salvifico di Dio. A sua volta il
sacerdozio ministeriale rappresenta la permanente garanzia
della presenza sacramentale, nei diversi tempi e luoghi, di Cristo
Redentore. Lo stato religioso testimonia l'indole escatologica
della Chiesa, ossia la sua tensione verso il Regno di Dio, che viene
prefigurato e in qualche modo anticipato e pregustato dai voti di
castità, povertà e obbedienza. Tutti gli stati di vita, sia nel
loro insieme sia ciascuno di essi in rapporto agli altri, sono al
servizio della crescita della Chiesa, sono modalità diverse che si
unificano profondamente nel «mistero di comunione» della Chiesa e
che si coordinano dinamicamente nella sua unica missione. In tal modo, l'unico e identico
mistero della Chiesa rivela e rivive, nella diversità degli stati di
vita e nella varietà delle vocazioni, l'infinita ricchezza del
mistero di Gesù Cristo. Come amano ripetere i Padri, la Chiesa è
come un campo dall'affascinante e meravigliosa varietà di erbe,
piante, fiori e frutti. Sant'Ambrogio scrive: «Un campo produce molti
frutti, ma migliore è quello che abbonda di frutti e di fiori.
Orbene, il campo della santa Chiesa è fecondo degli uni e degli
altri. Qui puoi vedere le gemme della verginità metter fiori, là la
vedovanza dominare austera come le foreste nella pianura; altrove la
ricca mietitura delle nozze benedette dalla Chiesa riempire i grandi
granai del mondo di messe abbondante, e i torchi del Signore Gesù
ridondare come di frutti di vite rigogliosa, frutti dei quali sono
ricche le nozze cristiane»(203). Le varie vocazioni laicali 56. La ricca varietà della Chiesa
trova una sua ulteriore manifestazione all'interno di ciascun stato di
vita. Così entro lo stato di vita laicale si danno diverse «vocazioni»,
ossia diversi cammini spirituali e apostolici che riguardano i
singoli fedeli laici. Nell'alveo d'una vocazione laicale «comune»
fioriscono vocazioni laicali «particolari». In questo ambito
possiamo ricordare anche l'esperienza spirituale che è maturata
recentemente nella Chiesa con il fiorire di diverse forme di Istituti
secolari: ai fedeli laici, ma anche agli stessi sacerdoti, è aperta
la possibilità di professare i consigli evangelici di povertà,
castità e obbedienza per mezzo dei voti o delle promesse, conservando
pienamente la propria condizione laicale o clericale(204). Come hanno
rilevato i Padri sinodali, «lo Spirito Santo suscita anche altre
forme di offerta di se stessi cui si dedicano persone che rimangono
pienamente nella vita laicale»(205). Possiamo concludere rileggendo una
bella pagina di San Francesco di Sales, che tanto ha promosso la
spiritualità dei laici(206). Parlando della «devozione», ossia
della perfezione cristiana o «vita secondo lo Spirito», egli
presenta in una maniera semplice e splendida la vocazione di tutti i
cristiani alla santità e nello stesso tempo la forma specifica con
cui i singoli cristiani la realizzano: «Nella creazione Dio comandò
alle piante di produrre i loro frutti, ognuna "secondo la propria
specie" (Gen 1, 11). Lo stesso comando rivolge ai
cristiani, che sono le piante vive della sua Chiesa, perché producano
frutti di devozione, ognuno secondo il suo stato e la sua condizione.
La devozione deve essere praticata in modo diverso dal gentiluomo,
dall'artigiano, dal domestico, dal principe, dalla vedova, dalla donna
non sposata e da quella coniugata. Ciò non basta, bisogna anche
accordare la pratica della devozione alle forze, agli impegni e ai
doveri di ogni persona (...). E' un errore, anzi un'eresia, voler
escludere l'esercizio della devozione dall'ambiente militare, dalla
bottega degli artigiani, dalla corte dei principi, dalle case dei
coniugati. E' vero, Filotea, che la devozione puramente contemplativa,
monastica e religiosa può essere vissuta solo in questi stati, ma,
oltre a questi tre tipi di devozione, ve ne sono molti altri capaci di
rendere perfetti coloro che vivono in condizioni secolari. Perciò,
dovunque ci troviamo, possiamo e dobbiamo aspirare alla vita perfetta»(207). Ponendosi nella stessa linea il
Concilio Vaticano II scrive: «Questo comportamento spirituale dei
laici deve assumere una peculiare caratteristica dallo stato di
matrimonio e di famiglia, di celibato o di vedovanza, dalla condizione
di infermità, dall'attività professionale e sociale. Non tralascino,
dunque, di coltivare costantemente le qualità e le doti ad essi
conferite corrispondenti a tali condizioni, e di servirsi dei propri
doni ricevuti dallo Spirito Santo»(208). Ciò che vale delle vocazioni
spirituali vale anche, e in un certo senso a maggior ragione, delle
infinite varie modalità secondo cui tutti e singoli i membri della
Chiesa sono operai che lavorano nella vigna del Signore, edificando il
Corpo mistico di Cristo. Veramente ciascuno è chiamato per nome,
nell'unicità e irripetibilità della sua storia personale, a portare
il suo proprio contributo per l'avvento del Regno di Dio. Nessun
talento, neppure il più piccolo, può essere nascosto e lasciato
inutilizzato (cf. Mt 25, 24-27). L'apostolo Pietro ci ammonisce: «Ciascuno
viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a servizio degli altri,
come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio» (1 Pt
4, 10). CAPITOLO
V PERCHÉ
PORTIATE PIÙ FRUTTO Maturare in continuità 57. L'immagine evangelica della
vite e dei tralci ci rivela un altro aspetto fondamentale della vita e
della missione dei fedeli laici: la chiamata a crescere, a maturare
in continuità, a portare sempre più frutto. Come solerte vignaiolo, il Padre
si prende cura della sua vigna. La presenza premurosa di Dio è
ardentemente invocata da Israele, che così prega: «Dio degli
eserciti, volgiti, / guarda dal cielo e vedi / e visita questa vigna,
/ proteggi il ceppo che la tua destra ha piantato, / il germoglio che
ti sei coltivato» (Sal 80, 15-16). Gesù stesso parla
dell'opera del Padre: «Io sono la vera vite e il Padre mio è il
vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni
tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto» (Gv
15, 1-2). La vitalità dei tralci è legata
al loro rimanere radicati nella vite, che è Cristo Gesù: «Chi
rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non
potete far nulla» (Gv 15, 5). L'uomo è interpellato nella sua
libertà dalla chiamata di Dio a crescere, a maturare, a portare
frutto. Non può non rispondere, non può non assumersi la sua
personale responsabilità. E' a questa responsabilità, tremenda ed
esaltante, che alludono le gravi parole di Gesù: «Chi non rimane in
me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e
lo gettano nel fuoco e lo bruciano» (Gv 15, 6). In questo dialogo tra Dio che
chiama e la persona interpellata nella sua responsabilità si situa la
possibilità, anzi la necessità di una formazione integrale e
permanente dei fedeli laici, alla quale i Padri sinodali hanno
giustamente riservato un'ampia parte del loro lavoro. In particolare,
dopo aver descritto la formazione cristiana come «un continuo
processo personale di maturazione nella fede e di configurazione con
il Cristo, secondo la volontà del Padre, con la guida dello Spirito
Santo», hanno chiaramente affermato che «la formazione dei fedeli
laici va posta tra le priorità della diocesi e va collocata nei
programmi di azione pastorale in modo che tutti gli sforzi della
comunità (sacerdoti, laici e religiosi) convergano a questo fine»(209). Scoprire e vivere la propria
vocazione e missione 58. La formazione dei fedeli laici
ha come obiettivo fondamentale la scoperta sempre più chiara della
propria vocazione e la disponibilità sempre più grande a viverla nel
compimento della propria missione. Dio chiama me e manda me come
operaio nella sua vigna; chiama me e manda me a lavorare per l'avvento
del suo Regno nella storia: questa vocazione e missione personale
definisce la dignità e la responsabilità dell'intera opera
formativa, ordinata al riconoscimento gioioso e grato di tale dignità
e all'assolvimento fedele e generoso di tale responsabilità. Infatti, Dio dall'eternità ha
pensato a noi e ci ha amato come persone uniche e irripetibili,
chiamando ciascuno di noi con il suo proprio nome, come il buon
Pastore che «chiama le sue pecore per nome» (Gv 10, 3). Ma il
piano eterno di Dio si rivela a ciascuno di noi solo nello sviluppo
storico della nostra vita e delle sue vicende, e pertanto solo
gradualmente: in un certo senso, di giorno in giorno. Ora per poter scoprire la concreta
volontà del Signore sulla nostra vita sono sempre indispensabili
l'ascolto pronto e docile della parola di Dio e della Chiesa, la
preghiera filiale e costante, il riferimento a una saggia e amorevole
guida spirituale, la lettura nella fede dei doni e dei talenti
ricevuti e nello stesso tempo delle diverse situazioni sociali e
storiche entro cui si è inseriti. Nella vita di ciascun fedele laico
ci sono poi momenti particolarmente significativi e decisivi per
discernere la chiamata di Dio e per accogliere la missione da Lui
affidata: tra questi ci sono i momenti dell'adolescenza e della
giovinezza. Nessuno però dimentichi che il Signore, come il
padrone con gli operai della vigna, chiama _ nel senso di rendere
concreta e puntuale la sua santa volontà _ a tutte le ore della
vita: per questo la vigilanza, quale attenzione premurosa alla voce di
Dio, è un atteggiamento fondamentale e permanente del discepolo. Non si tratta, comunque, soltanto
di sapere quello che Dio vuole da noi, da ciascuno di noi nelle
varie situazioni della vita. Occorre fare quello che Dio vuole:
così ci ricorda la parola di Maria, la Madre di Gesù, rivolta ai
servi di Cana: «Fate quello che vi dirà» (Gv 2, 5). E per
agire in fedeltà alla volontà di Dio occorre essere capaci e
rendersi sempre più capaci. Certo, con la grazia del Signore,
che non manca mai, come dice San Leone Magno: «Darà il vigore Colui
che conferì la dignità!»(210); ma anche con la libera e
responsabile collaborazione di ciascuno di noi. Ecco il compito meraviglioso e
impegnativo che attende tutti i fedeli laici, tutti i cristiani, senza
sosta alcuna: conoscere sempre più le ricchezze della fede e del
Battesimo e viverle in crescente pienezza. L'apostolo Pietro, parlando
di nascita e di crescita come delle due tappe della vita cristiana, ci
esorta: «Come bambini appena nati, bramate il puro latte spirituale,
per crescere con esso verso la salvezza» (1 Pt 2, 2). Una formazione integrale da
vivere in unità 59. Nello scoprire e nel vivere la
propria vocazione e missione, i fedeli laici devono essere formati a
quell'unità di cui è segnato il loro stesso essere di
membri della Chiesa e di cittadini della società umana. Nella loro esistenza non possono
esserci due vite parallele: da una parte, la vita cosiddetta «spirituale»,
con i suoi valori e con le sue esigenze; e dall'altra, la vita
cosiddetta «secolare», ossia la vita di famiglia, di lavoro, dei
rapporti sociali, dell'impegno politico e della cultura. Il tralcio,
radicato nella vite che è Cristo, porta i suoi frutti in ogni settore
dell'attività e dell'esistenza. Infatti, tutti i vari campi della
vita laicale rientrano nel disegno di Dio, che li vuole come il «luogo
storico» del rivelarsi e del realizzarsi della carità di Gesù
Cristo a gloria del Padre e a servizio dei fratelli. Ogni attività,
ogni situazione, ogni impegno concreto _ come, ad esempio, la
competenza e la solidarietà nel lavoro, l'amore e la dedizione nella
famiglia e nell'educazione dei figli, il servizio sociale e politico,
la proposta della verità nell'ambito della cultura _ sono occasioni
provvidenziali per un «continuo esercizio della fede, della speranza
e della carità»(211). A questa unità di vita il
Concilio Vaticano II ha invitato tutti i fedeli laici denunciando con
forza la gravità della frattura tra fede e vita, tra Vangelo e
cultura: «Il Concilio esorta i cristiani, che sono cittadini dell'una
e dell'altra città, di sforzarsi di compiere fedelmente i propri
doveri terreni, facendosi guidare dallo spirito del Vangelo. Sbagliano
coloro che, sapendo che qui non abbiamo una cittadinanza stabile ma
cerchiamo quella futura, pensano di poter per questo trascurare i
propri doveri terreni, e non riflettono che invece proprio la fede li
obbliga ancora di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno
(...). Il distacco, che si costata in molti, tra la fede che
professano e la loro vita quotidiana, va annoverato tra i più gravi
errori del nostro tempo»(212). Perciò ho affermato che una fede che
non diventa cultura è una fede «non pienamente accolta, non
interamente pensata non fedelmente vissuta»(213). Aspetti della formazione 60. Entro questa sintesi di vita
si situano i molteplici e coordinati aspetti della formazione
integrale dei fedeli laici. Non c'è dubbio che la formazione spirituale
debba occupare un posto privilegiato nella vita di ciascuno,
chiamato a crescere senza sosta nell'intimità con Gesù Cristo, nella
conformità alla volontà del Padre, nella dedizione ai fratelli nella
carità e nella giustizia. Scrive il Concilio: «Questa vita d'intima
unione con Cristo si alimenta nella Chiesa con gli aiuti spirituali,
che sono comuni a tutti i fedeli, soprattutto con la partecipazione
attiva alla sacra Liturgia, e questi aiuti i laici devono usarli in
modo che, mentre compiono con rettitudine gli stessi doveri del mondo
nelle condizioni ordinarie di vita, non separino dalla propria vita
l'unione con Cristo, ma, svolgendo la propria attività secondo il
volere divino, crescano in essa»(214). Sempre più urgente si rivela oggi
la formazione dottrinale dei fedeli laici, non solo per il
naturale dinamismo di approfondimento della loro fede, ma anche per
l'esigenza di «rendere ragione della speranza» che è in loro di
fronte al mondo e ai suoi gravi e complessi problemi. Si rendono così assolutamente
necessarie una sistematica azione di catechesi, da graduarsi in
rapporto all'età e alle diverse situazioni di vita, e una più decisa
promozione cristiana della cultura, come risposta agli eterni
interrogativi che agitano l'uomo e la società d'oggi. In particolare, soprattutto per i
fedeli laici variamente impegnati nel campo sociale e politico, è del
tutto indispensabile una conoscenza più esatta della dottrina
sociale della Chiesa, come ripetutamente i Padri sinodali hanno
sollecitato nei loro interventi. Parlando della partecipazione
politica dei fedeli laici, si sono così espressi: «Perché i laici
possano realizzare attivamente questo nobile proposito nella politica
(ossia il proposito di far riconoscere e stimare i valori umani e
cristiani), non bastano le esortazioni, ma bisogna offrire loro la
dovuta formazione della coscienza sociale, specialmente nella dottrina
sociale della Chiesa, la quale contiene i principi di riflessione, i
criteri di giudizio e le direttrici pratiche (cf. Congregazione per la
Dottrina della Fede, Istruzione su libertà cristiana e liberazione,
72). Tale dottrina deve essere già presente nella istruzione
catechistica generale, negli incontri specializzati e nelle scuole ed
università. Questa dottrina sociale della Chiesa è, tuttavia,
dinamica, cioè adattata alle circostanze dei tempi e dei luoghi. E'
diritto e dovere dei pastori proporre i principi morali anche
sull'ordine sociale; è dovere di tutti i cristiani dedicarsi alla
difesa dei diritti umani; tuttavia, la partecipazione attiva nei
partiti politici è riservata ai laici»(215). E, infine, nel contesto della
formazione integrale e unitaria dei fedeli laici, è particolarmente
significativa per la loro azione missionaria e apostolica la personale
crescita nei valori umani. Proprio in questo senso il Concilio
ha scritto: «(i laici) facciano pure gran conto della competenza
professionale, del senso della famiglia e del senso civico e di quelle
virtù che riguardano i rapporti sociali, cioè la probità, lo
spirito di giustizia, la sincerità, la cortesia, la fortezza d'animo,
senza le quali non ci può essere neanche vera vita cristiana»(216). Nel maturare la sintesi organica
della loro vita, che insieme è espressione dell'unità del loro
essere e condizione per l'efficace compimento della loro missione, i
fedeli laici saranno interiormente guidati e sostenuti dallo Spirito
Santo, quale Spirito di unità e di pienezza di vita. Collaboratori di Dio
educatore 61. Quali sono i luoghi e i mezzi
della formazione dei fedeli laici? Quali sono le persone e le
comunità chiamate ad assumersi il compito della formazione
integrale e unitaria dei fedeli laici? Come l'opera educativa umana è
intimamente congiunta con la paternità e la maternità, così la
formazione cristiana trova la sua radice e la sua forza in Dio, il
Padre che ama ed educa i suoi figli. Sì, Dio è il primo e grande
educatore del suo Popolo, come dice lo stupendo passo del Cantico
di Mosè: «Egli lo trovò in terra deserta, / in una landa di ululati
solitari. / Lo circondò, lo allevò, / lo custodì come pupilla del
suo occhio. / Come un'aquila che veglia la sua nidiata, / che vola
sopra i suoi nati, / egli spiegò le sue ali e lo prese, / lo sollevò
sulle sue ali. / Il Signore lo guidò da solo, / non c'era con lui
alcun dio straniero» (Deut 32, 10-12; cf. 8, 5). L'opera educativa di Dio si rivela
e si compie in Gesù, il Maestro, e raggiunge dal di dentro il cuore
d'ogni uomo grazie alla presenza dinamica dello Spirito. A prendere
parte all'opera educativa divina è chiamata la Chiesa madre, sia
in se stessa, sia nelle sue varie articolazioni ed espressioni. E' così
che i fedeli laici sono formati dalla Chiesa e nella Chiesa, in
una reciproca comunione e collaborazione di tutti i suoi membri:
sacerdoti, religiosi e fedeli laici. Così l'intera comunità
ecclesiale, nei suoi diversi membri, riceve la fecondità dello
Spirito e ad essa coopera attivamente. In tal senso Metodio di Olimpo
scriveva: «Gli imperfetti (...) sono portati e formati, come nel seno
di una madre, dai più perfetti finché siano generati e partoriti per
la grandezza e la bellezza della virtù»(217), come avvenne per
Paolo, portato e introdotto nella Chiesa dai perfetti (nella persona
di Anania) e diventato poi a sua volta perfetto e fecondo di tanti
figli. Educatrice è, anzi tutto, la Chiesa
universale, nella quale il Papa svolge il ruolo di primo formatore
dei fedeli laici. A lui, come successore di Pietro, spetta il
ministero di «confermare nella fede i fratelli», insegnando a tutti
i credenti i contenuti essenziali della vocazione e missione cristiana
ed ecclesiale. Non solo la sua parola diretta, ma anche la sua parola
veicolata dai documenti dei vari Dicasteri della Santa Sede chiede
l'ascolto docile e amoroso dei fedeli laici. La Chiesa una e universale è
presente nelle varie parti del mondo nelle Chiese particolari. In
ognuna di esse il Vescovo ha una responsabilità personale nei
riguardi dei fedeli laici, che deve formare mediante l'annuncio della
Parola, la celebrazione dell'Eucaristia e dei sacramenti, l'animazione
e la guida della loro vita cristiana. Entro la Chiesa particolare o
diocesi si situa ed opera la parrocchia, la quale ha un compito
essenziale per la formazione più immediata e personale dei fedeli
laici. Infatti, in un rapporto che può raggiungere più facilmente le
singole persone e i singoli gruppi, la parrocchia è chiamata a
educare i suoi membri all'ascolto della Parola, al dialogo liturgico e
personale con Dio, alla vita di carità fraterna, facendo percepire in
modo più diretto e concreto il senso della comunione ecclesiale e
della responsabilità missionaria. All'interno poi di talune
parrocchie, soprattutto se vaste e disperse, le piccole comunità
ecclesiali presenti possono essere di notevole aiuto nella
formazione dei cristiani, potendo rendere più capillari e incisive la
coscienza e l'esperienza della comunione e della missione ecclesiale.
