Domenica, 23 Marzo, 2025

VICESIMUS QUINTUS ANNUS

LETTERA APOSTOLICA
VICESIMUS QUINTUS ANNUS
DEL SOMMO PONTEFICE
GIOVANNI PAOLO II
NEL XXV ANNIVERSARIO
DELLA COSTITUZIONE CONCILIARE
"SACROSANCTUM CONCILIO"
SULLA SACRA LITURGIA

A tutti i fratelli nell'episcopato e nel sacerdozio
salute e Apostolica Benedizione.

Sono trascorsi venticinque anni da quando il 4 dicembre dell'anno 1963 il Sommo Pontefice Paolo VI promulgò la costituzione «Sacrosanctum Concilium» sulla sacra liturgia, che i Padri del Concilio Vaticano II, riuniti nello Spirito Santo avevano poco prima approvato (AAS 56 [1964] 97-134). Fu quello un evento memorabile per diverse ragioni. Infatti, era il primo frutto del Concilio, voluto da Giovanni XXIII, per l'aggiornamento della Chiesa; era stato preparato da un vasto movimento liturgico e pastorale; era foriero di speranza per la vita ed il rinnovamento ecclesiale.

Nell'attuare la riforma della liturgia, il Concilio realizzò, in maniera del tutto particolare, lo scopo fondamentale che si era proposto: «Far crescere ogni giorno più la vita cristiana tra i fedeli; meglio adattare alle esigenze del nostro tempo quelle istituzioni che sono soggette a mutamenti; favorire tutto ciò che può contribuire all'unione di tutti i credenti in Cristo; rinvigorire ciò che giova a chiamare tutti nel seno della Chiesa» («Sacrosanctum Concilium», 1).

2. Fin dall'inizio del mio servizio pastorale sulla Cattedra di Pietro, mi preoccupai di «insistere sulla permanente importanza del Concilio Ecumenico Vaticano II» e presi «il formale impegno di dare ad esso la dovuta esecuzione».

Ed aggiunsi che occorreva «far maturare nel senso del movimento e della vita i semi fecondi che i Padri dell'assise ecumenica, nutriti dalla Parola di Dio, gettarono sul buon terreno (cfr. Mt 13,8-23), cioè i loro autorevoli insegnamenti e le loro scelte pastorali» («Primus Nuntius ad universum orbem», die 17 oct. 1978: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, I [1978] 6). A più riprese ho poi sviluppato, su diversi punti, l'insegnamento del Concilio circa la liturgia (cfr. «Redemptor Hominis», 7.18-22; «Catechesi Tradendae», 23.27-30.33.37.48.53-55.66-68; «Dominicae Cenae»; «Dives in Misericordia», 13-15; «Familiaris Consortio», 13.15.19-21.33.38-39.55-59.66-68; «Reconciliatio et Paenitentia», 23-33), ed ho richiamato l'importanza che la costituzione «Sacrosanctum Concilium» ha per la vita del Popolo di Dio: in essa «è già rinvenibile la sostanza di quella dottrina ecclesiologica, che sarà successivamente proposta dall'assemblea conciliare. La costituzione «Sacrosanctum Concilium» che fu il primo documento conciliare in ordine di tempo, anticipa» («Allocutio ad eos qui interfuerunt Conventui Praesidum et Secretariorum Commissionum Nationalium de liturgia», 1, die 27 oct. 1984: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VII, 2, [1984] 1049) la costituzione dogmatica «Lumen Gentium» sulla Chiesa e si arricchisce, a sua volta, dell'insegnamento di questa costituzione.

Dopo un quarto di secolo, durante il quale la Chiesa e la società hanno conosciuto profondi e rapidi mutamenti, è opportuno mettere in luce l'importanza di questa costituzione conciliare, la sua attualità in rapporto all'emergere di problemi nuovi e la perdurante validità dei suoi principi.

I.

IL RINNOVAMENTO NELLA LINEA DELLA TRADIZIONE

3. Rispondendo alle istanze dei Padri del Concilio di Trento, preoccupati della riforma della Chiesa del loro tempo, Papa san Pio V provvide alla riforma dei libri liturgici, in primo luogo del breviario e del messale. Fu questo il medesimo obiettivo che perseguirono i romani Pontefici nel corso dei secoli seguenti assicurando l'aggiornamento o definendo i riti e i libri liturgici, e poi, dall'inizio di questo secolo, intraprendendo una riforma più generale.

San Pio X istituì una speciale commissione incaricata di questa riforma, per il cui compimento pensava che sarebbero stati necessari parecchi anni; tuttavia, egli pose la prima pietra dell'edificio ripristinando la celebrazione della domenica e riformando il breviario romano (Pii X «Divino Afflatu», die 1 nov. 1911: AAS 3 [1911] 633-638). «In verità tutto questo esige, - egli affermava - secondo il parere degli esperti, un lavoro tanto grande quanto diuturno; e perciò è necessario che passino molti anni, prima che questo, per così dire, edificio liturgico... riappaia di nuovo splendente nella sua dignità e armonia, una volta che sia stato come ripulito dallo squallore dell'invecchiamento» (Pii X «Abhine Duos Annos», die 23 oct. 1913: AAS 5 [1913] 449-450).

Pio XII riprese il grande progetto della riforma liturgica pubblicando l'enciclica «Mediator Dei» (Pii XII «Mediator Dei», die 20 nov. 1947: AAS 39 [1947] 521-600) ed istituendo una commissione (Sacrae Congr. Rituum, Sectio historica, 71, «Memoria sulla riforma liturgica» [1946]). Egli prese, altresì, delle decisioni su alcuni punti importanti, quali la nuova versione del salterio, per facilitare la comprensione della preghiera dei salmi (Pii XII «In Cotidianis Precibus», die 24 mar. 1945: AAS 37 [1945] 65-67), l'attenuazione del digiuno eucaristico, per favorire un più facile accesso alla Comunione, l'uso della lingua viva nel rituale, e, soprattutto, la riforma della veglia pasquale (Sacrae Congr. Rituum Decretum «Dominicae Resurrectionis», die 9 febr. 1951: AAS 43 [1951] 128-129) e della settimana santa (Sacrae Congr. Rituum Decretium «Maxima Redemptionis», die 16 nov. 1955: AAS 47 [1955] 838-841).

Nell'introduzione al messale romano del 1962, si premetteva la dichiarazione di Giovanni XXIII, secondo la quale «i fondamentali princìpi, relativi alla riforma generale della liturgia, dovevano essere affidati ai Padri nel prossimo Concilio ecumenico» (Ioannis XXIII «Rubricarum Instructum», die 25 iul. 1960: AAS 52 [1960] 594).

4. Tale riforma d'insieme della liturgia rispondeva ad una speranza generale di tutta la Chiesa. Infatti, lo spirito liturgico si era diffuso sempre più in quasi tutti gli ambienti unitamente al desiderio di una «partecipazione attiva ai sacrosanti misteri ed alla preghiera pubblica e solenne della Chiesa» (Pii X «Tra le Sollecitudini dell'Officio Pastorale», die 22 nov. 1903: «Pii X Pontificis Maximi Acta», I, 77), ed all'aspirazione, altresì, di ascoltare la Parola di Dio in misura più abbondante. Connessa col rinnovamento biblico, col movimento ecumenico, con lo slancio missionario, con la ricerca ecclesiologica, la riforma della liturgia doveva contribuire al rinnovamento globale di tutta la Chiesa. Questo ho ricordato nella epistola «Dominicae Cenae»: «Esiste, infatti, un legame strettissimo e organico tra il rinnovamento della liturgia e il rinnovamento di tutta la vita della Chiesa. La Chiesa non solo agisce, ma si esprime anche nella liturgia e dalla liturgia attinge le forze per la vita» («Dominicae Cenae», 13).

La riforma dei riti e dei libri liturgici fu intrapresa quasi immediatamente dopo la promulgazione della costituzione «Sacrosanctum Concilium» e fu attuata in pochi anni grazie al considerevole e disinteressato lavoro di un grande numero di esperti e di pastori di tutte le parti del mondo (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 25).

Questo lavoro è stato fatto sotto la guida del principio conciliare: fedeltà alla Tradizione e apertura al legittimo progresso (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 23); perciò si può dire che la riforma liturgica è strettamente tradizionale «ad normam Sanctorum Patrum» (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 50; «Missale Romanum», prooem. 6).

II.

I PRINCIPI DIRETTIVI DELLA COSTITUZIONE

5. I princìpi direttivi della costituzione, che furono alla base della riforma, restano fondamentali per condurre i fedeli ad un'attiva celebrazione dei misteri, «prima e indispensabile sorgente del vero spirito cristiano» («Sacrosanctum Concilium», 14). Ora che per la maggior parte i libri liturgici sono stati pubblicati, tradotti e posti in uso, rimane necessario tenere costantemente presenti tali princìpi ed approfondirli.

a) L'attualizzazione del mistero pasquale

6. Il primo principio è l'attualizzazione del mistero pasquale di Cristo nella liturgia della Chiesa, perché «è dal costato di Cristo dormiente sulla croce che è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa» («Sacrosanctum Concilium», 5; «Missale Romanum», Vigilia paschalis, Oratio post VII lectionem). Tutta la vita liturgica gravita intorno al sacrificio eucaristico ed agli altri sacramenti, ove attingiamo alle fonti vive della salvezza (cfr. Is 12,3; cfr. «Sacrosanctum Concilium», 5-6.47.61. 102.106-107).

Dobbiamo, perciò, avere sufficiente coscienza che per il «Mistero pasquale del Cristo siamo stati sepolti insieme con lui nella morte, per risorgere con lui a vita nuova» («Missale Romanum», Vigilia paschalis, Renovatio promissionum baptismalium). Quando i fedeli partecipano all'Eucarestia, essi devono comprendere che veramente «ogni volta che celebriamo questo memoriale del sacrificio del Signore, si compie l'opera della nostra redenzione» («Missale Romanum», Missa «in Cena Domini», Oratio super oblata). Ed a tal fine i pastori devono formarli con costante impegno a celebrare ogni domenica l'opera meravigliosa che Cristo ha compiuto nel mistero della sua Pasqua, affinché a loro volta lo annuncino al mondo (cfr. «Missale Romanum», Proefatio I de Dominicis «per annum»). Nel cuore di tutti - pastori e fedeli - la notte pasquale deve ritrovare la sua importanza unica nell'anno liturgico, al punto tale da essere davvero la festa delle feste.

Poiché la morte di Cristo in croce e la sua risurrezione costituiscono il contenuto della vita quotidiana della Chiesa (cfr. «Redemptor Hominis», 7) ed il pegno della sua Pasqua eterna (cfr. «Dominicae Cenae», 4), la liturgia ha come primo compito quello di ricondurci instancabilmente sul cammino pasquale aperto da Cristo, in cui si accetta di morire per entrare nella vita.

7. Per attualizzare il suo mistero pasquale, Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, soprattutto nelle azioni liturgiche (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 7; Pauli VI «Mysterium Fidei», die 3 sept. 1965: AAS 57 [1965] 762.764). La liturgia è, perciò, il «luogo» privilegiato dell'incontro dei cristiani con Dio e con colui che egli ha inviato, Gesù Cristo (cfr. Gv 17,3).

Cristo è presente nella Chiesa riunita in preghiera nel suo nome. E' proprio questo fatto che fonda la grandezza dell'assemblea cristiana con le conseguenti esigenze di accoglienza fraterna - spinta fino al perdono (cfr. Mt 5,23-24) - e di decoro negli atteggiamenti, nei gesti e nei canti.

Cristo è presente ed agisce nella persona del ministro ordinato che celebra (Sacrae Congr. Rituum, Instr. «Eucharisticum Mysterium», 9, die 25 maii 1967: AAS 59 [1967] 547). Questi non è solamente investito di una funzione, ma, in virtù dell'ordinazione ricevuta, è stato consacrato per agire «in persona Christi». A ciò deve corrispondere l'atteggiamento interiore ed esteriore, anche nelle vesti liturgiche, nel posto che occupa e nelle parole che proferisce.

Cristo è presente nella sua parola proclamata nell'assemblea che, commentata nell'omelia, deve essere ascoltata nella fede e assimilata nella preghiera. Tutto ciò deve risultare dalla dignità del libro e del luogo per la proclamazione della Parola di Dio, dell'atteggiamento del lettore, nella consapevolezza che questi è il portavoce di Dio dinanzi ai suoi fratelli.

Cristo è presente ed agisce per virtù dello Spirito Santo nei sacramenti e, in modo singolare ed eminente («sublimiori modo») nel sacrificio della Messa sotto le specie eucaristiche (cfr. Pauli VI «Mysterium Fidei», die 3 sept. 1965: AAS 57 [1965] 763), anche quando sono conservate nel tabernacolo al di fuori della celebrazione per la comunione soprattutto dei malati e l'adorazione dei fedeli (cfr. Pauli VI «Mysterium Fidei», die 3 sept. 1965: AAS 57 [1965] 769-771). Circa questa reale e misteriosa presenza, spetta ai pastori di ricordare frequentemente nelle loro catechesi, la dottrina della fede, di cui i fedeli devono vivere e che i teologi sono chiamati ad approfondire. La fede in questa presenza del Signore implica un segno esteriore di rispetto verso la chiesa, luogo santo in cui Dio si manifesta nel suo mistero (cfr. Es 3,5), soprattutto durante le celebrazioni dei sacramenti: le cose sante devono essere sempre trattate santamente.

b) La lettura della Parola di Dio

8. Il secondo principio è la presenza della Parola di Dio.

La costituzione «Sacrosanctum Concilium» ha voluto anche ripristinare «una lettura più abbondante, più varia e più adatta della Sacra Scrittura» («Sacrosanctum Concilium», 35). La ragione profonda di questa restaurazione è espressa nella costituzione liturgica, «affinché risulti evidente che, nella liturgia, rito e parola sono intimamente connessi» («Sacrosanctum Concilium», 35), e nella costituzione dogmatica sulla divina rivelazione: «La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture, come ha fatto anche per il corpo stesso del Signore, non cessando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita alla mensa sia della Parola di Dio, sia del corpo di Cristo e di porgerlo ai fedeli» («Dei Verbum», 21). L'incremento della vita liturgica e, di conseguenza, lo sviluppo della vita cristiana non si potranno realizzare, se non si promuove continuamente nei fedeli e, prima di tutto, nei sacerdoti, una «soave e viva conoscenza della Sacra Scrittura» («Sacrosanctum Concilium», 24). La Parola di Dio è adesso più conosciuta nelle comunità cristiane, ma un vero rinnovamento pone ancora e sempre nuove esigenze: la fedeltà al senso autentico della Scrittura da tenersi sempre presente, specie quando essa viene tradotta nelle differenti lingue; il modo di proclamare la Parola di Dio perché possa essere percepita come tale, l'uso dei mezzi tecnici adatti, l'interiore disposizione dei ministri della Parola, al fine di svolgere bene la loro funzione nell'assemblea liturgica (cfr. «Dominicae Cenae», 10), la accurata preparazione dell'omelia attraverso lo studio e la meditazione, l'impegno dei fedeli nel partecipare alla mensa della Parola, il gusto di pregare con i salmi, il desiderio di scoprire il Cristo - come i discepoli a Emmaus - alla mensa della Parola e del pane (cfr. «Liturgia Horarum», Feria II Hebdomadae IV, Oratio ad Vesperas»).

c) La manifestazione della Chiesa a se stessa

9. Il Concilio, infine, ha voluto vedere nella liturgia, un'epifania della Chiesa: essa è la Chiesa in preghiera. Celebrando il culto divino, la Chiesa esprime ciò che è: una, santa, cattolica e apostolica.

Essa si manifesta una, secondo quell'unità che le viene dalla Trinità (cfr. «Missale Romanum», Proefatio VIII de Dominicis «per annum»), soprattutto quando il Popolo santo di Dio partecipa «alla medesima Eucaristia, in una sola preghiera, presso l'unico altare, dove presiede il Vescovo circondato dal suo presbiterio e dai suoi ministri» («Sacrosanctum Concilium», 41). Nulla venga a spezzare e neppure ad allentare, nella celebrazione della liturgia, questa unità della Chiesa!

La Chiesa esprime la santità che le viene da Cristo (cfr. Ef 5,26-27), quando, raduna in un solo corpo dallo Spirito Santo (cfr. «Missale Romanum», Prex eucharistica II et IV), che santifica e dà la vita (cfr. «Missale Romanum», Prex eucharistica III; Symbolum Nicaenum Constantinopolitanum), comunica ai fedeli, mediante l'Eucaristia e gli altri sacramenti, ogni grazia ed ogni benedizione del Padre (cfr. «Missale Romanum», Prex eucharistica I).

Nella celebrazione liturgica la Chiesa esprime la sua cattolicità, poiché in essa lo Spirito del Signore raduna gli uomini di tutte le lingue nella professione della medesima fede (cfr. «Missale Romanum», Benedictio sollemnis in Dominica Pentecostes) e dall'Oriente e dall'Occidente essa presenta a Dio Padre l'offerta del Cristo ed offre se stessa insieme con lui (cfr. «Missale Romanum», Prex eucharistica III).

Infine, nella liturgia la Chiesa manifesta di essere apostolica, perché la fede che essa professa è fondata sulla testimonianza degli apostoli, perché nella celebrazione dei misteri, presieduta dal Vescovo, successore degli apostoli, o da un ministro ordinato nella successione apostolica, trasmette fedelmente ciò che ha ricevuto dalla Tradizione apostolica; perché il culto che rende a Dio la impegna nella missione di irradiare il Vangelo nel mondo.

Così è soprattutto nella liturgia che il mistero della Chiesa è annunciato, gustato e vissuto (cfr. «Allocutio ad eos qui interfuerunt Conventui Praesidum et Secretariorum Commissionum Nationalium de liturgia», 1, die 27 oct. 1984: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VII, 2 [1984] 1049).

III.

ORIENTAMENTI PER GUIDARE IL RINNOVAMENTO DELLA VITA LITURGICA

10. Da questi princìpi derivano alcune norme ed orientamenti che devono regolare il rinnovamento della vita liturgica. Se infatti la riforma della liturgia voluta dal Concilio Vaticano II può considerarsi ormai posta in atto, la pastorale liturgica, invece, costituisce un impegno permanente per attingere sempre più abbondantemente dalla ricchezza della liturgia quella forza vitale che dal Cristo si diffonde alle membra del suo corpo che è la Chiesa.

Poiché la liturgia è l'esercizio del sacerdozio di Cristo, è necessario mantenere costantemente viva l'affermazione del discepolo davanti alla presenza misteriosa di Cristo: «E'il Signore!» (Gv 21,7). Niente di tutto ciò che facciamo noi nella liturgia può apparire come più importante di quello che invisibilmente, ma realmente fa il Cristo per l'opera del suo Spirito. La fede viva per la carità, l'adorazione, la lode al Padre e il silenzio di contemplazione, saranno sempre i primi obiettivi da raggiungere per una pastorale liturgica e sacramentale.

Poiché la liturgia è tutta permeata dalla Parola di Dio, bisogna che qualsiasi altra parola sia in armonia con essa, in primo luogo l'omelia, ma anche i canti e le monizioni; che nessun'altra lettura venga a sostituire la parola biblica, e che le parole degli uomini siano al servizio della Parola di Dio, senza oscurarla.

Dato poi che le azioni liturgiche non sono azioni private, ma «celebrazioni della Chiesa quale sacramento di unità» («Sacrosanctum Concilium», 26), la loro disciplina dipende unicamente dall'autorità gerarchica della Chiesa (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 22 e 26). La liturgia appartiene all'intero corpo della Chiesa (cfr. «Dei Verbum», 26). E' per questo che non è permesso ad alcuno, neppure al sacerdote, né ad un gruppo qualsiasi di aggiungervi, togliervi o cambiare alcunché di proprio arbitrio (cfr. «Dei Verbum», 22). La fedeltà ai riti e ai testi autentici della liturgia è una esigenza della «lex orandi», che deve esser sempre conforme alla «lex credendi».

La mancanza di fedeltà su questo punto può anche toccare la validità stessa dei sacramenti.

Essendo celebrazione della Chiesa, la liturgia richiede la partecipazione attiva, consapevole e piena da parte di tutti, secondo la diversità degli ordini e delle funzioni (cfr. «Dei Verbum», 26): tutti, i ministri e gli altri fedeli, compiendo la loro funzione, fanno ciò che loro spetta e soltanto ciò che loro spetta (cfr. «Dei Verbum», 28). E' per questo che la Chiesa dà la preferenza alla celebrazione comunitaria, quando lo comporta la natura dei riti (cfr. «Dei Verbum», 27); essa incoraggia la formazione di ministri, lettori, cantori e commentatori, che compiano un vero ministero liturgico (cfr. «Dei Verbum», 29), ha ripristinato la concelebrazione (cfr. «Dei Verbum», 57; Sacrae Congr. Rituum Decr. generale «Ecclesiae Semper», die 7 mar. 1965: AAS 57 [1965] 410-412), raccomanda la celebrazione comune dell'Ufficio divino (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 99).

Poiché la liturgia è la grande scuola di preghiera della Chiesa, si è ritenuta cosa buona introdurre e sviluppare l'uso della lingua viva - senza eliminare l'uso della lingua latina, conservata dal Concilio, per i riti latini (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 36) - perché ognuno possa intendere e proclamare nella propria lingua materna le meraviglie di Dio (cfr. At 2,11); come anche aumentare il numero dei prefazi e delle preghiere eucaristiche, che arricchiscono il tesoro della preghiera e l'intelligenza dei misteri di Cristo.

Poiché la liturgia ha un grande valore pastorale, i libri liturgici hanno previsto un margine d'adattamento all'assemblea ed alle persone, ed una possibilità d'apertura al genio ed alla cultura dei diversi popoli (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 37-40). La revisione dei riti ha cercato una nobile semplicità (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 34) e dei segni facilmente comprensibili, ma la semplicità auspicata non deve degenerare nell'impoverimento dei segni, al contrario: i segni, soprattutto quelli sacramentali, devono possedere la più grande espressività. Il pane e il vino, l'acqua e l'olio, e anche l'incenso, le ceneri, il fuoco e i fiori, e quasi tutti gli elementi della creazione hanno il loro posto nella liturgia come offerta al Creatore e contributo alla dignità e alla bellezza della celebrazione.

IV.

APPLICAZIONE CONCRETA DELLA RIFORMA

a) Difficoltà

11. Bisogna riconoscere che l'applicazione della riforma liturgica ha urtato contro difficoltà dovute soprattutto ad un contesto poco favorevole, caratterizzato da una privatizzazione dell'ambito religioso, da un certo rifiuto di ogni istituzione, da una minore visibilità della Chiesa nella società, da una rimessa in questione della fede personale. Si può anche supporre che il passaggio da una semplice assistenza, a volte piuttosto passiva e muta, ad una partecipazione più piena ed attiva sia stato per alcuni un'esigenza troppo forte. Ne sono risultati atteggiamenti diversi ed anche opposti nei confronti della riforma: alcuni hanno accolto i nuovi libri con una certa indifferenza o senza cercar di capire né di far capire i motivi dei cambiamenti; altri, purtroppo, si sono ripiegati in maniera unilaterale ed esclusiva sulle forme liturgiche precedenti intese da alcuni di essi come unica garanzia di sicurezza nella fede. Altri, infine, hanno promosso innovazioni fantasiose, allontanandosi dalle norme date dalla autorità della Sede apostolica o dai Vescovi, perturbando così l'unità della Chiesa e la pietà dei fedeli, urtando talvolta addirittura contro i dati della fede.

b) Risultati positivi

12. Ciò non deve portare a dimenticare che i pastori e il popolo cristiano, nella loro grande maggioranza, hanno accolto la riforma liturgica in uno spirito di obbedienza ed anzi di gioioso fervore.

Per questo bisogna rendere grazie a Dio per il passaggio del suo Spirito nella Chiesa, qual è stato il rinnovamento liturgico (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 43); per la mensa della Parola di Dio, ormai abbondantemente aperta a tutti (cfr. «Dei Verbum», 21; «Sacrosanctum Concilium», 51); per l'immenso sforzo compiuto in tutto il mondo al fine di fornire al popolo cristiano le traduzioni della Bibbia, del messale e degli altri libri liturgici; per l'accresciuta partecipazione dei fedeli, mediante le preghiere e i canti, i comportamenti ed il silenzio, all'Eucaristia ed agli altri sacramenti; per i ministeri svolti dai laici e le responsabilità che si sono assunte in forza del sacerdozio comune, in cui sono costituiti per mezzo del Battesimo e della Cresima; per l'irradiante vitalità di tante comunità cristiane, attinta alla sorgente della liturgia.

Sono, questi, altrettanti motivi per restar fedelmente attaccati all'insegnamento della costituzione «Sacrosanctum Concilium» ed alle riforme che essa ha consentito di attuare: «Il rinnovamento liturgico è il frutto più visibile di tutta l'opera conciliare» (Synodi Extr. Episc. 1985 «Relatio finalis», II, B, b. 1). Per molti il messaggio del Concilio Vaticano II è stato percepito innanzitutto mediante la riforma liturgica.

c) Applicazioni errate

13. Accanto a questi benefici della riforma liturgica, bisogna riconoscere e deplorare alcune deviazioni, più o meno gravi, nell'applicazione di essa.

Si constatano, a volte, omissioni o aggiunte illecite, riti inventati al di fuori delle norme stabilite, atteggiamenti o canti che non favoriscono la fede o il senso del sacro, abusi nelle pratiche dell'assoluzione collettiva, confusioni tra il sacerdozio ministeriale, legato all'ordinazione, e il sacerdozio comune dei fedeli, che ha il proprio fondamento nel Battesimo.

Non si può tollerare che alcuni sacerdoti si arroghino il diritto di comporre preghiere eucaristiche o sostituire testi della Sacra Scrittura con testi profani. Iniziative di questo genere, lungi dall'essere legate alla riforma liturgica in se stessa, o ai libri che ne sono seguiti, la contraddicono direttamente, la sfigurano e privano il popolo cristiano delle ricchezze autentiche della liturgia della Chiesa.

Spetta ai Vescovi estirparli, poiché la regolamentazione della liturgia dipende dal Vescovo nei limiti del diritto (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 22.1) e «la vita cristiana dei suoi fedeli in certo modo deriva da lui» (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 41).

V.

IL FUTURO DEL RINNOVAMENTO

14. La costituzione «Sacrosanctum Concilium» ha espresso la voce unanime del collegio episcopale, riunito attorno al successore di Pietro e con l'assistenza dello Spirito di verità, promesse dal Signore Gesù (Gv 15,26). Tale documento continua a sostenere la Chiesa lungo le vie del rinnovamento e della santità incrementandone la genuina vita liturgica.

I princìpi enunciati in questo documento orientano anche per l'avvenire della liturgia, di modo che la riforma liturgica sia sempre più compresa e attuata. «E'necessario, dunque, e conviene urgentemente intraprendere di nuovo un'educazione intensiva per far scoprire le ricchezze che contiene la liturgia» («Dominicae Cenae», 9).