Un aiuto può essere dato, come hanno detto i Padri sinodali, anche da
una catechesi postbattesimale a modo di catecumenato, mediante la
riproposizione di alcuni elementi del «Rituale dell'Iniziazione
Cristiana degli Adulti», destinati a far cogliere e vivere le immense
e straordinarie ricchezze e responsabilità del Battesimo
ricevuto(218). Nella formazione che i fedeli
laici ricevono nella diocesi e nella parrocchia, in particolare al
senso della comunione e della missione, di speciale importanza è
l'aiuto che i diversi membri della Chiesa reciprocamente si danno: è
un aiuto che insieme rivela e attua il mistero della Chiesa Madre ed
Educatrice. I sacerdoti e i religiosi devono aiutare i fedeli laici
nella loro formazione. In questo senso i Padri del Sinodo hanno
invitato i presbiteri e i candidati agli Ordini a «prepararsi
accuratamente ad essere capaci di favorire la vocazione e la missione
dei laici»(219). A loro volta, gli stessi fedeli
laici possono e devono aiutare i sacerdoti e i religiosi nel loro
cammino spirituale e pastorale. Altri ambiti educativi 62 . Pure la famiglia
cristiana, in quanto «Chiesa domestica», costituisce una scuola
nativa e fondamentale per la formazione della fede: il padre e la
madre ricevono dal sacramento del Matrimonio la grazia e il ministero
dell'educazione cristiana nei riguardi dei figli, ai quali
testimoniano e trasmettono insieme valori umani e valori religiosi.
Imparando le prime parole, i figli imparano anche a lodare Dio, che
sentono vicino come Padre amorevole e provvidente; imparando i primi
gesti d'amore, i figli imparano anche ad aprirsi agli altri, cogliendo
nel dono di sé il senso del vivere umano. La stessa vita quotidiana
di una famiglia autenticamente cristiana costituisce la prima «esperienza
di Chiesa», destinata a trovare conferma e sviluppo nel graduale
inserimento attivo e responsabile dei figli nella più ampia comunità
ecclesiale e nella società civile. Quanto più i coniugi e i genitori
cristiani cresceranno nella consapevolezza che la loro «Chiesa
domestica» è partecipe della vita e della missione della Chiesa
universale, tanto più i figli potranno essere formati al «senso
della Chiesa» e sentiranno tutta la bellezza di dedicare le loro
energie al servizio del Regno di Dio. Luoghi importanti di formazione
sono anche le scuole e le università cattoliche, come pure i
centri di rinnovamento spirituale che oggi vanno sempre più
diffondendosi. Come hanno rilevato i Padri sinodali, nell'attuale
contesto sociale e storico, segnato da una profonda svolta culturale,
non basta più la partecipazione _ peraltro sempre necessaria e
insostituibile _ dei genitori cristiani alla vita della scuola;
occorre preparare fedeli laici che si dedichino all'opera educativa
come a una vera e propria missione ecclesiale; occorre costituire e
sviluppare delle «comunità educative», formate insieme da genitori,
docenti, sacerdoti, religiosi e religiose, rappresentanti di giovani.
E perché la scuola possa degnamente svolgere la sua funzione
formativa, i fedeli laici si devono sentire impegnati a esigere da
tutti e a promuovere per tutti una vera libertà di educazione, anche
mediante un'opportuna legislazione civile(220). I Padri sinodali hanno avuto
parole di stima e d'incoraggiamento verso tutti quei fedeli laici,
uomini e donne, che con spirito civile e cristiano svolgono un compito
educativo nella scuola e negli istituti formativi. Hanno inoltre
rilevato l'urgente necessità che i fedeli laici maestri e professori
nelle diverse scuole, cattoliche o no, siano veri testimoni del
Vangelo, mediante l'esempio della vita, la competenza e la rettitudine
professionale, l'ispirazione cristiana dell'insegnamento, salva sempre
_ com'è evidente _ l'autonomia delle varie scienze e discipline. E
di singolare importanza che la ricerca scientifica e tecnica
svolta dai fedeli laici sia retta dal criterio del servizio all'uomo
nella totalità dei suoi valori e delle sue esigenze: a questi fedeli
laici la Chiesa affida il compito di rendere a tutti più
comprensibile l'intimo legame che esiste tra la fede e la scienza, tra
il Vangelo e la cultura umana(221). «Questo Sinodo _ leggiamo in una
proposizione _ fa appello al ruolo profetico delle scuole e delle
università cattoliche e loda la dedizione dei maestri e degli
insegnanti, al presente in massima parte laici, perché negli istituti
di educazione cattolica possano formare uomini e donne in cui si
incarni il "comandamento nuovo". La presenza contemporanea
di sacerdoti e laici, e anche di religiosi e religiose, offre agli
alunni un'immagine viva della Chiesa e rende più facile la conoscenza
delle sue ricchezze (cf. Congregazione per l'Educazione Cattolica, Il
laico educatore, testimone della fede nella scuola)»(222). Anche i gruppi, le associazioni
e i movimenti hanno un loro posto nella formazione dei fedeli
laici: hanno, infatti, la possibilità, ciascuno con i propri metodi,
di offrire una formazione profondamente inserita nella stessa
esperienza di vita apostolica, come pure hanno l'opportunità di
integrare, concretizzare e specificare la formazione che i loro
aderenti ricevono da altre persone e comunità. La formazione reciprocamente
ricevuta e donata da tutti 63. La formazione non è il
privilegio di alcuni, bensì un diritto e un dovere per tutti. I Padri
sinodali al riguardo hanno detto: «Sia offerta a tutti la possibilità
della formazione, soprattutto ai poveri, i quali possono essere essi
stessi fonte di formazione per tutti», e hanno aggiunto: «Per la
formazione si usino mezzi adatti che aiutino ciascuno ad assecondare
la piena vocazione umana e cristiana»(223). Ai fini d'una pastorale veramente
incisiva ed efficace è da svilupparsi, anche mettendo in atto
opportuni corsi o scuole apposite, la formazione dei formatori. Formare
coloro che, a loro volta, dovranno essere impegnati nella formazione
dei fedeli laici costituisce un'esigenza primaria per assicurare la
formazione generale e capillare di tutti i fedeli laici. Nell'opera formativa un'attenzione
particolare dovrà essere riservata alla cultura locale, secondo
l'esplicito invito dei Padri del Sinodo: «La formazione dei cristiani
terrà nel massimo conto la cultura umana del luogo, la quale
contribuisce alla stessa formazione e aiuterà a giudicare il valore
sia insito nella cultura tradizionale, sia proposto in quella moderna.
Si dia la dovuta attenzione anche alle diverse culture che possono
coesistere in uno stesso popolo e in una stessa nazione. La Chiesa,
Madre e Maestra dei popoli, si sforzerà di salvare, dove ne sia il
caso, la cultura delle minoranze che vivono in grandi nazioni»(224). Nell'opera formativa alcune
convinzioni si rivelano particolarmente necessarie e feconde. La
convinzione, anzitutto, che non si dà formazione vera ed efficace se
ciascuno non si assume e non sviluppa da se stesso la responsabilità
della formazione: questa, infatti, si configura essenzialmente come «auto-formazione». La convinzione, inoltre, che
ognuno di noi è il termine e insieme il principio della formazione:
più veniamo formati e più sentiamo l'esigenza di proseguire e
approfondire tale formazione, come pure più veniamo formati e più ci
rendiamo capaci di formare gli altri. Di singolare importanza è la
coscienza che l'opera formativa, mentre ricorre con intelligenza ai
mezzi e ai metodi delle scienze umane, è tanto più efficace quanto
più è disponibile alla azione di Dio: solo il tralcio che non
teme di lasciarsi potare dal vignaiolo produce più frutto per sé e
per gli altri. Appello e preghiera 64. A conclusione di questo
documento post-sinodale ripropongo ancora una volta l'invito del «padrone
di casa» di cui ci parla il Vangelo: Andate anche voi nella mia
vigna. Si può dire che il significato del Sinodo sulla vocazione
e missione dei laici stia proprio in questo appello del Signore Gesù
rivolto a tutti, e in particolare ai fedeli laici, uomini e donne. I lavori sinodali hanno costituito
per tutti i partecipanti una grande esperienza spirituale: quella di
una Chiesa attenta, nella luce e nella forza dello Spirito, a
discernere e ad accogliere il rinnovato appello del suo Signore in
ordine a riproporre al mondo d'oggi il mistero della sua comunione e
il dinamismo della sua missione di salvezza, in particolare cogliendo
il posto e il ruolo specifici dei fedeli laici. Il frutto poi del
Sinodo, che questa Esortazione intende sollecitare il più abbondante
possibile in tutte le Chiese sparse nel mondo, sarà dato
dall'effettiva accoglienza che l'appello del Signore riceverà da
parte dell'intero Popolo di Dio e, in esso, da parte dei fedeli laici. Per questo rivolgo a tutti e a
ciascuno, Pastori e fedeli, la vivissima esortazione a non stancarsi
mai di mantenere vigile, anzi di rendere sempre più radicata nella
mente, nel cuore e nella vita la coscienza ecclesiale, la
coscienza cioè di essere membri della Chiesa di Gesù Cristo,
partecipi del suo mistero di comunione e della sua energia apostolica
e missionaria. E' di particolare importanza che
tutti i cristiani siano consapevoli di quella straordinaria dignità
che è stata loro donata mediante il santo Battesimo: per grazia
siamo chiamati ad essere figli amati dal Padre, membra incorporate a
Gesù Cristo e alla sua Chiesa, templi vivi e santi dello Spirito.
Riascoltiamo, commossi e grati, le parole di Giovanni Evangelista: «Quale
grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e
lo siamo realmente!» (1 Gv 3, 1). Questa «novità cristiana»
donata ai membri della Chiesa, mentre costituisce per tutti la radice
della loro partecipazione all'ufficio sacerdotale, profetico e regale
di Cristo e della loro vocazione alla santità nell'amore, si esprime
e si attua nei fedeli laici secondo «l'indole secolare» loro «propria
e peculiare». La coscienza ecclesiale comporta,
unitamente al senso della comune dignità cristiana, il senso di
appartenere al mistero della Chiesa-Comunione: è questo un
aspetto fondamentale e decisivo per la vita e per la missione della
Chiesa. Per tutti e per ciascuno la preghiera ardente di Gesù
nell'ultima Cena: «Ut unum sint!» deve diventare, ogni
giorno, un esigente e irrinunciabile programma di vita e di azione. Il senso vivo della comunione
ecclesiale, dono dello Spirito che sollecita la nostra libera
risposta, avrà come suo prezioso frutto la valorizzazione armonica
nella Chiesa «una e cattolica» della ricca varietà delle vocazioni
e condizioni di vita, dei carismi, dei ministeri e dei compiti e
responsabilità, come pure una più convinta e decisa collaborazione
dei gruppi, delle associazioni e dei movimenti di fedeli laici nel
solidale compimento della comune missione salvifica della Chiesa
stessa. Questa comunione è già in se stessa il primo grande segno
della presenza di Cristo Salvatore nel mondo; nello stesso tempo essa
favorisce e stimola la diretta azione apostolica e missionaria della
Chiesa. Alle soglie del terzo millennio,
la Chiesa tutta, Pastori e fedeli, deve sentire più forte la sua
responsabilità di obbedire al comando di Cristo: «Andate in tutto il
mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16, 15), rinnovando
il suo slancio missionario. Una grande, impegnativa e magnifica
impresa è affidata alla Chiesa: quella di una nuova
evangelizzazione, di cui il mondo attuale ha immenso bisogno. I
fedeli laici devono sentirsi parte viva e responsabile di
quest'impresa, chiamati come sono ad annunciare e a vivere il Vangelo
nel servizio ai valori e alle esigenze della persona e della società. Il Sinodo dei Vescovi, celebratosi
nel mese di ottobre durante l'Anno Mariano, ha affidato i suoi lavori,
in modo del tutto particolare, alla intercessione di Maria Santissima,
Madre del Redentore. Ed ora alla stessa intercessione affido la
fecondità spirituale dei frutti del Sinodo. Alla Vergine mi rivolgo
al termine di questo documento post-sinodale, in unione con i Padri e
i fedeli laici presenti al Sinodo e con tutti gli altri membri del
Popolo di Dio. L'appello si fa preghiera. O Vergine santissima, Con Te rendiamo grazie a Dio, Vergine del Magnificat, Tu che sei stata, Nel tuo cuore di madre Vergine coraggiosa, Tu che insieme agli Apostoli in
preghiera Vergine Madre, Amen. Dato a Roma, presso San Pietro,
il 30 dicembre, festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe,
dell'anno 1988, undicesimo del mio Pontificato.
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ESORTAZIONE
APOSTOLICA INTRODUZIONE L'ultima consegna di Cristo 1. La catechesi è stata sempre
considerata dalla chiesa come uno dei suoi fondamentali doveri, poichè
prima di risalire al Padre, il Signore risorto diede agli apostoli
un'ultima consegna: quella di render discepole tutte le genti ed
insegnar loro ad osservare tutto ciò che egli aveva prescritto. In
tal modo, egli affidava loro la missione ed il potere di annunciare
agli uomini ciò che essi stessi avevano udito, visto con i loro
occhi, contemplato e toccato con le loro mani riguardo al Verbo della
vita. Nello stesso tempo, egli affidava loro la missione ed il potere
di spiegare con autorità tutto quello che aveva ad essi insegnato: le
sue parole, i suoi atti, i suoi miracoli, i suoi precetti. E dava loro
lo Spirito per assolvere una tale missione. Ben presto fu chiamato catechesi
l'insieme degli sforzi intrapresi nella chiesa per fare discepoli, per
aiutare gli uomini a credere che Gesù è il Figlio di Dio, affinchè,
mediante la fede, essi abbiano la vita nel suo nome, per educarli ed
istruirli in questa vita e costruire il corpo di Cristo. La chiesa non
ha cessato di consacrare a questo scopo le sue energie. Sollecitudine di Paolo VI 2. I papi più recenti hanno
riservato alla catechesi un posto eminente nella loro sollecitudine
pastorale. Con i suoi gesti, la sua predicazione, la sua autorevole
interpretazione del concilio Vaticano II - da lui considerato come il
grande catechismo dei tempi moderni -, con l'intera sua vita il mio
venerato predecessore Paolo VI ha servito la catechesi della chiesa in
modo particolarmente esemplare. Egli ha approvato, il 18 marzo 1971,
il Direttorio generale della catechesi, preparato dalla Congregazione
per il clero, un direttorio che rimane quale documento fondamentale
per stimolare ed orientare il rinnovamento catechetico in tutta la
chiesa. Egli ha istituito, nel 1975, il Consiglio internazionale per
la catechesi. Egli ha definito magistralmente il ruolo ed il
significato della catechesi nella vita e nella missione della chiesa,
quando si è rivolto ai partecipanti al I congresso internazionale
della catechesi, il 25 settembre 1971, ed è ritornato esplicitamente
su tale argomento nell'esortazione apostolica Evangelii nuntiandi.
Egli ha voluto che la catechesi, specialmente quella che si rivolge ai
fanciulli ed ai giovani, fosse il tema della IV assemblea generale del
sinodo dei vescovi, celebrata durante il mese di ottobre del 1977,
alla quale io stesso ebbi la gioia di partecipare. Un Sinodo fecondo 3. Alla fine del sinodo, i padri
presentarono al papa una ricchissima documentazione comprendente i
diversi interventi fatti nel corso della loro assemblea, le
conclusioni dei gruppi di lavoro, il messaggio che, col suo consenso,
essi avevano inviato al popolo di Dio e, soprattutto, l'ampia serie di
«Proposizioni», in cui esprimevano il loro parere su moltissimi
aspetti della catechesi nell'ora presente. Questo sinodo ha lavorato in
un'atmosfera eccezionale di gratitudine e di speranza. Esso ha
ravvisato nel rinnovamento catechetico un dono prezioso dello Spirito
santo alla chiesa contemporanea, un dono al quale, dappertutto nel
mondo, le comunità cristiane, ad ogni livello, rispondono con una
generosità e una dedizione inventiva che suscitano ammirazione. Il
discernimento necessario poteva, quindi, esercitarsi su di una realtà
ben viva e trovare nel popolo di Dio una grande disponibilità alla
grazia del Signore ed alle direttive del magistero. Senso di questa esortazione 4. E' nel medesimo clima di fede e
di speranza che io vi indirizzo oggi, venerabili fratelli e cari figli
e figlie, questa esortazione apostolica. Di un tema estremamente vasto
essa non manterrà che alcuni aspetti, più attuali e salienti, per
consolidare i felici risultati del sinodo. Essa riprende, nella
sostanza, le considerazioni che papa Paolo VI aveva preparato,
utilizzando abbondantemente la documentazione lasciata dal sinodo.
Papa Giovanni Paolo I - il cui zelo ed i cui doni di catechista hanno
meravigliato tutti noi - le aveva raccolte e si apprestava a
pubblicarle, quando fu improvvisamente richiamato a Dio. A noi tutti
egli ha dato l'esempio di una catechesi centrata sull'essenziale e, al
tempo stesso, popolare, fatta di gesti e di parole semplici, capace di
toccare i cuori. Io riprendo, dunque, l'eredità di questi due
pontefici per rispondere alla richiesta dei vescovi, espressamente
formulata a conclusione della IV assemblea generale del sinodo ed
accolta dal pontefice Paolo VI nel suo discorso di chiusura. Ciò
faccio anche per assolvere uno dei compiti primari della mia funzione
apostolica. La catechesi, del resto, è stata sempre una
preoccupazione centrale nel mio ministero di sacerdote e di vescovo. Mio ardente desiderio è che
questa esortazione apostolica, diretta a tutta la chiesa, rafforzi la
solidità della fede e della vita cristiana, dia nuovo vigore alle
iniziative in corso, stimoli la creatività - con la necessaria
vigilanza - e contribuisca a diffondere nelle comunità la gioia di
portare al mondo il mistero del Cristo. I. ABBIAMO
UN SOLO MAESTRO: GESU' CRISTO Mettere in comunione con la
persona di Cristo 5. La IV assemblea generale del
sinodo dei vescovi ha insistito spesso sul cristocentrismo di ogni
autentica catechesi. Noi possiamo qui mantenere i due significati
della parola, i quali non si oppongono nè si escludono, ma piuttosto
si richiamano e si completano a vicenda. Si vuole sottolineare,
innanzitutto, che al centro stesso della catechesi noi troviamo
essenzialmente una persona: quella di Gesù di Nazaret, «unigenito
dal Padre, pieno di grazia e di verità», il quale ha sofferto ed è
morto per noi ed ora, risorto, vive per sempre con noi. E' Gesù che
è «la via, la verità e la vita» e la vita cristiana consiste nel
seguire Cristo, nella «sequela Cristi». L'oggetto essenziale e
primordiale della catechesi è - per usare un'espressione cara a san
Paolo, come pure alla teologia contemporanea - «il mistero del Cristo».
Catechizzare è, in un certo modo, condurre qualcuno a scrutare questo
mistero in tutte le sue dimensioni: «Mettere in piena luce l'economia
del mistero... Comprendere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la
lunghezza, l'altezza e la profondità, e conoscere l'amore di Cristo
che sorpassa ogni conoscenza, perchè siate ricolmi di tutta la
pienezza di Dio». E', dunque, svelare nella persona di Cristo
l'intero disegno di Dio, che in essa si compie. E' cercare di
comprendere il significato dei gesti e delle parole di Cristo, dei
segni da lui operati, poichè essi ad un tempo nascondono e rivelano
il suo mistero. In questo senso, lo scopo definitivo della catechesi
è di mettere qualcuno non solo in contatto, ma in comunione, in
intimità con Gesù Cristo: egli solo può condurre all'amore del
Padre nello Spirito e può farci partecipare alla vita della santa
Trinità. Trasmettere la dottrina di
Cristo 6. Ma il cristocentrismo, in
catechesi, significa pure che mediante essa non si vuole che ciascuno
trasmetta la propria dottrina o quella di un altro maestro, ma
l'insegnamento di Gesù Cristo, la verità che egli comunica o, più
esattamente, la verità che egli è. Bisogna dire dunque che nella
catechesi è Cristo, Verbo incarnato e Figlio di Dio, che viene
insegnato, e tutto il resto lo è in riferimento a lui; e che solo
Cristo insegna, mentre ogni altro lo fa nella misura in cui è il suo
portavoce, consentendo al Cristo di insegnare per bocca sua. La
costante preoccupazione di ogni catechista - quale che sia il livello
delle sue responsabilità nella chiesa - dev'essere quella di far
passare, attraverso il proprio insegnamento ed il proprio
comportamento, la dottrina e la vita di Gesù.Egli non cercherà di
fermare su se stesso, sulle sue opinioni ed attitudini personali
l'attenzione e l'adesione dell'intelligenza e del cuore di colui che
sta catechizzando; e, soprattutto, non cercherà di inculcare le sue
opinioni ed opzioni personali, come se queste esprimessero la dottrina
e le lezioni di vita del Cristo. Ogni catechista dovrebbe poter
applicare a se stesso la misteriosa parola di Gesù: «La mia dottrina
non è mia, ma di colui che mi ha mandato». E' questo che fa s. Paolo
trattando una questione di primaria importanza: «Io ho ricevuto dal
Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso». Quale frequentazione
assidua della parola di Dio trasmessa dal magistero della chiesa,
quale profonda familiarità col Cristo e col Padre, quale spirito di
preghiera, quale distacco da sè deve avere un catechista per poter
dire: «La mia dottrina non è mia»! Il Cristo docente 7. Questa non è un corpo di verità
astratte: essa è comunicazione del mistero vivente di Dio. La qualità
di colui che l'insegna nel vangelo e la natura del suo insegnamento
sorpassano del tutto quelle dei «maestri»in Israele, grazie al
legame unico che passa tra ciò che egli dice, ciò che fa e ciò che
è. Resta il fatto, tuttavia, che i vangeli riferiscono chiaramente
alcuni momenti in cui Gesù insegna. «Gesù fece e insegnò»: in
questi due verbi che aprono il libro degli Atti, san Luca unisce ed
insieme distingue due poli nella missione di Cristo. Gesù ha insegnato: è, questa, la
testimonianza che dà di se stesso: «Ogni giorno stavo seduto nel
tempio ad insegnare». E' l'osservazione ammirata degli evangelisti,
sorpresi di vederlo sempre e in ogni luogo nell'atto di insegnare, in
un modo e con un'autorità fino ad allora sconosciuti. «Di nuovo le
folle si radunavano intorno a lui, ed egli, come era solito, di nuovo
le ammaestrava»; «ed essi erano colpiti dal suo insegnamento, perchè
insegnava, come avendo autorità». E' quanto rilevano anche i suoi
nemici, per ricavarne un motivo di accusa, di condanna: «Costui
solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver
cominciato dalla Galilea, fino a qui». L'unico «maestro» 8. Colui che insegna a questo modo
merita, ad un titolo del tutto speciale, il nome di «maestro».
Quante volte, in tutto il nuovo testamento e specialmente nei vangeli,
gli è dato questo titolo di maestro! Sono evidentemente i dodici, gli
altri discepoli, le moltitudini degli ascoltatori che, con un accento
di ammirazione, di confidenza e di tenerezza, lo chiamano maestro.
Perfino i farisei ed i sadducei, i dottori della legge, i giudici in
generale non gli rifiutano questo appellativo: «Maestro, noi vogliamo
che tu ci faccia vedere un segno»; «Maestro, che debbo fare per
ottenere la vita eterna?». Ma è soprattutto Gesù stesso, in momenti
particolarmente solenni e molto significativi, a chiamarsi maestro: «Voi
mi chiamate maestro e signore, e dite bene, perchè lo so no»; egli
proclama la singolarità, il carattere unico della sua condizione di
maestro: «Voi non avete che un maestro: il Cristo». Si comprende
come, nel corso di duemila anni, in tutte le lingue della terra,
uomini di ogni condizione, razza e nazione, gli abbiano dato con
venerazione questo titolo, ripetendo ciascuno nel modo suo proprio il
grido di Nicodemo: «Sappiamo che sei un maestro venuto da Dio». Questa immagine del Cristo
docente, maestosa insieme e familiare, impressionante e rassicurante,
immagine disegnata dalla penna degli evangelisti e spesso evocata in
seguito dall'iconografia sin dall'età paleo-cristiana - tanto è
seducente - amo evocarla, a mia volta, all'inizio di queste
considerazioni intorno alla catechesi nel mondo contemporaneo. Docente mediante tutta la
sua vita 9. Ciò facendo, non dimentico che
la maestà del Cristo docente, la coerenza e la forza persuasiva
uniche del suo insegnamento si spiegano soltanto perchè le sue
parole, le sue parabole ed i suoi ragionamenti non sono mai separabili
dalla sua vita e dal suo stesso essere. In questo senso, tutta la vita
del Cristo fu un insegnamento continuo: i suoi silenzi, i suoi
miracoli, i suoi gesti, la sua preghiera, il suo amore per l'uomo, la
sua predilezione per i piccoli e per i poveri, l'accettazione del
sacrificio totale sulla croce per la redenzione del mondo, la sua
risurrezione sono l'attuazione della sua parola ed il compimento della
rivelazione. Talchè per i cristiani il Crocifisso è una delle
immagini più sublimi e più popolari di Gesù docente. Tutte queste considerazioni, che
sono nel solco delle grandi tradizioni della chiesa, rinvigoriscono in
noi il fervore verso Cristo, il maestro che rivela Dio agli uomini e
l'uomo a se stesso; il maestro che salva, santifica e guida, che è
vivo, parla, scuote, commuove, corregge, giudica, perdona, cammina
ogni giorno con noi sulla strada della storia; il maestro che viene e
che verrà nella gloria. Solo in una profonda comunione con
lui i catechisti troveranno la luce e la forza per l'autentico ed
auspicato rinnovamento della catechesi. II.
UN'ESPERIENZA
ANTICA QUANTO LA CHIESA La missione degli apostoli 10. L'immagine del Cristo docente
si era impressa nello spirito dei dodici e dei primi discepoli, e la
consegna: «Andate..., ammaestrate tutte le nazioni» ha orientato
l'intera loro vita. Di questo offre testimonianza san Giovanni nel suo
vangelo, quando riferisce le parole di Gesù: «Non vi chiamo più
servi, perchè il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho
chiamato amici, perchè tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto
conoscere a voi». Non sono già essi che hanno scelto di seguire Gesù,
ma è Gesù che li ha scelti, li ha tenuti con sè e li ha posti, fin
dal tempo anteriore alla pasqua, perchè vadano e portino frutto ed il
loro frutto rimanga. E' per questo che, dopo la risurrezione, egli
affida loro formalmente la missione di rendere discepole tutte le
genti. L'insieme del libro degli Atti
degli apostoli testimonia che essi sono stati fedeli alla vocazione e
alla missione ricevuta. I membri della prima comunità cristiana vi
appaiono «assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e
nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere». Si
trova qui senza dubbio l'immagine permanente di una chiesa che, grazie
all'insegnamento degli apostoli, nasce e si nutre continuamente della
parola del Signore, la celebra nel sacrificio eucaristico e ne dà
testimonianza al mondo nel segno della carità. Allorchè gli avversari si
adombrano per l'attività degli apostoli, è perchè sono «contrariati
di vederli insegnare al popolo», e l'ordine che dànno è di non
insegnare più nel nome di Gesù. Ma noi sappiamo che, proprio su
questo punto, gli apostoli hanno ritenuto giusto obbedire a Dio
piuttosto che agli uomini. La catechesi nell'età
apostolica 11. Gli apostoli non tardarono a
condividere con altri il ministero dell'apostolato. Essi trasmettono
ai loro successori il compito di insegnare; compito che affidano,
altresì, ai diaconi fin dalla loro istituzione: Stefano, «pieno di
grazia e di potenza», non cessa di insegnare, mosso com'è dalla
sapienza dello Spirito. Gli apostoli si associano, nel loro compito di
insegnare, «molti altri discepoli»; ed anche dei semplici cristiani,
dispersi dalla persecuzione, «andavano per il paese e diffondevano la
parola di Dio». San Paolo è per eccellenza l'araldo di questo
annuncio, da Antiochia fino a Roma, dove l'ultima immagine che abbiamo
di lui negli Atti è quella di un uomo che insegnava «le cose
riguardanti il signore Gesù Cristo, con tutta franchezza». Le
numerose sue lettere prolungano ed approfondiscono il suo
insegnamento. Anche le lettere di Pietro, di Giovanni, di Giacomo e di
Giuda sono altrettante testimonianze circa la catechesi dell'età
apostolica. I vangeli, i quali, prima di
essere scritti, sono stati l'espressione di un insegnamento orale
trasmesso alle comunità cristiane, recano più o meno evidente una
struttura catechetica. Il racconto di san Matteo non è stato forse
chiamato il vangelo del catechista, e quello di san Marco il vangelo
del catecumeno? Presso i padri della chiesa 12. La chiesa continua questa
missione di magistero degli apostoli e dei loro primi collaboratori.
Facendosi essa stessa, giorno dopo giorno, discepola del Signore, è
giustamente chiamata «madre e maestra». Da Clemente romano ad
Origene, l'età post-apostolica vede nascere delle opere notevoli. Poi
si assiste a questo fatto impressionante: vescovi e pastori tra i più
prestigiosi, soprattutto nel secoli III e IV, considerano come una
parte importante del loro ministero episcopale dare istruzioni orali o
di comporre trattati catechetici. E' l'epoca di Cirillo di Gerusalemme
e di Giovanni Crisostomo, di Ambrogio e di Agostino, durante la quale
si vedono fiorire per la penna di tanti padri della chiesa opere che
restano per noi dei modelli. Come sarebbe possibile richiamare
qui, sia pure molto brevemente, la catechesi che ha sostenuto la
diffusione ed il cammino della chiesa nelle diverse epoche della
storia, in tutti i continenti e nei contesti sociali più diversi?
Certamente, non sono mai mancate le difficoltà; ma la parola del
Signore - secondo l'espressione dell'apostolo Paolo - ha compiuto la
sua corsa attraverso i secoli, si è diffusa ed è stata glorificata. Nei concili e nell'attività
missionaria 13. Il ministero della catechesi
attinge energie sempre nuove dai concili. Il concilio di Trento
costituisce a tale proposito un esempio che va sottolineato: esso ha
dato alla catechesi una priorità nelle sue costituzioni e nei suoi
decreti; esso è all'origine del «Catechismo romano», che porta
anche il nome di «tridentino» e costituisce un'opera di primo piano,
come riassunto della dottrina cristiana e della teologia tradizionale
ad uso dei sacerdoti; esso ha suscitato nella chiesa una notevole
organizzazione della catechesi; esso ha stimolato i chierici ai loro
doveri di insegnamento catechetico; esso ha prodotto, grazie all'opera
di santi teologi, quali san Carlo Borromeo, san Roberto Bellarmino o
san Pietro Canisio, la pubblicazione di catechismi che in rapporto al
loro tempo sono dei veri modelli. Possa il concilio Vaticano II
suscitare uno slancio ed un lavoro simile ai nostri giorni! Anche le missioni costituiscono un
terreno privilegiato per l'attuazione della catechesi. Così, dopo
circa duemila anni, il popolo di Dio non ha smesso di educarsi nella
fede, secondo forme adatte alle diverse condizioni dei credenti ed
alle molteplici congiunture ecclesiali. La catechesi è intimamente legata
a tutta la vita della chiesa. Non soltanto l'estensione geografica e
l'aumento numerico, ma anche, e più ancora, la crescita interiore
della chiesa, la sua corrispondenza col disegno di Dio, dipendono
essenzialmente da essa. Di quelle esperienze, che abbiamo or ora
ricordato dalla storia della chiesa, numerose lezioni - tra molte
altre - meritano di esser messe in evidenza. Catechesi: diritto e dovere
della chiesa 14. E' evidente, prima di tutto,
che per la chiesa la catechesi è stata sempre un dovere sacro e un
diritto inprescrittibile. Da una parte, è certamente un dovere, nato
dalla consegna del Signore e che incombe su coloro i quali, nella
nuova alleanza, ricevono la chiamata al ministero di pastori. D'altra
parte, si può egualmente parlare di diritto: da un punto di vista
teologico, ogni battezzato, per il fatto stesso del battesimo,
possiede il diritto di ricevere dalla chiesa un insegnamento e una
formazione che gli permettano di raggiungere una vera vita cristiana;
nella prospettiva, poi, dei diritti dell'uomo, ogni persona umana ha
il diritto di cercare la verità religiosa e di aderirvi liberamente,
cioè sottratta ad ogni «coercizione da parte di singoli individui,
di gruppi sociali o di qualsiasi potestà umana, così che in materia
religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza, nè
sia impedito... di agire secondo la sua coscienza». E' per questo che l'attività
catechetica deve potersi svolgere in circostanze favorevoli - di tempo
e di luogo -, aver accesso ai mass-media e ad altri strumenti di
lavoro appropriati senza discriminazione verso i genitori, i
catechizzati o i catechisti. Al presente, questo diritto è certamente
sempre più riconosciuto, almeno a livello dei suoi grandi principi,
come ne fan fede dichiarazioni o convenzioni internazionali, in cui -
quali che siano i loro limiti - si possono riconoscere i voti della
coscienza di una gran parte degli uomini di oggi. Ma questo diritto è
violato da numerosi stati, fino al punto che dare, o far dare, o
ricevere la catechesi diventa un delitto passibile di sanzioni. E' con
forza che, in unione con i padri sinodali, io elevo la mia voce contro
ogni discriminazione nel campo della catechesi, mentre lancio di nuovo
un insistente appello ai responsabili, perchè cessino del tutto
queste costrizioni che pesano sulla libertà umana in generale e sulla
libertà religiosa in particolare. Compito prioritario 15. La seconda lezione riguarda il
posto stesso della catechesi nei programmi pastorali della chiesa. Più
questa - a livello locale e universale - si dimostra capace di dare la
priorità alla catechesi rispetto ad altre opere e iniziative, i cui
risultati potrebbero essere più spettacolari, più trova nella
catechesi un mezzo di consolidamento della sua vita interna come
comunità di credenti e della sua attività esterna come missionaria.
La chiesa, in questo XX secolo che volge al termine, è invitata da
Dio e dagli avvenimenti - i quali sono altrettanti appelli da parte di
Dio - a rinnovare la sua fiducia nell'azione catechetica come in un
compito assolutamente primordiale della sua missione. Essa è invitata
a consacrare alla catechesi le sue migliori risorse di uomini e di
energie, senza risparmiare sforzi, fatiche e mezzi materiali, per
meglio organizzarla e per formare un personale qualificato. Non si
tratta di un semplice calcolo umano, ma di un atteggiamento di fede. E
un atteggiamento di fede si riferisce sempre alla fedeltà di Dio, che
non manca mai di rispondere. Responsabilità comune e
differenziata 16. Terza lezione: la catechesi è
stata sempre e resterà un'opera, di cui tutta la chiesa deve sentirsi
e voler essere responsabile. Ma i membri della chiesa hanno
responsabilità distinte, che derivano dalla missione di ciascuno. I
pastori, in virtù del loro stesso ministero, hanno, a diversi
livelli, la più alta responsabilità per la promozione,
l'orientamento, la coordinazione della catechesi. Il papa, da parte
sua, ha la viva coscienza della responsabilità primaria che grava su
di lui in questo settore: egli vi trova motivi di preoccupazione
pastorale, ma soprattutto una sorgente di gioia e di speranza. I
sacerdoti, i religiosi e le religiose hanno lì un terreno
privilegiato per il loro apostolato. I genitori hanno, ad un altro
livello, una responsabilità singolare. I maestri, i diversi ministri
della chiesa, i catechisti e, d'altra parte, i responsabili delle
comunicazioni sociali hanno tutti, in misura diversa, responsabilità
ben precise in questa formazione della coscienza credente, formazione
importante per la vita della chiesa e che si riflette sulla vita della
società stessa. Uno dei migliori frutti dell'assemblea generale del
sinodo, consacrato interamente alla catechesi, potrà essere quello di
risvegliare, in tutta la chiesa e in ciascuno dei suoi settori, una
coscienza viva ed attiva di questa responsabilità, differenziata ma
comune. Rinnovamento continuo ed
equilibrato 17. La catechesi, infine, ha
bisogno di un rinnovamento continuo in un certo allargamento del suo
stesso concetto, nei suoi metodi, nella ricerca di un linguaggio
adatto, nell'utilizzazione di nuovi mezzi di trasmissione del
messaggio. Questo rinnovamento non ha sempre un eguale valore, e i
padri sinodali hanno voluto realisticamente riconoscere, accanto ad un
innegabile progresso nella vitalità dell'attività catechistica e di
iniziative promettenti, i limiti ed anche le «deficienze» di ciò
che è stato realizzato finora, Questi limiti sono particolarmente
gravi, quando rischiano di intaccare l'integrità del contenuto. Il «Messaggio
al popolo di Dio» ha messo bene in rilievo che, per la catechesi, «la
ripetizione abitudinaria, che respinge ogni cambiamento, e
l'improvvisazione sconsiderata, che affronta i problemi con
leggerezza, sono egualmente pericolose». La ripetizione abitudinaria
porta alla stagnazione, al letargo e, in definitiva, alla paralisi.