La liturgia della Chiesa va al di là della riforma liturgica. Non siamo nella medesima situazione del 1963: una generazione di sacerdoti e di fedeli, che non ha conosciuto i libri liturgici anteriori alla riforma, agisce con responsabilità nella Chiesa e nella società. Non si può, dunque, continuare a parlare di cambiamento come al tempo della pubblicazione del documento, ma di un approfondimento sempre più intenso della liturgia della Chiesa, celebrata secondo i libri attuali e vissuta prima di tutto come un fatto di ordine spirituale.

a) Formazione biblica e liturgica

15. Il compito più urgente è quello della formazione biblica e liturgica del Popolo di Dio, dei pastori e dei fedeli. La costituzione lo aveva già sottolineato: «Non si può sperare la realizzazione di tutto ciò (la partecipazione piena e attiva di tutto il popolo) se gli stessi pastori d'anime non siano penetrati, essi per primi, dello spirito e della forza della liturgia e non ne diventino maestri» («Sacrosanctum Concilium», 14). E', questa, un'opera di lungo respiro, la quale deve cominciare nei seminari e nelle case di formazione (cfr. Sacrae Congr. Rituum Instr. «Inter Oecumenici», 11-13, die 6 sept. 1964: AAS 56 [1964] 879-880; Sacrae Congr. Pro Instit. Cath. «Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis», VIII, die 6 ian. 1970: AAS 62 [1970] 351-361; Instr. «In ecclesiasticam futurorum de institutione liturgica in Seminariis», die 3 iun. 1979, Romae 1979) e continuare lungo tutta la vita sacerdotale (cfr. Sacrae Congr. Rituum Instr. «Inter Oecumenici», 14-17, die 26 sept. 1964: AAS 56 [1964] 880-881). Questa stessa formazione adattata al loro stato, è indispensabile anche per i laici (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 19), tanto più che questi, in molte regioni, sono chiamati ad assumere responsabilità sempre più notevoli nella comunità.

b) Adattamento

16. Un altro compito importante per l'avvenire è quello dell'adattamento della liturgia alle differenti culture. La costituzione ne ha enunciato il principio, indicando la procedura da seguire da parte delle conferenze episcopali (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 39). L'adattamento delle lingue è stato rapido, anche se talvolta difficile da realizzare. Gli ha fatto seguito l'adattamento dei riti, cosa più delicata, ma egualmente necessaria. Resta considerevole lo sforzo di continuare per radicare la liturgia in talune culture, accogliendo di esse quelle espressioni che possono armonizzarsi con gli aspetti del vero ed autentico spirito della liturgia, nel rispetto dell'unità sostanziale del rito romano, espressa nei libri liturgici (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 37-40). L'adattamento deve tener conto del fatto che nella liturgia, e segnatamente in quella dei sacramenti, c'è una parte immutabile, perché è di istituzione divina, di cui la Chiesa è custode, e ci sono parti suscettibili di cambiamento, che essa ha il potere, e talvolta anche il dovere di adattare alle culture dei popoli recentemente evangelizzati (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 21). Non è un problema nuovo della Chiesa: la diversità liturgica può essere fonte di arricchimento, ma può anche provocare tensioni, incomprensioni reciproche e anche scismi. In questo campo, è chiaro che la diversità non deve nuocere all'unità. Essa non può esprimersi che nella fedeltà alla fede comune, ai segni sacramentali che la Chiesa ha ricevuto da Cristo ed alla comunione gerarchica. L'adattamento alle culture esige anche una conversione del cuore e, se è necessario, anche rotture con abitudini ancestrali incompatibili con la fede cattolica. Ciò richiede una seria formazione teologica, storica e culturale, nonché un sano giudizio per discernere quel che è necessario, o utile, o addirittura inutile o pericoloso per la fede. «Uno sviluppo soddisfacente in questo campo non potrà essere che il frutto di una maturazione progressiva nella fede, che integri il discernimento spirituale, la lucidità teologica, il senso della Chiesa universale in una larga concertazione» («Allocutio ad Zairenses Episcopos occasione oblata "ad Limina" visitationis coram admissos», 5, die 12 apr. 1983: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VI, 1 [1983] 931).

c) Attenzione ai nuovi problemi

17. Lo sforzo del rinnovamento liturgico deve ancora rispondere alle esigenze del nostro tempo. La liturgia non è disincarnata («Allocutio ad eos qui interfuerunt Conventui Praesidium et Secretariorum Commissionum Nationalium de Liturgia», 2, die 27 oct. 1984: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VII, 2 [1984] 1051). In questi venticinque anni, nuovi problemi si sono posti o hanno assunto un nuovo rilievo, quali, ad esempio, l'esercizio del diaconato aperto a uomini sposati; i compiti liturgici che nelle celebrazioni possono essere affidati ai laici, uomini o donne; le celebrazioni liturgiche per i ragazzi, i giovani e gli handicappati; le modalità di composizione dei testi liturgici appropriati per un determinato Paese.

Nella costituzione «Sacrosanctum Concilium» non si fa riferimento a questi problemi, ma si indicano princìpi generali per coordinare e promuovere la vita liturgica.

d) Liturgia e pietà popolare

18. Infine, per salvaguardare la riforma ed assicurare l'incremento della liturgia (cfr. «Sacrosanctun Concilium», 1), occorre tener conto della pietà popolare cristiana e del suo rapporto con la vita liturgica (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 12-13). Questa pietà popolare non può essere né ignorata, né trattata con indifferenza o disprezzo, perché è ricca di valori (cfr. Pauli VI «Evangelii Nuntiandi», 48) e già di per sé esprime l'atteggiamento religioso di fronte a Dio. Ma essa ha bisogno di essere di continuo evangelizzata, affinché la fede, che esprime, divenga un atto sempre più maturo ed autentico. Tanto i pii esercizi del popolo cristiano (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 13), quanto altre forme di devozione, sono accolti e raccomandati purché non sostituiscano e non si mescolino alle celebrazioni liturgiche. Un'autentica pastorale liturgica saprà appoggiarsi sulle ricchezze della pietà popolare, purificarle e orientarle verso la liturgia come offerta dei popoli («Allocutio ad Episcopos Aprutinos et Molisanos occasione oblata "ad Limina" visitationis coram admissos», 3-7, die 24 apr. 1986: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IX, 1 [1986] 1123ss).

VI.

GLI ORGANISMI RESPONSABILI DEL RINNOVAMENTO LITURGICO

a) La Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei sacramenti

19. Il compito di promuovere il rinnovamento della liturgia spetta in primo luogo alla Sede apostolica (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 22.1). Si compiono quest'anno 400 anni da quando Sisto V creava la Sacra Congregazione dei Riti e le affidava l'incarico di vigilare sullo svolgimento del culto divino, riformato in seguito al Concilio di Trento. San Pio X istituiva un'altra congregazione per la disciplina dei sacramenti. Per la pratica applicazione della costituzione liturgica del Concilio Vaticano II, Paolo VI instituì un consiglio (Pauli VI «Sacram Liturgiam», die 25 ian. 1964: AAS 56 [1964] 139-144), poi la Sacra Congregazione per il Culto Divino (Pauli VI «Sacra Ritum Congregatio», die 8 maii 1969: AAS 61 [1969] 297-305), che hanno svolto il compito loro affidato con generosità, competenza e rapidità. Secondo la nuova struttura della Curia romana, prevista dalla costituzione apostolica «Pastor Bonus», tutto il campo della sacra liturgia viene unificato e posto sotto la responsabilità di un solo dicastero: la Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei sacramenti. Spetta a questa, salva la competenza della Congregazione per la Dottrina della Fede («Pastor Bonus», 61), regolare e promuovere la liturgia, di cui i sacramenti sono la parte essenziale, incoraggiando l'azione pastorale liturgica (cfr. «Pastor Bonus», 64), sostenendo i diversi organismi che si dedicano all'apostolato liturgico, alla musica, al canto e all'arte sacra (cfr. «Pastor Bonus», 65), e vigilando sulla disciplina sacramentale (cfr. «Pastor Bonus», 63 et 66). E' questa un'opera importante, perché si tratta anzitutto di custodire fedelmente i grandi principi della liturgia cattolica, illustrati e sviluppati nella costituzione conciliare e di prenderne ispirazione per promuovere e approfondire in tutta la Chiesa il rinnovamento della vita liturgica.

La congregazione, pertanto, aiuterà i Vescovi diocesani nel loro impegno di presentare a Dio il culto della religione cristiana e di regolarlo secondo i precetti del Signore e secondo le leggi della Chiesa (cfr. «Lumen Gentium», 26; «Sacrosanctum Concilium», 22.1). Sarà in stretto e fiducioso rapporto con le conferenze episcopali per quanto riguarda le loro competenze in campo liturgico (cfr. «Pastor Bonus», 63.3).

b) Le conferenze episcopali

20. Le conferenze episcopali hanno avuto il grave incarico di preparare le traduzioni dei libri liturgici (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 36 et 63). Le necessità del momento hanno a volte portato ad utilizzare traduzioni provvisorie, che sono state approvate ad interim. Ma ora è giunto il tempo di riflettere su certe difficoltà emerse successivamente, di porre rimedio a certe carenze o inesattezze, di completare le traduzioni parziali, di creare o di approvare i canti da utilizzare nella liturgia, di vigilare sul rispetto dei testi approvati, di pubblicare finalmente i libri liturgici in uno stato da considerarsi stabilmente acquisito e in una veste che sia degna dei misteri celebrati.

Per il lavoro di traduzione, ma anche per un confronto più ampio nell'ambito dell'intero Paese, le conferenze episcopali dovevano costituire una commissione nazionale ed assicurarsi la collaborazione di persone esperte nei diversi settori della scienza e dell'apostolato liturgico (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 44). Conviene ora interrogarsi sul bilancio, positivo o negativo, di tale commissione, sugli orientamenti e sull'aiuto che essa ha ricevuto dalla conferenza episcopale nella sua composizione e attività. Il ruolo di questa commissione è molto più delicato, quando la conferenza vuole occuparsi di certe misure di adattamento o di inculturazioni più profonde (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 40): è una ragione in più di vigilare, perché in essa ci siano persone veramente esperte.

c) Il Vescovo diocesano

21. In ciascuna diocesi il Vescovo è il principale dispensatore dei misteri di Dio, come pure l'ordinatore, il promotore e il custode di tutta la vita liturgica nella Chiesa, che a lui è affidata (cfr. «Christus Dominus», 15). Quando il Vescovo celebra in mezzo al popolo, è il mistero stesso della Chiesa che si manifesta. E'perciò necessario che il Vescovo sia fortemente convinto dell'importanza di tali celebrazioni per la vita cristiana dei suoi fedeli. Esse devono essere un modello per tutta la diocesi («Allocutio ad eos Italiae Episcopos qui interfuerunt Cursui liturgicae renovationis», 2, die 12 febr. 1988: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XI, 1 [1988] 413s). Molto resta ancora da fare per aiutare i sacerdoti e i fedeli a penetrare il senso dei riti e dei testi liturgici, per sviluppare la dignità e la bellezza delle celebrazioni e dei luoghi, per promuovere alla maniera dei Padri una «catechesi mistagogica» dei sacramenti. Per condurre questo compito a buon fine, il Vescovo deve costituire una o anche più commissioni diocesane, le quali gli offriranno il loro contributo nel promuovere l'azione liturgica, la musica e l'arte sacra nella sua diocesi (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 45-46). La commissione diocesana, da parte sua, agirà secondo il pensiero e le direttive del Vescovo e dovrà poter contare sulla sua autorità e sul suo incoraggiamento per svolgere convenientemente il proprio compito.

CONCLUSIONE

22. La liturgia non esaurisce tutta l'attività della Chiesa, come ha ricordato la costituzione «Sacrosanctum Concilium» (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 9). Essa, però, è una sorgente e un vertice (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 10). E'una sorgente perché, soprattutto nei sacramenti, i fedeli attingono abbondantemente l'acqua della grazia, che sgorga dal fianco del Cristo crocifisso. Per riprendere un'immagine cara al Papa Giovanni XXIII, essa è come la fontana del villaggio, alla quale ogni generazione viene ad attingere l'acqua sempre viva e fresca. E'anche un vertice, sia perché tutta l'attività della Chiesa tende verso la comunione di vita con Cristo, sia perché è nella liturgia che la Chiesa manifesta e comunica ai fedeli l'opera della salvezza, compiuta una volta per tutte da Cristo.

23. Sembra sia venuto il tempo di ritrovare il grande soffio che sospinse la Chiesa nel momento in cui la costituzione «Sacrosanctum Concilium» fu preparata, discussa, votata, promulgata e conobbe le prime misure di applicazione. Il grano fu seminato: esso ha conosciuto il rigore dell'inverno, ma il seme ha germogliato, è divenuto un albero. Si tratta, in effetti, della crescita organica di un albero tanto più vigoroso, quanto più profondamente spinge le radici nel terreno della Tradizione (cfr. «Sacrosanctum Concilium», 23). Desidero ricordare ciò che dissi al convegno delle commissioni liturgiche nel 1984: nell'opera del rinnovamento liturgico, voluta dal Concilio, bisogna tener presente «con grande equilibrio la parte di Dio e quella dell'uomo, la gerarchia e i fedeli, la tradizione e il progresso, la legge e l'adattamento, il singolo e la comunità, il silenzio e lo slancio corale. Così la liturgia della terra si riannoderà a quella del cielo, dove... si formerà un solo coro... per inneggiare ad una sola voce al Padre per mezzo di Gesù Cristo». («Allocutio ad eos qui interfuerunt Conventui Praesidium et Secretariorum Commissionum Nationalium de Liturgia», 6, die 27 oct. 1984: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VII, 2 [1984] 1054).

Con tale fiducioso auspicio, che nel cuore si trasforma in preghiera, imparto a tutti l'apostolica benedizione.

Dal Vaticano, il 4 dicembre dell'anno 1988, undicesimo di Pontificato.

 

 

V CENTENARIO DELL’EVANGELIZZAZIONE DEL NUOVO MONDO

LETTERA APOSTOLICA
DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II
AI RELIGIOSI E ALLE RELIGIOSE DELL'AMERICA LATINA
IN OCCASIONE DEL
V CENTENARIO DELL'EVANGELIZZAZIONE
DEL NUOVO MONDO

Cari religiosi e religiose dell'America Latina,

INTRODUZIONE

1. Le vie del Vangelo in quest'ultimo decennio del secolo XX che sfocia nel terzo millennio del cristianesimo, passano per l'anno 1992, ormai così vicino, anno in cui si compie il quinto centenario dall'inizio dell'Evangelizzazione nel Nuovo Mondo.

La Chiesa dell'America Latina si sta preparando per la celebrazione di questo avvenimento con una novena di anni di preghiera, di riflessione e di iniziative apostoliche e culturali. Questa novena venne inaugurata da me nella città di Santo Domingo il 12 ottobre del 1984, dove, come Vescovo di Roma, consegnai ai rappresentanti degli Episcopati e del Popolo di Dio di ogni Paese latinoamericano la Croce del V Centenario.

La Croce, segno della nostra redenzione, vuole ricordare l'inizio dell'Evangelizzazione e il Battesimo dei vostri popoli. E' la Croce che venne piantata nelle vostre terre e che adesso vi invita a realizzare quel rinnovamento totale in Cristo, verso il quale deve camminare il Continente latinoamericano insieme a tutta la Chiesa e la famiglia umana.

Solo a partire dal Vangelo di Cristo crocifisso e risorto, si potrà raggiungere l'atteso rinnovamento dei cuori e delle strutture sociali. Per questo l'America Latina, come gli altri continenti, ha bisogno di una nuova evangelizzazione che si proietti sui suoi popoli e culture; un'evangelizzazione "nuova nel suo ardore, nei suoi metodi, nella sua espressione".

Con questo fine, le Chiese dell'America Latina, guidate dalle loro Conferenze Episcopali e con l'aiuto del CELAM, si preparano per la IV Conferenza Generale dell'Episcopato Latinoamericano. Questa avrà luogo, se Dio vorrà, a Santo Domingo, nel 1992. Con essa si desidera proseguire ed approfondire - secondo le ineluttabili esigenze pastorali del momento presente - gli orientamenti di Medellin (1968) e Puebla (1979), verso una rinnovata evangelizzazione del Continente, che penetri profondamente nel cuore delle persone e delle culture dei popoli.

2. In questo particolare contesto storico ed ecclesiale, indirizzo la presente lettera Apostolica a tutti ed a ciascuno dei religiosi e religiose che vivono e lavorano per la causa di Cristo e della sua Chiesa in America Latina. Voglio anche dirigermi -secondo la vocazione specifica e il carisma di ciascuno - ai membri degli istituti secolari e delle Società di Vita Apostolica, la cui presenza e azione sono molto preziose oggi in questo Continente.

Quest'opera di evangelizzazione è stata in gran parte frutto del vostro servizio missionario. Man mano che l'incontro con le persone che abitavano le nuove terre si andava realizzando, nel cuore dei religiosi si confermava l'urgenza di mettere in pratica le parole del Maestro: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19-20).

Questo è stato, in verità, l'imperativo che indusse tanti figli e figlie della Chiesa ad intraprendere il viaggio verso le terre del nuovo mondo, andando incontro a popoli e genti fino ad allora sconosciuti.

La vita delle persone consacrate, uomini e donne, è stata sempre una terra feconda dalla quale sgorga la vocazione missionaria. L'amore di Cristo li spinge (cfr. 2Cor 5,14). Sentono lo stesso ardore apostolico di Paolo. «Guai a me se non predicassi il Vangelo!» (1Cor 9,16). Per questo, mentre si aprono nuove prospettive di evangelizzazione, sorgono costantemente nella Chiesa, per impulso dello Spirito, le vocazioni missionarie.

3. Anche nei nostri giorni i religiosi e le religiose rappresentano una forza evangelizzatrice e apostolica primordiale nel Continente latinoamericano. «La presenza della vita consacrata rappresenta un enorme potenziale di persone e comunità, di carismi e istituzioni» senza il quale non si può comprendere l'azione capillare della Chiesa in tutte le latitudini, l'inserimento del Vangelo in tutte le circostanze umane, il fiorire delle opere di misericordia, lo sforzo per impregnare le culture, la difesa dei diritti umani e la promozione integrale delle persone, così come l'animazione e guida delle comunità cristiane, persino nei luoghi più remoti.

In questo modo, dunque, davanti all'imminente commemorazione del V Centenario della Evangelizzazione, ho sentito il desiderio di manifestarvi i miei sentimenti ed aneliti - come ho già fatto precedentemente con tutte le comunità di vita contemplativa - (Nuntius ad sanctimoniales Americae Latinae, V volvente saeculo ab Evangelio ibi nuntiato, die 12 dec. 1989: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XII, 2 (1989) 1501ss) - affinché i religiosi e le religiose rispondiate con le vostre migliori energie a Cristo e alla Chiesa in quest'ora di grazia e di grave responsabilità per il futuro.

Voglio ora riflettere con tutti voi sul «passato», sugli «obiettivi del presente e le sfide del futuro», con la certezza che la «vostra comunione con il successore di Pietro» favorirà l'accoglienza e la messa in pratica di questi orientamenti, per il rinnovamento della vostra vita consacrata e per un deciso impegno nell'azione evangelizzatrice.

In questo modo - strettamente vincolati ai vostri pastori - sarete servitori del Vangelo di Cristo e dei vostri fratelli, specialmente dei giovani e dei poveri dell'America Latina, i quali si aspettano da voi una luminosa testimonianza di vita evangelica, che è il «primo e fondamentale apostolato dei religiosi nella Chiesa».

I.

UNO SGUARDO AL PASSATO:
I RELIGIOSI NELLA COSIDDETTA "EVANGELIZZAZIONE FONDANTE" DEL NUOVO MONDO

L'inizio dell'evangelizzazione

4. Non è mia intenzione percorrere adesso la storia degli inizi dell'evangelizzazione del Continente, e nemmeno dare un giudizio sulle vicende accadute allora. La commemorazione del V Centenario è una occasione adatta per uno studio storico rigoroso, un giudizio equo ed un bilancio oggettivo di quell'impresa singolare, che deve essere vista nella prospettiva del suo tempo e con una chiara coscienza ecclesiale.

Voglio, comunque, ribadire il giudizio globalmente positivo sull'operato dei primi evangelizzatori che erano in gran parte membri di Ordini religiosi. Molti di loro hanno dovuto lavorare in circostanze difficili e, nella pratica, inventare nuovi metodi di evangelizzazione, proiettati verso popoli e genti di culture diverse.

Il processo evangelizzatore fu disuguale, sia nello spazio che nel tempo, nella sua intensità come nella sua profondità di penetrazione nei diversi settori della società latinoamericana. Infatti, quando determinati territori erano già quasi interamente cristianizzati, altri iniziavano appena la lenta marcia della costruzione della chiesa locale. Per di più, in alcune regioni per molto tempo non è stato facile delimitare la Chiesa già saldamente costituita dai territori di missione.

Con frequenza si battezzava senza aver prima impartito un'adeguata catechesi circa i misteri della nostra fede, cioè, senza la necessaria evangelizzazione.

Bisogna però notare che nella valorizzazione delle attività dei missionari d'allora non possiamo applicare i criteri e le norme pastorali attuali, che cinque secoli fa erano impensabili. D'altra parte, non si possono non considerare determinate limitazioni per così prendere consapevolezza del bisogno di continuare l'attività iniziata, giacché l'evangelizzazione è missione permanente della Chiesa in ogni tempo e luogo, fino a quando il Signore tornerà per instaurare definitivamente il suo regno.

Difensori dei diritti degli indigeni

5. E' vero che gli evangelizzatori hanno dovuto superare difficoltà di diverso ordine, dovute a fattori umani che ritardarono il loro lavoro apostolico e in alcune occasioni lo ostacolarono seriamente.

Molti dei missionari, infatti, ispirati dalla loro fedeltà al Vangelo, si sono visti obbligati ad «alzare la loro voce profetica contro gli eccessi dei colonizzatori» che cercavano il loro interesse calpestando i diritti delle persone che avrebbero dovuto rispettare ed amare come fratelli.

Quando nel 1979 sono venuto per la prima volta nella vostra terra latinoamericana, ho voluto rendere omaggio a questi araldi del Vangelo, a «quei religiosi che sono venuti ad annunciare Cristo Salvatore, a difendere la dignità degli indigeni, a proclamarne i diritti inviolabili, a favorirne la promozione integrale, ad insegnare la fratellanza come uomini e come figli dello stesso Signore e Padre Dio».

Tra questi «intrepidi lottatori per la giustizia, evangelizzatori della pace», come li definisce il documento di Puebla, si debbono ricordare Antonio di Montesino, Bartolomé de las Casas, Juan de Zumarraga, Toribio de Benavente «Motolinía», Vasco de Quiroga, Juan del Valle, Julián Garcés, José de Anchieta, Manuel da Nóbrega e tanti altri che, con un profondo senso ecclesiale, hanno difeso gli indigeni dai conquistatori, pagando anche col sacrificio della propria vita, come nel caso del Vescovo Antonio Valdivieso.

Ci furono poi altri religiosi che sostennero dalla Spagna il lavoro dei loro confratelli missionari. Tra loro ricordiamo Francisco de Vitoria e Domingo de Soto, che hanno saputo tracciare le linee maestre del diritto degli indigeni, aprendo la via al futuro diritto internazionale dei popoli.

Carità senza limiti

6. La più grande testimonianza dei primi missionari fu il loro amore eroico a Cristo, che li portò a donarsi senza limiti in favore dei loro fratelli indigeni. Cos'altro potevano andare a cercare quando lasciavano le loro famiglie, la loro patria intraprendevano un viaggio che d'ordinario era senza ritorno? La fede li spingeva a lanciarsi in una grande avventura; una fede simile a quella di Abramo, che rispose alla chiamata del Signore, lasciando la sua terra e la sua gente (cfr. Gen 12,1-4).

Nella consegna di questi religiosi alla predicazione e instaurazione del Regno di Cristo si riflette, come in un libro vivente, l'eco della confessione dell'Apostolo: «Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero..... Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli. Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe con loro» (1Cor 9,19.22-23).

La Chiesa tra gli indigeni

7. Alcuni pionieri dell'evangelizzazione hanno voluto vivere sin dal primo momento tra gli indigeni, per imparare la loro lingua e adattarsi alle loro abitudini. Altri hanno promosso la formazione di catechisti e collaboratori che facevano loro da interpreti, mentre nel frattempo tentavano de capire la loro lingua, conoscere la loro storia e la loro cultura, come testimoniano i primi storici dell'evangelizzazione, tra cui Bernardino de Sahagún.

Grazie a questa loro convivenza con gli indigeni molti missionari sono diventati falegnami, costruttori di case e templi, maestri di scuola e apprendisti della cultura autoctona, oltre che promotori di un artigianato originale che presto sarebbe stato messo al servizio della fede e del culto cristiano. La chiesa rende grazie al Signore per aver suscitato tante vocazioni missionarie negli Ordini e Istituti religiosi, che furono i portatori della fede cristiana e di «un grande amore ai nativi».

Pur non assimilando molti degli aspetti della cultura che veniva loro imposta, gli indigeni si aprivano sinceramente al messaggio salvatore. Ciò si deve al fatto che tra le loro credenze e i loro costumi si trovava quelli che i Padri della Chiesa chiamano «i semi del Verbo», cioè i raggi della sua luce, presenti nella mente e nel cuore di quei popoli, in attesa di essere fecondati ed arricchiti con la predicazione della parola e l'effusione dello Spirito Santo.

I frutti della predicazione del Vangelo

8. Ciò favorì che un gran numero d'indigeni si convertissero al cristianesimo, mossi dalla grazia di Dio e dalla forza persuadente della Buona Novella. Fu così che il Vangelo impregnò la fede e la vita dei nativi in America Latina producendo genuini valori spirituali e umani. Nei miei viaggi apostolici, io stesso ho potuto constatare questi valori del cristianesimo latinoamericano.

Così, tra luci e ombre - più luci che ombre, se pensiamo ai frutti duraturi della fede e della vita cristiana nel Continente - la prima semina della parola di vita, nata da tante fatiche e sacrifici, evoca i sentimenti dell'Apostolo, che furono il motto di tanti missionari «Avremmo desiderato darvi non solo il Vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita» (1Ts 2,8). Molti di quei semi continuano ad essere fecondi nei valori religiosi della maggior parte del Continente della speranza, particolarmente la pietà popolare con cui vengono celebrati i misteri della nostra fede.

I frutti della prima evangelizzazione si sono rafforzati nel trascorrere dei secoli e sono caratteristici del cattolicesimo del popolo latinoamericano, che brilla anche per il suo profondo senso comunitario, il suo anelito di giustizia sociale, la sua fedeltà alla Chiesa, la sua profonda pietà mariana e il suo amore al Successore di Pietro.

Cinque secoli di presenza evangelizzatrice

9. L'evangelizzazione iniziale fu indirizzata anzitutto ai popoli indigeni che in alcuni luoghi avevano una cultura notevolmente sviluppata. In ogni modo, si trattava di realizzare una «inculturazione» del Vangelo. In seguito, man mano che aumentava il numero di immigrati venuti dall'Europa, l'opera evangelizzatrice dei missionari doveva essere sempre più rivolta ad una società mista, dalla quale prende origine l'attuale società latinoamericana con la sua ricca varietà di razze, tradizioni e costumi.

La cultura cristiana è rimasta impressa non soltanto nei sentimenti umani e nelle diverse devozioni della pietà popolare, ma anche nelle molteplici espressioni dell'arte sacra coloniale, nella quale si distinsero straordinari artisti indigeni, la maggior parte dei quali anonimi.

Nel lungo e non facile cammino della Chiesa in America Latina, segnato da significativi avvenimenti storici - non soltanto all'epoca della colonizzazione, ma anche durante il processo d'indipendenza e nei più recenti avvenimenti politici di questo secolo - gli Istituti religiosi hanno avuto un ruolo molto importante.

Essi hanno collaborato con la gerarchia locale nel consolidamento dell'evangelizzazione e nell'impianto delle strutture ecclesiali, nella promozione delle vocazioni autoctone e nella fioritura di nuovi carismi di vita consacrata, nati e radicati nella propria cultura per affrontare nuovi compiti apostolici.