L'improvvisazione sconsiderata genera il turbamento dei catechizzati e
dei loro genitori, quando si tratta di fanciulli, le deviazioni d'ogni
specie, la rottura e finalmente la rovina totale dell'unità, E'
necessario che la chiesa dia prova oggi - come ha saputo fare in altre
epoche della sua storia - di sapienza, di coraggio e di fedeltà
evangelica, nella ricerca e nella messa in opera di vie e di
prospettive nuove per l'insegnamento catechetico. III.
LA
CATECHESI NELL'ATTIVITA' PASTORALE E MISSIONARIA DELLA CHIESA La catechesi: una tappa
dell'evangelizzazione 18. La catechesi non può essere
dissociata dall'insieme delle iniziative pastorali e missionarie della
chiesa. Essa ha nondimeno una sua specificità circa la quale la IV
assemblea generale del sinodo dei vescovi, sia nella sua fase
preparatoria che durante il suo svolgimento, si è spesso interrogata.
Tale problema preoccupa anche l'opinione pubblica, nella chiesa e al
di fuori. Non è qui il luogo di dare una
definizione rigorosa e formale della catechesi, essendo stata
sufficientemente illustrata nel Direttorio generale della catechesi.
Spetta agli specialisti arricchirne sempre di più il concetto e le
articolazioni. Di fronte alle incertezze della
pratica, ricordiamo semplicemente alcuni punti essenziali - del resto,
già stabilmente fissati nei documenti della chiesa - per un'esatta
comprensione della catechesi, senza i quali si rischierebbe di non
afferrarne tutto il significato e la portata. In linea generale, si può qui
ritenere che la catechesi è un'educazione della fede dei fanciulli,
dei giovani e degli adulti, la quale comprende in special modo un
insegnamento della dottrina cristiana, generalmente dato in modo
organico e sistematico, al fine di iniziarli alla pienezza della vita
cristiana. A questo titolo, senza confondersi formalmente con essi, la
catechesi si articola in un certo numero di elementi della missione
pastorale della chiesa, che hanno un aspetto catechetico, preparano la
catechesi o ne derivano: primo annuncio del vangelo, o predicazione
missionaria mediante il kèrigma per suscitare la fede; apologetica o
ricerca delle ragioni per credere; esperienza di vita cristiana;
celebrazione dei sacramenti; integrazione nella comunità apostolica e
missionaria. Ricordiamo, prima di tutto, che
tra catechesi ed evangelizzazione non c'è nè separazione o
opposizione, e nemmeno un'identità pura e semplice, ma esistono
stretti rapporti d'integrazione e di reciproca complementarietà. L'esortazione apostolica Evangelii
nuntiandi, dell'8 dicembre 1975, circa l'evangelizzazione nel mondo
moderno, sottolineava giustamente che l'evangelizzazione - il cui
scopo è di recare la buona novella a tutta l'umanità, perchè ne
viva - è una realtà ricca, complessa e dinamica, fatta di elementi,
o - se si preferisce - di momenti essenziali e differenti tra di loro,
che occorre comprendere nel loro insieme, nell'unità di un unico
movimento. La catechesi è appunto uno di questi momenti - e quanto
importante! - di tutto il processo di evangelizzazione. Catechesi e primo annuncio
del vangelo 19. La specificità della
catechesi, distinta dal primo annuncio del vangelo, che ha suscitato
la conversione, tende al duplice obiettivo di far maturare la fede
iniziale e di educare il vero discepolo di Cristo mediante una
conoscenza più approfondita e più sistematica della persona e del
messaggio del nostro signore Gesù Cristo. Ma nella pratica catechetica,
questo ordine esemplare deve tener conto del fatto che spesso la prima
evangelizzazione non c'è stata. Un certo numero di bambini,
battezzati nella prima infanzia, vengono alla catechesi parrocchiale
senza aver ricevuto nessun'altra iniziazione alla fede, e senza aver
ancora nessun attaccamento esplicito e personale con Gesù Cristo, ma
avendo soltanto la capacità di credere, infusa nel loro cuore dal
battesimo e dalla presenza dello Spirito santo; e i pregiudizi
dell'ambiente familiare poco cristiano o dello spirito positivista
dell'educazione creano subito un certo numero di riserve. E bisogna
aggiungere altri bambini non battezzati, per i quali i genitori non
accettano che tardivamente l'educazione religiosa: per certe ragioni
pratiche, la loro tappa catecumenale si svolgerà spesso, in gran
parte, nel corso della catechesi ordinaria. Inoltre, molti
pre-adolescenti e adolescenti, battezzati e partecipi sia di una
catechesi sistematica, sia dei sacramenti, rimangono ancora per lungo
tempo esitanti nell'impegnare la loro vita per Gesù Cristo, quando
addirittura non cercano di evitare una formazione religiosa in nome
della loro libertà. Infine, gli adulti medesimi non sono al riparo
dalle tentazioni del dubbio e dell'abbandono della fede, in
conseguenza dell'ambiente incredulo. Ciò vuol dire che la «catechesi»
deve spesso sforzarsi non soltanto di nutrire e di insegnare la fede,
ma di suscitarla incessantemente con l'aiuto della grazia, di aprire i
cuori, di convertire, di preparare un'adesione globale a Gesù Cristo
per coloro che sono ancora alle soglie della fede. Questa
preoccupazione ispira in parte il tono, il linguaggio, il metodo della
catechesi. Fine specifico della
catechesi 20. Il fine specifico della
catechesi, nondimeno, rimane quello di sviluppare, con l'aiuto di Dio,
una fede ancora germinale, di promuovere in pienezza e di nutrire
quotidianamente la vita cristiana dei fedeli di tutte le età. Si
tratta, infatti, di far crescere, a livello di conoscenza e nella
vita, il seme della fede deposto dallo Spirito santo col primo
annuncio ed efficacemente trasmesso col battesimo. La catechesi tende, dunque, a
sviluppare la comprensione del mistero di Cristo alla luce della
Parola, perchè l'uomo tutto intero ne sia impregnato. Trasformato
dall'azione della grazia in nuova creatura, il cristiano si pone così
alla sequela di Cristo e, nella chiesa, impara sempre meglio a pensare
come lui, a giudicare come lui, ad agire in conformità con i suoi
comandamenti, a sperare secondo il suo invito. Più precisamente, lo scopo della
catechesi, nel quadro generale dell'evangelizzazione, è di essere la
fase dell'insegnamento e della maturazione, cioè il tempo in cui il
cristiano, avendo accettato mediante la fede la persona di Gesù
Cristo come il solo Signore ed avendogli dato un'adesione globale
mediante una sincera conversione del cuore, si sforza di conoscere
meglio questo Gesù, al quale si è abbandonato: conoscere il suo «mistero»,
il regno di Dio che egli annuncia, le esigenze e le promesse contenute
nel suo messaggio evangelico, le vie che egli ha tracciato per
chiunque lo voglia seguire. Se è vero, dunque, che essere
cristiano significa dire di sì il Gesù Cristo, occorre ricordare che
questo «sì» ha due livelli: esso consiste nell'abbandonarsi alla
parola di Dio appoggiandosi ad essa, ma significa ancora, in una
seconda istanza, sforzarsi di conoscere sempre meglio il senso
profondo di questa Parola. Necessità di una catechesi
sistematica 21. Nel suo discorso di chiusura
della IV assemblea generale del sinodo, il pontefice Paolo VI si
rallegrava nel «constatare che era stata sottolineata da tutti
l'assoluta necessità di una catechesi ben ordinata e coerente, poichè
un tale approfondimento dello stesso mistero cristiano distingue
fondamentalmente la catechesi da tutte le altre forme di annuncio
della parola di Dio». Di fronte alle difficoltà
pratiche debbono essere sottolineate, tra le altre, alcune
caratteristiche di tale insegnamento:
Senza dimenticare l'interesse che
hanno le molteplici occasioni di catechesi in relazione con la vita
personale, familiare, sociale, o ecclesiale - occasioni che bisogna
saper cogliere e sulle quali ritornerò al cap. VI - io insisto sulla
necessità di un insegnamento cristiano organico e sistematico, perchè
da diverse parti si tende a minimizzarne l'importanza. Catechesi ed esperienza
vitale 22. E' vano contrapporre l'ortoprassi
all'ortodossia: il cristianesimo è inseparabilmente l'una e l'altra
cosa. Le convinzioni ferme e ponderate spingono all'azione coraggiosa
e retta: lo sforzo per educare i fedeli a vivere oggi come discepoli
del Cristo esige e facilita una scoperta approfondita del mistero del
Cristo nella storia della salvezza. E' altrettanto vano sostenere
l'abbandono di uno studio serio e sistematico del messaggio di Cristo
in nome di un metodo che privilegia l'esperienza vitale. «Nessuno può
raggiungere la verità integrale con una semplice esperienza privata,
cioè senza una spiegazione adeguata del messaggio di Cristo, che è
via, verità e vita» (Gv 14,6). Non si contrapporrà, parimenti,
una catechesi che parta dalla vita ad una catechesi tradizionale,
dottrinale e sistematica. La catechesi autentica è sempre iniziazione
ordinata e sistematica alla rivelazione che Dio ha fatto di se stesso
all'uomo in Cristo Gesù, rivelazione custodita nella memoria profonda
della chiesa e nelle sacre scritture, e costantemente comunicata,
mediante una trasmissione vivente ed attiva, da una generazione
all'altra. Ma una tale rivelazione non è isolata dalla vita, nè a
questa è giustapposta artificialmente. Essa riguarda il senso ultimo
dell'esistenza che essa stessa illumina completamente, per ispirarla o
per esaminarla alla luce del Vangelo. E' per questo che possiamo
applicare ai catechisti ciò che il concilio Vaticano II ha affermato
in maniera particolare dei sacerdoti: educatori - dell'uomo e della
vita dell'uomo - nella fede. Catechesi e sacramenti 23. La catechesi è
intrinsecamente collegata con tutta l'azione liturgica e sacramentale,
perchè è nei sacramenti e, soprattutto, nell'eucaristia che Gesù
Cristo agisce in pienezza per la trasformazione degli uomini. Nella chiesa primitiva,
catecumenato e iniziazione ai sacramenti del battesimo e
dell'eucaristia si identificavano. Benchè la chiesa abbia cambiato la
sua prassi in questo settore negli antichi paesi cristiani, il
catecumenato non è mai stato abolito; esso, anzi, conosce un
risveglio ed è largamente praticato nelle giovani chiese missionarie,
in ogni caso, la catechesi conserva sempre un riferimento ai
sacramenti. Da una parte, una forma eminente di catechesi è quella
che prepara ai sacramenti, ed ogni catechesi conduce necessariamente
ai sacramenti della fede. D'altra parte, un'autentica pratica dei
sacramenti ha necessariamente un aspetto catechetico. In altri
termini, la vita sacramentale si impoverisce e diviene ben presto un
ritualismo vuoto, se non è fondata su una seria conoscenza del
significato dei sacramenti. E la catechesi diventa intellettualistica,
se non prende vita nella pratica sacramentale. La catechesi e comunità
ecclesiale 24. La catechesi, infine, ha uno
stretto legame con l'azione responsabile della chiesa e dei cristiani
nel mondo. Chiunque ha aderito a Gesù Cristo e si sforza di
consolidare questa fede per mezzo della catechesi ha bisogno di
viverla nella comunione con coloro che hanno fatto lo stesso cammino.
La catechesi rischia di divenire sterile, se una comunità di fede e
di vita cristiana non accoglie il catecumeno ad un certo grado della
sua catechesi. E' per questo che la comunità ecclesiale, a tutti i
livelli è doppiamente responsabile in rapporto alla catechesi: essa
ha la responsabilità di provvedere alla formazione dei suoi membri,
ma ha anche quella di accoglierli in un ambiente, in cui potranno
vivere nel modo più pieno ciò che hanno appreso. La catechesi è parimenti aperta
al dinamismo missionario. Se essa è fatta bene, i cristiani
sentiranno la preoccupazione di render testimonianza della loro fede,
di trasmetterla ai loro figlioli, di farla conoscere agli altri, di
servire in tutte le maniere la comunità umana. Necessità della catechesi
in senso lato per la maturazione e la forza della fede 25. Così, dunque, grazie alla
catechesi, il kèrygma evangelico - primo annuncio pieno di calore,
che un giorno ha sconvolto l'uomo portandolo alla decisione di donarsi
a Gesù Cristo per mezzo della fede - viene a poco a poco
approfondito, sviluppato nei suoi corollari impliciti, spiegato da un
discorso che fa appello anche alla ragione, orientato verso la pratica
cristiana nella chiesa e nel mondo. Tutto questo non è meno
evangelico del kèrygma, checchè ne dicano alcuni secondo i quali la
catechesi giungerebbe necessariamente a razionalizzare, ad inaridire
e, in definitiva, a spegnere tutto quel che di vivo, di spontaneo e di
vibrante vi è nel kèrygma. Le verità che sono approfondite nella
catechesi sono le stesse che hanno toccato il cuore dell'uomo, quando
egli le ha ascoltate per la prima volta. Il fatto di conoscerle
meglio, lungi dall'attenuarle o dall'inaridirle, deve renderle ancor
più provocatorie e decisive per la vita. Nella concezione or ora esposta,
la catechesi mantiene l'ottica tutta pastorale, sotto la quale il
sinodo ha voluto considerarla. Questo senso largo della catechesi non
contraddice, ma comprende, oltrepassandolo, il senso più stretto, una
volta impiegato comunemente nelle esposizioni didattiche: il semplice
insegnamento delle formule, che esprimono la fede. In definitiva, la catechesi è
necessaria tanto per la maturazione della fede dei cristiani, quanto
per la loro testimonianza nel mondo: essa vuole portare i cristiani «all'unità
della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo
perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo»;
essa vuole, altresì, renderli pronti a dar ragione della loro
speranza dinanzi a tutti coloro che ad essi ne chiedono conto. IV.
TUTTA
LA BUONA NOVELLA ATTINTA ALLA FONTE Il contenuto del messaggio 26. Essendo la catechesi un
momento o un aspetto dell'evangelizzazione, il suo contenuto non potrà
essere altro che quello dell'evangelizzazione nella sua interezza: il
medesimo messaggio - la buona novella della salvezza - una volta,
cento volte ascoltato ed accolto nel cuore, viene incessantemente
approfondito nella catechesi mediante la riflessione e lo studio
sistematico; mediante una presa di coscienza, sempre più impegnativa,
delle sue ripercussioni nella vita personale di ciascuno; mediante il
suo insegnamento nell'insieme organico ed armonioso che è l'esistenza
cristiana nella società e nel mondo. La fonte 27. La catechesi attingerà sempre
il suo contenuto alla fonte viva della parola di Dio, trasmessa nella
tradizione e nella Scrittura, giacchè «la sacra tradizione e la
sacra scrittura costituiscono l'unico deposito inviolabile della
parola di Dio, affidato alla chiesa», come ha ricordato il concilio
Vaticano II, il quale ha auspicato che «il ministero della parola,
cioè la predicazione pastorale, la catechesi e ogni tipo d'istruzione
cristiana... abbia nella stessa parola della Scrittura il suo salutare
nutrimento e il suo santo rigoglio». Parlare della tradizione e della
Scrittura come di fonte della catechesi vuol dire sottolineare che
quest'ultima deve imbeversi e permearsi del pensiero, dello spirito e
degli atteggiamenti biblici ed evangelici mediante un contatto assiduo
con i testi medesimi; ma vuol dire, altresì, ricordare che la
catechesi sarà tanto più ricca ed efficace, quanto più leggerà i
testi con l'intelligenza ed il cuore della chiesa, e quanto più
s'ispirerà alla riflessione ed alla vita bimillenaria della chiesa
stessa. L'insegnamento, la liturgia e la
vita della chiesa scaturiscono da questa fonte e ad essa riportano
sotto la guida dei pastori e, segnatamente, del magistero dottrinale
che il Signore ha loro affidato. Il Credo, espressione
dottrinale privilegiata 28. Un'espressione privilegiata
dell'eredità vivente, che essi hanno ricevuto in custodia, si trova
nel «Credo» o, più concretamente, nei «simboli», che, in certi
momenti cruciali, han riproposto in sintesi felici la fede della
chiesa. Nel corso dei secoli, un elemento importante della catechesi
era precisamente questa «trasmissione del simbolo» (o di un
riassunto della fede), seguita dalla trasmissione del «Padre nostro».
Questo rito espressivo è stato reintrodotto ai nostri giorni
nell'iniziazione dei catecumeni. Non bisognerebbe trovare per esso
un'adeguata e più ampia utilizzazione, per dare rilievo a quella
tappa tra tutte importante nella quale un nuovo discepolo di Gesù
sceglie, con piena lucidità e coraggio, il contenuto di ciò che
d'ora in avanti egli approfondirà seriamente? Il mio predecessore Paolo VI ha
voluto riunire nel Credo del popolo di Dio, proclamato in occasione
del XIX centenario del martirio degli apostoli Pietro e Paolo, gli
elementi essenziali della fede cattolica, soprattutto quelli che
offrivano una più grande difficoltà, oppure che rischiavano di
essere misconosciuti. E', questo, un riferimento sicuro per il
contenuto della catechesi. Elementi da non dimenticare 29. Lo stesso sommo pontefice ha
ricordato, nel III capitolo dell'esortazione apostolica Evangelii
nuntiandi, «il contenuto essenziale, la sostanza viva»
dell'evangelizzazione. E' necessario, per la catechesi stessa, tenere
presente ciascuno di questi elementi, come pure la sintesi vivente,
nella quale essi sono stati integrati. Qui, dunque, mi limiterò ad
alcuni semplici richiami. Ciascuno vede, per esempio, quanto interessi
far conoscere al fanciullo, all'adolescente, a colui che progredisce
nella fede, «ciò che di Dio si può conoscere»; di poter, in un
certo senso, dir loro: «quello che voi adorate senza conoscere, io ve
lo annunzio»; di esporre ad essi brevemente il mistero del Verbo di
Dio fatto uomo e che opera la salvezza dell'uomo mediante la sua
pasqua, cioè mediante la sua morte e la sua risurrezione, ma anche
mediante la sua predicazione, mediante i segni che egli ha compiuto,
mediante i sacramenti della sua permanente presenza in mezzo a noi. I
padri del sinodo sono stati ben ispirati, quando hanno chiesto che ci
si guardi dal ridurre Cristo alla sola umanità ed il suo messaggio ad
una dimensione puramente terrena, ma che lo si riconosca come il
Figlio di Dio, il mediatore che ci dà libero accesso presso il Padre,
nello Spirito. E' importante dispiegare agli
occhi dell'intelligenza e agli occhi del cuore, sotto la luce della
fede, questo sacramento della sua presenza, che è il mistero della
chiesa, assemblea di uomini peccatori, ma nello stesso tempo
santificati e che costituiscono la famiglia di Dio riunita dal
Signore, sotto la guida di coloro che «lo Spirito santo ha posto come
vescovi a pascere la chiesa di Dio». E' importante spiegare che la
storia degli uomini, con i suoi contrassegni di grazia e di peccato,
di grandezza e di miseria, è assunta da Dio nel suo figlio Gesù
Cristo e «offre già qualche abbozzo del secolo futuro». E' importante, infine, rivelare
senza esitazione di sorta le esigenze, di materiale rinunzia, ma anche
di gioia, di quella che l'apostolo Paolo amava definire «vita nuova»,
«nuova creazione», «essere o esistere in Cristo», «vita eterna in
Cristo Gesù», che non è altro che la vita nel mondo, ma una vita
secondo le beatitudini ed una vita chiamata a proiettarsi e a
trasfigurarsi nell'aldilà. Di qui l'importanza, nella
catechesi, delle esigenze morali personali corrispondenti al vangelo,
degli atteggiamenti cristiani di fronte alla vita e di fronte al
mondo, siano essi eroici o molto semplici: noi li chiamiamo virtù
cristiane, o virtù evangeliche. Di qui anche la preoccupazione che la
catechesi avrà di non omettere, ma di chiarire, invece, come conviene
- nel suo sforzo di educazione alla fede - alcune realtà, quali
l'azione dell'uomo per la sua liberazione integrale, la ricerca di una
società più solidale e fraterna, le lotte per la giustizia e per la
costruzione della pace. Non si dovrebbe pensare,
d'altronde, che questa dimensione della catechesi sia del tutto nuova.
Fin dall'epoca patristica, sant'Ambrogio e san Giovanni Crisostomo,
per non citare che essi, avevano messo in luce le conseguenze sociali
delle esigenze del vangelo e, in età molto più vicina a noi, il
Catechismo di san Pio X citava esplicitamente tra i peccati che
gridano vendetta al cospetto di Dio il fatto di opprimere i poveri,
come quello di defraudare gli operai del loro giusto salario.
Specialmente dopo la Rerum novarum, la preoccupazione sociale è
attivamente presente nell'insegnamento catechetico dei papi e del
vescovi. Molti dei padri sinodali hanno domandato, con giustificata
insistenza, che il ricco patrimonio dell'insegnamento sociale della
chiesa trovasse il suo posto, in forma appropriata, nella formazione
catechetica comune dei fedeli. Integrità del contenuto 30. A proposito del contenuto
della catechesi, tre punti importanti meritano ai nostri giorni una
particolare attenzione. Il primo riguarda l'integrità del
contenuto. Affinchè l'offerta della propria fede sia perfetta, colui
che diventa discepolo di Cristo ha il diritto di ricevere la «parola
della fede» non mutilata, non falsificata, non diminuita, ma completa
ed integrale, in tutto il suo rigore e in tutto il suo vigore. Tradire
in qualche cosa l'integrità del messaggio significa svuotare
pericolosamente la catechesi stessa e compromettere i frutti che il
Cristo e la comunità ecclesiale hanno il diritto di aspettarsi. Non
è certamente un caso, se il mandato finale di Gesù nel vangelo di
Matteo porta l'impronta di una certa totalità: «Mi è stato dato
ogni potere... Ammaestrate tutte le nazioni..., insegnando loro ad
osservare tutto... Io sono con voi tutti i giorni». Per questo,
quando un uomo, intuendo «la sublimità della conoscenza di Gesù
Cristo», incontrato nella fede, porta in sè il desiderio, forse
oscuro, di conoscerlo di più e meglio mediante una predicazione e un
insegnamento «secondo la verità che è in Gesù», nessun pretesto
è valido per rifiutargli una parte qualsiasi di questa conoscenza.
Che cosa sarebbe una catechesi che non desse tutto il loro posto alla
creazione dell'uomo ed al suo peccato, al disegno di redenzione del
nostro Dio ed alla sua lunga e amorosa preparazione e attuazione,
all'incarnazione del Figlio di Dio, a Maria - l'Immacolata, la Madre
di Dio sempre vergine, elevata in corpo ed anima alla gloria celeste -
ed alla sua funzione nel mistero della salvezza, al mistero di iniquità
operante nelle nostre vite ed alla potenza di Dio che ce ne libera,
alla necessità della penitenza e dell'ascetica, ai gesti sacramentali
e liturgici, alla realtà della presenza eucaristica, alla
partecipazione alla vita divina quaggiù sulla terra e nell'aldilà,
ecc.? Di conseguenza, nessun catechista autentico potrebbe compiere
legittimamente, di suo arbitrio, una selezione nel deposito della fede
tra ciò che egli ritiene importante e ciò che ritiene senza
importanza, per insegnare quello e rifiutare questo. Per mezzo di metodi
pedagogici adeguati 31. Di qui una seconda
osservazione: può darsi che, nella presente situazione della
catechesi, ragioni di metodo o di pedagogia suggeriscano di
organizzare in un modo piuttosto che in un altro la trasmissione delle
ricchezze del contenuto della catechesi. Del resto, l'integrità non
dispensa dall'equilibrio nè dal carattere organico e gerarchizzato,
grazie ai quali si darà alle verità da insegnare, alle norme da
trasmettere, alle vie della vita cristiana da indicare, l'importanza
che rispettivamente loro compete. Può anche darsi che un certo
linguaggio si riveli preferibile per trasmettere questo contenuto a
tale persona o a tal gruppo di persone. Una scelta sarà valida nella
misura in cui, lungi dall'essere imposta da teorie o da pregiudizi più
o meno soggettivi, o contrassegnati da una determinata ideologia, sarà
ispirata dall'umile preoccupazione di cogliere meglio un contenuto che
deve rimanere intatto. Il metodo e il linguaggio utilizzati devono
rimanere veramente degli strumenti per comunicare la totalità, e non
già una parte delle «parole di vita eterna» o delle «vie della
vita». Dimensione ecumenica della
catechesi 32. Il grande movimento,
certamente ispirato dallo Spirito di Gesù, che, da ormai un certo
numero d'anni, spinge 1a chiesa cattolica a cercare con altre chiese o
confessioni cristiane la ricomposizione della perfetta unità voluta
dal Signore, mi porta a parlare del carattere ecumenico della
catechesi. Questo movimento ha assunto pieno rilievo nel concilio
Vaticano II e, a partire dal concilio, ha conosciuto nella chiesa una
nuova ampiezza, che si è concretata in una serie impressionante di
fatti e di iniziative, ormai conosciute da tutti. La catechesi non può essere
estranea a questa dimensione ecumenica, allorchè tutti i fedeli,
secondo la propria capacità e posizione nella chiesa, sono chiamati a
partecipare al movimento verso l'unità. La catechesi avrà una dimensione
ecumenica, se, senza rinunziare a insegnare che la pienezza delle
verità rivelate e dei mezzi di salvezza istituiti da Cristo si trova
nella chiesa cattolica, tuttavia lo fa con un sincero rispetto, nelle
parole e nei fatti, verso le comunità ecclesiali che non sono in
perfetta comunione con questa chiesa. In tale contesto, è cosa di
estrema importanza fare una presentazione corretta e leale delle altre
chiese e comunità ecclesiali, delle quali lo Spirito di Cristo non
rifiuta di servirsi come di mezzi di salvezza; e «tra gli elementi o
beni, dal complesso dei quali la stessa chiesa è edificata e
vivificata, alcuni, anzi parecchi e segnalati, possono trovarsi fuori
dei confini visibili della chiesa cattolica». Tra l'altro, una tale
presentazione aiuterà i cattolici, da una parte, ad approfondire la
loro fede e, dall'altra, li metterà in condizione di conoscere meglio
e di stimare gli altri fratelli cristiani, facilitando così la
ricerca in comune del cammino verso la piena unità, nella verità
tutta intera. Essa dovrebbe anche aiutare i non cattolici a conoscere
meglio e ad apprezzare la chiesa cattolica e la sua convinzione di
essere lo «strumento generale della salvezza». La catechesi avrà una dimensione
ecumenica, se, inoltre, essa suscita ed alimenta un vero desiderio
dell'unità; e più ancora, se ispira sforzi sinceri - compreso lo
sforzo per purificarsi nell'umiltà e nel fervore dello Spirito, al
fine di sgomberare gli ostacoli lungo la strada - non in vista di un
facile irenismo fatto di omissioni e di concessioni sul piano
dottrinale, ma in vista dell'unità perfetta, quando il Signore lo
vorrà e secondo le vie che egli vorrà. La catechesi, infine, sarà
ecumenica, se essa si sforza di preparare i fanciulli ed i giovani,
come pure gli adulti cattolici, a vivere in contatto con i
non-cattolici, vivendo la loro identità cattolica nel rispetto della
fede degli altri. Collaborazione ecumenica nel
campo della catechesi 33. In situazioni di pluralità
religiosa, i vescovi possono giudicare opportune, o anche necessarie,
determinate esperienze di collaborazione nel campo della catechesi tra
cattolici ed altri cristiani, ad integrazione della catechesi normale
che i cattolici in ogni caso devono ricevere. Tali esperienze trovano
il loro fondamento teologico negli elementi che sono comuni a tutti i
cristiani. Tuttavia, la comunione di fede tra i cattolici e gli altri
cristiani non è completa e perfetta; ci sono anzi, in certi casi,
divergenze profonde. Di conseguenza, questa collaborazione ecumenica
è per sua stessa natura limitata: essa non deve mai significare una
«riduzione» ad un minimum comune. La catechesi, per di più, non
consiste soltanto nell'insegnare la dottrina, ma nell'iniziare a tutta
la vita cristiana, facendo partecipare pienamente ai sacramenti della
chiesa. Di qui la necessità, laddove sia in atto un'esperienza di
collaborazione ecumenica nel campo della catechesi, di vigilare a che
la formazione dei cattolici sia ben assicurata, nella chiesa
cattolica, in materia di dottrina e di vita cristiana. Non pochi vescovi hanno segnalato,
nel corso del sinodo, i casi - sempre più frequenti, dicevano - nei
quali l'autorità civile o altre circostanze impongono, nelle scuole
di alcuni paesi, un insegnamento della religione cristiana - con i
suoi manuali, orari di corso, ecc. - comuni ai cattolici ed ai
non-cattolici. E' appena il caso di dire che non si tratta di una vera
catechesi. Pure, un tale insegnamento ha anche un'importanza
ecumenica, quando presenta con lealtà la dottrina cristiana. Nel caso
in cui le circostanze imponessero questo insegnamento, è importante
che sia in altro modo assicurata, con tanta maggior cura, una
catechesi specificamente cattolica. Problema dei manuali
concernenti le diverse religioni 34. Bisogna aggiungere a questo
punto un'altra osservazione, che si pone nella medesima linea, anche
se in un'ottica diversa. Si dà il caso che certe scuole di stato
mettano a disposizione degli alunni libri nei quali sono presentate, a
titolo culturale - storico, morale o letterario - le diverse
religioni, ivi compresa la religione cattolica. Una presentazione
oggettiva dei fatti storici, delle varie religioni e delle diverse
confessioni cristiane può, in questo caso, contribuire ad una
migliore comprensione reciproca. Si vigilerà allora nel fare tutto il
possibile, perchè la presentazione sia veramente oggettiva, al riparo
di sistemi ideologici e politici o di pregiudizi ritenuti scientifici,
che ne deformerebbero il senso autentico. Ad ogni modo, questi manuali
non possono evidentemente essere considerati come opere catechetiche:
perchè siano tali, mancano ad essi la testimonianza di credenti che
espongono la fede ad altri credenti e la comprensione dei misteri
cristiani e della specificità cattolica, quali si ricavano
dall'interno della fede. V.
TUTTI
HANNO BISOGNO DI ESSERE CATECHIZZATI L'importanza dei fanciulli e
dei giovani 35. Il tema, che è stato indicato
dal mio predecessore Paolo VI alla IV assemblea generale del sinodo
dei vescovi, aveva questo titolo; «La catechesi, in questo nostro
tempo, con particolare riferimento ai fanciulli e ai giovani».
L'ascesa dei giovani costituisce, senza dubbio, il fenomeno più ricco
di speranza ed insieme di inquietudine per una buona parte del mondo
d'oggi. Alcuni paesi, specialmente quelli del terzo mondo, hanno più
della metà della popolazione al di sotto dei venticinque o trent'anni.
Ciò significa milioni e milioni di fanciulli e di giovani, che si
preparano al loro avvenire di adulti. E non si tratta solo di un
fattore numerico: alcuni recenti avvenimenti, così come la cronaca
quotidiana, ci dicono che questa innumerevole moltitudine di giovani,
anche se qui e là è dominata dall'incertezza e dalla paura, o è
sedotta dall'evasione nell'indifferenza e nella droga, e perfino
tentata dal nichilismo e dalla violenza, rappresenta tuttavia nella
maggioranza la grande forza che, tra non pochi rischi, si propone di
costruire la civiltà avvenire. Ora, nella nostra sollecitudine
pastorale noi ci chiediamo: come rivelare a questa moltitudine di
fanciulli e di giovani Gesù Cristo, Dio fatto uomo, e rivelarlo non
soltanto nell'esaltazione di un primo incontro fuggevole, ma mediante
la conoscenza ogni giorno più approfondita e più luminosa della sua
persona, del suo messaggio, del disegno di Dio ch'egli ha voluto
rivelare, dell'invito ch'egli rivolge a ciascuno, del regno ch'egli
vuole inaugurare in questo mondo con il «piccolo gregge» di coloro
che credono in lui, e che non sarà completo se non nell'eternità?
Come far conoscere il senso, la portata, le esigenze fondamentali, la
legge d'amore, le promesse, le speranze di questo regno? Ci sono non poche osservazioni da
fare circa le caratteristiche specifiche, che la catechesi assume
nelle diverse tappe della vita. I bambini 36. Un momento spesso decisivo è
quello in cui il bambino riceve dai genitori e dall'ambiente familiare
i primi elementi della catechesi, che forse non saranno altro che una
semplice rivelazione del Padre celeste, buono e provvidente, verso il
quale egli impara a volgere il proprio cuore. Brevissime preghiere,
che il bambino imparerà a balbettare, saranno l'inizio di un dialogo
amorevole con questo Dio nascosto, del quale comincerà ad ascoltare
in seguito la parola. Dinanzi ai genitori cristiani non potrei mai
insistere troppo su questa iniziazione precoce, nella quale le facoltà
del bambino sono integrate in un rapporto vitale con Dio: opera
capitale, che richiede un grande amore e un profondo rispetto del
bambino, il quale ha diritto ad una presentazione semplice e vera
della fede cristiana. I fanciulli 37. Seguirà ben presto, nella
scuola o nella chiesa, nella parrocchia o nell'ambito dell'assistenza
religiosa nel colleggio cattolico o nella scuola di stato,
parallelamente all'apertura ad una cerchia sociale più larga, il
momento di una catechesi destinata a introdurre il fanciullo, in modo
organico, nella vita della chiesa e comprendente anche una
preparazione immediata alla celebrazione dei sacramenti: catechesi
didattica, ma rivolta a dare una testimonianza nella fede; catechesi
iniziale, ma non frammentaria, poichè dovrà rivelare, sia pure in
maniera elementare, tutti i principali misteri della fede e la loro
incidenza nella vita morale e religiosa del ragazzo; catechesi, che dà
un senso ai sacramenti, ma che nello stesso tempo dai sacramenti
vissuti riceve una dimensione vitale, che le impedisce di rimanere
soltanto dottrinale, e comunica al fanciullo la gioia di essere
testimone di Cristo nel particolare ambiente in cui vive. Gli adolescenti 38. Vengono poi la pubertà e
l'adolescenza, con tutto ciò che una tale età rappresenta di
grandezza e di rischio. E' un momento di scoperta di se stesso e del
proprio universo interiore, momento di progetti generosi, momento in
cui zampillano il sentimento dell'amore, gli impulsi biologici della
sessualità e il desiderio di stare insieme, momento di una gioia
particolarmente intensa, connessa con la scoperta inebriante della
vita. Spesso, però, è anche l'età degli interrogativi più
profondi, delle ricerche ansiose e perfino frustranti, di una certa
diffidenza verso gli altri con dannosi ripiegamenti su se stessi, l'età
talvolta delle prime sconfitte e delle prime amarezze. La catechesi
non dovrà ignorare tali aspetti facilmente cangianti di questo
delicato periodo della vita. Una catechesi capace di condurre
l'adolescente ad una revisione della propria vita e al dialogo, una
catechesi che non ignori i suoi grandi problemi - il dono di sè, la
fede, l'amore e la sua mediazione che è la sessualità - potrà
essere decisiva. La rivelazione di Gesù Cristo come amico, come guida
e come modello, ammirevole e tuttavia imitabile; la rivelazione del
suo messaggio capace di dare risposta agli interrogativi fondamentali;
la rivelazione del disegno di amore del Cristo salvatore, come
incarnazione del solo vero amore e come possibilità di unire gli
uomini: tutto ciò potrà offrire la base per una autentica educazione
nella fede. E soprattutto i misteri della passione e della morte di
Gesù, ai quali san Paolo attribuisce il merito della sua gloriosa
risurrezione, potranno dire molto alla coscienza e al cuore
dell'adolescente e proiettare una luce sulle sue prime sofferenze e su
quelle del mondo da lui scoperto. I giovani 39. Con la giovinezza giunge l'ora
delle prime grandi decisioni. Sostenuto forse dai membri della sua
famiglia e dagli amici, e tuttavia lasciato a se stesso e alla propria
coscienza morale, il giovane dovrà prendere su di sè la
responsabilità del suo destino in maniera sempre più frequente e
determinante. Bene e male, grazia e peccato, vita e morte si
scontreranno sempre di più dentro di lui, certamente come categorie
morali, ma anche e soprattutto come opzioni fondamentali, che egli
dovrà accogliere o rigettare con lucidità e con senso di
responsabilità. E' evidente che una catechesi, la quale denunci
l'egoismo in nome della generosità, che senza semplicismi o senza
schematismi illusori offra il senso cristiano del lavoro, del bene
comune, della giustizia e della carità, una catechesi della pace tra
le nazioni e della promozione della dignità umana, dello sviluppo,
della liberazione, quali sono presentate nei recenti documenti della
chiesa, integra felicemente nello spirito dei giovani una buona
catechesi delle realtà propriamente religiose, che non deve mai
essere trascurata. La catechesi assume allora un'importanza
considerevole, poichè è il momento in cui il vangelo potrà essere
presentato, compreso e accolto in quanto capace di dare un senso alla
vita e, quindi, di ispirare atteggiamenti altrimenti incomprensibili:
rinuncia, distacco, mansuetudine, senso dell'Assoluto e
dell'invisibile ecc., altrettanti elementi che permetteranno di
identificare questo giovane tra i suoi compagni come un discepolo di
Gesù Cristo. La catechesi prepara così ai
grandi impegni cristiani della vita di adulto. Per quel che riguarda,
ad esempio, le vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa, è certo
che molte di esse sono sbocciate nel corso di una catechesi ben fatta
durante l'infanzia e durante l'adolescenza. Dalla prima infanzia alle soglie
della maturità, la catechesi diventa, pertanto, una scuola permanente
della fede e segue le grandi tappe della vita, come un faro che
rischiara la strada al bambino, all'adolescente e al giovane. Adattamento della catechesi
ai giovani 40. E' di conforto costatare che,
durante la IV assemblea generale del sinodo e negli anni che l'hanno
seguita, la chiesa ha largamente condiviso questa preoccupazione: come
fare la catechesi ai bambini e ai giovani? Dio voglia che
l'attenzione, così risvegliata, duri per lungo tempo nella coscienza
della chiesa! In questo senso, il sinodo è stato prezioso per tutta
la chiesa, quando si è sforzato di tratteggiare con la maggior
precisione possibile il volto complesso della gioventù d'oggi; quando
ha mostrato che questa gioventù adopera un linguaggio, nel quale
occorre saper tradurre con pazienza e saggezza, senza tradirlo, il
messaggio di Gesù; quando ha dimostrato che, a dispetto delle
apparenze, questa gioventù porta, anche se spesso in modo confuso, più
ancora che una disponibilità ed un'apertura, un vero desiderio di
conoscere questo «Gesù chiamato Cristo»: quando ha rivelato,
finalmente, che l'opera della catechesi, se la si vuol compiere con
rigore e serietà, è oggi più ardua e faticosa che mai, a causa
degli ostacoli e delle difficoltà di ogni sorta che si ergono davanti
a lei, ma anche più confortante che mai, a causa della profondità
delle risposte che essa riceve da parte dei bambini e dei giovani. Si
tratta di un tesoro, sul quale la chiesa può e deve contare negli
anni avvenire. Alcune categorie di giovani
destinatari della catechesi richiedono una speciale attenzione a
motivo della loro condizione particolare. Gli handicappati 41. Si tratta, innanzitutto, dei
fanciulli e dei giovani handicappati fisici e mentali. Essi hanno
diritto a conoscere, come gli altri coetanei, il «mistero della fede».