Testimonianza di santità

10. In questo breve cenno storico non posso fare a meno di sottolineare un elemento chiave, frutto maturo dell'evangelizzazione, cioè la santità di molti figli e figlie della Chiesa latinoamericana. In questa si sono formati veri modelli di santità, che la guidano con il loro esempio e la sostengono con la loro intercessione. Molti di questi beati appartengono a diversi Istituti religiosi. Alcuni, provenienti soprattutto dalla Spagna, spesero la loro vita e il loro lavoro missionario in queste terre e con ragione possono essere annoverati tra i santi latinoamericani. Altri, la maggior parte, erano figli nativi del vostro popolo ed appartenevano ai più diversi strati sociali. Ve ne furono all'inizio dell'evangelizzazione, nei secoli successivi e perfino quasi ai nostri giorni; alcuni di loro sono stati anche fondatori di nuove famiglie religiose.

In questa mirabile schiera di santi e beati mi compiaccio nel ricordare, come esempio di vita consacrata, Pedro Calver, Francisco Solano, Luis Beltrán, Juan Macías, Rosa da Lima, Martín de Porres, Felipe de Jesús, Mariana de Jesús Paredes, Miguel Febres, Roque González e compagni martiri, Pedro de san José Betancurt, Ezequiel Moreno, Anna de los Angeles Monteagudo, Teresa de los Andes, Miguel Pr. Questi ed altri santi sono la più pregiata ricchezza del cristianesimo del Nuovo Mondo, modelli e stimolo per le future generazioni di religiosi e religiose che non possono dimenticare che sono chiamati a dare una testimonianza personale e comunitaria di santità nella Chiesa.

Impianto della gerarchia

11. Insieme al ricordo della prima evangelizzazione e dei suoi frutti abbondanti di vita cristiana, è il caso di mettere anche in risalto la significativa azione dei religiosi nell'impianto della gerarchia ecclesiastica. Infatti, è ormai saputo che per un certo periodo, la maggior parte dei Pastori delle prime sedi episcopali del continente, furono religiosi. Essi diedero, dunque un'apportazione decisiva alla fondazione delle comunità ecclesiali nel Nuovo Mondo.

Tra quei pastori possiamo ricordare Frate Pedro Suárez de Deza, che iniziò la costruzione della prima cattedrale del vostro Continente; i pionieri della gerarchia messicana Frate Juan de Zumárraga e Frate Julián Garcés, i quali ricevettero il titolo di «Protettori degli Indios»; Frate Jerónimo Loaysa, promotore dei primi sinodi di Lima, di grande importanza per l'impianto della Chiesa in America. Non bisogna dimenticare inoltre che tra quei primi Pastori vi sono state delle figure notevoli del clero secolare spagnolo, tra cui Santo Toribio de Mogrovejo, Arcivescovo di Lima, patrono dell'Episcopato Latinoamericano.

Guardando al passato dal presente

12. Questo rapido sguardo storico sulla vita ecclesiale d'America Latina suscita in me un sentimento di «viva gratitudine al Signore per il lavoro di tanti religiosi e religiose» che hanno piantato il seme del Vangelo di Cristo. Allo stesso tempo, desidero dirigere a tutti voi, cari religiosi e religiose latinoamericani, un cordiale «invito ad emulare la generosità e quella dei primi evangelizzatori».

Precisamente perché anche nel mezzo delle difficoltà dell'ora presente, l'America Latina rimane fedele alla fede cattolica nel cuore delle sue genti, la Chiesa intera fissa lo sguardo su di essa, come Continente della speranza. E poiché in molti luoghi i religiosi e le religiose hanno una presenza maggioritaria e qualificata tra gli agenti della pastorale che mantengono pulsante la vitalità delle comunità ecclesiali, «da loro dipende in gran misura la realizzazione di questa speranza della Chiesa».

II.

GLI OBIETTIVI DEL PRESENTE:
VITA CONSACRATA E COMUNIONE ECCLESIALE

Fedeltà al Concilio vaticano II

13. Lo Spirito Santo, che «con la forza del Vangelo ringiovanisce la Chiesa, la rinnova incessantemente e la conduce all'unione consumata col suo Sposo» (Lumen Gentium, 4), «ha preparato provvidenzialmente il popolo di Dio con gli insegnamenti del Concilio Vaticano II» ad affrontare in miglior modo la sua missione apostolica nel mondo odierno, alla fine del secondo millennio, in mezzo alle nuove ed esigenti situazioni che viviamo.

E' perciò necessario che tutti coloro che amano la verità rivelata e sentono l'urgenza della missione apostolica nel mondo attuale «volgano i loro sguardo verso il Magistero della Chiesa e, seguendo gli insegnamenti conciliari, facciano una lettura fedele delle esigenze del Vangelo di Cristo per il tempo presente, senza» lasciarsi disorientare da ideologie contrarie alla rivelazione.

Il Concilio Vaticano II - soprattutto nella Costituzione dogmatica «Lumen Gentium» - ha esposto la dottrina sulla Chiesa e ci ha invitato a contemplarla anche come Popolo di Dio che cammina verso la Gerusalemme Celeste (cfr. Lumen Gentium, 9).

Allo stesso tempo, ha messo in risalto la natura e la struttura gerarchica della Chiesa, come espressione della successione apostolica che si dà in essa, così come l'ha voluta il suo divino fondatore. (Ibid. cap. III)

Il Sacerdozio ministeriale, nel seno della costituzione gerarchica della Chiesa, porta a termine l'opera santificatrice, che si esprime anche mediante «un atteggiamento di servizio che ha il Cristo come modello supremo», e che contribuisce a mantenere la Chiesa intera nella comunione di fede, di culto e di vita. I Vescovi, come successori degli Apostoli, esercitano anche questo ministero per mezzo della comunione reciproca e della collegialità, sotto la potestà del Romano Pontefice, successore di Pietro, che ha ricevuto il primato direttamente da Cristo (cfr. Ibid. 22).

Senso Ecclesiale del Popolo di Dio

14. Il Popolo di Dio che vive in America Latina sente profondamente la comunione ecclesiale, l'obbedienza e l'amore ai suoi pastori, così come l'affetto filiale al Papa». Tutto questo spiega la sua fedeltà secolare alla fede ricevuta e anche la sua coscienza di essere parte attiva della Chiesa universale. Salda nelle sue credenze, ha resistito agli attacchi del laicismo e ha dato prove eroiche, persino col martirio di non pochi dei suoi figli.

L'urgente chiamata alla nuova evangelizzazione del Continente ha come obiettivo che la fede si approfondisca e si incarni ogni volta di più nelle coscienze e nella vita sociale. Per questo è necessario che i religiosi e le religiose mantengano incolume la loro fedeltà piena agli insegnamenti del Concilio Vaticano II ed esprimano con coerenza la loro comunione coi Pastori, come testimonianza di una perfetta sintonia ecclesiale per l'edificazione del Popolo di Dio.

Dimensione ecclesiale della vita consacrata

15. E' proprio questo stesso concilio che ha voluto inquadrare nel mistero della Chiesa «la vocazione e la missione degli Istituti religiosi, cosi come l'identità di ciascuna delle persone consacrate chiamate alla santità».

La teologia della vita religiosa, esposta nella costituzione dogmatica «Lumen Gentium» e nel decreto «Perfectae Caritatis», così come in altri numerosi documenti del magistero postconciliare, ha trovato un'accoglienza favorevole in America Latina, che si è manifestata anche in realizzazioni creative. Lo stesso documento di Puebla è divenuto eco delle tendenze positive della vita consacrata in America Latina all'interno della missione della Chiesa, soprattutto nella prospettiva di comunione e partecipazione nell'evangelizzazione (cfr. Puebla, 721-776). Sfortunatamente, non sono mancate a questo riguardo deviazioni e atteggiamenti troppo radicali e unilaterali che hanno intaccato in alcune occasioni il «sensus Ecclesiae».

Non è mia intenzione ribadire qui esplicitamente gli insegnamenti del Magistero della Chiesa circa la vita consacrata proposti dal Concilio Vaticano II nei documenti che abbiamo appena citato. Questi insegnamenti conciliari sono stati, durante gli ultimi venticinque anni, ampiamente sviluppati dai miei predecessori in numerose allocuzioni, messaggi e in alcuni documenti di speciale importanza, come l'Esortazione Apostolica del Papa Paolo VI «Evangelica Testificatio», del 29 di Giugno 1971 (AAS 63 [1971] 497ss). Per quanto mi riguarda, nell'anno Santo della Redenzione ho indirizzato a tutti i religiosi e religiose del mondo la Esortazione Apostolica «Redemptoris Donum» (Redemptionis Donum: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VII, I (1984) 788ss).

A questo riguardo, anche la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e Società di Vita Apostolica ha pubblicato una recente Istruzione intitolata: Orientamenti sulla formazione negli Istituti Religiosi. Sia questo documento che gli altri citati prima offrono indicazioni molto precise per la formazione personale e comunitaria dei religiosi e delle religiose che, per la loro consacrazione, sono pienamente impegnati nella Chiesa e nel compito permanente dell'evangelizzazione in America Latina. Negli stessi documenti si delineano «l'identità e l'autenticità della vita consacrata e la sua dimensione ecclesiale». A questo voglio riferirmi pensando particolarmente al vostro compito come araldi del Vangelo.

Sequela di Cristo e Consacrazione religiosa

16. L'identità e autenticità della vita consacrata si caratterizza per la sequela di Cristo e la consacrazione a Lui mediante la professione dei consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza. Con essi si esprime la totale dedizione al Signore e l'identificazione con Lui nella sua consegna al Padre e ai fratelli. La sequela di Cristo mediante la vita consacrata suppone una particolare docilità all'azione dello Spirito Santo, senza la quale la fedeltà alla propria vocazione rimarrebbe vuota di contenuto.

Gesù Cristo, crocifisso e risorto, signore della vita e della storia, deve essere un ideale vivente; in sua compagnia si cammina; della sua presenza interiore si gioisce; della sua missione salvifica si partecipa. La sua persona e il suo mistero sono l'annuncio e la testimonianza essenziale del vostro apostolato. Non possono esistere solitudini quando Egli riempie il cuore e la vita. Non devono esistere dubbi circa la propria identità e missione quando si annuncia, si comunica e si incarna il suo mistero e la sua presenza tra gli uomini.

Tutti i religiosi e religiose devono rinnovare continuamente questa unione con Cristo, mediante l'ascolto della sua parola, la celebrazione del suo mistero pasquale nei sacramenti - specialmente quelli della riconciliazione e dell'Eucarestia - e poi con la preghiera assidua. Soltanto così potrete essere autentici evangelizzatori, capaci di soddisfare i bisogni spirituali del Popolo di Dio, con un cuore compassionevole dal quale sgorgano gli stessi sentimenti del Cristo.

Mistero Pasquale e consigli evangelici

17. Infatti, i consigli evangelici hanno una profonda dimensione pasquale, giacché suppongono un'identificazione con Cristo, con la sua morte e la sua risurrezione. Per questo si devono vivere con la stessa attitudine di Cristo, il quale «spogliò se stesso (kenosis) facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (cfr. Fil 2,5-8). Ma allo stesso tempo ci fanno partecipare della gioia della nuova vita alla quale siamo stati chiamati, per fare in tutto la volontà salvifica del Padre. La professione dei consigli evangelici vi costituisce, dunque, testimoni della Risurrezione del Signore e della forza trasformatrice del suo Spirito di Pentecoste.

La consegna totale delle persone consacrate implica, come in Gesù di Nazareth, «un'intima relazione fra i tre consigli evangelici», in maniera tale che la crescita e la maturità nell'esercizio di uno di loro, rende gli altri più fecondi. Parimenti,La mancanza di fedeltà ad uno di essi mette in pericolo la solidità e l'autenticità degli altri.

In verità, non è autenticamente povero, secondo il modello e la misura di Cristo, chi non vive pienamente la castità e l'obbedienza; e non può dirsi puro di cuore chi non pratica la povertà e vive con gioia la volontaria obbedienza; così come non è obbediente al disegno del Padre e alle esigenze del Regno chi non abbraccia, con cuore puro e indiviso, il distacco dalle cose terrene.

Con la donazione totale della propria vita per amore a Dio, i religiosi e le religiose sono testimoni eloquenti del primato e perennità del messaggio evangelico, che sottopone a giudizio gli idoli di questo mondo: il potere, le ricchezze, il piacere. In questa forma, manifestano in loro stessi la maturità che si raggiunge con il dono della propria libertà messa al servizio esclusivo di Dio e dei fratelli.

Voglio ricordarvi, a questo riguardo, quello che ho scritto nell'Enciclica «Redemptor Hominis», pensando proprio alle persone consacrate: «Umanità matura significa pieno uso del dono della libertà; che abbiamo ottenuto dal Creatore, nel momento in cui Egli ha chiamato all'esistenza l'uomo fatto a Sua immagine e somiglianza. Questo dono trova la sua piena realizzazione nella consegna senza riserve di tutta la persona umana concreta, in spirito d'amore sponsale a Cristo, a tutti coloro che Egli invia, uomini o donne, e che si sono consacrati totalmente a Lui secondo i consigli evangelici (Redemptor Hominis, 21).

Vera libertà e autentica liberazione

18. Di questa umanità matura dei religiosi e delle religiose ha bisogno oggi il Continente latinoamericano «per annunciare Gesù Cristo con la parola e con la vita» e per poter così costruire una umanità secondo lo spirito delle beatitudini.

La storia di questi cinquecento anni attesta la fedeltà di tanti religiosi e religiose che hanno contribuito a mantenere vivo ed arricchire il patrimonio della prima evangelizzazione. Bisogna non dimenticare che tutti coloro che si sono consacrati al servizio del Cristo mediante i consigli evangelici e con lo spirito delle beatitudini contribuiscono efficacemente all'opera evangelizzatrice, sostenendo la predicazione della parola con la forza della propria testimonianza.

E' importante, dunque, che questa testimonianza non si deformi sotto l'influsso di interpretazioni riduttive del vangelo, le quali potrebbero danneggiare il genuino contenuto del suo messaggio e della stessa vita consacrata, con il rischio che "il sale diventi insipido e perda il suo sapore", pericolo sul quale Gesù ci ha già messo in guardia (cfr. Mt 5,13).

Negli ultimi anni, di fronte a certe tendenze che presentavano una particolare ermeneutica della rivelazione, con gravi ripercussioni sulla vita e sulla missione della Chiesa, e sulla stessa vita religiosa, come è il caso di alcune teologie della liberazione - la Congregazione per la Dottrina della Fede ha emesso due documenti, «Libertatis Nuntius» (1984) e «Libertatis Conscientia» (1986), per stabilire le linee maestre del pensiero della Chiesa sulla vera libertà e l'autentica liberazione secondo il Vangelo.

Queste due Istruzioni non soltanto sono valide in sé stesse, ma si presentano anche come veramente profetiche giacché hanno contribuito a smascherare «fallaci utopie ideologiche e servilismi politici che sono in totale disaccordo con la dottrina e la missione del Cristo e della sua Chiesa».

La parola del Signore, che ci chiama alla piena libertà dei figli di Dio, ci continua a spingere verso la fedeltà: «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi fara liberi» (Gv 8,31-32) Solo Gesù Cristo libera. Solo nel suo amore, sperimentato e trasmesso si trova l'autentica liberazione.

L'opzione preferenziale per i poveri

19. In questo contesto è necessario sottolineare un'altra volta «il giusto significato dell'opzione preferenziale, non esclusiva né escludente, in favore dei poveri», opzione particolarmente connaturale a tutti coloro che vivono i consigli evangelici della povertà e che sono chiamati ad amare, ad accogliere e a servire i poveri «con le viscere di Cristo» (cfr. Perfectae Caritatis, 13).

Come il documento di Puebla faceva già notare, l'opzione preferenziale per i poveri è stato un fattore molto importante nella vita religiosa latinoamericana durante gli ultimi tempi (cfr. Puebla, 733-735). Sono molti i religiosi e le religiose che vivono questa opzione preferenziale con un autentico spirito evangelico, fortemente motivati dalle parole del Signore e in coerenza con lo spirito dei loro propri Istituti. Infatti, i religiosi e le religiose sono presenti nei quartieri emarginati, tra gli indigeni, insieme agli anziani e i malati, nelle innumerevoli situazioni di miseria che l'America Latina vive e soffre, quali sono le nuove povertà che affliggono soprattutto i giovani, dall'alcolismo alla droga. Per mezzo dei religiosi la Chiesa si fa serva dei fratelli più bisognosi, nel cui volto addolorato riconosce i tratti sofferenti del Cristo, il Signore, che ci interpella e ci convoca al giudizio definitivo, quando saremo giudicati sull'amore (cfr. San Giovanni della Croce, Dichos de luz y amor, 57).

Virtù teologali e vita consacrata

20. Certamente si sono presentati dei casi in cui un'interpretazione erronea del problema dei poveri in chiave marxista «ha portato ad un falso concetto e ad una prassi anomala dell'opzione per i poveri e del voto di povertà», il quale divenne vuoto di significato per il mancato riferimento alla povertà di Cristo e disgiunto dalla sua misura che è la vita teologale. La vita consacrata dunque, dev'essere saldamente ancorata alle virtù teologali, affinché la fede non ceda al miraggio delle ideologie, la speranza non si confonda con le utopie, la carità universale, che giunge al limite estremo dell'amore per i nemici, non soccomba davanti alla tentazione della violenza.

Non sono mancati i casi in cui questa opzione ha portato ad una politicizzazione della vita consacrata, non esente da opzioni violente e di partito, con la strumentalizzazione di persone e istituzioni per fini del tutto estranei alla missione della Chiesa.

E' necessario perciò ricordare quanto detto nell'Istruzione «Libertatis Conscientia»: «L'opzione preferenziale per i poveri, lungi dall'essere un segno di particolarismo o di settarismo, manifesta l'universalità dell'essere e della missione della Chiesa. Tale opzione non è esclusiva. Questa è la ragione per cui la Chiesa non può esprimerla nelle categorie sociologiche e ideologiche riduttive, che farebbero di questa preferenza una opzione di parte e di natura conflittuale».

Il sale non deve perdere il suo sapore! La vita religiosa non può non essere testimonianza vivente del «Regno dei cieli» promesso ai poveri! «Se il sale diventa insipido - avverte Gesù - con che cosa lo si potrà rendere salato? Non serve ad altro che ad essere gettato via» (Mt 5,13).

A volte può accadere che il Popolo di Dio non sempre trovi nelle persone consacrate l'appoggio desiderato, forse perché esse non rispecchiano abbastanza nelle loro vite il forte senso di Dio che dovrebbero trasmettere.

Tali situazioni possono essere occasione per cui molte persone povere e semplici, - come sfortunatamente sta accadendo - si convertano in facile presa delle sette, nelle quali cercano un senso religioso della vita che forse non trovano in coloro che dovrebbero offrirlo a piene mani.

Promozione della solidarietà sociale

21. Tutta questa problematica, invece di frenare l'impegno per la giustizia e la libertà, indica che la Chiesa dell'America Latina, con la decisa collaborazione dei religiosi, deve sforzarsi di comprendere e realizzare in maniera giusta l'opzione preferenziale per i poveri».

La «situazione socioeconomica di alcune nazioni latinoamericane» costituisce un «motivo di profonda preoccupazione». La Chiesa, pienamente consapevole di questa realtà, vuol illuminare col Vangelo e la dottrina sociale cattolica la coscienza dei cittadini. Essa stessa, che con la sua azione evangelizzatrice favorisce la promozione integrale delle persone, si dirige ai laici, ed in maniera speciale a coloro che occupano le diverse cariche pubbliche, affinché siano promotori di un'autentica giustizia sociale. A questo riguardo, la Chiesa ha messo in atto molte istituzioni a favore dei più bisognosi, creando in esse un clima di affettuosa accoglienza e aprendo ai poveri la strada verso la speranza cristiana.

Per far fronte alle tante carenze che affliggono ampi settori della popolazione, i Pastori della Chiesa in America Latina contano con l'inestimabile collaborazione di tanti religiosi e religiose che svolgete il vostro apostolato in ambienti tanto diversi. Per la vostra presenza tra la gente siete responsabili dell'animazione di molte comunità ecclesiali, e sopratutto della «formazione religiosa e morale dei laici», specialmente della «educazione cristiana della gioventù» tramite la scuola e la catechesi.

Tutti dovete suscitare un retto senso della giustizia sociale, ispirati all'amore fraterno, base indispensabile affinché ogni Paese, nell'ambito del bene comune, cresca continuamente nella pace e nell'armonia, e raggiunga così uno sviluppo culturale ed economico accessibile a tutti. In questa maniera, il Continente della speranza andrà configurandosi come una vera comunità di nazioni sorelle.

Rafforzare i vincoli della comunione ecclesiale

22. Il Concilio Vaticano II ha messo in rilievo il profondo senso ecclesiale della vita consacrata, che deve manifestarsi «una sincera comunione e collaborazione con i pastori della Chiesa».

La storia della prima evangelizzazione illustra abbondantemente l'apporto offerto dai religiosi nell'impiantazione e consolidamento della gerarchia ecclesiastica nel Continente latinoamericano. Anche oggi sono numerosi i vescovi di quella Chiesa, che sono stati scelti tra i religiosi per questo ministero pastorale.

I rapporti tra Vescovi e religiosi sono, in genere, soddisfacenti. Si potrebbe dire che hanno ricevuto un impulso favorevole con gli orientamenti della Santa Sede e grazie alla buona intesa tra gli organismi di comunione e di collaborazione stabiliti tra le diocesi e gli Istituti religiosi. Non sono mancati però, in determinate situazioni, alcune incomprensioni e forti contrasti che non rispondono ad una vera ecclesiologia di comunione e disturbano la pace e la concordia influendo negativamente sul compito evangelizzatore della Chiesa.

Il fatto che gli Istituti religiosi godano della giusta autonomia di vita, di cui parla il codice di diritto canonico (Codex Iurix Canonici, 586), non dev'essere pretesto per una attività apostolica al margine della gerarchia o che ignori i loro orientamenti pastorali. Rivendicare, da parte dei religiosi e delle loro istituzioni, una specie di parallelismo tradotto in una pastorale o in un magistero paralleli, sarebbe andare contro la natura stessa della Chiesa e della vita consacrata. Sarebbe anche errato pensare che i religiosi, per la loro vocazione ecclesiale, sarebbero investiti da una funzione profetica della quale sarebbero privi i Pastori della Chiesa, contrapponendo così il carisma della vita consacrata all'Istituzione gerarchica, e il profetismo dei religiosi alla missione dei vescovi o allo stesso carattere profetico della vocazione laicale.

Queste tendenze o atteggiamenti non trovano giustificazione possibile in una retta ecclesiologia della vita religiosa. Sono invece in chiara contraddizione con la natura stessa della vita consacrata, che è vita di comunione e di unità. Non rispondono neanche allo spirito dei Fondatori che hanno avuto sempre come criterio sicuro «sentire Ecclesiam» e «sentire cum Ecclesia», attuando in perfetta comunione con i loro pastori, né s'inquadrano in una retta concezione della missione apostolica dei religiosi, che non può essere altra che la costruzione e estensione del Regno in una prospettiva di unità ecclesiale.

Coesione affettiva tra Vescovi e religiosi

23. Il fomentare una salda e organica coesione affettiva tra i religiosi ed i Vescovi è di primaria importanza in una ecclesiologia di comunione che si ispiri alla dottrina conciliare (cfr. Mutua Relationes; cfr. Orientaciones sobre la formación en los institutos religiosos, 94-97). Infatti l'autonomia dei religiosi cui abbiamo accennato ha come fondamento l'obbedienza degli stessi al Sommo Pontefice e alla Santa Sede, e come finalità una maggiore e più generosa collaborazione nella sollecitudine per il bene di tutte le Chiese. Inoltre, tale autonomia suppone in ogni caso la dovuta sottomissione ai Vescovi in campo pastorale (cfr. Christus Dominus, 35).

Ora, la collaborazione dei religiosi nella sollecitudine per tutte le Chiese non può esercitarsi senza la comunione organica con il ministero pastorale dei Vescovi e il rispetto delle loro disposizioni in ciò che concerne il culto divino, l'evangelizzazione e la catechesi, secondo quanto il diritto canonico prescrive.

E' chiaro, dunque, che le iniziative pastorali dei religiosi e dei loro organismi di coordinamento a livello diocesano, nazionale o internazionale devono esprimere senza ambiguità né reticenze una perfetta comunione con i Pastori della Chiesa nelle loro rispettive istanze, giacché i Vescovi sono «dottori autentici e testimoni della verità divina e cattolica» e per questo corrisponde a loro vegliare con responsabilità sui religiosi «in ciò che riguarda l'insegnamento della dottrina della fede, sia nei centri che ne coltivano lo studio, sia nell'utilizzazione dei mezzi per trasmetterla» quali sono le pubblicazioni e le stesse case editrici (cfr. Orientaciones sobre la formación en los institutos religiosos, 96).

Quanto più grande sia l'influsso che possono avere i religiosi nella diffusione della dottrina, tanto più responsabili essi devono essere nella trasmissione integrale della verità e nella comunione con la gerarchia, evitando ogni possibile disorientamento nei fedeli o deformazione del messaggio rivelato.

Deve esserci dunque l'impegno di tutti per evitare qualsiasi rottura tra i Vescovi e i religiosi, che potrebbe provocare un grave danno a tutta l'opera evangelizzatrice. Per questo chiedo agli uni e agli altri che «si stringano di più i vincoli di comunione e si fomentino, con i mezzi opportuni, la conoscenza reciproca, l'apprezzamento sincero e la testimonianza di unità; che i Vescovi sappiano valorizzare e promuovere, come è dovuto, il dono immenso della vita consacrata, con tutta la sua varietà di carismi, senza dimenticare che essi devono essere anche promotori della fedeltà alla vocazione religiosa secondo lo spirito di ogni Istituto (cfr. Ibid). Parimenti, chiedo ai religiosi ed alle religiose che si sforzino di mantenere viva la comunione e la collaborazione con i Vescovi, così come il necessario rispetto della loro autorità pastorale.

Questo spirito di rinnovata comunione tra i Vescovi e i religiosi in America Latina sarà uno dei temi di studio e riflessione della IV Conferenza Generale dell'Episcopato Latinoamericano, in preparazione per il 1992. Questo si rende necessario sia per l'elevato numero di religiosi e religiose che vivono nel Continente, sia per l'indispensabile presenza dei loro carismi, istituzioni e nuove vocazioni, necessarie per l'opera evangelizzatrice. «Senza l'apporto generosa della vita consacrata non potrà realizzarsi il grande compito della rinnovata semina del Vangelo».

III.

LE SFIDE DEL FUTURO:
I RELIGIOSI DELLA NUOVA EVANGELIZZAZIONE

Al servizio del Regno

24. La celebrazione del V Centenario dell'inizio dell'evangelizzazione dell'America ci spinge in maniera particolare ad una nuova proclamazione del messaggio salvatore del Cristo agli uomini e donne del nostro tempo.

«La Chiesa - come segnalavo nell'Esortazione Apostolica post-sinodale "Chistifideles Laici" - deve dare oggi un gran passo in avanti nella sua evangelizzazione; deve entrare in una nuova tappa storica della sua dimensione missionaria» (Christifideles Laici, 35). Nello stesso documento, guardando specialmente all'America Latina scrivevo: «In altre regioni o nazioni si conservano ancora molto vive le tradizioni di pietà e religiosità popolare cristiana; ma questo patrimonio morale e spirituale corre il rischio di venir disperso sotto l'impatto di molteplici processi, tra i quali risaltano la secolarizzazione e la diffusione delle sette. Soltanto una nuova evangelizzazione può assicurare la crescita di una fede limpida e profonda, capace di fare di queste tradizioni una forza autentica di libertà. Certamente urge rifare dappertutto il tessuto cristiano della società umana. Pero la condizione è che si rifaccia la cristiana... delle stesse comunità ecclesiali che vivono in questi paesi o nazioni» (Ibid. 34).