Le difficoltà più grandi, che essi incontrano, rendono ancor più
meritori i loro sforzi e quelli dei loro educatori. E' motivo di
soddisfazione costatare che alcuni organismi cattolici,
particolarmente consacrati ai giovani handicappati, hanno voluto
portare al sinodo un rinnovato desiderio di affrontar meglio questo
importante problema. Essi meritano di essere vivamente incoraggiati in
tale ricerca. I giovani senza sostegno
religioso 42. Il mio pensiero va poi ai
fanciulli ed ai giovani, sempre più numerosi, i quali, nati e educati
in un focolare non cristiano o, almeno, non praticante, sono
desiderosi di conoscere la fede cristiana. Dovrà essere loro
assicurata una catechesi adeguata, affinchè possano crescere nella
fede e viverne progressivamente, malgrado la mancanza di sostegno e,
forse anche, malgrado l'opposizione che incontrano nel loro ambiente. Gli adulti 43. Continuando nella serie dei
destinatari della catechesi, non posso ora fare a meno di mettere in
rilievo una delle più costanti preoccupazioni dei padri sinodali,
imposta con forza ed urgenza dalle esperienze che sono in corso nel
mondo intero: si tratta del problema centrale della catechesi degli
adulti. E', questa, la principale forma della catechesi, in quanto si
rivolge a persone che hanno le più grandi responsabilità e la
capacità di vivere il messaggio cristiano nella sua forma pienamente
sviluppata. La comunità cristiana non potrebbe fare una catechesi
permanente senza la diretta e sperimentata partecipazione degli
adulti, siano essi i destinatari o i promotori dell'attività
catechetica. Il mondo, nel quale i giovani sono chiamati a vivere ed a
testimoniare la fede che la catechesi vuole approfondire e
consolidare, è governato dagli adulti: la fede di costoro dovrebbe,
dunque, essere continuamente illuminata, stimolata o rinnovata, per
penetrare le realtà temporali di cui essi sono responsabili. Così,
per essere efficace, la catechesi deve essere permanente, e sarebbe
davvero vana se si arrestasse proprio alle soglie dell'età matura,
poichè essa si rivela non meno necessaria agli adulti, anche se
certamente sotto un'altra forma. I quasi catecumeni 44. Tra questi adulti, che hanno
bisogno di catechesi, la nostra preoccupazione pastorale e missionaria
va a coloro i quali, nati ed educati in regioni non ancora
cristianizzate, non hanno mai potuto approfondire la dottrina
cristiana, che le circostanze della vita un giorno hanno fatto loro
incontrare; va a coloro che hanno ricevuto nella loro infanzia una
catechesi corrispondente a quell'età, ma si sono poi allontanati da
ogni pratica religiosa e si ritrovano, in età matura, con cognizioni
religiose piuttosto infantili; va a coloro che risentono di una
catechesi precoce, mal condotta o male assimilata; va a coloro che,
pur essendo nati in un paese cristiano, anzi in un contesto
sociologicamente cristiano, non sono mai stati educati nella loro fede
e, come adulti, sono dei veri catecumeni. Catechesi diversificate e
complementari 45. Gli adulti di qualsiasi età e
le stesse persone di età avanzata - le quali meritano una particolare
attenzione, in ragione della loro esperienza e dei loro problemi -
sono, dunque, destinatari della catechesi quanto i fanciulli, gli
adolescenti e i giovani. Bisognerebbe, inoltre, parlare dei migranti,
delle persone emarginate dalla evoluzione moderna, delle persone che
abitano nei quartieri di grandi metropoli spesso sprovvisti di chiese,
di locali e di strutture appropriate... Come non esprimere per tutti
costoro l'auspicio che si moltiplichino le iniziative destinate alla
loro formazione cristiana mediante gli strumenti appropriati (sistemi
audiovisivi, opuscoli, incontri, conferenze) in modo che molti adulti
possano sia supplire ad una catechesi che è rimasta insufficiente o
deficiente, sia completare armoniosamente, ad un livello più alto,
quella che hanno ricevuto durante l'infanzia, sia anche arricchirsi in
questo campo al punto da poter aiutare più seriamente gli altri? Importa, altresì, che la
catechesi dei fanciulli e dei giovani, la catechesi permanente, la
catechesi degli adulti non siano dei compartimenti-stagno, senza
comunicazione tra loro. Ancor più importa che non ci sia rottura tra
di esse. Al contrario, bisogna favorire la loro perfetta
complementarietà: gli adulti hanno molto da offrire ai fanciulli in
materia di catechesi, ma essi pure possono riceverne molto per la
crescita della loro vita cristiana. Bisogna ripeterlo: nessuno nella
chiesa di Gesù Cristo dovrebbe sentirsi dispensato dal ricevere la
catechesi. E' questo anche il caso dei giovani seminaristi, dei
giovani religiosi, come di tutti coloro che sono chiamati al compito
di pastori e di catechisti; essi lo assolveranno tanto meglio, quanto
più sapranno mettersi umilmente alla scuola della chiesa, la grande
catechista ed insieme la grande catechizzata. VI.
ALCUNE
VIE E MEZZI DELLA CATECHESI Mezzi di comunicazione
sociale 46. Dall'insegnamento orale degli
apostoli e dalle lettere circolanti tra le chiese fino ai mezzi più
moderni, la catechesi non ha mai cessato di ricercare le vie ed i
mezzi più adatti per svolgere la sua missione, con l'attiva
partecipazione delle comunità e sotto l'impulso dei pastori. Un tale
sforzo deve continuare. Il mio pensiero si rivolge
spontaneamente alle grandi possibilità che offrono i mezzi di
comunicazione sociale ed i mezzi di comunicazione di gruppo:
televisione, radio, stampa, dischi, nastri registrati, tutto il
settore degli audiovisivi. Gli sforzi compiuti in questi campi sono
tali che danno le più grandi speranze. L'esperienza dimostra, ad
esempio, la risonanza di un insegnamento radiofonico o televisivo, che
sappia congiungere un'espressione estetica qualificata ad una rigorosa
fedeltà al magistero. La chiesa ha al presente molte occasioni di
trattare tali problemi - come durante le «giornate» delle
comunicazioni sociali -; sicchè non è qui necessario dilungarsi su
di essi, nonostante la loro capitale importanza. Molteplici luoghi, momenti o
riunioni da valorizzare 47. Il mio pensiero va parimenti
ai diversi momenti di grande importanza, nei quali la catechesi ha un
posto già pronto: ad esempio, i pellegrinaggi diocesani, regionali e
nazionali, che molto si avvantaggiano se sono incentrati su un tema
scelto con cura, a partire dalla vita di Cristo, della Vergine e dei
santi; le missioni tradizionali, spesso abbandonate troppo in fretta,
e che sono insostituibili per un rinnovamento periodico e vigoroso
della vita cristiana - bisogna appunto riprenderle e rinnovarle -; i
circoli biblici, i quali debbono andare oltre all'esegesi per far
vivere della parola di Dio; le riunioni delle comunità ecclesiali di
base, nella misura in cui esse corrispondono ai criteri esposti
nell'esortazione apostolica Evangelii nuntiandi. Ricordo, ancora, i
gruppi di giovani, che in certe regioni, sotto varie denominazioni e
fisionomie (ma con lo stesso scopo di far conoscere Gesù Cristo e di
vivere del vangelo), si moltiplicano e fioriscono come in una
primavera assai confortante per la chiesa: gruppi di azione cattolica,
gruppi caritativi, gruppi di preghiera, gruppi di riflessione
cristiana ecc. Questi gruppi suscitano non poca speranza per la chiesa
di domani. Ma, in nome di Gesù, io scongiuro i giovani che li
compongono, i loro responsabili, i sacerdoti che ad essi consacrano il
meglio del loro ministero: non permettete a nessun costo che questi
gruppi, occasioni privilegiate d'incontro, ricchi di tanti valori di
amicizia e di solidarietà giovanile, di gioia e di entusiasmo, di
riflessione sui fatti e sulle cose, manchino di uno studio serio della
dottrina cristiana. Essi, allora, rischierebbero (il pericolo,
purtroppo, si è già più volte verificato) di deludere i loro
aderenti e la chiesa stessa. Lo sforzo catechistico che è
possibile fare in questi diversi luoghi, e in molti altri ancora, ha
tanto migliori possibilità di essere accolto e di portare i suoi
frutti, quanto più ne rispetterà la particolare natura.
Inserendovisi in maniera appropriata, detto sforzo attuerà quella
diversità e complementarietà di contatti, che gli permettono di
sviluppare tutta la ricchezza del suo concetto, con la triplice
dimensione di parola, di memoria e di testimonianza - di dottrina, di
celebrazione e di impegno nella vita -, che il messaggio del sinodo al
popolo di Dio ha messo in evidenza. L'omelia 48. Questa osservazione vale più
ancora per la catechesi che vien fatta nel quadro liturgico e, in
particolare, durante l'assemblea eucaristica: rispettando la natura
specifica ed il ritmo proprio di questo quadro, l'omelia riprende
l'itinerario di fede, proposto dalla catechesi, e lo porta al suo
naturale compimento; parimenti, essa spinge i discepoli del Signore a
riprendere ogni giorno il loro itinerario spirituale nella verità,
nell'adorazione e nel rendimento di grazie. In questo senso si può
dire che la pedagogia catechetica trova essa pure la sua origine ed il
suo compimento nell'eucaristia, entro l'orizzonte completo dell'anno
liturgico. La predicazione, incentrata sui testi biblici, deve
permettere allora, a sua volta, di familiarizzare i fedeli con
l'insieme dei misteri della fede e delle norme della vita cristiana.
Bisogna dedicare grande attenzione all'omelia: nè troppo lunga nè
troppo breve, sempre accuratamente preparata, sostanziosa e
appropriata, e riservata ai ministri ordinati. Tale omelia deve avere
il suo posto in ogni eucaristia domenicale e festiva, ma anche nella
celebrazione dei battesimi, delle liturgie penitenziali, dei
matrimoni, dei funerali. E' questo uno dei vantaggi del rinnovamento
liturgico. Opere catechetiche 49. In questo complesso di vie e
di mezzi - ogni attività della chiesa ha una dimensione catechetica -
le opere di catechismo, lungi dal perdere la loro importanza
essenziale, assumono un nuovo rilievo. Uno degli aspetti maggiori del
rinnovamento della catechesi consiste oggi nella revisione e nella
moltiplicazione dei libri catechetici, avvenute quasi dappertutto
nella chiesa. Opere numerose ed assai riuscite hanno visto la luce e
rappresentano una vera ricchezza a servizio dell'insegnamento
catechetico. Ma occorre parimenti riconoscere, con onestà ed umiltà,
che questa fioritura e questa ricchezza hanno comportato saggi e
pubblicazioni equivoche e dannose ai giovani ed alla vita della
chiesa. Abbastanza spesso, qua e là, per la preoccupazione di trovare
il linguaggio migliore o di essere alla moda in quanto attiene ai
metodi pedagogici, alcune opere catechetiche disorientano i giovani ed
anche gli adulti sia con l'omissione, cosciente o incosciente, di
elementi essenziali alla fede della chiesa, sia col dare eccessiva
importanza a certi temi a scapito di altri, sia soprattutto con una
visione globale di tipo abbastanza orizzontale, che non è conforme
all'insegnamento del magistero della chiesa. Non basta, dunque, che si
moltiplichino le opere catechetiche. Perchè esse rispondano alla loro
finalità, sono indispensabili diverse condizioni:
I catechismi 50. Tutti coloro che si assumono
il grave compito di preparare questi strumenti catechetici e, a
maggior ragione, il testo dei catechismi, non possono farlo senza
l'approvazione dei pastori, che hanno l'autorità di darla, nè senza
ispirarsi, con la maggior aderenza possibile, al Direttorio generale
della catechesi, il quale rimane la norma di riferimento. A questo proposito, non posso
omettere di rivolgere un fervido incoraggiamento alle conferenze
episcopali di tutto il mondo: che esse intraprendano con pazienza, ma
anche con ferma risolutezza, l'imponente lavoro da compiere d'intesa
con la sede apostolica, per approntare dei catechismi ben fatti,
fedeli ai contenuti essenziali della rivelazione ed aggiornati per
quanto riguarda la metodologia, capaci di educare ad una fede solida
le generazioni cristiane dei tempi nuovi. Questo breve accenno ai mezzi ed
alle vie della catechesi contemporanea non esaurisce la ricchezza
delle «proposizioni», elaborate dai padri sinodali. E' un fatto
confortante pensare che in ogni paese è in atto al presente una
preziosa collaborazione per un rinnovamento più organico e più
sicuro di questi aspetti della catechesi. Come dubitare che la chiesa
possa trovare le persone esperte ed i mezzi adatti per rispondere, con
la grazia di Dio, alle esigenze complesse della comunicazione con gli
uomini del nostro tempo. VII.
COME
FARE LA CATECHESI Diversità dei metodi 51. L'età e lo sviluppo
intellettuale dei cristiani, il loro grado di maturità ecclesiale e
spirituale e molte altre circostanze personali esigono che la
catechesi adotti metodi diversi, per attingere il suo scopo specifico:
l'educazione alla fede. Tale varietà è richiesta anche, su un piano
più generale, dall'ambiente socio-culturale, nel quale la chiesa
svolge la sua opera catechetica. La varietà nei metodi è un segno
di vita ed una ricchezza. E' così che l'hanno considerata i padri
della IV assemblea generale del sinodo, pur richiamando l'attenzione
sulle condizioni indispensabili perchè essa sia utile e non
pregiudizievole all'unità dell'insegnamento dell'unica fede. Al servizio della
Rivelazione e della conversione 52. La prima questione di ordine
generale, che si presenta, concerne il rischio e la tentazione di
mescolare indebitamente all'insegnamento catechetico prospettive
ideologiche, scoperte o larvate, soprattutto di natura
politico-sociale, o opzioni politiche personali. Allorchè tali
prospettive prevalgono sul messaggio centrale che si deve trasmettere,
fino a oscurarlo e a renderlo secondario, anzi fino a subordinarlo ai
propri fini, la catechesi viene snaturata sin nelle sue radici. Il
sinodo ha giustamente insistito sulla necessità, per la catechesi, di
tenersi al di sopra di tendenze unilaterali divergenti - di evitare «dicotomie»
- anche sul terreno delle interpretazioni teologiche date a simili
questioni. E' sulla rivelazione che la catechesi cercherà di
regolarsi: la rivelazione quale la trasmette il magistero universale
della chiesa, nella sua forma solenne o ordinaria. Questa rivelazione
è quella di un Dio creatore e redentore, il cui Figlio, venuto tra
gli uomini nella loro carne, entra non solamente nella storia
personale di ciascun uomo, ma nella stessa storia umana, della quale
egli diventa il centro. Questa rivelazione è, dunque, quella del
cambiamento radicale dell'uomo e dell'universo, di tutto ciò che
costituisce il tessuto dell'esistenza umana, sotto l'influsso della
buona novella di Gesù Cristo. Una catechesi così concepita
oltrepassa ogni moralismo formalista, benchè includa una vera morale
cristiana. Essa oltrepassa, soprattutto, ogni «messianismo»
temporale, sociale e politico. Essa cerca di raggiungere l'uomo nel
profondo. Incarnazione del messaggio
nelle culture 53. Affronto, a questo punto, una
seconda questione. Come ho detto recentemente ai membri della
Commissione biblica, «il termine acculturazione, o inculturazione,
pur essendo un neologismo, esprime molto bene una delle componenti del
grande mistero dell'incarnazione». Della catechesi, come
dell'evangelizzazione in generale, possiamo dire che è chiamata a
portare la forza del vangelo nel cuore della cultura e delle culture.
Per questo, la catechesi cercherà di conoscere tali culture e le loro
componenti essenziali; ne apprenderà le espressioni più
significative; ne rispetterà i valori e le ricchezze peculiari. E' in
questo modo che essa potrà proporre a tali culture la conoscenza del
mistero nascosto ed aiutarle a far sorgere, dalla loro propria viva
tradizione, espressioni originali di vita, di celebrazione e di
pensiero che siano cristiani. Converrà, tuttavia, tener presenti due
cose:
Dimenticando questo, si
arriverebbe semplicemente a ciò che san Paolo chiama, con espressione
molto forte, «render vana la croce di Cristo». Ben diverso è il metodo che
parte, con saggezza e discernimento, da elementi - religiosi o di
altra natura - che appartengono al patrimonio culturale di un gruppo
umano per aiutare le persone a comprendere meglio l'integrità del
mistero cristiano. Gli autentici maestri in catechesi sanno che una
catechesi «s'incarna» nelle differenti culture o nei differenti
ambienti: basta pensare ai popoli tanto diversi, ai giovani del nostro
tempo, alle circostanze diversificate in cui si trova la gente al
giorno d'oggi; essi non accettano, peraltro, che la catechesi
s'impoverisca con l'abdicazione o l'attenuazione del suo messaggio, a
causa di adattamenti, anche di linguaggio, che comprometterebbero «il
buon deposito» della fede, o a causa di concessioni in materia di
fede o di morale; essi sono persuasi che la vera catechesi finisce per
arricchire queste culture, aiutandole a superare i lati deficienti, o
addirittura inumani esistenti in esse, e comunicando ai loro valori
legittimi la pienezza del Cristo. Contributo delle devozioni
popolari 54. Un'altra questione di metodo
concerne la valorizzazione, da parte dell'insegnamento catechetico,
degli elementi validi della pietà popolare. Io penso a quelle
devozioni che son praticate in certe regioni dal popolo fedele con un
fervore ed una purezza di intenzione commoventi, anche se la fede, che
vi sta alla base, deve essere purificata e perfino rettificata sotto
non pochi aspetti. E penso a certe preghiere facili da comprendere,
che tante persone semplici amano ripetere. E penso a certi atti di
pietà, praticati col desiderio sincero di fare penitenza o di piacere
al Signore. Alla base della maggior parte di queste preghiere o di
queste pratiche, accanto ad elementi da eliminare, ve ne sono altri i
quali, se ben utilizzati, potrebbero servire benissimo a far
progredire nella conoscenza del mistero di Cristo e del suo messaggio:
l'amore e la misericordia di Dio, l'incarnazione del Cristo, la sua
croce redentrice e la sua risurrezione, l'azione dello Spirito in
ciascun cristiano e nella chiesa, il mistero dell'aldilà, le virtù
evangeliche da praticarsi, la presenza del cristiano nel mondo ecc. E
perchè dovremmo far appello a certi elementi non cristiani - e
perfino anticristiani -, rifiutando di appoggiarci su elementi, i
quali, anche se han bisogno di essere riveduti ed emendati, hanno
qualcosa di cristiano alla loro radice? La memorizzazione 55. L'ultima questione
metodologica, che è opportuno almeno sottolineare - essa è stata più
di una volta dibattuta nel sinodo - è quella della memorizzazione.
Gli inizi della catechesi cristiana, che coincisero con una civiltà
soprattutto orale, hanno fatto il più ampio ricorso alla
memorizzazione. La catechesi, in seguito, ha conosciuto una lunga
tradizione di apprendimento mnemonico delle principali verità. Noi
sappiamo tutti che questo metodo può presentare certi inconvenienti:
il minore non è certo quello di prestarsi ad un'assimilazione
insufficiente, talvolta quasi nulla, riducendosi tutto il sapere a
formule che vengono ripetute senza che siano state approfondite.
Questi inconvenienti, uniti alle caratteristiche diverse della nostra
civiltà, hanno condotto qua e là alla soppressione quasi completa -
alcuni dicono, ahimè, definitiva - della memorizzazione nella
catechesi. Nondimeno, voci molto autorevoli si sono fatte sentire in
occasione della IV assemblea generale del sinodo per riequilibrare
assennatamente la funzione della riflessione e della spontaneità, del
dialogo e del silenzio, dei lavori scritti e della memoria.
D'altronde, determinate culture tengono tuttora in gran conto la
memorizzazione. Mentre nell'insegnamento profano
di certi paesi, si levano sempre più numerose le critiche intorno
alle conseguenze spiacevoli della svalutazione di questa facoltà
umana, che è la memoria, perchè non dovremmo cercare di ridare ad
essa valore nella catechesi, in maniera intelligente ed anche
originale, tanto più che la celebrazione, o «memoria» dei grandi
fatti della storia della salvezza esige che se ne abbia una conoscenza
esatta? Una certa memorizzazione delle parole di Gesù, di importanti
passi biblici, dei dieci comandamenti, delle formule di professione di
fede, dei testi liturgici, delle preghiere fondamentali, delle
nozioni-chiave della dottrina... lungi dall'esser contraria alla
dignità dei giovani cristiani, o dal costituire un ostacolo al
dialogo personale col Signore, è una reale necessità, come hanno
ricordato con vigore i padri sinodali. Bisogna essere realisti. I
fiori della fede e della pietà - se così si può dire - non spuntano
nelle zone desertiche di una catechesi senza memoria. La cosa
essenziale è che questi testi memorizzati siano al tempo stesso
interiorizzati, compresi a poco a poco nella loro profondità, per
diventare sorgente di vita cristiana personale e comunitaria. La pluralità dei metodi nella
catechesi contemporanea può essere segno di vitalità e di genialità.
In tutti i casi, quel che importa è che il metodo prescelto si
riferisca, in definitiva, a una legge che è fondamentale per tutta la
vita della chiesa: quella della fedeltà a Dio e della fedeltà
all'uomo, in uno stesso atteggiamento di amore. VIII.
LA
GIOIA DELLA FEDE IN UN MONDO DIFFICILE Affermare l'identità
cristiana 56. Noi viviamo in un mondo
difficile, nel quale l'angoscia derivante dal vedere le migliori
realizzazioni dell'uomo sfuggirgli di mano e rivoltarsi contro di lui,
crea un clima d'incertezza. E' appunto entro questo mondo che la
catechesi deve aiutare i cristiani ad essere, per la loro gioia e per
il servizio di tutti, «luce» e «sale». Ciò esige sicuramente che
essa li rafforzi nella loro propria identità e che si sottragga essa
stessa di continuo all'ambiente di esitazioni, di incertezze e di
svigorimento. Fra le molte difficoltà, che sono altrettante sfide per
la fede, io ne rilevo soltanto qualcuna per aiutare la catechesi a
superarle. In un mondo indifferente 57. Si parlava molto, qualche anno
fa, di mondo secolarizzato e di èra post-cristiana. Le mode
passano...; resta, però, una realtà profonda. I cristiani di oggi
debbono essere formati per vivere in un mondo che per larga parte
ignora Dio o che, in materia religiosa, al posto di un dialogo
esigente e fraterno, stimolante per tutti, decade troppo spesso in un
indifferentismo livellatore, quando non resta arroccato in un
atteggiamento sprezzante di «sospetto», in nome dei suoi progressi
in materia di «spiegazioni» scientifiche. Per riuscire a «tenere»
in questo mondo, per offrire a tutti un «dialogo di salvezza», nel
quale ciascuno si senta rispettato nella sua dignità veramente
fondamentale, quella di ricercatore di Dio, noi abbiamo bisogno di una
catechesi che insegni ai giovani ed agli adulti delle nostre comunità
ad essere lucidi e coerenti nella loro fede, ad affermare con serenità
la loro identità cristiana e cattolica, a «vedere l'invisibile» e
ad aderire così fortemente all'assoluto di Dio, da poterlo
testimoniare entro una civiltà materialista, che lo nega. Con la pedagogia originale
della fede 58. L'irriducibile originalità
dell'identità cristiana ha per corollario e condizione una non meno
originale pedagogia della fede. Tra le numerose e prestigiose scienze
umane, che registrano ai nostri giorni un immenso progresso, la
pedagogia è senza dubbio una delle più importanti. Le conquiste
delle altre scienze - biologia, psicologia, sociologia - le offrono
elementi preziosi. La scienza dell'educazione e l'arte dell'insegnare
sono oggetto di continue rimesse in discussione, in vista di un
migliore adattamento o di una più grande efficacia, con risultati
peraltro diversi. Ora, vi è anche una pedagogia
della fede, e non si parlerà mai abbastanza di quel che una tale
pedagogia della fede può arrecare alla catechesi. E' normale,
infatti, adattare in favore dell'educazione della fede le tecniche
sperimentate e perfezionate dell'educazione in quanto tale. Occorre,
tuttavia, tener conto in ogni istante della fondamentale originalità
della fede. Quando si parla della pedagogia della fede, non si tratta
di trasmettere un sapere umano, anche se il più elevato; si tratta di
comunicare nella sua integrità la rivelazione di Dio. Dio medesimo,
nel corso della storia sacra e soprattutto nel vangelo, si è servito
di una pedagogia, che deve restare come modello per la pedagogia della
fede. Una tecnica non ha valore, nella catechesi, se non nella misura
in cui si pone al servizio della trasmissione della fede e
dell'educazione alla fede; in caso contrario non ha alcun valore. Linguaggio adatto al
servizio del «Credo» 59. Un problema che si avvicina al
precedente è quello del linguaggio. Ognuno sa quanto tale questione
sia scottante al giorno d'oggi. Non è pure paradossale constatare
come gli studi contemporanei, nel campo della comunicazione, della
semantica e della scienza dei simboli, per esempio, diano una notevole
importanza al linguaggio, e come d'altronde il linguaggio sia
oggigiorno utilizzato abusivamente al servizio della mistificazione
ideologica, della massificazione del pensiero, della riduzione
dell'uomo alla condizione di oggetto? Tutto ciò esercita influssi
notevoli nel campo della catechesi. Ad essa incombe, infatti, il
preciso dovere di trovare un linguaggio adatto ai fanciulli ed ai
giovani del nostro tempo in generale, come a numerose altre categorie
di persone: linguaggio per gli intellettuali, per gli uomini di
scienza; linguaggio per gli handicappati ecc. Sant'Agostino aveva già
incontrato un tale problema ed aveva contribuito a risolverlo, per il
suo tempo, con la nota opera De catechizandis radibus. In catechesi
come in teologia, la questione del linguaggio senza alcun dubbio,
fondamentale. Ma non è superfluo ricordarlo qui: la catechesi non
potrebbe ammettere alcun linguaggio che, sotto qualsiasi pretesto,
anche se presentato come scientifico, avesse come risultato quello di
snaturare il contenuto del Credo. E meno ancora conviene un linguaggio
che inganni o che seduca. La legge suprema è, al contrario, che i
grandi progressi nella scienza del linguaggio debbono poter essere
messi al servizio della catechesi, perchè essa possa più agevolmente
«dire» o «comunicare» ai fanciulli, agli adolescenti, ai giovani e
agli adulti di oggi tutto il contenuto dottrinale, senza alcuna
deformazione. Ricerca e certezza di fede 60. Una sfida più sottile deriva
a volte dalla concezione stessa della fede. Talune scuole filosofiche
contemporanee, che sembrano esercitare una forte influenza su alcune
correnti teologiche e, per loro tramite, sulla prassi pastorale,
sottolineano volentieri che l'atteggiamento fondamentale dell'uomo è
quello di una ricerca all'infinito, una ricerca che non raggiunge mai
il suo oggetto. In teologia questa visione delle cose afferma molto
categoricamente che la fede non è una certezza, ma un interrogativo,
che non è una chiarezza, ma un salto nel buio! Queste correnti di pensiero hanno
certamente il vantaggio di ricordarci che la fede riguarda cose che
non sono ancora possedute, perchè sono sperate, cose che non si
vedono ancora se non «in uno specchio, in maniera confusa», e che
Dio abita sempre in una luce inaccessibile. Esse ci aiutano a non fare
della fede cristiana un atteggiamento di immobilismo, ma piuttosto una
marcia in avanti, come quella di Abramo. A più forte ragione si deve
evitare di presentare come certe le cose che non lo sono. Tuttavia, non bisogna cadere -
come avviene molto spesso - nell'eccesso opposto. La Lettera agli
ebrei dice che «la fede è il fondamento delle cose che si sperano e
prova di quelle che non si vedono». Se noi non ne abbiamo il pieno
possesso, ne abbiamo una garanzia ed una prova. Quando noi educhiamo i
fanciulli, gli adolescenti ed i giovani, non presentiamo loro un
concetto della fede del tutto negativo - come un non-sapere assoluto,
una sorta di cecità, un mondo di tenebre -, ma sforziamoci di mostrar
loro che la ricerca umile e coraggiosa del credente, lungi dal partire
dal nulla, da semplici illusioni, da opinioni fallibili, da
incertezze, si fonda sulla parola di Dio, il quale nè si inganna nè
inganna, e si edifica di continuo sulla roccia incrollabile di tale
Parola. E' la ricerca dei magi al seguito di una stella, ricerca in
ordine alla quale Pascal, riprendendo un pensiero di sant'Agostino,
scriveva in termini così profondi: «Tu non mi cercheresti, se non mi
avessi già trovato». E', altresì, uno scopo della
catechesi quello di offrire ai giovani catecumeni quelle certezze,
semplici, ma solide, che li aiutino a cercare di più e meglio la
conoscenza del Signore. Catechesi e teologia 61. In questo contesto, mi sembra
importante che sia ben compreso il legame che c'è tra la catechesi e
la teologia. Questo legame appare con ogni
evidenza profondo e vitale a chi comprende la missione insostituibile
della teologia a servizio della fede. Non c'è da meravigliarsi,
pertanto, che ogni scossa nel campo teologico provochi ugualmente
ripercussioni sul terreno della catechesi. Ora la chiesa, in questo
immediato post-concilio, vive un momento importante, ma rischioso,
della ricerca teologica. Alcuni padri sinodali, venuti da
tutti i continenti hanno affrontato tale questione con un linguaggio
molto netto: essi hanno parlato di un «equilibrio instabile», che
dalla teologia rischia di passare alla catechesi, ed hanno, altresì,
sottolineato la necessità di apportare un rimedio a tale
inconveniente. Il pontefice Paolo VI aveva anch'egli affrontato il
problema in termini non meno netti nell'introduzione alla sua Solenne
professione di fede, e nell'esortazione apostolica che ricordava il
quinto anniversario della chiusura del concilio Vaticano II. Conviene insistere nuovamente su
questo punto. Consapevoli dell'influsso delle loro ricerche e delle
loro affermazioni sull'insegnamento catechetico, i teologi e gli
esegeti hanno il dovere di stare molto attenti a non far passare come
verità certe ciò che appartiene, al contrario, all'àmbito delle
questioni opinabili o della disputa tra esperti. I catechisti avranno,
a lor volta, la saggezza di cogliere nel campo della ricerca teologica
ciò che può illuminare la loro riflessione ed il loro insegnamento,
attingendo come i teologi stessi alle vere fonti, nella luce del
magistero. Si asterranno dal turbare l'animo dei fanciulli e dei
giovani, a questo stadio della loro catechesi, con teorie peregrine,
con vari problemi e con sterili discussioni, spesso condannate da san
Paolo nelle sue «Lettere Pastorali». Il dono più prezioso, che la
chiesa possa offrire al mondo contemporaneo, disorientato ed inquieto,
è di formare in esso cristiani sicuri nell'essenziale ed umilmente
lieti nello loro fede. La catechesi questo insegnerà loro, e ne trarrà
vantaggio essa stessa per prima: «L'uomo che vuol comprendere se
stesso fino in fondo - non soltanto secondo immediati, parziali,
spesso superficiali, e perfino apparenti criteri e misure del proprio
essere - deve, con la sua inquietudine e incertezza ed anche con la
sua debolezza e peccaminosità, con la sua vita e morte, avvicinarsi a
Cristo. Egli deve, per così dire, entrare in lui con tutto se stesso,
deve «appropriarsi» ed assimilare tutta la realtà dell'incarnazione
e della rendenzione per ritrovare se stesso». IX.
IL
COMPITO RIGUARDA TUTTI NOI Incoraggiamento a tutti i
responsabili 62. Ora, fratelli e figli
carissimi, vorrei che le mie parole, concepite come una grave ed
ardente esortazione del mio ministero di pastore della chiesa
universale, infiammassero i vostri cuori come le lettere dell'apostolo
Paolo indirizzate ai suoi collaboratori nell'opera di
evangelizzazione, Tito e Timoteo, come la lettera di sant'Agostino,
allorchè scriveva al diacono Deogratias, scoraggiato di fronte al suo
compito di catechista, un autentico piccolo trattato sulla gioia del
catechizzare. Sì, desidero seminare abbondantemente nel cuore di
tutti i responsabili, così numerosi e diversi, dell'insegnamento
religioso e dell'addestramento alla vita secondo il vangelo, il
coraggio, la speranza, l'entusiasmo! I Vescovi 63. Mi rivolgo, innanzitutto, a
voi, miei fratelli vescovi: il concilio Vaticano II vi ha già
ricordato esplicitamente i vostri doveri nel campo della catechesi, ed
i padri della IV assemblea generale del sinodo li hanno anch'essi
fortemente sottolineati. A questo riguardo voi, fratelli
carissimi, avete una missione particolare nelle vostre chiese: voi
siete in esse i primissimi responsabili della catechesi, siete i
catecheti per eccellenza. Voi condividete pure col papa, nello spirito
della collegialità episcopale, l'onere della catechesi in tutta
quanta la chiesa. Consentite, dunque, che io vi parli a cuore aperto! So bene che siete impegnati in un
ministero episcopale ogni giorno più complesso e logorante. Siete
sollecitati da mille impegni: dalla formazione dei nuovi sacerdoti
alla presenza attiva in mezzo alle comunità dei fedeli; dalla
celebrazione viva e degna del culto e dei sacramenti all'impegno della
promozione umana e della difesa dei diritti della persona. Ebbene, che
l'impegno di promuovere una catechesi attiva ed efficace non ceda per
nulla a qualsiasi altra preoccupazione! Questo impegno vi spingerà a
trasmettere voi stessi ai vostri fedeli la dottrina della vita. Ma
esso deve anche spingervi ad assumere nelle vostre diocesi, in
corrispondenza con i programmi della conferenza episcopale a cui
appartenete, l'alta direzione della catechesi, pur circondandovi di
collaboratori competenti e degni di fiducia. Il vostro ruolo
principale sarà quello di suscitare e di mantenere nelle vostre
chiese una autentica passione per la catechesi, una passione che si
incarni in un'organizzazione adeguata ed efficace, che metta in opera
le persone, i mezzi, gli strumenti, come pure tutte le risorse
economiche necessarie. Siate certi che, se la catechesi è fatta bene
nelle chiese locali, tutto il resto si farà più facilmente.
D'altronde - c'è bisogno di dirvelo? - se il vostro zelo deve imporvi
a volte il compito ingrato di denunciare deviazioni, correggere
errori, vi procurerà ben più spesso la gioia e la consolazione di
veder fiorire le vostre chiese, perchè la catechesi è ivi offerta ai
fedeli secondo la volontà del Signore. I Sacerdoti 64. Quanto a voi, sacerdoti, ecco
un terreno, sul quale siete i collaboratori immediati dei vostri
vescovi. Il concilio vi ha chiamati «educatori nella fede»; come
potreste voi esserlo maggiormente che dedicando il meglio dei vostri
sforzi alla crescita delle vostre comunità nella fede? Che voi siate
titolari di una parrocchia, o insegnanti di scuola, di liceo o di
università, responsabili della pastorale a qualsiasi livello,
animatori di piccole o grandi comunità e soprattutto di gruppi di
giovani, la chiesa attende da voi che non trascuriate nulla in ordine
ad un'opera catechetica ben strutturata e ben orientata. I diaconi e
gli altri ministri, se avete la fortuna di disporne, sono per ciò
vostri collaboratori nati. Tutti i credenti hanno il diritto alla
catechesi, tutti i pastori hanno il dovere di provvedervi. Alle
autorità civili domanderò sempre di rispettare la libertà
dell'insegnamento catechetico; ma voi, ministri di Gesù Cristo - ve
ne supplico con tutte le mie forze - non permettete mai che, per
mancanza di zelo, o in conseguenza di qualche malaugurata idea
preconcetta, i fedeli restino privi della catechesi. Che non si abbia
a dire: «I bambini chiedevano il pane e non c'era chi lo spezzasse
loro». I Religiosi e le Religiose 65. Molte famiglie religiose,
maschili e femminili, sono sorte per l'educazione cristiana dei
fanciulli e dei giovani, soprattutto dei più abbandonati. Nel corso
della storia, i religiosi e le religiose si sono trovati molto
impegnati nell'attività catechetica della chiesa, svolgendo in essa
un lavoro particolarmente adatto ed efficace. Nel momento in cui si
desidera accentuare i legami tra religiosi e pastori e, di
conseguenza, la presenza attiva delle comunità religiose e dei loro
membri nei progetti pastorali delle chiese locali, io esorto con tutto
il cuore voi, che la consacrazione religiosa deve rendere ancor più
disponibili al servizio della chiesa, a prepararvi nel miglior modo
possibile al compito catechetico, secondo le diverse vocazioni dei
vostri istituti e le missioni che vi sono affidate, recando
dappertutto questa preoccupazione. Che le comunità consacrino il
massimo delle loro capacità e delle loro possibilità all'opera
specifica della catechesi! I Catechisti laici 66. Io intendo ringraziare, a nome
di tutta la chiesa, voi catechisti parrocchiali, laici, uomini ed in
numero ancor maggiore donne, che dappertutto nel mondo vi siete
dedicati all'educazione religiosa di numerose generazioni. La vostra
attività, spesso umile e nascosta, ma compiuta con zelo ardente e
generoso, è una forma eminente di apostolato laicale, particolarmente
importante laddove, per differenti ragioni, i fanciulli ed i giovani
non ricevono una conveniente formazione religiosa in seno alle loro
famiglie. Quanti di noi hanno ricevuto da persone come voi le prime
nozioni del catechismo e la preparazione al sacramento della
riconciliazione, alla prima comunione ed alla confermazione? La IV
assemblea generale del sinodo non vi ha certo dimenticati. Insieme con
essa, io vi incoraggio a continuare la vostra collaborazione alla vita
della chiesa. Ma sono i catechisti in terra di
missione coloro che meritano, in modo del tutto speciale, questo
titolo di «catechisti». Nati da famiglie già cristiane, o
convertiti un giorno al cristianesimo ed istruiti dai missionari o da
un altro catechista, essi consacrano in seguito la loro vita, per
lunghi anni, a catechizzare i fanciulli e gli adulti dei loro paesi.