I religiosi, che furono i primi evangelizzatori - e hanno contribuito in maniera rilevante a mantenere viva la fede nel Continente -, non possono mancare alla convocazione ecclesiale della nuova evangelizzazione. I diversi carismi della vita consacrata rendono vivo il messaggio di Gesù, presente e attuale in ogni tempo e luogo, anche tramite le parole e la testimonianza dei Fondatori, che hanno espresso, nel corso della storia della Chiesa, la ricchezza sublime del mistero e ministero di Cristo, il quale sia che fosse «dedito alla contemplazione sul monte, o all'annuncio del Regno di Dio alle moltitudini, o a guarire i malati ed a convertire i peccatori alla buona strada, oppure a benedire i bambini ed a fare del bene a tutti, era sempre obbediente alla volontà del Padre che l'aveva inviato». (Lumen Gentium, 46).

Per questo la Chiesa spera dai religiosi e dalle religiose un impulso costante e deciso all'opera della nuova evangelizzazione» dal momento che sono chiamati, ciascuno secondo il loro carisma, a diffondere in tutto il mondo la buona novella di Cristo» (cfr. Perfectae Caritatis, 25). L'urgenza di una nuova evangelizzazione in America Latina, che vivifichi le sue radici cattoliche, la sua religiosità popolare, le sue tradizioni e culture, esige che i religiosi, oggi come ieri - e in stretta comunione con i loro pastori - continuino ad essere all'avanguardia stessa della predicazione dando sempre testimonianza del Vangelo della salvezza.

A questo riguardo vorrei offrirvi alcuni orientamenti in più, che vi possano servire da incoraggiamento e stimolo nella vostra vita consacrata al servizio del Regno.

Da una profonda esperienza di Dio

25. Una delle note che hanno caratterizzato la vita consacrata in America Latina negli ultimi decenni è stata la ricerca di un'autentica esperienza di Dio, che è «come un nuovo nome della contemplazione», a partire della meditazione della parola, la preghiera personale e comunitaria, la scoperta della presenza e dell'azione divina nella vita, condividendo allo stesso tempo questa esperienza con tutto il Popolo di Dio. Il documento di Puebla si faceva eco di questa ricerca segnalando che «ci sono certi segni che esprimono un desiderio d'interiorizzazione e di approfondimento nella vita della fede mentre si comprova che senza il contatto col Signore, non si dà un'evangelizzazione convincente e perseverante» (Puebla, 726).

Non poche volte, come molti di voi possono confermare, la fede semplice e sentita del popolo vi ha evangelizzato e vi ha fatto prendere consapevolezza del bisogno della preghiera e della profonda esperienza di Dio. Per questo, la meditazione personale e comunitaria della parola di vita sarà sempre un solco profondo che suscita un impulso evangelizzatore a imitazione di Gesù, la cui attività apostolica era unita a quel dialogo con il Padre da cui fluivano i suoi insegnamenti di vita eterna.

Evangelizzare partendo da una profonda esperienza di Dio, cercando comunitariamente la luce e il discernimento per affrontare i problemi della vita quotidiana, sarà garanzia di una efficace e trasparente predicazione del Vangelo agli uomini e alle donne del nostro tempo; sarà autentico annuncio e testimonianza della parola di vita accolta con fede e sperimentata nella comunione ecclesiale (cfr. 1Gv 1,1-3).

Con lo spirito dei Fondatori

26. Amati religiosi e religiose: come hanno fatto nel loro tempo, anche anche oggi i vostri fondatori metterebbero al servizio di Cristo le loro migliori energie apostoliche, il loro profondo senso ecclesiale, la creatività delle loro iniziative pastorali, il loro amore ai poveri da cui sono sorte tante opere ecclesiali.

La stessa generosità e abnegazione che hanno spinto i vostri Fondatori devono muovere anche voi, loro figli spirituali, a mantenere vivi i loro carismi che, con la stessa forza dello Spirito che li ha suscitati, continuano ad arricchirsi e adattarsi, senza perdere il loro carattere genuino, per mettersi al servizio della Chiesa e portare alla pienezza l'impianto del suo Regno.

L'America Latina, nel corso di questi cinque secoli, è stata certamente crogiuolo di molti carismi di vita consacrata, nati in altri luoghi, ma incarnati e consolidati in queste terre. Allo stesso tempo è stata anche culla di nuovi Istituti religiosi che rispondono all'esperienza spirituale dei loro figli e ai bisogni apostolici del Continente.

Tutta questa ricchezza di energie e carismi con cui Dio ha benedetto questo Continente deve orientarsi convenientemente affinché incida su di un'azione pastorale sempre più incarnata. A questo riguardo, la partecipazione spirituale e apostolica di tutti i consacrati, tramite gli organismi comuni di servizio e coordinamento, è senza dubbio molto importante per ottenere una maggiore efficacia nella nuova evangelizzazione. Da qui la loro responsabilità di agire sempre in comunione con la gerarchia secondo le norme e direttive della Santa Sede.

In stretta collaborazione con i sacerdoti e i laici

27. La nuova evangelizzazione esige anche una stretta cooperazione dei religiosi con i sacerdoti diocesani che con dedizione e generosità svolgono il loro lavoro pastorale come provvidi collaboratori dei Vescovi. Dovreste ugualmente collaborare con i laici, con le loro associazioni e movimenti, alcuni dei quali hanno oggi una grande vitalità.

Infatti, voi religiosi dovreste dare esempio di una rinnovata comunione spirituale con gli altri agenti della pastorale, promuovendo una collaborazione apostolica che rispetti e consolidi le responsabilità di ogni vocazione nella Chiesa. «La forza della evangelizzazione radica nella testimonianza di unità di tutti i discepoli del Cristo» (cfr. Gv 17,21-23); per questo, sacerdoti, religiosi e laici debbono aiutarsi reciprocamente nel loro cammino spirituale e pastorale dando esempio di autentica fratellanza cristiana (cfr. Christifideles Laici, 61).

Evangelizzazione della cultura

28. La sfida della nuova evangelizzazione esige che il messaggio salvatore incida nel cuore degli uomini e nelle strutture della vita sociale. E' proprio questo che ho voluto mettere in risalto nella mia allocuzione all'assemblea Plenaria della Pontificia Commissione per l'America Latina (cfr. Eiusdem Allocutio ad eos qui plenario coetui Pontificae Comisionis pro America Latina interfuerunt coram admisos, 5 die 7 dec. 1989; Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XII, 2 [1989] 1459s).

E' noto che gli Ordini e le Congregazioni religiose sono sempre stati promotori della cultura, sin dagli inizi stessi della predicazione del messaggio di Cristo nel Continente; lo sono anche per la varietà dei loro carismi, per le loro opere apostoliche, per la loro presenza nella società latinoamericana. Infatti, i religiosi esercitano la loro attività in tutti i campi dell'insegnamento, dalla scuola elementare e media fino alla professionale e universitaria; lo stesso vale per la catechesi, a partire da quella dei fanciulli fino a quella per gli adulti, cercando di formare i laici per l'apostolato; si trovano nel cuore delle grandi metropoli, nei quartieri emarginati, tra gli indigeni, di cui studiano la cultura e difendono i diritti.

Sono sicuro che i religiosi e le religiose in America Latina saprete essere all'avanguardia di questa nuova responsabilità evangelizzatrice che dovrà comprendere, con la forza del messaggio salvifico, tutta la ricchezza culturale dei popoli e delle etnie del Continente in una solidale e speranzosa civiltà dell'amore. Contribuite pertanto a forgiare una cultura che sia sempre aperta ai valori della vita, all'originalità del messaggio evangelico, alla solidarietà tra le persone; una cultura della pace e dell'unità che Cristo ha chiesto al Padre per tutti coloro che credono in Lui.

Per questo, i religiosi, nella misura in cui sarete fedeli al vostro carisma, troverete la forza della creatività apostolica che vi guiderà nella predicazione e inculturazione del Vangelo. Ho piena fiducia che, con il vostro generoso apporto, si raggiungerà la desiderata trasformazione culturale e sociale di questo Continente.

Infatti, la storia della prima evangelizzazione dell'America Latina è per tutti una chiamata ineluttabile a perseverare nel lavoro intrapreso e, allo stesso tempo, costituisce un motivo di viva speranza cristiana.

Evangelizzazione senza frontiere

29. Prima di finire con queste riflessioni sulla nuova evangelizzazione di questo Continente, desidero riferirmi a una sfida che già sta producendo certa inquietudine apostolica tra molti di voi: la necessità e la disponibilità per evangelizzare oltre le vostre frontiere.

Sin dall'arrivo stesso del Vangelo, l'America Latina ha accolto con generosa ospitalità tanti religiosi e religiose provenienti da altre nazioni, i quali hanno fatto di queste terre la loro patria spirituale e adottiva. Molti di loro si sono identificati totalmente con le vostre chiese e i vostri popoli, dando prova della dimensione universale della vocazione religiosa. Alcuni di loro - voglio ricordarlo -, così come altri religiosi e religiose nativi, hanno sigillato col il proprio sangue la loro fedeltà al Vangelo e la loro consegna ai più poveri, difendendo i loro diritti o accompagnandoli nel loro cammino. Per tutti loro rendo grazie a Dio Padre che suscita continuamente nuove vocazioni alla sequela di Cristo. Nutro dunque la salda speranza che, per portare a termine i compiti della nuova evangelizzazione, l'America Latina saprà accogliere, con uguale senso di ospitalità ecclesiale, tutti coloro che si sentono chiamati a lavorare in questa porzione della vigna del Signore.

D'altro canto, c'è un bisogno insopprimibile di tutti gli Istituti di promuovere, con «maggiore generosità che in altre epoche - se è il caso -», una pastorale vocazionale e un'adeguata formazione dei candidati alla vita consacrata, che renda possibile che l'America Latina possa disporre, in numero e qualità, di quei nuovi evangelizzatori di cui ha bisogno per il suo futuro.

Inoltre, è giunta l'ora in cui voi, uomini e donne consacrati dell'America Latina, «vi facciate sempre più presenti nelle altre Chiese del mondo, con un dinamismo senza frontiere, e che offriate generosamente, "pur nella vostra povertà", un aiuto alla missione della Chiesa in altre Nazioni» che sono anche loro bisognose di una prima o di una nuova evangelizzazione. Questa reciprocità, prova del dinamismo cristiano e missionario delle Chiese in cui lavorate, sarà anche manifestazione della maturità di un Continente che, «evangelizzato cinque secoli fa, vuole essere a sua volta un Continente evangelizzatore all'interno della Chiesa universale.

CONCLUSIONE

30. Carissimi fratelli e sorelle, concludendo questa Lettera che ho voluto indirizzare a voi in occasione dell'imminente celebrazione del V Centenario dell'evangelizzazione d'America, voglio rendere grazie al Signore per tutto il bene che durante questi cinque secoli ha realizzato per opera delle Famiglie religiose nella società e nella Chiesa peregrinante in quel Continente.

Ringrazio anche tutti e ciascuno di voi, religiosi e religiose, e ciascuna delle vostre comunità, così come i membri degli Istituti secolari e delle Società di vita apostolica, per la vostra dedizione e il vostro apostolato al servizio di Cristo, della Chiesa e della società.

Il Papa, insieme a tutto l'episcopato e il Popolo di Dio in America Latina, «nutre la viva speranza» che il vostro ministero nell'opera della nuova evangelizzazione, secondo le esigenze del presente e del futuro, sarà ugualmente fruttuoso e benedetto da Dio.

Desidero ardentemente che la celebrazione di questo V Centenario sia un'occasione propizia «perché si rinnovi l'autentico ideale della vita religiosa» fecondato anche con numerose e genuine vocazioni, poiché anche in America Latina: «La messe è molta ma gli operai sono pochi» (Mt 9,37). Preghiamo dunque insieme, il padrone della messe perché mandi operai alla sua messe» (Mt 9,38).

31. Affido a Nostra Signora di Guadalupe, «prima evangelizzatrice dell'America Latina» (Allocutio in aeronavium portu mexicopolis, 4, die 6 maii 1990: vide supra, p. 1123) gli aneliti e le speranze che vi ho confidato in questa Lettera. Essa è realmente la «Stella dell'evangelizzazione», «l'evangelizzatrice del vostro popolo». La sua presenza materna ha dato un decisivo impulso alla predicazione del messaggio di Cristo e alla fratellanza delle nazioni latinoamericane e dei loro abitanti. La devozione a Maria è stata sempre garanzia di fedeltà alla fede cattolica durante questi cinque secoli. «Che Ella continui a guidare i vostri passi e fecondare i vostri sforzi a favore dell'evangelizzazione».

Per tutti i religiosi e le religiose Maria è l'immagine più viva e la realizzazione più perfetta della sequela e della consacrazione al Signore: Vergine povera e obbediente, scelta da Dio, dedita interamente alla missione del suo Figlio. In lei, Madre della Chiesa, rifulgono anche tutti i carismi della vita religiosa.

Che la Vergine del «Magnificat», «nel cui cantico risuona la sua fedeltà a Dio e la sua solidarietà con le speranze del suo popolo», vi mantenga fedeli alla vostra consacrazione e vi faccia generosi cooperatori di Cristo e della sua Chiesa nella nuova evangelizzazione.

A voi tutti, cari religiosi e religiose, impartisco con affetto la mia benedizione apostolica.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 29 Giugno, nella solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, dell'anno 1990, Decimosecondo del mio Pontificato.

 

 

TERTIO MILLENNIO ADVENIENTE

LETTERA APOSTOLICA
TERTIO MILLENNIO ADVENIENTE
DEL SOMMO PONTEFICE
GIOVANNI PAOLO II
ALL'EPISCOPATO, AL CLERO E AI FEDELI
CIRCA LA PREPARAZIONE
DEL GIUBILEO DELL'ANNO 2000

 

Ai Vescovi
Ai sacerdoti e ai diaconi
Ai religiosi e alle religiose
A tutti i fedeli laici

1. Mentre ormai s'avvicina il terzo millennio della nuova era, il pensiero va spontaneamente alle parole dell'apostolo Paolo: « Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna » (Gal 4, 4). La pienezza del tempo si identifica con il mistero dell'Incarnazione del Verbo, Figlio consustanziale al Padre e con il mistero della Redenzione del mondo. San Paolo sottolinea in questo brano che il Figlio di Dio è nato da donna, nato sotto la Legge, venuto nel mondo per riscattare quanti erano sotto la Legge, affinché potessero ricevere l'adozione a figli. Ed aggiunge: « Che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! ». La sua conclusione è davvero consolante: « Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di Dio » (Gal 4, 6-7).

Questa presentazione paolina del mistero della Incarnazione contiene la rivelazione del mistero trinitario e della continuazione della missione del Figlio nella missione dello Spirito Santo. L'Incarnazione del Figlio di Dio, il suo concepimento, la sua nascita sono il presupposto dell'invio dello Spirito Santo. Il testo di san Paolo lascia così trasparire la pienezza del mistero dell'Incarnazione redentrice.


I

« GESÙ CRISTO È LO STESSO IERI, OGGI ... »
(Eb 13, 8)

2. Nel suo Vangelo Luca ci ha trasmesso una concisa descrizione delle circostanze riguardanti la nascita di Gesù: « In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra (...). Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo » (2, 1.3-7).

Si compiva così quanto l'angelo Gabriele aveva predetto nell'Annunciazione. Alla Vergine di Nazaret egli si era rivolto con queste parole: « Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te » (1, 28). Queste parole avevano turbato Maria e per questo il Messaggero divino si era affrettato ad aggiungere: « Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo (...). Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio » (1, 30- 32.35). La risposta di Maria all'angelico messaggio fu univoca: « Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto » (1, 38). Mai nella storia dell'uomo tanto dipese, come allora, dal consenso dell'umana creatura.(1)

3. Giovanni, nel Prologo del suo Vangelo, riassume in una sola frase tutta la profondità del mistero dell'Incarnazione. Egli scrive : « E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità » (1, 14). Per Giovanni, nel concepimento e nella nascita di Gesù si attua l'Incarnazione del Verbo eterno, consustanziale al Padre.

L'Evangelista si riferisce al Verbo che in principio era presso Dio, per mezzo del quale è stato fatto tutto ciò che esiste; il Verbo nel quale era la vita, vita che era la luce degli uomini (cf. 1, 1-5). Del Figlio unigenito, Dio da Dio, l'apostolo Paolo scrive che fu « generato prima di ogni creatura » (Col 1, 15). Dio crea il mondo per mezzo del Verbo. Il Verbo è l'eterna Sapienza, il Pensiero e l'Immagine sostanziale di Dio, « irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza » (Eb 1, 3). Egli, generato eternamente ed eternamente amato dal Padre, come Dio da Dio e Luce da Luce, è il principio e l'archetipo di tutte le cose da Dio create nel tempo.

Il fatto che il Verbo eterno abbia assunto nella pienezza dei tempi la condizione di creatura conferisce all'evento di Betlemme di duemila anni fa un singolare valore cosmico. Grazie al Verbo, il mondo delle creature si presenta come « cosmo », cioè come universo ordinato. Ed è ancora il Verbo che, incarnandosi, rinnova l'ordine cosmico della creazione. La Lettera agli Efesini parla del disegno che Dio ha prestabilito in Cristo, « per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè diricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra » (1, 10).

4. Cristo, Redentore del mondo, è l'unico Mediatore tra Dio e gli uomini e non vi è un altro nome sotto il cielo nel quale possiamo essere salvati (cf. At 4, 12). Leggiamo nella Lettera agli Efesini: in Lui « abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia. Dio l'ha abbondantemente riversata su di noi con ogni sapienza e intelligenza (...) secondo quanto, nella sua benevolenza, aveva in Lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi » (Ef 1, 7-10). Cristo, Figlio consustanziale al Padre, è dunque Colui che rivela il disegno di Dio nei riguardi di tutta la creazione e, in particolare, nei riguardi dell'uomo. Come afferma in modo suggestivo il Concilio Vaticano II, Egli « svela ... pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione ».(2) Gli mostra questa vocazione rivelando il mistero del Padre e del suo amore. « Immagine del Dio invisibile », Cristo è l'uomo perfetto che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio deformata dal peccato. Nella sua natura umana, immune da ogni peccato ed assunta nella Persona divina del Verbo, la natura comune ad ogni essere umano viene elevata ad altissima dignità: « Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato ».(3)

5. Questo « farsi uno di noi » del Figlio di Dio è avvenuto nella più grande umiltà, sicché non meraviglia che la storiografia profana, presa da fatti più clamorosi e da personaggi maggiormente in vista, non gli abbia dedicato all'inizio che fuggevoli, anche se significativi, cenni. Riferimenti a Cristo si trovano, ad esempio, nelle Antichità Giudaiche, opera redatta a Roma dallo storico Giuseppe Flavio tra il 93 e il 94 (4) e soprattutto negli Annali di Tacito, composti tra il 115 e il 120; in essi, riferendo dell'incendio di Roma del 64, falsamente imputato da Nerone ai cristiani, lo storico fa esplicito cenno a Cristo « suppliziato ad opera del procuratore Ponzio Pilato sotto l'impero di Tiberio ».(5) Anche Svetonio nella biografia dell'imperatore Claudio, scritta intorno al 121, ci informa circa l'espulsione dei Giudei da Roma perché « sotto istigazione di un certo Cresto suscitavano frequenti tumulti ».(6) Fra gli interpreti è convinzione diffusa che tale passo si riferisca a Gesù Cristo, divenuto motivo di contesa all'interno dell'ebraismo romano. Di rilievo, a riprova della rapida diffusione del cristianesimo, è pure la testimonianza di Plinio il Giovane, governatore della Bitinia, il quale riferisce all'imperatore Traiano, tra il 111 ed il 113, che un gran numero di persone solevano raccogliersi « in un giorno stabilito, prima dell'alba, per cantare alternatamente un inno a Cristo come a un Dio ».(7)

Ma il grande evento, che gli storici non cristiani si limitano a menzionare, acquista la sua luce piena negli scritti del Nuovo Testamento che, pur essendo documenti di fede, non sono meno attendibili, nell'insieme dei loro riferimenti, anche come testimonianze storiche. Cristo, vero Dio e vero uomo, Signore del cosmo è anche Signore della storia, di cui è « l'Alfa e l'Omega » (Ap 1, 8; 21, 6), « il Principio e la Fine » (Ap 21, 6). In Lui il Padre ha detto la parola definitiva sull'uomo e sulla sua storia. È quanto esprime con efficace sintesi la Lettera agli Ebrei: « Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio » (1, 1-2).

6. Gesù è nato dal Popolo eletto, a compimento della promessa fatta ad Abramo e costantemente ricordata dai profeti. Questi parlavano a nome e in luogo di Dio. L'economia dell'Antico Testamento, infatti, è essenzialmente ordinata a preparare e ad annunziare la venuta di Cristo Redentore dell'universo e del suo Regno messianico. I libri dell'Antica Alleanza sono così testimoni permanenti di una attenta pedagogia divina.(8) In Cristo questa pedagogia raggiunge la sua meta: Egli infatti non si limita a parlare « a nome di Dio » come i profeti, ma è Dio stesso che parla nel suo Verbo eterno fatto carne. Tocchiamo qui il punto essenziale per cui il cristianesimo si differenzia dalle altre religioni, nelle quali s'è espressa sin dall'inizio la ricerca di Dio da parte dell'uomo. Nel cristianesimo l'avvio è dato dall'Incarnazione del Verbo. Qui non è soltanto l'uomo a cercare Dio, ma è Dio che viene in Persona a parlare di sé all'uomo ed a mostrargli la via sulla quale è possibile raggiungerlo. È quanto proclama il Prologo del Vangelo di Giovanni: « Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato » (1, 18). Il Verbo Incarnato è dunque il compimento dell'anelito presente in tutte le religioni dell'umanità: questo compimento è opera di Dio e va al di là di ogni attesa umana. È mistero di grazia.

In Cristo la religione non è più un « cercare Dio come a tentoni » (cf. At 17, 27), ma risposta di fede a Dio che si rivela: risposta nella quale l'uomo parla a Dio come al suo Creatore e Padre; risposta resa possibile da quell'Uomo unico che è al tempo stesso il Verbo consustanziale al Padre, nel quale Dio parla ad ogni uomo ed ogni uomo è reso capace di rispondere a Dio. Più ancora, in quest'Uomo risponde a Dio l'intera creazione. Gesù Cristo è il nuovo inizio di tutto: tutto in lui si ritrova, viene accolto e restituito al Creatore dal quale ha preso origine. In tal modo, Cristo è il compimento dell'anelito di tutte le religioni del mondo e, per ciò stesso, ne è l'unico e definitivo approdo. Se da una parte Dio in Cristo parla di sé all'umanità, dall'altra, nello stesso Cristo, l'umanità intera e tutta la creazione parlano di sé a Dio — anzi, si donano a Dio. Tutto così ritorna al suo principio. Gesù Cristo è la ricapitolazione di tutto (cf. Ef 1, 10) e insieme il compimento di ogni cosa in Dio: compimento che è gloria di Dio. La religione che si fonda in Gesù Cristo è religione della gloria, è un esistere in novità di vita a lode della gloria di Dio (cf. Ef 1, 12). Tutta la creazione, in realtà, è manifestazione della sua gloria; in particolare l'uomo (vivens homo) è epifania della gloria di Dio, chiamato a vivere della pienezza della vita in Dio.

7. In Gesù Cristo Dio non solo parla all'uomo, ma lo cerca. L'Incarnazione del Figlio di Dio testimonia che Dio cerca l'uomo. Di questa ricerca Gesù parla come del ricupero di una pecorella smarrita (cf. Lc 15, 1-7). È una ricerca che nasce nell'intimo di Dio e ha il suo punto culminante nell'Incarnazione del Verbo. Se Dio va in cerca dell'uomo, creato ad immagine e somiglianza sua, lo fa perché lo ama eternamente nel Verbo e in Cristo lo vuole elevare alla dignità di figlio adottivo. Dio dunque cerca l'uomo, che è sua particolare proprietà, in maniera diversa di come lo è ogni altra creatura. Egli è proprietà di Dio in base ad una scelta di amore: Dio cerca l'uomo spinto dal suo cuore di Padre.

Perché lo cerca? Perché l'uomo si è da lui allontanato, nascondendosi come Adamo tra gli alberi del paradiso terrestre (cf. Gn 3, 8-10). L'uomo si è lasciato sviare dal nemico di Dio (cf. Gn 3, 13). Satana lo ha ingannato persuadendolo di essere egli stesso dio e di poter conoscere, come Dio, il bene e il male, governando il mondo a suo arbitrio senza dover tenere conto della volontà divina (cf. Gn 3, 5). Cercando l'uomo tramite il Figlio, Dio vuole indurlo ad abbandonare le vie del male, nelle quali tende ad inoltrarsi sempre di più. « Fargli abbandonare » quelle vie, vuol dire fargli capire che si trova su strade sbagliate; vuol dire sconfiggere il male diffuso nella storia umana. Sconfiggere il male: ecco la Redenzione. Essa si realizza nel sacrificio di Cristo, grazie al quale l'uomo riscatta il debito del peccato e viene riconciliato con Dio. Il Figlio di Dio si è fatto uomo, assumendo un corpo e un'anima nel grembo della Vergine, proprio per questo: per fare di sé il perfetto sacrificio redentore. La religione dell'Incarnazione è lareligione della Redenzione del mondo attraverso il sacrificio di Cristo, in cui è contenuta la vittoria sul male, sul peccato e sulla stessa morte. Cristo, accettando la morte sulla croce, contemporaneamente manifesta e dà la vita, poiché risorge e la morte non ha più alcun potere su di lui.

8. La religione che trae origine dal mistero della Incarnazione redentiva è la religione del « rimanere nell'intimo di Dio », del partecipare alla sua stessa vita. Ne parla san Paolo nel passo riportato all'inizio: « Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! » (Gal 4, 6). L'uomo eleva la sua voce a somiglianza di Cristo, il quale si rivolgeva « con forti grida e lacrime » (Eb 5, 7) a Dio, specialmente nel Getsemani e sulla croce: l'uomo grida a Dio come ha gridato Cristo e testimonia così di partecipare alla sua figliolanza per opera dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo, che il Padre ha mandato nel nome del Figlio, fa sì che l'uomo partecipi alla vita intima di Dio. Fa sì che l'uomo sia anche figlio, a somiglianza di Cristo, ed erede di quei beni che costituiscono la parte del Figlio (cf. Gal 4, 7). In questo consiste la religione del « rimanere nella vita intima di Dio », alla quale l'Incarnazione del Figlio di Dio dà inizio. Lo Spirito Santo, che scruta le profondità di Dio (cf. 1 Cor 2, 10), introduce noi uomini in tali profondità in virtù del sacrificio di Cristo.


II

IL GIUBILEO DELL'ANNO 2000

9. Parlando della nascita del Figlio di Dio, san Paolo la situa nella « pienezza del tempo » (cf. Gal 4, 4). Il tempo in realtà si è compiuto per il fatto stesso che Dio, con l'Incarnazione, si è calato dentro la storia dell'uomo. L'eternità è entrata nel tempo: quale « compimento » più grande di questo? Quale altro « compimento » sarebbe possibile? Qualcuno ha pensato a certi cicli cosmici arcani, nei quali la storia dell'universo, e in particolare dell'uomo, costantemente si ripeterebbe. L'uomo sorge dalla terra e alla terra ritorna (cf. Gn 3, 19): questo è il dato di evidenza immediata. Ma nell'uomo vi è un'insopprimibile aspirazione a vivere per sempre. Come pensare ad una sua sopravvivenza al di là della morte? Alcuni hanno immaginato varie forme di reincarnazione: in dipendenza da come egli ha vissuto nel corso dell'esistenza precedente, si troverebbe a sperimentare una nuova esistenza più nobile o più umile, fino a raggiungere la piena purificazione. Questa credenza, molto radicata in alcune religioni orientali, sta ad indicare, tra l'altro, che l'uomo non intende rassegnarsi alla irrevocabilità della morte. È convinto della propria natura essenzialmente spirituale ed immortale.

La rivelazione cristiana esclude la reincarnazione e parla di un compimento che l'uomo è chiamato a realizzare nel corso di un'unica esistenza sulla terra. Questo compimento del proprio destino l'uomo lo raggiunge nel dono sincero di sé, un dono che è reso possibile soltanto nell'incontro con Dio. È in Dio, pertanto, che l'uomo trova la piena realizzazione di sé: questa è la verità rivelata da Cristo. L'uomo compie se stesso in Dio, che gli è venuto incontro mediante l'eterno suo Figlio. Grazie alla venuta di Dio sulla terra, il tempo umano, iniziato nella creazione, ha raggiunto la sua pienezza. « La pienezza del tempo », infatti, è soltanto l'eternità, anzi Colui che è eterno, cioè Dio. Entrare nella « pienezza del tempo » significa dunque raggiungere il termine del tempo ed uscire dai suoi confini, per trovarne il compimento nell'eternità di Dio.

10. Nel cristianesimo il tempo ha un'importanza fondamentale. Dentro la sua dimensione viene creato il mondo, al suo interno si svolge la storia della salvezza, che ha il suo culmine nella « pienezza del tempo » dell'Incarnazione e il suo traguardo nel ritorno glorioso del Figlio di Dio alla fine dei tempi. In Gesù Cristo, Verbo incarnato, il tempo diventa una dimensione di Dio, che in se stesso è eterno. Con la venuta di Cristo iniziano gli « ultimi tempi » (cf. Eb 1, 2), l'« ultima ora » (cf. 1 Gv 2, 18), inizia il tempo della Chiesa che durerà fino alla Parusia.

Da questo rapporto di Dio col tempo nasce il dovere di santificarlo. È quanto si fa, ad esempio, quando si dedicano a Dio singoli tempi, giorni o settimane, come già avveniva nella religione dell'Antica Alleanza e avviene ancora, anche se in modo nuovo, nel cristianesimo. Nella liturgia della Veglia pasquale il celebrante, mentre benedice il cero che simboleggia il Cristo risorto, proclama: « Il Cristo ieri e oggi, Principio e Fine, Alfa e Omega. A lui appartengono il tempo e i secoli. A lui la gloria e il potere per tutti i secoli in eterno ». Egli pronuncia queste parole incidendo sul cero la cifra dell'anno in corso. Il significato del rito è chiaro: esso mette in evidenza il fatto che Cristo è il Signore del tempo; è il suo principio e il suo compimento; ogni anno, ogni giorno ed ogni momento vengono abbracciati dalla sua Incarnazione e Risurrezione, per ritrovarsi in questo modo nella « pienezza del tempo ». Per questo anche la Chiesa vive e celebra la liturgia nello spazio dell'anno. L'anno solare viene così pervaso dall'anno liturgico, che riproduce in un certo senso l'intero mistero dell'Incarnazione e della Redenzione, iniziando dalla prima Domenica d'Avvento e terminando nella solennità di Cristo, Re e Signore dell'universo e della storia. Ogni domenica ricorda il giorno della risurrezione del Signore.

11. Su tale sfondo diventa comprensibile l'usanza dei Giubilei, che ha inizio nell'Antico Testamento e ritrova la sua continuazione nella storia della Chiesa. Gesù di Nazaret, recatosi un giorno nella sinagoga della sua città, si alzò per leggere (cf. Lc 4, 16-30). Gli venne dato il rotolo del profeta Isaia, nel quale egli lesse il seguente passo: « Lo Spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l'anno di misericordia del Signore » (61, 1-2).

Il Profeta parlava del Messia. « Oggi — aggiunse Gesù — si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi » (Lc 4, 21), facendo capire che il Messia annunziato dal Profeta era proprio lui e che in lui prendeva avvio il « tempo » tanto atteso: era giunto il giorno della salvezza, la « pienezza del tempo ». Tutti i Giubilei si riferiscono a questo « tempo » e riguardano la missione messianica di Cristo, venuto come « consacrato con l'unzione » dello Spirito Santo, come « mandato dal Padre ». È lui ad annunziare la buona novella ai poveri. È lui a portare la libertà a coloro che ne sono privi, a liberare gli oppressi, a restituire la vista ai ciechi (cf. Mt 11, 4-5; Lc 7, 22). In tal modo egli realizza « un anno di grazia del Signore », che annunzia non solo con la parola, ma prima di tutto con le sue opere. Giubileo, cioè « un anno di grazia del Signore », è la caratteristica dell'attività di Gesù e non soltanto la definizione cronologica di una certa ricorrenza.

12. Le parole e le opere di Gesù costituiscono in questo modo il compimento dell'intera tradizione dei Giubilei dell'Antico Testamento. È noto che il Giubileo era un tempo dedicato in modo particolare a Dio. Esso cadeva ogni settimo anno, secondo la Legge di Mosè: era l'« anno sabbatico », durante il quale si lasciava riposare la terra e venivano liberati gli schiavi. L'obbligo della liberazione degli schiavi veniva regolato da prescrizioni dettagliate contenute nel Libro dell'Esodo (23, 10-11), del Levitico (25, 1-28), del Deuteronomio (15, 1-6) e cioè, praticamente, in tutta la legislazione biblica, la quale acquista così questa peculiare dimensione. Nell'anno sabbatico, oltre alla liberazione degli schiavi, la Legge prevedeva il condono di tutti i debiti, secondo precise prescrizioni. E tutto ciò doveva essere fatto in onore di Dio. Quanto riguardava l'anno sabbatico valeva anche per quello « giubilare », che cadeva ogni cinquant'anni. Nell'anno giubilare però le usanze di quello sabbatico erano ampliate e celebrate ancor più solennemente. Leggiamo nel Levitico: « Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia » (25, 10). Una delle conseguenze più significative dell'anno giubilare era la generale « emancipazione » di tutti gli abitanti bisognosi di liberazione. In questa occasione ogni israelita rientrava in possesso della terra dei suoi padri, se eventualmente l'aveva venduta o persa cadendo in schiavitù. Non si poteva essere privati in modo definitivo della terra, poiché essa apparteneva a Dio, né gli israeliti potevano rimanere per sempre in una situazione di schiavitù, dato che Dio li aveva « riscattati » per sé come esclusiva proprietà liberandoli dalla schiavitù in Egitto.

13. Anche se i precetti dell'anno giubilare restarono in gran parte una prospettiva ideale — più una speranza che una realizzazione concreta, divenendo peraltro una prophetia futuri in quanto preannuncio della vera liberazione che sarebbe stata operata dal Messia venturo — sulla base della normativa giuridica in essi contenuta si venne delineando una certa dottrina sociale, che si sviluppò poi più chiaramente a partire dal Nuovo Testamento. L'anno giubilare doveva restituire l'eguaglianza tra tutti i figli d'Israele, schiudendo nuove possibilità alle famiglie che avevano perso le loro proprietà e perfino la libertà personale. Ai ricchi invece l'anno giubilare ricordava che sarebbe venuto il tempo in cui gli schiavi israeliti, divenuti nuovamente uguali a loro, avrebbero potuto rivendicare i loro diritti. Si doveva proclamare, nel tempo previsto dalla Legge, un anno giubilare, venendo in aiuto ad ogni bisognoso. Questo esigeva un governo giusto. La giustizia, secondo la Legge di Israele, consisteva soprattutto nella protezione dei deboli ed un re doveva distinguersi in questo, come afferma il Salmista: « Egli libererà il povero che invoca e il misero che non trova aiuto, avrà pietà del debole e del povero e salverà la vita dei suoi miseri » (Sal 72 1, 12-13). Le premesse di simile tradizione erano strettamente teologiche, collegate prima di tutto con la teologia della creazione e con quella della divina Provvidenza. Era convinzione comune, infatti, che solo a Dio, come Creatore, spettasse il « dominium altum », cioè la signoria su tutto il creato e in particolare sulla terra (cf. Lv 25, 23). Se nella sua Provvidenza Dio aveva donato la terra agli uomini, ciò stava a significare che l'aveva donata a tutti. Perciò le ricchezze della creazione erano da considerarsi come un bene comune dell'intera umanità. Chi possedeva questi beni come sua proprietà, ne era in verità soltanto un amministratore, cioè un ministro tenuto ad operare in nome di Dio, unico proprietario in senso pieno, essendo volontà di Dio che i beni creati servissero a tutti in modo giusto. L'anno giubilare doveva servire proprio al ripristino anche di questa giustizia sociale. Nella tradizione dell'anno giubilare ha così una delle sue radici la dottrina sociale della Chiesa, che ha avuto sempre un suo posto nell'insegnamento ecclesiale e si è particolarmente sviluppata nell'ultimo secolo, soprattutto a partire dall'Enciclica Rerum novarum.

14. Occorre sottolineare tuttavia ciò che Isaia esprime con le parole: « predicare un anno di grazia del Signore ». Il Giubileo, per la Chiesa, è proprio questo « anno di grazia »: anno della remissione dei peccati e delle pene per i peccati, anno della riconciliazione tra i contendenti, anno di molteplici conversioni e di penitenza sacramentale ed extra- sacramentale. La tradizione degli anni giubilari è legata alla concessione di indulgenze in modo più largo che in altri periodi. Accanto ai Giubilei che ricordano il mistero dell'Incarnazione, al compiersi dei cento, dei cinquanta e dei venticinque anni, vi sono poi quelli che commemorano l'evento della Redenzione: la croce di Cristo, la sua morte sul Golgota e la sua risurrezione. La Chiesa, in queste circostanze, proclama « un anno di grazia del Signore » e si adopera affinché di questa grazia possano più ampiamente usufruire tutti i fedeli. Ecco perché i Giubilei vengono celebrati non soltanto « in Urbe », ma anche « extra Urbem »: tradizionalmente ciò avveniva l'anno successivo alla celebrazione « in Urbe ».

15. Nella vita delle singole persone i Giubilei sono legati solitamente alla data di nascita, ma si celebrano anche gli anniversari del Battesimo, della Cresima, della prima Comunione, dell'Ordinazione sacerdotale o episcopale, del sacramento del Matrimonio. Alcuni di questi anniversari hanno un riscontro nell'ambito laico, ma i cristiani attribuiscono sempre ad essi un carattere religioso. Nella visione cristiana, infatti, ogni Giubileo — quello del 25° di Sacerdozio o di Matrimonio, detto « d'argento », o quello del 50°, detto « d'oro », o quello del 60°, detto « di diamante » — costituisce un particolare anno di grazia per la singola persona che ha ricevuto uno dei Sacramenti elencati. Quanto abbiamo detto dei Giubilei individuali può essere pure applicato alle comunità o alle istituzioni. Così dunque si celebra il centenario, o il millennio di fondazione di una città o di un comune. Nell'ambito ecclesiale si festeggiano i Giubilei delle parrocchie e delle diocesi. Tutti questi Giubilei personali o comunitari rivestono nella vita dei singoli e delle comunità un ruolo importante e significativo.

Su tale sfondo, i duemila anni dalla nascita di Cristo (prescindendo dall'esattezza del computo cronologico) rappresentano un Giubileo straordinariamente grande non soltanto per i cristiani, ma indirettamente per l'intera umanità, dato il ruolo di primo piano che il cristianesimo ha esercitato in questi due millenni. Significativamente il computo del decorso degli anni si fa quasi dappertutto a partire dalla venuta di Cristo nel mondo, la quale diventa così il centro anche del calendario oggi più utilizzato. Non è forse anche questo un segno del contributo impareggiabile recato alla storia universale dalla nascita di Gesù di Nazaret?

16. Il termine « Giubileo » parla di gioia; non soltanto di gioia interiore, ma di un giubilo che si manifesta all'esterno, poiché la venuta di Dio è un evento anche esteriore, visibile, udibile e tangibile, come ricorda san Giovanni (cf. 1 Gv 1, 1). È giusto quindi che ogni attestazione di gioia per tale venuta abbia una sua manifestazione esteriore. Essa sta ad indicare che la Chiesa gioisce per la salvezza. Invita tutti alla gioia e si sforza di creare le condizioni, affinché le energie salvifiche possano essere comunicate a ciascuno. Il 2000 segnerà perciò la data del Grande Giubileo.

Quanto al contenuto, questo Grande Giubileo sarà, in un certo senso, uguale ad ogni altro. Ma sarà, al tempo stesso, diverso e di ogni altro più grande. La Chiesa infatti rispetta le misure del tempo: ore, giorni, anni, secoli. Sotto questo aspetto essa cammina al passo con ogni uomo, rendendo consapevole ciascuno di come ognuna di queste misure sia intrisa della presenza di Dio e della sua azione salvifica. In questo spirito la Chiesa gioisce, rende grazie, chiede perdono, presentando suppliche al Signore della storia e delle coscienze umane.

Tra le suppliche più ardenti di questa ora eccezionale, all'avvicinarsi del nuovo Millennio, la Chiesa implora dal Signore che cresca l'unità tra tutti i cristiani delle diverse Confessioni fino al raggiungimento della piena comunione. Esprimo l'auspicio che il Giubileo sia l'occasione propizia di una fruttuosa collaborazione nella messa in comune delle tante cose che ci uniscono e che sono certamente di più di quelle che ci dividono. Quanto gioverebbe in tale prospettiva che, nel rispetto dei programmi delle singole Chiese e Comunità, si raggiungessero intese ecumeniche nella preparazione e realizzazione del Giubileo: esso acquisterà così ancora più forza testimoniando al mondo la decisa volontà di tutti i discepoli di Cristo di conseguire al più presto la piena unità nella certezza che « nulla è impossibile a Dio ».


III

LA PREPARAZIONE DEL GRANDE GIUBILEO

17. Ogni giubileo è preparato nella storia della Chiesa dalla divina Provvidenza. Ciò vale anche per il Grande Giubileo dell'Anno 2000. Convinti di ciò, noi oggi guardiamo con senso di gratitudine non meno che di responsabilità a quanto è avvenuto nella storia dell'umanità a partire dalla nascita di Cristo, e soprattutto agli eventi tra il Mille e il Duemila. Ma in modo tutto particolare ci volgiamo con sguardo di fede a questo nostro secolo, cercandovi ciò che rende testimonianza non solo alla storia dell'uomo, ma anche all'intervento divino nelle umane vicende.

18. In questa prospettiva si può affermare che il Concilio Vaticano II costituisce un evento provvidenziale, attraverso il quale la Chiesa ha avviato la preparazione prossima al Giubileo del secondo Millennio. Si tratta infatti di un Concilio simile ai precedenti, eppure tanto diverso; un Concilio concentrato sul mistero di Cristo e della sua Chiesa ed insieme aperto al mondo. Questa apertura è stata la risposta evangelica all'evoluzione recente del mondo con le sconvolgenti esperienze del XX secolo, travagliato da una prima e da una seconda guerra mondiale, dall'esperienza dei campi di concentramento e da orrendi eccidi. Quanto è successo mostra più che mai che il mondo ha bisogno di purificazione; ha bisogno di conversione.

Si ritiene spesso che il Concilio Vaticano II segni una epoca nuova nella vita della Chiesa. Ciò è vero, ma allo stesso tempo è difficile non notare che l'Assemblea conciliare ha attinto molto dalle esperienze e dalle riflessioni del periodo precedente, specialmente dal patrimonio del pensiero di Pio XII. Nella storia della Chiesa, « il vecchio » e « il nuovo » sono sempre profondamente intrecciati tra loro. Il « nuovo » cresce dal « vecchio », il « vecchio » trova nel « nuovo » una sua più piena espressione. Così è stato per il Concilio Vaticano II e per l'attività dei Pontefici legati all'Assemblea conciliare, iniziando da Giovanni XXIII, proseguendo con Paolo VI e Giovanni Paolo I, fino al Papa attuale.

Ciò che è stato da essi compiuto durante e dopo il Concilio, il magistero non meno che l'azione di ciascuno di loro ha certamente recato un contributo significativo alla preparazione di quella nuova primavera di vita cristiana che dovrà essere rivelata dal Grande Giubileo, se i cristiani saranno docili all'azione dello Spirito Santo.

19. Il Concilio, pur non assumendo i toni severi di Giovanni Battista, quando sulle rive del Giordano esortava alla penitenza ed alla conversione (cf. Lc 3, 1-17), ha manifestato in sé qualcosa dell'antico Profeta, additando con nuovo vigore agli uomini di oggi il Cristo, l'« Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo » (cf. Gv 1, 29), il Redentore dell'uomo, il Signore della storia. Nell'Assise conciliare la Chiesa, proprio per essere pienamente fedele al suo Maestro, si è interrogata sulla propria identità, riscoprendo la profondità del suo mistero di Corpo e di Sposa di Cristo. Ponendosi in docile ascolto della Parola di Dio, ha riaffermato la universale vocazione alla santità; ha provveduto alla riforma della liturgia, « fonte e culmine » della sua vita; ha dato impulso al rinnovamento di tanti aspetti della sua esistenza a livello universale e nelle Chiese locali; si è impegnata per la promozione delle varie vocazioni cristiane, da quella dei laici a quella dei religiosi, dal ministero dei diaconi a quello dei sacerdoti e dei Vescovi; ha riscoperto, in particolare, la collegialità episcopale, espressione privilegiata del servizio pastorale svolto dai Vescovi in comunione col Successore di Pietro. Sulla base di questo profondo rinnovamento, il Concilio si è aperto ai cristiani delle altre Confessioni, agli aderenti ad altre religioni, a tutti gli uomini del nostro tempo. In nessun altro Concilio si è parlato con altrettanta chiarezza dell'unità dei cristiani, del dialogo con le religioni non cristiane, del significato specifico dell'Antica Alleanza e di Israele, della dignità della coscienza personale, del principio della libertà religiosa, delle diverse tradizioni culturali all'interno delle quali la Chiesa svolge il proprio mandato missionario, dei mezzi di comunicazione sociale.

20. Un'enorme ricchezza di contenuti ed un nuovo tono, prima sconosciuto, nella presentazione conciliare di questi contenuti, costituiscono quasi un annuncio di tempi nuovi. I Padri conciliari hanno parlato con il linguaggio del Vangelo, con il linguaggio del Discorso della Montagna e delle Beatitudini. Nel messaggio conciliare Dio è presentato nella sua assoluta signoria su tutte le cose, ma anche come garante dell'autentica autonomia delle realtà temporali.

La miglior preparazione alla scadenza bimillenaria, pertanto, non potrà che esprimersi nel rinnovato impegno di applicazione, per quanto possibile fedele, dell'insegnamento del Vaticano II alla vita di ciascuno e di tutta la Chiesa. Con il Concilio è stata come inaugurata l'immediata preparazione al Grande Giubileo del 2000, nel senso più ampio della parola. Se cerchiamo qualcosa di analogo nella liturgia, si potrebbe dire che l'annualeliturgia dell'Avvento è il tempo più vicino allo spirito del Concilio. L'Avvento ci prepara, infatti, all'incontro con Colui che era, che è e che costantemente viene (cf. Ap 4, 8).

21. Nel cammino di preparazione all'appuntamento del 2000 si inserisce la serie di Sinodi, iniziata dopo il Concilio Vaticano II: Sinodi generali e Sinodi continentali, regionali, nazionali e diocesani. Il tema di fondo è quello dell'evangelizzazione, anzi della nuova evangelizzazione, le cui basi sono state poste dall'Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi di Paolo VI, pubblicata nel 1975 dopo la terza Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi. Questi Sinodi costituiscono già per se stessi parte della nuova evangelizzazione: nascono dalla visione del Concilio Vaticano II sulla Chiesa; aprono un ampio spazio alla partecipazione dei laici, dei quali definiscono la specifica responsabilità nella Chiesa; sono espressione della forza che Cristo ha donato a tutto il Popolo di Dio, facendolo partecipe della propria missione messianica, missione profetica, sacerdotale e regale. Molto eloquenti sono a tale riguardo le affermazioni del secondo capitolo della Costituzione dogmatica Lumen gentium. La preparazione al Giubileo dell'Anno 2000 si attua così, a livello universale e locale, in tutta la Chiesa, animata da una consapevolezza nuova della missione salvifica ricevuta da Cristo. Questa consapevolezza si manifesta con significativa evidenza nelle Esortazioni postsinodali dedicate alla missione dei laici, alla formazione dei sacerdoti, alla catechesi, alla famiglia, al valore della penitenza e della riconciliazione nella vita della Chiesa e dell'umanità e, prossimamente, alla vita consacrata.

22. Specifici compiti e responsabilità, in vista del Grande Giubileo dell'Anno 2000, spettano al ministero del Vescovo di Roma. In qualche modo hanno operato in questa prospettiva tutti i Pontefici del secolo che sta per concludersi. Col programma di rinnovare tutto in Cristo, san Pio X cercò di prevenire i tragici sviluppi che la situazione internazionale di inizio del secolo andava maturando. La Chiesa era consapevole di dover agire in modo deciso per favorire e difendere i beni così fondamentali della pace e della giustizia, di fronte all'affermarsi nel mondo contemporaneo di tendenze opposte. I Pontefici del periodo preconciliare si mossero in tal senso con grande impegno, ciascuno da una propria angolatura particolare: Benedetto XV si trovò di fronte alla tragedia della prima guerra mondiale; Pio XI dovette misurarsi con le minacce dei sistemi totalitari o non rispettosi della libertà umana in Germania, in Russia, in Italia, in Spagna e, prima ancora, in Messico. Pio XII intervenne nei confronti della gravissima ingiustizia rappresentata dal totale disprezzo della dignità umana, quale si ebbe durante la seconda guerra mondiale. Egli diede luminosi orientamenti anche per la nascita di un nuovo assetto mondiale dopo la caduta dei sistemi politici antecedenti.

Nel corso del secolo, inoltre, sulle orme di Leone XIII, i Papi hanno ripreso sistematicamente i temi della dottrina sociale cattolica, trattando delle caratteristiche di un giusto sistema nel campo dei rapporti tra lavoro e capitale. Basti pensare all'Enciclica Quadragesimo anno di Pio XI, ai numerosi interventi di Pio XII, alla Mater et Magistra e alla Pacem in terris di Giovanni XXIII, alla Populorum progressio e alla Lettera Apostolica Octogesima adveniens di Paolo VI. Sull'argomento sono ritornato ripetutamente io stesso, dedicando l'Enciclica Laborem exercens in modo specifico all'importanza del lavoro umano, mentre con la Centesimus annus ho inteso ribadire, dopo cento anni, la validità della dottrina della Rerum novarum. Con l'Enciclica Sollicitudo rei socialis avevo precedentemente riproposto in modo sistematico l'intera dottrina sociale della Chiesa sullo sfondo del confronto tra i due blocchi Est-Ovest e del pericolo di una guerra nucleare. I due elementi della dottrina sociale della Chiesa — la tutela della dignità e dei diritti della persona nell'ambito di un giusto rapporto tra lavoro e capitale e la promozione della pace — si sono incontrati in tale testo e si sono fusi insieme. Alla causa della pace intendono inoltre servire gli annuali Messaggi pontifici del 1o gennaio, pubblicati a partire dal 1968, sotto il pontificato di Paolo VI.

23. L'attuale pontificato sin dal primo documento parla del Grande Giubileo in modo esplicito, invitando a vivere il periodo di attesa come « un nuovo avvento ».(9) Su questo tema è ritornato poi molte altre volte, soffermandovisi ampiamente nell'Enciclica Dominum et vivificantem.(10) Di fatto, la preparazione dell'Anno 2000 diventa quasi una sua chiave ermeneutica. Non si vuole certo indulgere ad un nuovo millenarismo, come da parte di qualcuno si fece allo scadere del primo millennio; si vuole invece suscitare una particolare sensibilità per tutto ciò che lo Spirito dice alla Chiesa e alle Chiese (cf. Ap 2, 7 ss.), come pure alle singole persone attraverso i carismi al servizio dell'intera comunità. Si intende sottolineare ciò che lo Spirito suggerisce alle varie comunità, dalle più piccole, come la famiglia, sino alle più grandi come le nazioni e le organizzazioni internazionali, senza trascurare le culture, le civiltà e le sane tradizioni. L'umanità, nonostante le apparenze, continua ad attendere la rivelazione dei figli di Dio e vive di tale speranza come nel travaglio del parto, secondo l'immagine utilizzata con tanta forza da san Paolo nella Lettera ai Romani (cf. 8, 19-22).

24. I pellegrinaggi del Papa sono divenuti un elemento importante nell'impegno di realizzazione del Concilio Vaticano II. Iniziati da Giovanni XXIII, nell'imminenza dell'inaugurazione del Concilio, con un pellegrinaggio significativo a Loreto e ad Assisi (1962), hanno avuto un cospicuo incremento con Paolo VI, il quale, dopo essersi recato anzitutto in Terra Santa (1964), compì altri nove grandi viaggi apostolici che lo portarono a diretto contatto con le popolazioni dei vari continenti.

Il pontificato attuale ha ampliato ancor più tale programma, cominciando dal Messico, in occasione della III Conferenza Generale dell'Episcopato Latino Americano, tenutasi a Puebla nel 1979. Vi è stato poi, in quello stesso anno, il pellegrinaggio in Polonia durante il Giubileo per il 900o anniversario della morte di santo Stanislao vescovo e martire.

Le successive tappe di questo peregrinare sono conosciute. I pellegrinaggi sono diventati sistematici, raggiungendo le Chiese particolari in tutti i continenti, con una cura attenta per lo sviluppo dei rapporti ecumenici con i cristiani delle diverse confessioni. Sotto quest'ultimo profilo rivestono un rilievo particolare le visite in Turchia (1979), in Germania (1980), in Inghilterra e Galles e in Scozia (1982), in Svizzera (1984), nei Paesi Scandinavi (1989) ed ultimamente nei Paesi Baltici (1993).

Al momento presente, tra le mete di pellegrinaggio vivamente desiderate, vi è, oltre a Sarajevo in Bosnia ed Erzegovina, il Medio Oriente: il Libano, Gerusalemme e la Terra Santa. Sarebbe molto eloquente se, in occasione dell'Anno 2000, fosse possibile visitare tutti quei luoghi che si trovano sul cammino del Popolo di Dio dell'Antica Alleanza, a partire dai luoghi di Abramo e di Mosè, attraverso l'Egitto e il Monte Sinai, fino a Damasco, città che fu testimone della conversione di san Paolo.

25. Nella preparazione dell'Anno 2000 hanno un proprio ruolo da svolgere le singole Chiese, che con i loro Giubilei celebrano tappe significative nella storia della salvezza dei diversi popoli. Tra questi Giubilei locali o regionali, eventi di somma grandezza sono stati il millennio del Battesimo della Rus' nel 1988,(11) come pure i cinquecento anni dall'inizio della evangelizzazione nel continente americano (1492). Accanto ad eventi di così vasto raggio, anche se non di portata universale, occorre ricordarne altri non meno significativi: per esempio, il millennio del Battesimo della Polonia nel 1966 e del Battesimo dell'Ungheria nel 1968, insieme con i seicento anni del Battesimo della Lituania nel 1987. Ricorreranno inoltre prossimamente il 1500° anniversario del Battesimo di Clodoveo re dei Franchi (496), e il 1400° anniversario dell'arrivo di sant'Agostino a Canterbury (597), inizio dell'evangelizzazione del mondo anglosassone.

Per quanto riguarda l'Asia, il Giubileo riporterà il pensiero all'apostolo Tommaso, che già all'inizio dell'era cristiana, secondo la tradizione, recò l'annuncio evangelico in India, dove intorno al 1500 sarebbero poi giunti i missionari dal Portogallo. Cade quest'anno il settimo centenario dell'evangelizzazione della Cina (1294) e ci apprestiamo a fare memoria della diffusione dell'opera missionaria nelle Filippine con la costituzione della sede metropolitana di Manila (1595), come del quarto centenario dei primi martiri in Giappone (1597).