Chiese ora fiorenti non sarebbero state edificate senza di loro. Io mi
rallegro per gli sforzi compiuti dalla Congregazione per
l'evangelizzazione dei popoli al fine di perfezionare sempre meglio la
formazione di questi catechisti. Io rievoco con riconoscenza la
memoria di coloro che il Signore ha già chiamato a sè, mentre invoco
l'intercessione di coloro che dai miei predecessori sono stati elevati
alla gloria degli altari. Io incoraggio di tutto cuore coloro che sono
all'opera, ed auspico che molti altri prendano il loro posto, e che il
loro numero si accresca per un'opera tanto necessaria alla missione. Nella parrocchia 67. Desidero ora richiamare il
contesto concreto, in cui operano abitualmente tutti questi
catechisti, ritornando ancora in forma più sintetica sui «luoghi»
della catechesi, alcuni dei quali sono già stati menzionati nel
capitolo VI: parrocchia, famiglia, scuola, movimento. Se è vero che si può
catechizzare in qualsiasi luogo, tengo tuttavia a sottolineare -
conformemente al desiderio di moltissimi vescovi - che la comunità
parrocchiale deve restare l'animatrice della catechesi ed il suo luogo
privilegiato. Certamente in molti paesi, la parrocchia è stata come
scossa dal fenomeno dell'urbanizzazione. Alcuni hanno forse accettato
con eccessiva facilità che essa fosse giudicata sorpassata, se non
addirittura destinata a sparire, a tutto vantaggio di piccole comunità
più adatte e più efficaci. Lo si voglia o no, la parrocchia resta un
punto capitale di riferimento per il popolo cristiano, ed anche per i
non praticanti. Il realismo ed il buon senso, perciò, consigliano di
continuare nella strada che tende a restituire alla parrocchia, dove
sia necessario, strutture più adeguate e, soprattutto, un nuovo
slancio grazie al crescente inserimento in essa di membri qualificati,
responsabili e generosi. Detto questo, e tenuto conto della necessaria
diversità dei luoghi di catechesi, nella parrocchia stessa, nelle
famiglie che accolgono fanciulli o adolescenti, nell'insegnamento
religioso presso le scuole statali, nelle istituzioni scolastiche
cattoliche, nei movimenti di apostolato che riservano speciali tempi
alla catechesi, nei centri aperti a tutti i giovani, nei
fine-settimana dedicati alla formazione spirituale ecc., è sommamente
importante che tutti questi canali catechetici convergano veramente
verso la stessa confessione di fede, verso una stessa appartenenza
alla chiesa, verso impegni nella società che siano vissuti nello
stesso spirito evangelico: «...un solo Signore, una sola fede, un
solo battesimo, un solo Dio e Padre». E' per questo che ogni
parrocchia importante ed ogni raggruppamento di parrocchie più
piccole hanno il grave dovere di formare dei responsabili
completamente dediti all'animazione catechetica - sacerdoti,
religiosi, religiose e laici -, di prevedere l'attrezzatura necessaria
per ogni aspetto della catechesi, di moltiplicare e di adattare i
luoghi di catechesi nella misura possibile ed utile, di vigilare sulla
qualità della formazione religiosa e sull'integrazione dei diversi
gruppi nel corpo ecclesiale. In breve, senza stabilire monopoli
nè rigide uniformità, la parrocchia resta - come ho detto - il luogo
privilegiato della catechesi. Essa deve ritrovare la propria
vocazione, che è quella di essere una casa di famiglia, fraterna ed
accogliente, dove i battezzati e i cresimati prendono coscienza di
essere popolo di Dio. Lì il pane della buona dottrina ed il pane
dell'eucaristia sono ad essi spezzati in abbondanza nel contesto di un
medesimo atto di culto; di lì essi sono rinviati quotidianamente alla
loro missione apostolica, in tutti i cantieri della vita del mondo. Nella famiglia 68. L'azione catechetica della
famiglia ha un carattere particolare e, in un certo senso,
insostituibile, giustamente sottolineato dalla chiesa e, segnatamente,
dal concilio Vaticano II. Questa educazione alla fede da parte dei
genitori - educazione che deve iniziare dalla più giovane età dei
figli - si esplica già quando i membri di una famiglia si aiutano
vicendevolmente a crescere nella fede grazie alla loro testimonianza
cristiana, spesso silenziosa, ma perseverante nel ritmo di una vita
quotidiana vissuta secondo il vangelo. Essa è più incisiva quando,
in coincidenza con gli avvenimenti familiari - quali la recezione dei
sacramenti, la celebrazione di grandi feste liturgiche, la nascita di
un bambino, una circostanza luttuosa - ci si preoccupa di esplicitare
in seno alla famiglia il contenuto cristiano o religioso di tali
avvenimenti. Occorre, però, andare più lontano: i genitori cristiani
si sforzeranno di seguire e di riprendere nel contesto familiare la
formazione più metodica ricevuta altrove. Il fatto che la verità
sulle principali questioni della fede e della vita cristiana siano così
riprese in un ambiente familiare, impregnato di amore e di rispetto,
permetterà sovente di dare ai figli un'impronta decisiva e tale da
durare per la vita. I genitori stessi traggono vantaggio dallo sforzo
che ciò comporta, perchè in tale dialogo catechetico ognuno riceve e
dona. La catechesi familiare, pertanto,
precede, accompagna ed arricchisce ogni altra forma di catechesi.
Inoltre, laddove una legislazione antireligiosa pretende persino di
impedire l'educazione alla fede, laddove una diffusa miscredenza o un
invadente secolarismo rendono praticamente impossibile una vera
crescita religiosa, «questa che si potrebbe chiamare chiesa domestica»
resta l'unico ambiente, in cui fanciulli e giovani possono ricevere
un'autentica catechesi. Così i genitori cristiani non si sforzeranno
mai abbastanza per prepararsi ad un tale ministero di catechisti dei
loro figli e per esercitarlo con uno zelo instancabile. Ed occorre,
parimenti, incoraggiare le persone o le istituzioni che, mediante
contatti individuali, mediante incontri o riunioni ed ogni genere di
strumenti pedagogici, aiutano questi genitori a svolgere il loro
compito: essi rendono un inestimabile servizio alla catechesi. Nella scuola 69. A fianco della famiglia ed in
collegamento con essa, la scuola offre alla catechesi possibilità non
trascurabili. Nei paesi, purtroppo sempre più rari, nei quali è
possibile dare un'educazione alla fede all'interno del contesto
scolastico, è dovere per la chiesa il farlo nel modo migliore
possibile. Ciò si riferisce innanzitutto - com'è evidente - alla
scuola cattolica: meriterebbe questa ancora un tale nome se, pur
brillando per un livello d'insegnamento assai elevato nelle materie
profane, le si potesse rimproverare, con fondati motivi, una
negligenza, o una deviazione nell'impartire l'educazione propriamente
religiosa? Nè si dica che questa sarebbe sempre data implicitamente
o, in maniera indiretta! Il carattere proprio e la ragione profonda
della scuola cattolica, per cui appunto i genitori cattolici
dovrebbero preferirla, consistono precisamente nella qualità
dell'insegnamento religioso integrato nell'educazione degli alunni. Se
le istituzioni cattoliche devono rispettare la libertà di coscienza,
e cioè evitare di pesare sulla coscienza dall'esterno mediante
pressioni fisiche o morali, specialmente per quanto riguarda gli atti
religiosi degli adolescenti, essi tuttavia hanno il grave dovere di
proporre una formazione religiosa che si adatti alle situazioni,
spesso assai diverse, degli allievi, ed altresì di far loro
comprendere che la chiamata di Dio a servirlo in spirito e verità,
secondo i comandamenti di Dio e i precetti della chiesa, senza
costringere l'uomo, non lo obbliga di meno in coscienza. Ma io penso, altresì, alla scuola
non confessionale ed alla scuola pubblica. Esprimo il vivissimo
auspicio che, rispondendo ad un ben chiaro diritto della persona umana
e delle famiglie e nel rispetto della libertà religiosa di tutti, sia
possibile a tutti gli alunni cattolici di progredire nella loro
formazione spirituale col contributo di un insegnamento religioso che
dipende dalla chiesa, ma che, a seconda dei paesi, può essere offerto
dalla scuola, o nel quadro della scuola, o ancora nel quadro di
un'intesa con i pubblici poteri circa gli orari scolastici, se la
catechesi ha luogo soltanto in parrocchia o in altro centro pastorale.
In effetti, anche dove esistono difficoltà oggettive, ad esempio
quando gli alunni sono di religioni diverse, bisogna disporre gli
orari scolastici in modo da consentire ai cattolici di approfondire la
loro fede e la loro esperienza religiosa, sotto la guida di educatori
qualificati, sacerdoti o laici. Certo, molti elementi vitali,
oltre la scuola, contribuiscono ad influenzare la mentalità dei
giovani: svaghi, ambiente sociale, ambiente di lavoro. Ma coloro che
compiono gli studi ne restano necessariamente influenzati, sono
iniziati a valori culturali o morali nel clima dell'istituto
d'insegnamento, sono messi a confronto con molteplici idee ricevute a
scuola: è necessario che la catechesi tenga largamente conto di
questa scolarizzazione per raggiungere realmente gli altri elementi
del sapere e dell'educazione, in modo che il vangelo sia assorbito
nella mentalità degli alunni sul terreno della loro formazione e
l'armonizzazione della loro cultura sia fatta alla luce della fede. Io
incoraggio, perciò, i sacerdoti, i religiosi, le religiose ed i
laici, che si impegnano a sostenere la fede di questi alunni. E'
questa, del resto, l'occasione per riaffermare qui la mia ferma
convinzione che il rispetto manifestato alla fede cattolica dei
giovani sino al punto di facilitarne l'educazione, il radicamento, il
consolidamento, la libera espressione e la pratica, farebbe certamente
onore a qualsiasi governo, quale che sia il sistema sul quale esso si
basa, o l'ideologia a cui s'ispira. Nei movimenti 70. Occorre, infine, incoraggiare
le associazioni, i movimenti ed i gruppi di fedeli, siano essi
destinati alla pratica della pietà, all'apostolato diretto, alla
carità ed all'assistenza, alla presenza cristiana nelle realtà
temporali. Tutti quanti raggiungeranno meglio i loro specifici scopi e
serviranno meglio la chiesa se, nella loro organizzazione interna e
nel loro metodo d'azione, sapranno dare un posto importante ad una
seria formazione religiosa dei loro membri. In questo senso, ogni
associazione di fedeli in seno alla chiesa ha il dovere di essere, per
definizione, educatrice della fede. Appare in tal modo più chiara la
parte attribuita ai laici nella catechesi odierna, sempre sotto la
direzione pastorale dei loro vescovi, come del resto hanno
sottolineato a più riprese le «Proposizioni» formulate dal sinodo. Gli Istituti di formazione 71. Un tale contributo dei laici,
del quale noi dobbiamo essere riconoscenti al Signore, costituisce
nello stesso tempo una sfida per la nostra responsabilità di pastori.
Questi catechisti laici, infatti, debbono essere accuratamente formati
a quel che è, se non un ministero formalmente istituito, per lo meno
una funzione di grandissimo rilievo nella chiesa. Ora una tale
formazione ci sollecita ad organizzare dei centri ed istituti
appropriati, che siano assiduamente seguiti dai vescovi. E', questo,
un settore nel quale si rivela feconda e fruttuosa una collaborazione
diocesana, interdiocesana, anzi nazionale. Ed è qui, parimenti, che
l'aiuto materiale, offerto dalle chiese più favorite alle loro
sorelle più povere, avrà modo di manifestare la sua massima
efficacia: che cosa di meglio può offrire una chiesa ad un'altra
chiesa, se non aiutare a crescere da se stessa come chiesa? A tutti coloro che lavorano
generosamente al servizio del vangelo ed ai quali ho qui espresso il
mio vivo incoraggiamento, io vorrei rammentare una consegna che era
cara al mio venerato predecessore Paolo VI: «In quanto
evangelizzatori, noi dobbiamo offrire (...) l'immagine (...) di
persone mature nella fede, capaci di ritrovarsi insieme al di sopra
delle tensioni concrete, grazie alla ricerca comune, sincera e
disinteressata della verità. Sì, la sorte dell'evangelizzazione è
certamente legata alla testimonianza di unità data dalla chiesa. E'
questo un motivo di responsabilità, ma anche di conforto» CONCLUSIONE Lo Spirito santo, maestro
interiore 72. Al termine di questa
esortazione apostolica, lo sguardo del cuore si volge verso colui che
è il principio ispiratore di tutta l'opera catechetica, e di coloro
che la compiono: lo Spirito del Padre e del Figlio, lo Spirito santo. Nel descrivere la missione che
tale Spirito avrebbe avuto nella chiesa, Cristo adopera queste parole
significative: «Egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò
che io vi ho detto». Ed aggiunge: «Quando... verrà lo Spirito di
verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera..., vi annunzierà
le cose future». Lo Spirito è, dunque, promesso
alla chiesa ed a ciascun fedele come un Maestro interiore che, nel
segreto della coscienza e del cuore, fa comprendere ciò che s'è bensì
udito, ma che non si è in grado di afferrare. «Lo Spirito santo
istruisce fin d'ora i fedeli - diceva a questo proposito sant'Agostino
- nella misura in cui ciascuno è capace di intendere le cose
spirituali, e accende nel loro cuore un desiderio di conoscere tanto
più vivo quanto più ognuno progredisce nella carità, grazie alla
quale ama le cose che già conosce e desidera conoscere quelle che
ignora». Missione dello Spirito è,
inoltre, quella di trasformare i discepoli in testimoni di Cristo: «Egli
mi renderà testimonianza e anche voi mi renderete testimonianza». Ma c'è di più. Secondo san
Paolo, che sintetizza su questo punto una teologia latente in tutto il
Nuovo Testamento, è tutto l'«essere cristiano», tutta la vita
cristiana, vita nuova di figli di Dio, che è una vita secondo lo
Spirito. Soltanto lo Spirito ci consente di dire a Dio: «Abbà,
Padre!». Senza lo Spirito noi non possiamo dire: «Gesù è Signore».
Dallo Spirito provengono tutti i carismi che edificano la chiesa,
comunità di cristiani. E' in questo senso che san Paolo affida ad
ogni discepolo di Cristo la consegna: «Siate ricolmi dello Spirito».
Sant'Agostino è molto esplicito: «Il fatto che crediamo ed operiamo
ci appartiene in ragione della libera scelta della nostra volontà, e
tuttavia l'uno e l'altro vien dato dallo Spirito di fede e di carità». La catechesi, che è crescita
nella fede e maturazione della vita cristiana verso la pienezza, è
conseguentemente opera dello Spirito santo, opera che egli soltanto può
suscitare ed alimentare nella chiesa. Questa costatazione, nata dalla
lettura dei testi or ora citati come anche di altri numerosi passi del
nuovo testamento, ci conduce a due convinzioni. Innanzitutto, è chiaro che la
chiesa, quando adempie la missione, che è sua, di far catechesi -
come, del resto, ogni cristiano che in tale missione s'impegna nella
chiesa ed in nome della chiesa - deve essere pienamente cosciente di
agire come strumento vivente e docile dello Spirito santo. Invocare
costantemente questo Spirito, essere in comunione con lui, sforzarsi
di conoscere le sue autentiche ispirazioni, deve essere
l'atteggiamento della chiesa docente e di ogni catechista. E' necessario, poi, che il
desiderio profondo di comprendere meglio l'azione dello Spirito e di
abbandonarsi sempre maggiormente a lui - dato che «stiamo vivendo
nella chiesa un momento privilegiato dello Spirito», come rilevava il
mio predecessore Paolo VI nella sua esortazione apostolica Evangelii
nuntiandi - susciti un risveglio catechetico. In effetti, il «rinnovamento
nello Spirito» sarà autentico ed avrà una vera fecondità nella
chiesa, non tanto nella misura in cui susciterà carismi straordinari,
quanto piuttosto nella misura in cui porterà il più grande numero
possibile di fedeli, sulle strade della vita quotidiana, allo sforzo
umile, paziente, perseverante per conoscere sempre meglio il mistero
di Cristo e per testimoniarlo. Io qui invoco sulla chiesa
catechizzante questo Spirito del Padre e del Figlio, e lo supplico di
rinnovare in essa il dinamismo catechetico. Maria, madre e modello del
discepolo 73. Che la Vergine della
pentecoste ci ottenga tutto questo con la sua intercessione! Per una
vocazione singolare, ella vide il Figlio Gesù «crescere in sapienza,
età e grazia». Sulle sue ginocchia e poi ascoltandola, nel corso
della vita nascosta di Nazaret, questo Figlio, che era l'Unigenito del
Padre pieno di grazia e di verità, fu da lei formato alla conoscenza
umana delle Scritture e della storia del disegno di Dio sul suo
popolo, nell'adorazione del Padre. Ella è stata, d'altra parte, la
prima dei suoi discepoli: prima nel tempo, perchè già ritrovandolo
nel tempio ella riceve dal figlio adolescente lezioni, che conserva
nel cuore; la prima soprattutto, perchè nessuno fu mai «ammaestrato
da Dio» ad un grado simile di profondità. Madre e discepola al tempo
stesso, diceva di lei sant'Agostino, aggiungendo arditamente che
l'esser discepola fu per lei più importante che l'esser madre. Non è
senza ragione che nell'aula sinodale fu detto di Maria che è «un
catechismo vivente», «madre e modello dei catechisti». Possa, dunque, la presenza dello
Spirito santo, grazie alle preghiere di Maria, concedere alla chiesa
uno slancio senza precedenti nell'opera catechetica, che ad essa è
essenziale! La chiesa allora adempirà efficacemente, questo tempo di
grazia, la missione inalienabile ed universale ricevuta dal suo
Maestro: «Andate... e ammaestrate tutte le nazioni». Con la mia apostolica bendizione. Dato a Roma, presso san Pietro,
16 ottobre dell'anno 1979, secondo di Pontificato.
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