In Africa, dove pure il primo annuncio risale all'epoca apostolica, insieme ai 1650 anni della consacrazione episcopale del primo Vescovo degli Etiopi, san Frumenzio (c. 340) e ai cinquecento anni dall'inizio dell'evangelizzazione dell'Angola nell'antico regno del Congo (1491), nazioni quali il Camerun, la Costa d'Avorio, la Repubblica Centroafricana, il Burundi, il Burkina-Faso stanno celebrando i rispettivi centenari dell'arrivo dei primi missionari nei loro territori. Altre nazioni africane lo hanno celebrato da poco.

Come tacere poi delle Chiese d'Oriente, i cui antichi Patriarcati si richiamano così da vicino all'eredità apostolica e le cui venerande tradizioni teologiche, liturgiche e spirituali costituiscono un'enorme ricchezza, che è patrimonio comune di tutta la cristianità? Le molteplici ricorrenze giubilari di queste Chiese e delle Comunità che in esse riconoscono l'origine della loro apostolicità evocano il cammino di Cristo nei secoli e approdano anch'esse al grande Giubileo della fine del secondo millennio.

Vista in questa luce, tutta la storia cristiana ci appare come un unico fiume, al quale molti affluenti recano le loro acque. L'Anno 2000 ci invita ad incontrarci con rinnovata fedeltà e con approfondita comunione sulle sponde di questo grande fiume: il fiume della Rivelazione, del cristianesimo e della Chiesa, che scorre attraverso la storia dell'umanità a partire dall'evento accaduto a Nazaret, e poi a Betlemme duemila anni fa. È veramente il « fiume » che con i suoi « ruscelli », secondo l'espressione del Salmo, « rallegra la città di Dio » (cf. Sal 46 1, 5).

26. Nella prospettiva della preparazione dell'Anno 2000 si situano anche gli Anni Santi dell'ultimo scorcio di questo secolo. È ancora fresco nella memoria l'Anno Santo che il Papa Paolo VI indisse nel 1975; nella stessa linea è stato celebrato successivamente il 1983 come Anno della Redenzione. Un'eco forse ancora maggiore ha avuto l'Anno Mariano 1987-88, molto atteso e vissuto profondamente nelle singole Chiese locali, specialmente nei santuari mariani del mondo intero. L'Enciclica Redemptoris Mater, allora pubblicata, ha posto in evidenza l'insegnamento conciliare sulla presenza della Madre di Dio nel mistero di Cristo e della Chiesa: il Figlio di Dio duemila anni fa si è fatto uomo per opera dello Spirito Santo ed è nato dall'Immacolata Vergine Maria. L'Anno Mariano è stato quasi una anticipazione del Giubileo, contenendo in sé molto di quanto dovrà esprimersi pienamente nell'Anno 2000.

27. È difficile non rilevare che l'Anno Mariano ha preceduto da vicino gli eventi del 1989. Sono eventi che non possono non sorprendere per la loro vastità e specialmente per il loro rapido svolgimento. Gli anni ottanta si erano andati caricando di un pericolo crescente, sulla scia della « guerra fredda »; il 1989 ha portato con sé una soluzione pacifica, che ha avuto quasi la forma di uno sviluppo « organico ». Alla sua luce ci si sente indotti a riconoscere un significato addirittura profetico all'Enciclica Rerum novarum: quanto il Papa Leone XIII vi scrive sul tema del comunismo trova in questi eventi una puntuale verifica, come ho sottolineato nell'Enciclica Centesimus annus.(12) Si poteva del resto percepire che, nella trama di quanto accaduto, era all'opera con premura materna la mano invisibile della Provvidenza: « Si dimentica for se una donna del suo bambino...? » (Is 49, 15).

Dopo il 1989 sono emersi, però, nuovi pericoli e nuove minacce. Nei Paesi dell'ex blocco orientale, dopo la caduta del comunismo, è apparso il grave rischio dei nazionalismi, come mostrano purtroppo le vicende dei Balcani e di altre aree vicine. Ciò costringe le nazioni europee ad un serio esame di coscienza, nel riconoscimento di colpe ed errori storicamente commessi, in campo economico e politico, nei riguardi di nazioni i cui diritti sono stati sistematicamente violati dagli imperialismi sia del secolo scorso che del presente.

28. Attualmente, sulla scia dell'Anno Mariano, stiamo vivendo, in analoga prospettiva, l'Anno della Famiglia, il cui contenuto si collega strettamente col mistero dell'Incarnazione e con la storia stessa dell'uomo. Si può dunque nutrire la speranza che l'Anno della Famiglia, inaugurato a Nazaret, diventi, come l'Anno Mariano, una ulteriore, significativa tappa della preparazione al Grande Giubileo.

In tale prospettiva ho indirizzato una Lettera alle Famiglie, nella quale ho inteso riproporre la sostanza dell'insegnamento ecclesiale sulla famiglia portandolo, per così dire, all'interno di ogni focolare domestico. Nel Concilio Vaticano II la Chiesa ha riconosciuto come uno dei suoi compiti quello di valorizzare la dignità del Matrimonio e della famiglia.(13) L'Anno della Famiglia intende contribuire all'attuazione del Concilio in questa dimensione. È perciò necessario che la preparazione al Grande Giubileo passi, in un certo senso, attraverso ogni famiglia. Non è stato forse attraverso una famiglia, quella di Nazaret, che il Figlio di Dio ha voluto entrare nella storia dell'uomo?


IV

LA PREPARAZIONE IMMEDIATA

29. Sullo sfondo di questo vasto panorama sorge la domanda: si può ipotizzare uno specifico programma di iniziative per la preparazione immediata del Grande Giubileo? Per la verità, quanto sopra si è detto già presenta alcuni elementi di un tale programma.

Una previsione più dettagliata di iniziative « ad hoc », per non essere artificiale e di difficile applicazione nelle singole Chiese, che vivono in condizioni così diversificate, deve risultare da una consultazione allargata. Consapevole di ciò, ho voluto interpellare al riguardo i Presidenti delle Conferenze Episcopali e, in particolare, i Padri Cardinali.

Sono riconoscente ai venerati Membri del Collegio Cardinalizio che, riuniti in Concistoro Straordinario il 13 e 14 giugno 1994, hanno elaborato in merito numerose proposte ed hanno indicato utili orientamenti. Ugualmente ringrazio i Fratelli nell'Episcopato, i quali in vario modo non hanno mancato di farmi pervenire apprezzati suggerimenti, che ho ben tenuto presenti nello stendere questa mia Lettera Apostolica.

30. Una prima indicazione, emersa con chiarezza dalla consultazione, è quella relativa ai tempi della preparazione. Al 2000 mancano ormai pochi anni: è sembrato opportuno articolare questo periodo in due fasi riservando la fase propriamente preparatoria agli ultimi tre anni. Si è ritenuto infatti che un periodo più lungo avrebbe finito per accumulare eccessivi contenuti, attenuando la tensione spirituale.

Si è giudicato pertanto conveniente avvicinarsi alla storica data con una prima fase di sensibilizzazione dei fedeli su tematiche più generali, per poi concentrare la preparazione diretta e immediata in una seconda fase, quella appunto di un triennio, tutta orientata alla celebrazione del mistero di Cristo Salvatore.

a) Prima fase

31. La prima fase avrà dunque carattere antepreparatorio: dovrà servire a ravvivare nel popolo cristiano la coscienza del valore e del significato che il Giubileo del 2000 riveste nella storia umana. Recando con sé la memoria della nascita di Cristo, esso è intrinsecamente segnato da una connotazione cristologica.

Conformemente all'articolazione della fede cristiana in parola e sacramento, sembra importante unire insieme, anche in questa singolare ricorrenza, la struttura della memoria con quella dellacelebrazione, non limitandosi a ricordare l'evento solo concettualmente, ma rendendone presente il valore salvifico mediante l'attualizzazione sacramentale. La ricorrenza giubilare dovrà confermare nei cristiani di oggi la fede in Dio rivelatosi in Cristo, sostenerne la speranza protesa nell'aspettativa della vita eterna, ravvivarne la carità, operosamente impegnata nel servizio ai fratelli.

Nel corso della prima fase (dal 1994 al 1996) la Santa Sede, grazie anche alla creazione di un apposito Comitato, non mancherà di suggerire alcune linee di riflessione e di azione a livello universale, mentre un analogo impegno di sensibilizzazione sarà svolto, in maniera più capillare, da Commissioni simili nelle Chiese locali. Si tratta, in qualche modo, di continuare quanto realizzato nella preparazione remota e, contemporaneamente, di approfondire gli aspetti più caratteristici dell'evento giubilare.

32. Il Giubileo è sempre un tempo di particolare grazia, « un giorno benedetto dal Signore »: come tale, esso ha — lo si è già rilevato — un carattere gioioso. Il Giubileo dell'Anno 2000 vuol essere una grande preghiera di lode e di ringraziamento soprattutto per il dono dell'Incarnazione del Figlio di Dio e della Redenzione da Lui operata. Nell'anno giubilare i cristiani si porranno con rinnovato stupore di fede di fronte all'amore del Padre, che ha dato il suo Figlio, « perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna » (Gv 3, 16). Essi eleveranno inoltre con intima partecipazione il loro ringraziamento per il dono della Chiesa, fondata da Cristo come « sacramento, cioè segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano ».(14) Il loro ringraziamento si estenderà infine ai frutti di santità maturati nella vita di tanti uomini e donne che in ogni generazione ed in ogni epoca storica hanno saputo accogliere senza riserve il dono della Redenzione.

Tuttavia la gioia di ogni Giubileo è in particolare modo unagioia per la remissione delle colpe, la gioia della conversione. Sembra perciò opportuno mettere nuovamente in primo piano ciò che costituì il tema del Sinodo dei Vescovi nel 1984, cioè la penitenza e la riconciliazione.(15) Quel Sinodo fu un evento estremamente significativo nella storia della Chiesa postconciliare. Esso riprese la questione sempre attuale della conversione (« metanoia »), che è la condizione preliminare per la riconciliazione con Dio tanto delle singole persone quanto delle comunità.

33. È giusto pertanto che, mentre il secondo Millennio del cristianesimo volge al termine, la Chiesa si faccia carico con più viva consapevolezza del peccato dei suoi figli nel ricordo di tutte quelle circostanze in cui, nell'arco della storia, essi si sono allontanati dallo spirito di Cristo e del suo Vangelo, offrendo al mondo, anziché la testimonianza di una vita ispirata ai valori della fede, lo spettacolo di modi di pensare e di agire che erano vere forme di antitestimonianza e di scandalo.

La Chiesa, pur essendo santa per la sua incorporazione a Cristo, non si stanca di fare penitenza: essa riconosce sempre come propri, davanti a Dio e davanti agli uomini, i figli peccatori. Afferma al riguardo la Lumen gentium: « La Chiesa che comprende nel suo seno i peccatori, santa insieme e sempre bisognosa di purificazione, incessantemente si applica alla penitenza e al suo rinnovamento ».(16)

La Porta Santa del Giubileo del 2000 dovrà essere simbolicamente più grande delle precedenti, perché l'umanità, giunta a quel traguardo, si lascerà alle spalle non soltanto un secolo, ma un millennio. È bene che la Chiesa imbocchi questo passaggio con la chiara coscienza di ciò che ha vissuto nel corso degli ultimi dieci secoli. Essa non può varcare la soglia del nuovo millennio senza spingere i suoi figli a purificarsi, nel pentimento, da errori, infedeltà, incoerenze, ritardi. Riconoscere i cedimenti di ieri è atto di lealtà e di coraggio che ci aiuta a rafforzare la nostra fede, rendendoci avvertiti e pronti ad affrontare le tentazioni e le difficoltà dell'oggi.

34. Tra i peccati che esigono un maggiore impegno di penitenza e di conversione devono essere annoverati certamente quelli che hanno pregiudicato l'unità voluta da Dio per il suo Popolo. Nel corso dei mille anni che si stanno concludendo, ancor più che nel primo millennio, la comunione ecclesiale, « talora non senza colpa di uomini d'entrambe le parti »,(17) ha conosciuto dolorose lacerazioni che contraddicono apertamente alla volontà di Cristo e sono di scandalo al mondo.(18) Tali peccati del passato fanno sentire ancora, purtroppo, il loro peso e permangono come altrettante tentazioni anche nel presente. È necessario farne ammenda, invocando con forza il perdono di Cristo.

In quest'ultimo scorcio di millennio, la Chiesa deve rivolgersi con più accorata supplica allo Spirito Santo implorando da Lui la grazia dell'unità dei cristiani. È questo un problema cruciale per la testimonianza evangelica nel mondo. Soprattutto dopo il Concilio Vaticano II sono state molte le iniziative ecumeniche intraprese con generosità ed impegno: si può dire che tutta l'attività delle Chiese locali e della Sede Apostolica abbia assunto in questi anni un respiro ecumenico. Il Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei Cristiani è divenuto uno dei principali centri propulsori del processo verso la piena unità.

Siamo però tutti consapevoli che il raggiungimento di questo traguardo non può essere solo frutto di sforzi umani, pur indispensabili. L'unità, in definitiva, è dono dello Spirito Santo. A noi è chiesto di assecondare questo dono senza indulgere a leggerezze e reticenze nella testimonianza della verità, ma mettendo in atto generosamente le direttive tracciate dal Concilio e dai successivi documenti della Santa Sede, apprezzati anche da molti tra i cristiani non in piena comunione con la Chiesa cattolica.

Ecco, dunque, uno dei compiti dei cristiani incamminati verso l'anno 2000. L'avvicinarsi della fine del secondo millennio sollecita tutti ad un esame di coscienza e ad opportune iniziative ecumeniche, così che al Grande Giubileo ci si possa presentare, se non del tutto uniti, almeno molto più prossimi a superare le divisioni del secondo millennio. È necessario al riguardo — ognuno lo vede — uno sforzo enorme. Bisogna proseguire nel dialogo dottrinale, ma soprattutto impegnarsi di più nellapreghiera ecumenica. Essa s'è molto intensificata dopo il Concilio, ma deve crescere ancora coinvolgendo sempre più i cristiani, in sintonia con la grande invocazione di Cristo, prima della Passione: « Padre ... siano anch'essi in noi una cosa sola » (Gv 17, 21).

35. Un altro capitolo doloroso, sul quale i figli della Chiesa non possono non tornare con animo aperto al pentimento, è costituito dall'acquiescenza manifestata, specie in alcuni secoli, a metodi di intolleranza e persino di violenza nel servizio alla verità.

È vero che un corretto giudizio storico non può prescindere da un'attenta considerazione dei condizionamenti culturali del momento, sotto il cui influsso molti possono aver ritenuto in buona fede che un'autentica testimonianza alla verità comportasse il soffocamento dell'altrui opinione o almeno la sua emarginazione. Molteplici motivi spesso convergevano nel creare premesse di intolleranza, alimentando un'atmosfera passionale alla quale solo grandi spiriti veramente liberi e pieni di Dio riuscivano in qualche modo a sottrarsi. Ma la considerazione delle circostanze attenuanti non esonera la Chiesa dal dovere di rammaricarsi profondamente per le debolezze di tanti suoi figli, che ne hanno deturpato il volto, impedendole di riflettere pienamente l'immagine del suo Signore crocifisso, testimone insuperabile di amore paziente e di umile mitezza. Da quei tratti dolorosi del passato emerge una lezione per il futuro, che deve indurre ogni cristiano a tenersi ben saldo all'aureo principio dettato dal Concilio: « La verità non si impone che in forza della stessa verità, la quale penetra nelle menti soavemente e insieme con vigore ».(19)

36. Un serio esame di coscienza è stato auspicato da numerosi Cardinali e Vescovi soprattutto per la Chiesa del presente. Alle soglie del nuovo Millennio i cristiani devono porsi umilmente davanti al Signore per interrogarsi sulle responsabilità che anch'essi hanno nei confronti dei mali del nostro tempo. L'epoca attuale, infatti, accanto a molte luci, presenta anche non poche ombre.

Come tacere, ad esempio, dell'indifferenza religiosa, che porta molti uomini di oggi a vivere come se Dio non ci fosse o ad accontentarsi di una religiosità vaga, incapace di misurarsi con il problema della verità e con il dovere della coerenza? A ciò sono da collegare anche la diffusa perdita del senso trascendente dell'esistenza umana e lo smarrimento in campo etico, persino nei valori fondamentali del rispetto della vita e della famiglia. Una verifica si impone pure ai figli della Chiesa: quanto sono anch'essi toccati dall'atmosfera di secolarismo e relativismo etico? E quanta parte di responsabilità devono anch'essi riconoscere, di fronte alla dilagante irreligiosità, per non aver manifestato il genuino volto di Dio, a causa dei « difetti della propria vita religiosa, morale e sociale »? (20)

Non si può infatti negare che la vita spirituale attraversi, in molti cristiani, un momento di incertezza che coinvolge non solo la vita morale, ma anche la preghiera e la stessa rettitudine teologale della fede. Questa, già messa alla prova dal confronto col nostro tempo, è talvolta disorientata da indirizzi teologici erronei, che si diffondono anche a causa della crisi di obbedienza nei confronti del Magistero della Chiesa.

E quanto alla testimonianza della Chiesa nel nostro tempo, come non provare dolore per il mancato discernimento, diventato talvolta persino acquiescenza, di non pochi cristiani di fronte alla violazione di fondamentali diritti umani da parte di regimi totalitari? E non è forse da lamentare, tra le ombre del presente, la corresponsabilità di tanti cristiani in gravi forme di ingiustizia e di emarginazione sociale? C'è da chiedersi quanti, tra essi, conoscano a fondo e pratichino coerentemente le direttive della dottrina sociale della Chiesa.

L'esame di coscienza non può non riguardare anche la ricezione del Concilio, questo grande dono dello Spirito alla Chiesa sul finire del secondo millennio. In che misura la Parola di Dio è divenuta più pienamente anima della teologia e ispiratrice di tutta l'esistenza cristiana, come chiedeva la Dei Verbum? È vissuta la liturgia come « fonte e culmine » della vita ecclesiale, secondo l'insegnamento della Sacrosanctum Concilium? Si consolida, nella Chiesa universale e in quelle particolari, l'ecclesiologia di comunione della Lumen gentium, dando spazio ai carismi, ai ministeri, alle varie forme di partecipazione del Popolo di Dio, pur senza indulgere a un democraticismo e a un sociologismo che non rispecchiano la visione cattolica della Chiesa e l'autentico spirito del Vaticano II? Una domanda vitale deve riguardare anche lo stile dei rapporti tra Chiesa e mondo. Le direttive conciliari — offerte nella Gaudium et spes e in altri documenti — di un dialogo aperto, rispettoso e cordiale, accompagnato tuttavia da un attento discernimento e dalla coraggiosa testimonianza della verità, restano valide e ci chiamano a un impegno ulteriore.

37. La Chiesa del primo millennio nacque dal sangue dei martiri: «Sanguis martyrum - semen christianorum ».(21) Gli eventi storici legati alla figura di Costantino il Grande non avrebbero mai potuto garantire uno sviluppo della Chiesa quale si verificò nel primo millennio, se non fosse stato per quella seminagione di martiri e per quel patrimonio di santità che caratterizzarono le prime generazioni cristiane. Al termine del secondo millennio, la Chiesa è diventata nuovamente Chiesa di martiri. Le persecuzioni nei riguardi dei credenti — sacerdoti, religiosi e laici — hanno operato una grande semina di martiri in varie parti del mondo. La testimonianza resa a Cristo sino allo spargimento del sangue è divenuta patrimonio comune di cattolici, ortodossi, anglicani e protestanti, come rilevava già Paolo VI nella omelia per la canonizzazione dei martiri ugandesi.(22)

È una testimonianza da non dimenticare. La Chiesa dei primi secoli, pur incontrando notevoli difficoltà organizzative, si è adoperata per fissare in appositi martirologi la testimonianza dei martiri. Tali martirologi sono stati aggiornati costantemente attraverso i secoli, e nell'albo dei santi e dei beati della Chiesa sono entrati non soltanto coloro che hanno versato il sangue per Cristo, ma anche maestri della fede, missionari, confessori, vescovi, presbiteri, vergini, coniugi, vedove, figli.

Nel nostro secolo sono ritornati i martiri, spesso sconosciuti, quasi « militi ignoti » della grande causa di Dio. Per quanto è possibile non devono andare perdute nella Chiesa le loro testimonianze. Come è stato suggerito nel Concistoro, occorre che le Chiese locali facciano di tutto per non lasciar perire la memoria di quanti hanno subito il martirio, raccogliendo la necessaria documentazione. Ciò non potrà non avere anche un respiro ed una eloquenza ecumenica. L'ecumenismo dei santi, dei martiri, è forse il più convincente. La communio sanctorum parla con voce più alta dei fattori di divisione. Il martyrologium dei primi secoli costituì la base del culto dei santi. Proclamando e venerando la santità dei suoi figli e figlie, la Chiesa rendeva sommo onore a Dio stesso; nei martiri venerava il Cristo, che era all'origine del loro martirio e della loro santità. Si è sviluppata successivamente la prassi della canonizzazione, che tuttora perdura nella Chiesa cattolica e in quelle ortodosse. In questi anni si sono moltiplicate le canonizzazioni e le beatificazioni. Esse manifestano la vivacità delle Chiese locali, molto più numerose oggi che nei primi secoli e nel primo millennio. Il più grande omaggio, che tutte le Chiese renderanno a Cristo alla soglia del terzo millennio, sarà la dimostrazione dell'onnipotente presenza del Redentore mediante i frutti di fede, di speranza e di carità in uomini e donne di tante lingue e razze, che hanno seguito Cristo nelle varie forme della vocazione cristiana.

Sarà compito della Sede Apostolica, nella prospettiva del terzo Millennio, aggiornare i martirologi per la Chiesa universale, prestando grande attenzione alla santità di quanti anche nel nostro tempo sono vissuti pienamente nella verità di Cristo. In special modo ci si dovrà adoperare per il riconoscimento dell'eroicità delle virtù di uomini e donne che hanno realizzato la loro vocazione cristiana nel Matrimonio: convinti come siamo che anche in tale stato non mancano frutti di santità, sentiamo il bisogno di trovare le vie più opportune per verificarli e proporli a tutta la Chiesa a modello e sprone degli altri sposi cristiani.

38. Un'ulteriore esigenza sottolineata dai Cardinali e dai Vescovi è quella di Sinodi a carattere continentale, sulla scia di quelli già celebrati per l'Europa e per l'Africa. L'ultima Conferenza Generale dell'Episcopato Latino-americano ha accolto, in sintonia con l'Episcopato Nord-americano, la proposta di un Sinodo per le Americhe sulle problematiche della nuova evangelizzazione in due parti dello stesso continente tanto diverse tra loro per origine e storia, e sulle tematiche della giustizia e dei rapporti economici internazionali, tenendo conto dell'enorme divario tra il Nord e il Sud.

Un Sinodo a carattere continentale sembra opportuno per l'Asia, dove più marcata è la questione dell'incontro del cristianesimo con le antichissime culture e religioni locali. Una grande sfida, questa, per l'evangelizzazione, dato che sistemi religiosi come il buddismo o l'induismo si propongono con un chiaro carattere soteriologico. Esiste allora l'urgente bisogno che, in occasione del Grande Giubileo, si illustri e approfondisca la verità su Cristo come unico Mediatore tra Dio e gli uomini e unico Redentore del mondo, ben distinguendolo dai fondatori di altre grandi religioni, nelle quali pur si trovano elementi di verità, che la Chiesa considera con sincero rispetto, vedendovi un riflesso della Verità che illumina tutti gli uomini.(23) Nel 2000 dovrà risuonare con forza rinnovata la proclamazione della verità: « Ecce natus est nobis Salvator mundi ».

Anche per l'Oceania potrebbe essere utile un Sinodo regionale. In questo Continente esiste, tra l'altro, il dato di popolazioni aborigene, che evocano in modo singolare alcuni aspetti della preistoria del genere umano. In tale Sinodo, dunque, un tema da non trascurare, insieme con altri problemi del Continente, dovrebbe essere l'incontro del cristianesimo con quelle antichissime forme di religiosità, significativamente caratterizzate da un orientamento monoteistico.

b) Seconda fase

39. Sulla base di questa vasta azione sensibilizzatrice sarà poi possibile affrontare la seconda fase, quella propriamente preparatoria. Essa si svilupperà nell'arco di tre anni, dal 1997 al 1999. La struttura ideale per tale triennio, centrato su Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, non può che essere teologica, cioè trinitaria.

I anno: Gesù Cristo

40. Il primo anno, 1997, sarà pertanto dedicato alla riflessione su Cristo, Verbo del Padre, fattosi uomo per opera dello Spirito Santo. Occorre infatti porre in luce il carattere spiccatamente cristologico del Giubileo, che celebrerà l'Incarnazione del Figlio di Dio, mistero di salvezza per tutto il genere umano. Il tema generale, proposto per questo anno da molti Cardinali e Vescovi, è: «Gesù Cristo, unico Salvatore del mondo, ieri, oggi e sempre » (cf. Eb 13, 8).

Tra i contenuti cristologici prospettati nel Concistoro emergono i seguenti: la riscoperta di Cristo Salvatore ed Evangelizzatore, con particolare riferimento al capitolo quarto del Vangelo di Luca, dove il tema del Cristo mandato ad evangelizzare e quello del Giubileo si intrecciano; l'approfondimento del mistero della sua Incarnazione e della sua nascita dal grembo verginale di Maria; la necessità della fede in Lui per la salvezza. Per conoscere la vera identità di Cristo, occorre che i cristiani, soprattutto nel corso di questo anno, tornino con rinnovato interesse alla Bibbia, « sia per mezzo della sacra liturgia ricca di parole divine, sia mediante la pia lettura, sia per mezzo delle iniziative adatte a tale scopo e di altri sussidi ».(24) Nel testo rivelato, infatti, è lo stesso Padre celeste che ci si fa incontro amorevolmente e si intrattiene con noi manifestandoci la natura del Figlio unigenito e il suo disegno di salvezza per l'umanità.(25)

41. L'impegno di attualizzazione sacramentale sopra accennato potrà far leva, nel corso dell'anno, sulla riscoperta del Battesimo come fondamento dell'esistenza cristiana, secondo la parola dell'Apostolo: « Quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo » (Gal 3, 27). Il Catechismo della Chiesa Cattolica, da parte sua, ricorda che il Battesimo costituisce « il fondamento della comunione tra tutti i cristiani, anche con quanti non sono ancora nella piena comunione con la Chiesa cattolica ».(26) Proprio sotto il profilo ecumenico, questo sarà un anno molto importante per volgere insieme lo sguardo a Cristo unico Signore, nell'impegno di diventare in Lui una cosa sola, secondo la sua preghiera al Padre. La sottolineatura della centralità di Cristo, della Parola di Dio e della fede non dovrebbe mancare di suscitare nei cristiani di altre Confessioni interesse e favorevole accoglienza.

42. Tutto dovrà mirare all'obiettivo prioritario del Giubileo che è il rinvigorimento della fede e della testimonianza dei cristiani. È necessario, pertanto, suscitare in ogni fedele un vero anelito alla santità, un desiderio forte di conversione e di rinnovamento personale in un clima di sempre più intensa preghiera e di solidale accoglienza del prossimo, specialmente quello più bisognoso.

Il primo anno sarà, dunque, il momento favorevole per la riscoperta della catechesi nel suo significato e valore originario di « insegnamento degli Apostoli » (At 2, 42) circa la persona di Gesù Cristo ed il suo mistero di salvezza. Di grande utilità, a questo scopo, si rivelerà l'approfondimento del Catechismo della Chiesa Cattolica, che presenta « con fedeltà ed in modo organico l'insegnamento della Sacra Scrittura, della Tradizione vivente nella Chiesa e nel Magistero autentico, come pure l'eredità spirituale dei Padri, dei santi e delle sante della Chiesa, per permettere di conoscere meglio il mistero cristiano e di ravvivare la fede del popolo di Dio ».(27) Per essere realisti, non si dovrà trascurare di illuminare la coscienza dei fedeli sugli errori riguardo alla persona di Cristo, mettendo nella giusta luce le opposizioni contro di Lui e contro la Chiesa.

43. La Vergine Santa, che sarà presente in modo per così dire « trasversale » lungo tutta la fase preparatoria, verrà contemplata in questo primo anno soprattutto nel mistero della sua divina Maternità. È nel suo grembo che il Verbo si è fatto carne! L'affermazione della centralità di Cristo non può essere dunque disgiunta dal riconoscimento del ruolo svolto dalla sua Santissima Madre. Il suo culto, se ben illuminato, in nessun modo può portare detrimento « alla dignità e all'efficacia di Cristo, unico Mediatore ».(28) Maria infatti addita perennemente il suo Figlio divino e si propone a tutti i credenti come modello di fede vissuta. « La Chiesa, pensando a Lei piamente e contemplandola alla luce del Verbo fatto uomo, penetra con venerazione e più profondamente nell'altissimo mistero dell'Incarnazione e si va ognor più conformando al suo Sposo ».(29)

II anno: lo Spirito Santo

44. Il 1998, secondo anno della fase preparatoria, sarà dedicato in modo particolare allo Spirito Santo ed alla sua presenza santificatrice all'interno della Comunità dei discepoli di Cristo. « Il grande Giubileo, conclusivo del secondo Millennio — scrivevo nell'Enciclica Dominum et vivificantem — (...) ha unprofilo pneumatologico, poiché il mistero dell'incarnazione si è compiuto "per opera dello Spirito Santo". L'ha "operato" quello Spirito che — consostanziale al Padre e al Figlio — è, nell'assoluto mistero di Dio uno e trino, la Persona-amore, il dono increato, che è fonte eterna di ogni elargizione proveniente da Dio nell'ordine della creazione, il principio diretto e, in certo senso, il soggetto dell'autocomunicazione di Dio nell'ordine della grazia. Di questa elargizione, di questa divina autocomunicazione il mistero dell'Incarnazione costituisce il culmine ».(30)

La Chiesa non può prepararsi alla scadenza bimillenaria « in nessun altro modo, se non nello Spirito Santo. Ciò che "nella pienezza del tempo" si è compiuto per opera dello Spirito Santo, solo per opera sua può ora emergere dalla memoria della Chiesa ».(31)

Lo Spirito, infatti, attualizza nella Chiesa di tutti i tempi e di tutti i luoghi l'unica Rivelazione portata da Cristo agli uomini, rendendola viva ed efficace nell'animo di ciascuno: « Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto » (Gv 14, 26).

45. Rientra pertanto negli impegni primari della preparazione al Giubileo la riscoperta della presenza e dell'azione dello Spirito, che agisce nella Chiesa sia sacramentalmente, soprattutto mediante la Confermazione, sia attraverso molteplici carismi, compiti e ministeri da Lui suscitati per il bene di essa: « Uno è lo Spirito, il quale per l'utilità della Chiesa distribuisce i suoi vari doni con magnificenza proporzionata alla sua ricchezza e alle necessità dei servizi (cf. 1 Cor 12, 1-11). Fra questi doni viene al primo posto la grazia degli Apostoli, alla cui autorità lo stesso Spirito sottomette anche i carismatici (cf. 1 Cor 14). Ed è ancora lo Spirito stesso che, con la sua forza e mediante l'intima connessione delle membra, produce e stimola la carità tra i fedeli ».(32)

Lo Spirito è anche per la nostra epoca l'agente principale della nuova evangelizzazione. Sarà dunque importante riscoprire lo Spirito come Colui che costruisce il Regno di Dio nel corso della storia e prepara la sua piena manifestazione in Gesù Cristo, animando gli uomini nell'intimo e facendo germogliare all'interno del vissuto umano i semi della salvezza definitiva che avverrà alla fine dei tempi.

46. In questa prospettiva escatologica, i credenti saranno chiamati a riscoprire la virtù teologale della speranza, di cui hanno « già udito l'annunzio dalla parola di verità del Vangelo » (Col 1, 5). Il fondamentale atteggiamento della speranza, da una parte, spinge il cristiano a non perdere di vista la meta finale che dà senso e valore all'intera sua esistenza e, dall'altra, gli offre motivazioni solide e profonde per l'impegno quotidiano nella trasformazione della realtà per renderla conforme al progetto di Dio.

Come ricorda l'apostolo Paolo: « Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Poiché nella speranza noi siamo stati salvati » (Rm 8, 22-24). I cristiani sono chiamati a prepararsi al Grande Giubileo dell'inizio del terzo millennio rinnovando la loro speranza nell'avvento definitivo del Regno di Dio, preparandolo giorno dopo giorno nel loro intimo, nella Comunità cristiana a cui appartengono, nel contesto sociale in cui sono inseriti e così anche nella storia del mondo.

È necessario inoltre che siano valorizzati ed approfonditi i segni di speranza presenti in questo ultimo scorcio di secolo, nonostante le ombre che spesso li nascondono ai nostri occhi: in campo civile, i progressi realizzati dalla scienza, dalla tecnica e soprattutto dalla medicina a servizio della vita umana, il più vivo senso di responsabilità nei confronti dell'ambiente, gli sforzi per ristabilire la pace e la giustizia ovunque siano state violate, la volontà di riconciliazione e di solidarietà fra i diversi popoli, in particolare nei complessi rapporti fra il Nord ed il Sud del mondo ...; in campo ecclesiale, il più attento ascolto della voce dello Spirito attraverso l'accoglienza dei carismi e la promozione del laicato, l'intensa dedizione alla causa dell'unità di tutti i cristiani, lo spazio dato al dialogo con le religioni e con la cultura contemporanea ...

47. La riflessione dei fedeli nel secondo anno di preparazione dovrà convergere con sollecitudine particolare sul valore dell'unità all'interno della Chiesa, a cui tendono i vari doni e carismi suscitati in essa dallo Spirito. A questo proposito si potrà opportunamente approfondire l'insegnamento ecclesiologico del Concilio Vaticano II contenuto soprattutto nella Costituzione dogmatica Lumen gentium. Questo importante documento ha espressamente sottolineato che l'unità del Corpo di Cristo èfondata sull'azione dello Spirito, è garantita dal ministero apostolico ed è sostenuta dall'amore vicendevole (cf. 1 Cor 13, 1-8). Tale approfondimento catechetico della fede non potrà non portare i membri del Popolo di Dio ad una più matura coscienza delle proprie responsabilità, come pure ad un più vivo senso del valore dell'obbedienza ecclesiale.(33)

48. Maria, che concepì il Verbo incarnato per opera dello Spirito Santo e che poi in tutta la propria esistenza si lasciò guidare dalla sua azione interiore, sarà contemplata e imitata nel corso di quest'anno soprattutto come la donna docile alla voce dello Spirito, donna del silenzio e dell'ascolto, donna di speranza, che seppe accogliere come Abramo la volontà di Dio « sperando contro ogni speranza » (Rm 4, 18). Ella ha portato a piena espressione l'anelito dei poveri di Jahvé, risplendendo come modello per quanti si affidano con tutto il cuore alle promesse di Dio.

III anno: Dio Padre

49. Il 1999, terzo ed ultimo anno preparatorio, avrà la funzione di dilatare gli orizzonti del credente secondo la prospettiva stessa di Cristo: la prospettiva del « Padre che è nei cieli » (cf. Mt 5, 45), dal quale è stato mandato ed al quale è ritornato (cf. Gv 16, 28).

« Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo » (Gv 17, 3). Tutta la vita cristiana è come un grande pellegrinaggio verso la casa del Padre, di cui si riscopre ogni giorno l'amore incondizionato per ogni creatura umana, ed in particolare per il « figlio perduto » (cf. Lc 15, 11-32). Tale pellegrinaggio coinvolge l'intimo della persona allargandosi poi alla comunità credente per raggiungere l'intera umanità.

Il Giubileo, centrato sulla figura di Cristo, diventa così un grande atto di lode al Padre: « Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi ed immacolati al suo cospetto nella carità » (Ef 1, 3-4).

50. In questo terzo anno il senso del « cammino verso il Padre » dovrà spingere tutti a intraprendere, nell'adesione a Cristo Redentore dell'uomo, un cammino di autentica conversione, che comprende sia un aspetto « negativo » di liberazione dal peccato sia un aspetto « positivo » di scelta del bene, espresso dai valori etici contenuti nella legge naturale, confermata e approfondita dal Vangelo. È questo il contesto adatto per la riscoperta e la intensa celebrazione del sacramento della Penitenza nel suo significato più profondo. L'annuncio della conversione come imprescindibile esigenza dell'amore cristiano è particolarmente importante nella società attuale, in cui spesso sembrano smarriti gli stessi fondamenti di una visione etica dell'esistenza umana.

Sarà pertanto opportuno, specialmente in questo anno, mettere in risalto la virtù teologale della carità, ricordando la sintetica e pregnante affermazione della prima Lettera di Giovanni: « Dio è amore » (4, 8.16). La carità, nel suo duplice volto di amore per Dio e per i fratelli, è la sintesi della vita morale del credente. Essa ha in Dio la sua scaturigine e il suo approdo.

51. In questa prospettiva, ricordando che Gesù è venuto ad « evangelizzare i poveri » (Mt 11, 5; Lc 7, 22), come non sottolineare più decisamente l'opzione preferenziale della Chiesa per i poveri e gli emarginati? Si deve anzi dire che l'impegno per la giustizia e per la pace in un mondo come il nostro, segnato da tanti conflitti e da intollerabili disuguaglianze sociali ed economiche, è un aspetto qualificante della preparazione e della celebrazione del Giubileo. Così, nello spirito del Libro del Levitico (25, 8-28), i cristiani dovranno farsi voce di tutti i poveri del mondo, proponendo il Giubileo come un tempo opportuno per pensare, tra l'altro, ad una consistente riduzione, se non proprio al totale condono, del debito internazionale, che pesa sul destino di molte Nazioni. Il Giubileo potrà pure offrire l'opportunità di meditare su altre sfide del momento quali, ad esempio, le difficoltà di dialogo fra culture diverse e le problematiche connesse con il rispetto dei diritti della donna e con la promozione della famiglia e del Matrimonio.

52. Ricordando, inoltre, che « Cristo (...) proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione »,(34) due impegni saranno ineludibili specialmente nel corso del terzo anno preparatorio: quello del confronto con il sec larismo e quello del dialogo con le grandi religioni.

Quanto al primo, sarà opportuno affrontare la vasta tematica della crisi di civiltà, quale è venuta manifestandosi soprattutto nell'Occidente tecnologicamente più sviluppato, ma interiormente impoverito dalla dimenticanza o dall'emarginazione di Dio. Alla crisi di civiltà occorre rispondere con la civiltà dell'amore, fondata sui valori universali di pace, solidarietà, giustizia e libertà, che trovano in Cristo la loro piena attuazione.

53. Per quanto riguarda invece l'orizzonte della coscienza religiosa, la vigilia del Duemila sarà una grande occasione, anche alla luce degli avvenimenti di questi ultimi decenni, per il dialogo interreligioso, secondo le chiare indicazioni date dal Concilio Vaticano II nella Dichiarazione Nostra aetate sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane.

In tale dialogo dovranno avere un posto preminente gli ebrei e i musulmani. Voglia Dio che a sigillo di tali intenzioni si possano realizzare anche incontri comuni in luoghi significativi per le grandi religioni monoteiste.

Si studia, in proposito, come predisporre sia storici appuntamenti a Betlemme, Gerusalemme e sul Sinai, luoghi di grande valenza simbolica, per intensificare il dialogo con gli ebrei e i fedeli dell'Islam, sia incontri con rappresentanti delle grandi religioni del mondo in altre città. Sempre tuttavia si dovrà far attenzione a non ingenerare pericolosi malintesi, ben vigilando sul rischio del sincretismo e di un facile e ingannevole irenismo.

54. In tutto questo ampio orizzonte di impegni, Maria Santissima, figlia prescelta del Padre, sarà presente allo sguardo dei credenti come esempio perfetto di amore, sia verso Dio che verso il prossimo. Come Ella stessa afferma nel cantico del Magnificat, grandi cose ha fatto in lei l'Onnipotente, il cui nome è Santo (cf. Lc 1, 49). Il Padre ha scelto Maria per una missione unica nella storia della salvezza: quella di essere Madre dell'atteso Salvatore. La Vergine ha risposto alla chiamata di Dio con una piena disponibilità: « Eccomi, sono la serva del Signore » (Lc 1, 38). La sua maternità, iniziata a Nazaret e vissuta sommamente a Gerusalemme sotto la Croce, sarà sentita in quest'anno come affettuoso e pressante invito rivolto a tutti i figli di Dio, perché facciano ritorno alla casa del Padre ascoltando la sua voce materna: « Fate quello che Cristo vi dirà » (cf. Gv 2, 5).

c) In vista della celebrazione

55. Un capitolo a sé è costituito dalla celebrazione stessa del Grande Giubileo, che avverrà contemporaneamente in Terra Santa, a Roma e nelle Chiese locali del mondo intero. Soprattutto in questa fase, la fase celebrativa, l'obiettivo sarà la glorificazione della Trinità, dalla quale tutto viene e alla quale tutto si dirige, nel mondo e nella storia. A questo mistero guardano i tre anni di preparazione immediata: da Cristo e per Cristo, nello Spirito Santo, al Padre. In questo senso la celebrazione giubilare attualizza ed insieme anticipa la meta e il compimento della vita del cristiano e della Chiesa in Dio uno e trino.

Essendo però Cristo l'unica via di accesso al Padre, per sottolinearne la presenza viva e salvifica nella Chiesa e nel mondo, si terrà a Roma, in occasione del Grande Giubileo, il Congresso eucaristico internazionale. Il Duemila sarà un anno intensamente eucaristico: nel sacramento dell'Eucaristia il Salvatore, incarnatosi nel grembo di Maria venti secoli fa, continua ad offrirsi all'umanità come sorgente di vita divina.

La dimensione ecumenica ed universale del Sacro Giubileo, potrà opportunamente essere evidenziata da un significativo incontro pancristiano. Si tratta di un gesto di grande valore e per questo, ad evitare equivoci, esso va proposto correttamente e preparato con cura, in atteggiamento di fraterna collaborazione con i cristiani di altre Confessioni e tradizioni, nonché di grata apertura a quelle religioni i cui rappresentanti volessero esprimere la loro attenzione alla gioia comune di tutti i discepoli di Cristo.

Una cosa è certa: ciascuno è invitato a fare quanto è in suo potere, perché non venga trascurata la grande sfida dell'Anno 2000, a cui è sicuramente connessa una particolare grazia del Signore per la Chiesa e per l'intera umanità.


V

« GESÙ CRISTO È LO STESSO (...) SEMPRE »
(Eb 13, 8)

56. La Chiesa perdura da 2000 anni. Come l'evangelico granello di senapa, essa cresce fino a diventare un grande albero, capace di coprire con le sue fronde l'intera umanità (cf. Mt 13, 31-32). Il Concilio Vaticano II nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa, considerando la questione dell'appartenenza alla Chiesa e della ordinazione al Popolo di Dio, così si esprime: « Tutti gli uomini sono quindi chiamati a questa cattolica unità del Popolo di Dio (...) alla quale in vario modo appartengono o sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, sia, infine, tutti gli uomini, che dalla grazia di Dio sono chiamati alla salvezza ».(35) Paolo VI, da parte sua, nell'Enciclica Ecclesiam suam illustra l'universale coinvolgimento degli uomini nel disegno di Dio, sottolineando i vari cerchi del dialogo della salvezza.(36)

Alla luce di tale impostazione si può comprendere meglio anche la parabola evangelica del lievito (cf. Mt 13, 33): Cristo, come lievito divino, penetra sempre più profondamente nel presente della vita dell'umanità diffondendo l'opera della salvezza da Lui compiuta nel Mistero pasquale. Egli avvolge inoltre nel suo dominio salvifico anche tutto il passato del genere umano, cominciando dal primo Adamo.(37) A lui appartiene il futuro: « Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre » (Eb 13, 8). La Chiesa da parte sua « mira a questo solo: a continuare, sotto la guida dello Spirito Paraclito, l'opera stessa di Cristo, il quale è venuto nel mondo a rendere testimonianza alla verità, a salvare e non a condannare, a servire e non ad essere servito ».(38)

57. E perciò, sin dai tempi apostolici, continua senza interruzione la missione della Chiesa all'interno della universale famiglia umana. La prima evangelizzazione interessò soprattutto la regione del Mediterraneo. Nel corso del primo millennio le missioni, partendo da Roma e da Costantinopoli, portarono il cristianesimo nell'intero continente europeo. Contemporaneamente esse si diressero verso il cuore dell'Asia, fino all'India ed alla Cina. La fine del XV secolo, insieme con la scoperta dell'America, segnò l'inizio dell'evangelizzazione in quel grande continente, al sud e al nord. Nello stesso tempo, mentre le coste sub-sahariane dell'Africa accoglievano la luce di Cristo, san Francesco Saverio, patrono delle missioni, giungeva fino al Giappone. A cavallo dei secoli XVIII e XIX, un laico, Andrea Kim, recò il cristianesimo in Corea; in quella stessa epoca l'annuncio evangelico raggiunse la Penisola indocinese, come pure l'Australia e le isole del Pacifico.

Il XIX secolo ha registrato una grande attività missionaria tra i popoli dell'Africa. Tutte queste opere hanno dato frutti che perdurano fino ad oggi. Il Concilio Vaticano II ne dà conto nel Decreto Ad Gentes sull'attività missionaria. Dopo il Concilio la questione missionaria è stata trattata nell'Enciclica Redemptoris missio, relativa ai problemi delle missioni in quest'ultima parte del nostro secolo. La Chiesa anche in futuro continuerà ad essere missionaria: la missionarietà infatti fa parte della sua natura. Con la caduta di grandi sistemi anticristiani nel continente europeo, del nazismo prima e poi del comunismo, si impone il compito urgente di offrire nuovamente agli uomini e alle donne dell'Europa il messaggio liberante del Vangelo.(39) Inoltre, come afferma l'Enciclica Redemptoris missio, si ripete nel mondo la situazione dell'Areopago di Atene, dove parlò san Paolo.(40) Oggi sono molti gli « areopaghi », e assai diversi: sono i vasti campi della civiltà contemporanea e della cultura, della politica e dell'economia. Più l'Occidente si stacca dalle sue radici cristiane, più diventa terreno di missione, nella forma di svariati « areopaghi ».

58. Il futuro del mondo e della Chiesa appartiene alle giovani generazioni che, nate in questo secolo, saranno mature nel prossimo, il primo del nuovo millennio. Cristo attende i giovani, come attendeva il giovane che gli pose la domanda: « Che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna? » (Mt 19, 16). Alla stupenda risposta che Gesù gli diede ho fatto riferimento nella recente Enciclica Veritatis splendor, come, in precedenza, nella Lettera ai giovani di tutto il mondo del 1985. I giovani, in ogni situazione, in ogni regione della terra non cessano di porre domande a Cristo: lo incontrano e lo cercano per interrogarlo ulteriormente. Se sapranno seguire il cammino che Egli indica, avranno la gioia di recare il proprio contributo alla sua presenza nel prossimo secolo e in quelli successivi, sino al compimento dei tempi. « Gesù è lo stesso ieri, oggi e sempre ».

59. In conclusione, tornano opportune le parole della Costituzione pastorale Gaudium et spes: « La Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto, dà all'uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza perché l'uomo possa rispondere alla suprema sua vocazione; né è dato in terra un altro nome agli uomini, in cui possano salvarsi. Crede ugualmente di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine dell'uomo nonché di tutta la storia umana. Inoltre la Chiesa afferma che al di sotto di tutti i mutamenti ci sono molte cose che non cambiano; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli. Così nella luce di Cristo, immagine del Dio invisibile, primogenito di tutte le creature, il Concilio intende rivolgersi a tutti per illustrare il mistero dell'uomo e per cooperare nella ricerca di una soluzione ai principali problemi del nostro tempo ».(41)

Mentre invito i fedeli ad elevare al Signore insistenti preghiere per ottenere i lumi e gli aiuti necessari nella preparazione e nella celebrazione del Giubileo ormai prossimo, esorto i Venerati Fratelli nell'Episcopato e le Comunità ecclesiali a loro affidate ad aprire il cuore ai suggerimenti dello Spirito. Egli non mancherà di muovere gli animi perché si dispongano a celebrare con fede rinnovata e generosa partecipazione il grande evento giubilare.

Affido questo impegno di tutta la Chiesa alla celeste intercessione di Maria, Madre del Redentore. Ella, la Madre del bell'amore, sarà per i cristiani incamminati verso il grande Giubileo del terzo millennio la Stella che ne guida con sicurezza i passi incontro al Signore. L'umile Fanciulla di Nazaret, che duemila anni fa offerse al mondo il Verbo incarnato, orienti l'umanità del nuovo millennio verso Colui che è « la luce vera, quella che illumina ogni uomo » (Gv 1, 9).

Con questi sentimenti a tutti imparto la mia Benedizione.

Dal Vaticano, il 10 novembre dell'anno 1994, diciassettesimo di Pontificato.

 

 

SPIRITUS DOMINI

LETTERA APOSTOLICA
SPIRITUS DOMINI
DEL SOMMO PONTEFICE
GIOVANNI PAOLO II
PER IL BICENTENARIO DELLA MORTE
DI S.ALFONSO MARIA DE' LIGUORI

Al diletto figlio Giovanni M. Lasso de la Vega y Miranda, superiore generale della Congregazione del Santissimo Redentore

Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, mi ha mandato ad annunziare ai poveri un lieto messaggio, a sanare i contriti di cuore (Lc 4,18; cfr. Is 61,1).

1. Il testo biblico che Gesù, l'inviato del Padre, applicò a sé all'inizio della sua investitura messianica e che apre la liturgia della festa di sant'Alfonso M. de' Liguori, risuona in modo particolarmente solenne nel giorno in cui celebriamo il secondo centenario della nascita al cielo di questo zelantissimo vescovo, dottore e fondatore della Congregazione del Santissimo Redentore.

E' con grande gioia che oggi, mi rivolgo a lei e a tutti i figli di sant'Alfonso, partecipando con tutta la Chiesa; il ricordo ancora attuale di un Santo che fu maestro di sapienza al suo tempo e con l'esempio della vita e con l'insegnamento continua a illuminare, come luce riflessa di Cristo, luce delle genti, il cammino del popolo di Dio.

Alfonso nacque a Marianella di Napoli il 27 settembre 1696. Ebbe, come erede di una nobile famiglia, una formazione completa e accurata in campo sia umanistico che giuridico. Tale formazione nella sua adolescenza e giovinezza fu accompagnata da una pratica cristiana vigile e fervorosa: profonda pietà eucaristica e mariana, visita ai malati e ai carcerati, tenerezza verso i poveri, forte impegno nell'apostolato laicale. Dopo una brillante carriera nel foro di Napoli, Alfonso abbandona il mondo per consacrarsi a Dio solo, e a trent'anni, il 21 dicembre 1726, viene ordinato sacerdote aggregato al clero di Napoli. Si prodiga subito in un intenso apostolato nei quartieri più poveri di Napoli, dando tra l'altro vigore alle cosiddette «cappelle serotine», che diventano una scuola di rieducazione civile e morale. Al ministero in città egli affianca quello della predicazione nelle regioni periferiche del Regno, come membro delle «Apostoliche missioni» della diocesi di Napoli.

Questa esperienza, che lo mette a contatto con un mondo diverso, culturalmente sprovvisto e spiritualmente carente, fa maturare in lui la scelta decisiva per «le anime più abbandonate delle campagne e dei paesetti rurali». E per l'evangelizzazione dei poveri fonda a Scala (Salerno) il 9 novembre 1732, un Istituto missionario: la Congregazione del Santissimo Redentore, la quale è caratterizzata soprattutto dalla predicazione itinerante delle Missioni al popolo, dagli esercizi spirituali e dall'attività catechistica. Per trenta anni (1732-1762) l'apostolato missionario porta Alfonso nelle più varie direzioni approfondendo in lui la scelta in favore dei poveri e degli umili.

Nel 1762 a 66 anni, viene nominato vescovo di Sant'Agata dei Goti, sviluppando nel nuovo compito pastorale un'attività che ha quasi dell'incredibile, nella duplice direzione del ministero diretto e dell'apostolato della penna, fiaccato da una dolorosa artrite deformante, nel 1779 lascia la diocesi e si ritira a Pagani (Salerno) nella casa del suo Istituto, dove tra molte sofferenze fisiche e spirituali, sopportate con uniformità alla volontà di Dio, rimane fino alla morte avvenuta il 1· agosto 1787, all'età di 91 anni. Questa vita lunghissima fu colma di un lavoro incessante: lavoro di missionario, di vescovo, di teologo e di scrittore spirituale, di fondatore e superiore di una Congregazione religiosa. Dopo questa breve descrizione cronologica della sua vita, sembra opportuno illustrare quale importanza egli abbia avuto nella società del suo tempo.

Per andare incontro alle necessità del popolo di Dio egli affiancò presto all'apostolato della parola e dell'azione pastorale, quello della penna. Si tratta di due aspetti inseparabili della sua vita e della sua attività che si completano a vicenda e imprimono alla produzione letteraria del Santo un carattere pastorale inconfondibile. L'impegno dello scrittore, infatti, promana dalla predicazione e ad essa riconduce nella persistente tensione verso la salvezza delle anime. Iniziata con le Massime eterne e le Canzoncine spirituali, la sua attività letteraria conobbe un crescendo straordinario che raggiunse il culmine negli anni dell'episcopato. La produzione complessiva comprende ben centoundici titoli e abbraccia tre grandi campi: la morale, la fede e la vita spirituale.

Alfonso fu il rinnovatore della morale: a contatto con la gente incontrata in confessionale, specialmente nel corso della predicazione missionaria, egli gradualmente e non senza fatica sottopose a revisione la sua mentalità, raggiungendo progressivamente il giusto equilibrio tra la severità e la libertà. A proposito del rigorismo spesso criticato nel sacramento della Penitenza, che egli chiamava «ministero di grazia e di perdono», soleva ripetere: «Siccome la lassezza, ascoltandosi le confessioni, ruina le anime, così loro è di gran danno la rigidezza. Io riprovo certi rigori, non secondo la scienza, che sono in distruzione e non in edificazione. Coi peccatori ci vuole carità, e dolcezza: questo fu il carattere di Gesù Cristo. E noi, se vogliamo portare anime a Dio e salvarle, Gesù Cristo e non Giansenio dobbiamo imitare che è il capo di tutti i missionari».

E nella sua opera maggiore di morale scrisse, tra l'altro, queste mirabili parole: «Essendo certo, o da ritenere come certo... che agli uomini non si devono imporre cose sotto colpa grave, a meno che non lo suggerisca un'evidente ragione (...). Considerando la presente fragilità della condizione umana, non è sempre vero che sia più sicuro avviare le anime per la via più stretta, mentre vediamo che la Chiesa ha condannato tanto il lassismo quanto il rigorismo». Non c'è dubbio che la «Praxis Confessarii», l'«Homo Apostolicus» e l'opera principale, la «Theologia moralis», hanno fatto di lui il maestro della morale cattolica.

2. Nel campo della controversia teologica egli si impegnò contro movimenti allora emergenti: l'illuminismo, che minava dalle fondamenta la fede cristiana; il giansenismo, sostenitore di una dottrina sulla grazia, che, invece di alimentare la fiducia e animare alla speranza, portava alla disperazione o, per contrasto, al disimpegno; il febronianismo che, frutto del giansenismo politico e del giurisdizionalismo, limitava l'autorità del romano Pontefice in favore dei prìncipi e delle Chiese nazionali. In sede strettamente dommatica si deve dire che Alfonso elaborò una dottrina della grazia imperniata sulla preghiera, la quale restituirà alle anime il respiro della fiducia e l'ottimismo della salvezza. Scrisse tra l'altro: «Dio non nega ad alcuno la grazia della preghiera, con ogni concupiscenza e ogni tentazione. E dico, e replico e replicherò sempre sino a che avrò vita che tutta la nostra salute sta nel pregare». Da qui il famoso assioma: «Chi prega si salva, chi non prega si danna».

La struttura della spiritualità alfonsiana potrebbe ridursi a questi due elementi: la preghiera e la grazia. La preghiera per sant'Alfonso non è un esercizio primariamente ascetico: essa è un'esigenza radicale della natura correlata alla dinamica stessa della salvezza, ed è evidente che una tale impostazione fa capire l'importanza che la preghiera assume nella pratica della vita cristiana, come «il gran mezzo della salvezza». Alla stregua dell'opera morale e dommatica, anzi in misura maggiore, la produzione spirituale di Alfonso nasce dall'apostolato e lo integra.

Sono a tutti note le sue opere spirituali. Ricordiamo le maggiori, in ordine di tempo: le «Glorie di Maria», l'«Apparecchio alla morte», «Del gran mezzo della preghiera», «La vera sposa di Gesù Cristo», «Le visite al SS. Sacramento e a Maria santissima», «Il modo di conversare continuamente e alla familiare con Dio», e soprattutto, la «Pratica di amar Gesù Cristo», il suo capolavoro ascetico e il compendio del suo pensiero.

Se poi ci si chiede quali siano le caratteristiche della sua spiritualità, esse si possono così riassumere: essa è una spiritualità di popolo. Ecco in breve: Tutti sono chiamati alla santità, ognuno nel proprio stato. La santità e la perfezione consistono essenzialmente nell'amore di Dio, che trova il suo culmine e la sua perfezione nell'uniformità alla volontà di Dio: non di un Dio astratto, ma di un Dio padre degli uomini: il Dio della «salvezza», che si manifesta in Gesù Cristo. La dimensione cristologica è una nota essenziale della spiritualità alfonsiana, essendo l'Incarnazione, la Passione e l'Eucaristia i massimi segni dell'amore divino. Molto felicemente pertanto la seconda lettura della Liturgia delle Ore è tratta dal primo capitolo della sua opera: «Pratica di amar Gesù Cristo».

Alfonso annette un'importanza capitale alla vita sacramentale, specialmente all'Eucaristia e al culto eucaristico, di cui le visite costituiscono l'espressione più tipica. Un posto tutto particolare nell'economia della salvezza è la devozione alla Madonna: Mediatrice di grazia, socia della redenzione e perciò Madre, Avvocata e Regina. In realtà, Alfonso fu sempre tutto di Maria, dall'inizio della sua vita fino al termine.

La fama di Alfonso, notevolissima in vita, crebbe in misura straordinaria dopo la sua morte, restando inalterata in questi due secoli. Questo è il motivo per cui, dopo la Canonizzazione decretata dal mio predecessore, il Papa Gregorio XVI, il 26 maggio 1839, cominciarono ad arrivare alla Santa Sede le lettere postulatorie perché venisse conferito al Santo il titolo di dottore della Chiesa. Tale titolo gli venne conferito dal Papa Pio IX il 23 marzo 1871. E lo stesso Papa il 7 luglio 1871, con la Lettera apostolica «Qui Ecclesiae suae», commentando il titolo di dottore della Chiesa dato al Santo, affermava: Si può senz'altro affermare in tutta verità che non c'è errore anche dei nostri tempi che, almeno in massima parte, non sia stato respinto da Alfonso.

E la sua fama i Papi successivi hanno sempre riconosciuto, ricordato e divulgato fino ai nostri giorni. Il Papa Pio XII di v.m., che il 26 aprile 1950 aveva conferito a sant'Alfonso il nuovo titolo di «celeste patrono di tutti i confessori e moralisti», in data 7 aprile 1953 affermava: «Tesori di vita spirituale ha diffusi nei suoi scritti il Santo dallo zelo missionario, dalla carità pastorale, dalla accesa pietà eucaristica, dalla tenera devozione alla Madonna; e i lumi della sua mente e gli slanci del suo cuore, nutriti gli uni e gli altri di celeste sapienza, sono per le anime sostanza di vita e di pietà da tutte assimilabile e a tutte soave invito al raccoglimento dello spirito, facile impulso all'elevazione del cuore in Dio».

Del Papa Giovanni XIII di v.m. merita di essere ricordata la seguente esclamazione: «Oh! Sant'Alfonso, Sant'Alfonso! Quale gloria e quale oggetto di studio per il clero italiano! Noi abbiamo familiare la sua vita e le sue opere sin dai primi anni della nostra formazione ecclesiastica».

Dalla testimonianza della storia della Chiesa e della pietà popolare risulta che il messaggio di sant'Alfonso è ancora attuale. E la Chiesa lo ripropone oggi a lei, ai diletti figli che sono membri della sua Congregazione e a tutti i cristiani.

Desidero attirare la vostra attenzione su alcuni aspetti che oggi sembrano particolarmente eloquenti sant'Alfonso fu molto amico del popolo, del popolo minuto, del popolo dei quartieri poveri della capitale del Regno di Napoli, del popolo degli umili, degli artigiani e, soprattutto, della gente della campagna. Questo senso del popolo caratterizza tutta la vita del Santo, come Missionario come fondatore, come vescovo, come scrittore. Per il popolo egli ripenserà la predicazione, la catechesi, l'insegnamento della morale e della stessa vita spirituale.

Quale missionario, andò in cerca delle «anime più abbandonate delle campagne e dei paesetti rurali», rivolgendosi al popolo con i mezzi pastorali più idonei ed efficaci. Rinnovò la predicazione nei metodi e nei contenuti, collegandola con un'arte oratoria semplice e immediata. Parlava in questa forma, perché tutti potessero capire.

Quale fondatore, volle un gruppo che, sul suo esempio, facesse la scelta radicale in favore dei più abbandonati e si installasse stabilmente vicino a loro.

Quale vescovo, teneva la sua casa aperta a tutti, ma i clienti più ambiti erano gli umili e i semplici. Per il suo popolo promosse anche iniziative sociali ed economiche.

Quale scrittore, mirava sempre e solo all'utilità della gente. Le sue opere, non esclusa quella morale, sono come sollecitate dal popolo. Scriveva l'allora patriarca di Venezia, card. Albino Luciani: «Alfonso è teologo in vista di problemi pratici da risolvere presto, in seguito ad esperienze vissute. Vede che nei cuori va ravvivata la carità? Scrive opere di ascetica. Vuol rafforzare la fede e la speranza del popolo? Scrive opere di teologia dommatica e morale».

La popolarità del Santo deve il suo fascino alla brevità, alla chiarezza, alla semplicità, all'ottimismo, all'affabilità che arriva fino alla tenerezza. Alla radice di questo suo senso del popolo sta l'ansia della salvezza: salvarsi e salvare. Una salvezza che va fino alla perfezione, alla santità. Il quadro di riferimento della sua azione pastorale non esclude nessuno: egli scrive a tutti, scrive per tutti. I pastori del popolo di Dio in particolare i vescovi, i sacerdoti, i religiosi sono da lui sollecitati al dono di sé per il popolo variamente loro affidato.

3. Il messaggio alfonsiano, anche quando egli rinnova, e soprattutto allora, emerge dalla coscienza plurisecolare della Chiesa. Il Santo ebbe come pochi il «sensus Ecclesiae»: un criterio che lo accompagnò nella ricerca teologica e nella prassi pastorale fino a diventare egli stesso in qualche modo la voce della Chiesa. Particolarissima venerazione ebbe per il sommo Pontefice, il cui primato e infallibilità difese in tempi difficili. E anche sul piano personale rivelò questa venerazione a tutta prova.

Se come Santo, vescovo e dottore sant'Alfonso appartiene a tutta la Chiesa, come fondatore rappresenta il punto di riferimento obbligato per la sua Congregazione. A questo proposito desidero richiamare in particolare tre aspetti della sua «lezione» di vita: la vicinanza al popolo: essendo la Congregazione del Santissimo Redentore diffusa nel mondo intero, la ricerca delle «anime più abbandonate», che fu l'intuizione del fondatore, deve essere perseguita, secondo le particolari contingenze di luogo e di tempo, in una fedeltà radicale. In questa ricerca la preferenza va data agli umili e ai semplici, che sono generalmente anche i più poveri.

La Congregazione, perciò, nel presente e negli anni futuri deve impegnarsi generosamente nel perseguire l'attuazione di questa priorità pastorale a tutti i livelli. Ho appreso infatti con piacere che il vostro capitolo generale 1985 si è lodevolmente impegnato per la «Missio ad gentes» specialmente in Asia e in Africa. E' impegno che corrisponde alle intenzioni originarie del vostro fondatore.

Le missioni popolari sono una forma consolidata dell'attività pastorale della Congregazione. Esse hanno sempre indicato la vostra vicinanza al popolo. Le missioni, sulle quali sant'Alfonso lasciò un'impronta indelebile e che in varie occasioni io stesso ho raccomandato in vari documenti, devono assumere a mezzo vostro un nuovo vigore per il bene della Chiesa. Nella predicazione missionaria, come in ogni altra forma della vostra attività apostolica, abbiate una cura particolare di quei contenuti che hanno sempre costituito la peculiarità dei figli di sant'Alfonso: i quattro Novissimi, da annunziare con la sensibilità pastorale di oggi; l'amore misericordioso di Dio Padre, «Dives in misericordia»; l'abbondante redenzione realizzata in Cristo, «Redemptor Hominis»; l'intercessione materna di Maria, «Redemptoris Mater», Avvocata e Mediatrice; la necessità della preghiera per raggiungere il paradiso ed evitare l'inferno.

Da ultimo, lo studio e l'insegnamento della dottrina morale: nessuno ignora quanto grande sia, specialmente in questo nostro tempo, l'importanza della teologia morale. Opportunamente il Concilio Vaticano II ha raccomandato: «Si ponga speciale cura nel perfezionare la teologia morale in modo che la sua esposizione scientifica, maggiormente fondata sulla Sacra Scrittura, illustri l'altezza della vocazione dei fedeli in Cristo e il loro obbligo di apportare frutto nella carità per la vita del mondo». Infatti, «il bene della persona è di essere nella Verità e di fare la Verità. Questo essenziale legame di Verità-Bene-Libertà è stato smarrito in larga parte dalla cultura contemporanea e, pertanto, ricondurre l'uomo a riscoprirlo è oggi una delle esigenze proprie della missione della Chiesa, per la salvezza del mondo». Il bicentenario alfonsiano si offre come occasione propizia per dedicarsi con rinnovato slancio a tale impegno, cercando di farsi guidare, pur nel mutato contesto socio-culturale, dal grande equilibrio umano e dal profondo senso di fede, che sant'Alfonso costantemente dimostrò nella sua attività di studioso e di pastore. Questa Sede apostolica, per parte sua, non mancherà di recare il proprio contributo di illuminazione trattando, in un prossimo documento, più ampiamente e più profondamente le questioni riguardanti i fondamenti stessi della teologia morale.

Certo, la vita moderna pone nuovi problemi, che spesso non è facile risolvere. Dovrà tuttavia sempre aversi presente, nella direzione delle anime e nel ministero dell'insegnamento, che il criterio irrinunciabile a cui occorre sempre attenersi resta la parola di Dio, qual è autenticamente interpretata dal magistero della Chiesa. Sempre, inoltre, ci si dovrà far guidare dalla benignità pastorale, secondo il saggio ammonimento del Papa Paolo VI: «Non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo è eminente forma di carità verso le anime. Ma ciò deve sempre accompagnarsi con la pazienza e la bontà di cui il Redentore stesso ha dato l'esempio nel trattare con gli uomini».

La lettera apostolica che oggi le invio, nel giorno del bicentenario della morte di sant'Alfonso, vuole esprimere le mie convinzioni e i miei sentimenti a riguardo di un Santo, che è stato maestro di sapienza e padre nella fede.

Rivolgendomi ai figli di sant'Alfonso sparsi per il mondo, che ella degnamente rappresenta, vorrei ricordare quale sarebbero i desideri di sì grande padre per la sua eredità che è la Congregazione da lui fondata. Sono i desideri che sant'Alfonso ha espresso nella sua azione pastorale e nei suoi scritti: la fedeltà a Cristo e al suo Vangelo, la fedeltà alla Chiesa e alla sua missione nel mondo, la fedeltà all'uomo e al nostro tempo, la fedeltà al carisma del vostro Istituto.

Siate sempre nella vostra vita e nella vostra attività, senza mai deflettere, i continuatori dell'opera del Redentore, del quale portate il titolo e il nome, secondo il fine del vostro Istituto, datovi dal Santo: Seguire l'esempio di Gesù Cristo, predicando la parola di Dio ai poveri, come egli disse di se stesso: Mi ha mandato ad annunziare ai poveri un lieto messaggio. La vostra Congregazione, nel suo lungo cammino di 255 anni, ha espresso dei santi che amo ricordare: il religioso fratello san Gerardo Majella (1726-1755); san Clement M. Hofbauer (1751-1820), del quale ricorre questo anno il secondo centenario dell'arrivo nella terra di Polonia e che ho avuto occasione di ricordare partecipando con una lettera alle celebrazioni di Varsavia (10-17 maggio 1987); san Giovanni Nepomuceno Neumann (1811-1860 ) e il beato Pietro Donders (1809-1887), che io stesso ho elevato all'onore degli altari.

L'esempio di sant'Alfonso e dei suoi figli migliori, riconosciuti come santi dalla Chiesa, ispiri a voi tutti l'anelito verso la perfezione della santità.

Lieto di aver partecipato con questa lettera alle celebrazioni della Chiesa e del vostro Istituto, imparto di cuore a lei, a tutti i figli di sant'Alfonso, alle Suore Redentoriste e all'intera famiglia Alfonsiana una speciale benedizione apostolica pegno delle grazie celesti.

 

 

SESCENTESIMA ANNIVERSARIA

LETTERA APOSTOLICA
SESCENTESIMA ANNIVERSARIA
DEL SOMMO PONTEFICE
GIOVANNI PAOLO II
PER IL VI CENTENARIO
DEL "BATTESIMO" DELLA LITUANIA

 

Al venerato fratello
Liudas Povilonis
Amministratore Apostolico
di Kaunas e di Vilkaviskis
Presidente della Conferenza Episcopale Lituana
e agli altri Vescovi della Lituania.

Venerati fratelli nell'episcopato della Lituania.

1. Il seicentesimo anniversario del «battesimo» della vostra nazione, che solennemente celebrate in questo anno di grazia, è per voi e per i vostri fedeli un'occasione di approfondimento della fede, di preghiera e di rinnovamento spirituale, cui tutta la Chiesa si unisce con intensa e fraterna partecipazione.

Come ho ricordato in varie circostanze - e, più recentemente, nell'omelia della santa Messa del l· gennaio scorso - la Chiesa intera fa memoria con voi di questa ricorrenza tanto significativa e con voi rende «grazie a Dio per questo ineffabile dono» (2Cor 9,15). La Chiesa di Roma e tutte le Chiese sorelle sparse nel mondo si associano alla fervida preghiera di ringraziamento che voi elevate al Signore per l'inestimabile grazia del «battesimo», per l'accoglienza che esso trovò tra le vostre genti e per i benefici che apportò loro, e per la forza ed il fervore con cui i vostri padri lo conservarono e lo svilupparono nelle vicissitudini di una storia sei volte secolare.

La Chiesa universale è consapevole e grata della grande ricchezza spirituale che la comunità cattolica lituana ha portato e porta tuttora nella comunione ecclesiale (cfr. «Lumen Gentium», 13) e riconosce nella sua secolare testimonianza di fedeltà a Cristo l'azione dello Spirito Santo, il quale «con la forza del Vangelo rende giovane la Chiesa e costantemente la rinnova e la conduce alla perfetta unione con il suo Sposo» («Lumen Gentium», 4).

Come voi sapete, per manifestare questa universale comunione con voi, il 28 giugno prossimo, in coincidenza con la celebrazione nazionale di Vilnius, io presiederò sulla tomba dell'apostolo Pietro una solenne concelebrazione, durante la quale avrò la gioia di beatificare un grande figlio e pastore del vostro popolo: l'Arcivescovo Jurgis Matulaitis. Saranno al mio fianco i rappresentanti degli episcopati del continente europeo: la loro presenza esprimerà anche visibilmente la nostra spirituale vicinanza alla Chiesa che è in Lituania.

2. La conversione delle genti lituane al Cristianesimo ebbe luogo alcuni secoli dopo quella dei popoli vicini dell'antica Europa. Stretti come in una morsa tra l'Oriente, donde premevano i popoli slavi, e l'Occidente, da cui giungevano i potenti Cavalieri teutonici, i vostri padri, già all'alba del sec. XIII, avevano consolidato le strutture di uno Stato autonomo, tenacemente impegnato a difendere la propria indipendenza e la propria libertà. Tali specifiche circostanze politiche e geografiche spiegano come i Lituani abbiano a lungo resistito ad accogliere la Croce da chi impugnava contro di loro la spada e minacciava di assoggettarli.

Fu proprio per sottrarsi alle pressioni esterne che, nel 1251, il Granduca Mindaugas decise di abbracciare la fede cattolica e si pose sotto la speciale protezione di questa sede apostolica, ottenendo da Papa Innocenzo IV la corona reale. Il Pontefice eresse allo stesso tempo la prima diocesi lituana e volle che essa fosse soggetta unicamente alla Santa Sede. Ma la conversione di Mindaugas, non adeguatamente preparata, incontrò resistenze tra il popolo, che non seguì l'esempio del Granduca. Già prima del 1260 il Vescovo dovette ritirarsi e nel 1263 la tragica morte di Mindaugas pose fine a quella effimera primavera.

3. Si dovette attendere oltre un secolo perché risplendesse il giorno luminoso del «Battesimo». Esso fu opera e merito di un insigne figlio della Lituania, il Granduca Jogaila, che nel 1386 accettò di essere battezzato insieme con i suoi sudditi nella fede cattolica, ed ottenne la corona di Polonia e la mano della regina Edvige, limpida figura di donna cristiana, ancor oggi venerata a Cracovia come beata. Da quel momento, nell'arco dei quattro secoli successivi, la storia della Lituania è caratterizzata da una singolare comunanza di destini - politici e religiosi - con la Polonia.

Nel 1387, il re - che aveva assunto il nome di Ladislao II - ritornò a Vilnius, capitale del Granducato, e diede avvio alla conversione del popolo,che ricevette in massa il battesimo, graziandone alla dedizione personale del sovrano. Fu fondata in quell'anno la diocesi di Vilnius e vi fu nominato come primo Vescovo il francescano Andrea, che già era stato missionario tra le vostre genti.

Nel 1413 Jogaila, con il cugino Granduca Vytautas, si dedicò alla evangelizzazione delle popolazioni lituane della Samogizia. Qualche anno più tardi, il Concilio di Costanza designò per quella regione dei suoi Legati, per erigere la diocesi di Medininkai, consacrare il primo Vescovo, Mattia, e perfezionare la conversione delle popolazioni.

Il re Jogaila, uomo dal cuore semplice e nobile, condusse una vita esemplare per virtù cristiane, praticando le opere di pietà e misericordia e preoccupandosi con vivo zelo delle sorti della Chiesa. Egli adottò saggi provvedimenti per favorire il libero diffondersi ed il radicamento della fede cristiana in tutti i territori del Granducato.

4. Il «battesimo» inserì la vostra nazione nella grande famiglia dei popoli cristiani d'Europa, in quella «christianitas» che segnò profondamente i destini del continente e ne costituisce il più prezioso retaggio comune ed il fondamento per la costruzione di un avvenire di pace, di autentico progresso e di vera libertà. La Lituania entrava in tal modo anche nella grande trasformazione culturale che si avviava in Europa in quel secolo, permeata dei principi cristiani ed aperta alle esigenze di un nuovo umanesimo, che nella fede trovava le più alte motivazioni e lo spunto per la promozione dei grandi valori, che hanno reso gloriosa la storia dell'Europa e benefica la sua presenza negli altri continenti (crf. Atto europeistico a Santiago de Compostela: «Insegnamenti di Giovanni Paolo II», V, 3 [1982] 1260).

La Lituania trasse da questo inserimento nuovo e promettente rigoglio di energie spirituali, che si vennero progressivamente esprimendo nelle diverse forme della cultura, dell'arte e dell'organizzazione sociale. La vostra terra a poco a poco si coprì di chiese e di conventi, che furono allo stesso tempo centri di irradiazione di fede e di civiltà. Lungo il corso dei secoli, e secondo il mutare degli eventi, all'opera di evangelizzazione si accompagnarono infatti provvide iniziative di educazione e di istruzione del popolo, alle case religiose si affiancarono le scuole e la vita di fede si temprò nell'esercizio quotidiano della carità, attraverso mille forme di attività di assistenza e di promozione sociale.

Desidero ricordare l'importanza che ebbe, a questo proposito, l'opera degli ordini religiosi: dei Domenicani e dei Francescani, giunti per primi fra le vostre genti, e quindi dei Benedettini, dei Francescani di nuova osservanza (popolarmente chiamati Bernardini, da san Bernardino da Siena), dei Basiliani.

5. Altri ordini e congregazioni religiose, dopo il Concilio di Trento, diedero nuovo impulso alla vita della Chiesa in Lituania, che a seguito della Riforma protestante attraversava un periodo di languore e soffriva per numerose defezioni. Una menzione speciale deve essere fatta dell'opera svolta dalla Compagnia di Gesù, che si rese particolarmente benemerita dell'attuazione della riforma promossa dal Concilio di Trento. Nel 1570, i Gesuiti aprirono a Vilnius un celebre collegio, che nove anni più tardi divenne la prima università della nazione, autentica fucina di sacerdoti e di uomini di cultura.

Alla consolante ripresa della Chiesa cattolica si accompagnò lo sviluppo delle vocazioni sacerdotali e religiose. Vennero promosse iniziative in favore del popolo, quali le biblioteche, la stampa di libri religiosi, i convitti per studenti poveri, le farmacie popolari, le associazioni e le confraternite, le scuole di arti e mestieri. Ma soprattutto fu avviata una capillare ed intensa attivita apostolica tra i più poveri, nelle campagne, ove sussistevano situazioni di dipendenza e di indigenza particolarmente dolorose e dove più urgente si avvertiva l'esigenza del messaggio liberante della carità evangelica.

6. A tale indefesso lavoro pastorale corrispose, in modo consolante la generosità della gente lituana. Il Cristianesimo fu il vero lievito evangelico della nazione, ne impregnòla vita quotidiana, vi affondò salde radici e ne diventò, per così dire, l'anima.

Il popolo si lasciò permeare dalla fede e ne diede testimonianza forte e schietta anche nei momenti più difficili della sua storia, nell'ora della sofferenza e del sacrificio.

Amo qui ricordare alcune tra le più eloquenti espressioni di questa fede, provata come l'oro nel crogiuolo (cfr. 1Pt 1,7). Mi riferisco, in primo luogo, all'antica e fervida devozione dei fedeli alla passione di Cristo, attestata dalle innumerevoli croci erette sul ciglio delle strade, dalle frequenti raffigurazioni di Gesù sofferente, tipiche espressioni dell'arte popolare, dai luoghi chiamati «Kalvarija» con le loro stazioni della «Via Crucis», che hanno meritato alla vostra terra l'appellativo di «terra delle croci».

E come dimenticare, in questa trepida vigilia dell'inaugurazione dell'Anno Mariano, il grande amore che i fedeli lituani portano alla Madre di Dio? La Vergine santissima, madre della misericordia, è particolarmente venerata ed implorata alla Porta dell'Aurora di Vilnius, così come in altri frequentati santuari: a Siluva, a Zmaiciu Kalvarija, a Krekenava, a Pivasiunai. Da secoli, ed oggi ancora, verso questi centri di fede e di pietà convergono in pellegrinaggio i fedeli di tutte le diocesi, con grande fervore e sovente anche con fatica e con sacrificio. Essi si affidano a colei che Cristo dalla croce, in un supremo atto di amore, ci ha donato come madre e mediatrice di grazia.

Vorrei, infine, dare atto alla comunità cattolica lituana di un altro eloquente segno di indefettibile attaccamento a Cristo e di vitalità ecclesiale: è l'intenso amore e la piena devozione con cui essa è sempre rimasta unita alla sede di Pietro, cui il Signore ha affidato il ministero di confermare i fratelli e di mantenerli uniti nella comunione della sua Chiesa, stabilendolo come roccia dell'edificio spirituale, contro cui nulla possono le potenze degli inferi.

7. La Chiesa fu così immersa, e direi immedesimata con la realtà nazionale, che attorno ad essa si strinsero i vostri padri in ogni epoca, ma soprattutto all'insorgere della prova, nelle ore buie e dolorose che hanno segnato, ancora in tempi a noi vicini, la vicenda della vostra terra.

Nella Chiesa, nel suo insegnamento, nella sua opera evangelizzatrice e santificatrice, nel suo servizio di unità e di verità il vostro popolo trovò sempre il senso della propria storia, la sua peculiare identità, le ragioni per vivere e sperare. Mi piace ripetere qui quanto ebbi a dire ad un gruppo di Lettoni, convenuti a Roma per la celebrazione dell'ottavo centenario della cristianizzazione di una terra a voi vicina, la Livonia: «Là dove la parola di Dio, sia pure in mezzo ad ostacoli di ogni genere, penetra nella profondità della coscienza di un popolo, e da questa è accolta, determina per sempre la consapevolezza che questo popolo ha di se stesso e della sua storia. Nell'ascolto della parola di Dio il popolo riconosce la sua vera identità» (Giovanni Paolo II, Discorso ai Lettoni in occasione dell'ottavo centenario della consacrazione del Vescovo Meinardi, 1, 26 giugno 1986: «Insegnamenti di Giovanni Paolo II», IX, 1 [1986] 1928s).

E tanto più significativo appare il fatto che, accanto alla Chiesa, l'altro baluardo di difesa fu per i Lituani la famiglia: sì, la famiglia cristiana, autentica «chiesa domestica» («Lumen Gentium», 11), solidamente ancorata ai valori della fede, che vive nell'amore, nel sacrificio, nella reciproca donazione. Nella vostra patria, la famiglia cristiana ha saputo sempre mantenersi fedele alla sua vocazione di ricevere, custodire e trasmettere ai figli il dono prezioso del «battesimo», divenendo in tal modo, secondo la bella espressione del Concilio Vaticano II, «scuola di più ricca e completa umanità» («Gaudium et Spes», 52).

La Chiesa e la famiglia, pur tra molti impedimenti ed ostacoli, tennero vive la fede e la cultura. Si deve ad esse se la nazione non ha smarrito la propria identità e la propria coscienza. Ed oggi ancora, mentre per molti aspetti i tempi non sono più favorevoli che in passato, Chiesa e famiglia restano custodi di tale sacro ed inviolabile deposito, santuario, dei grandi valori umani e cristiani: la libertà della coscienza, la dignita della persona, l'eredità dei padri, la tradizione culturale e la carica di energie morali che esse contengono e nelle quali è riposta la speranza per l'avvenire.

8. I seicento anni di vita cristiana della Lituania recano innumerevoli testimonianze della ininterrotta azione dello Spirito Santo, che ha abbellito la vostra Chiesa dei suoi frutti (cfr. Gal 5,22), suscitando schiere di uomini e donne degni di essere riconosciuti come veri discepoli di Cristo. Vorrei ricordare con voi alcune figure di figli della Lituania, che hanno lasciato nel cuore del popolo il segno indelebile delle loro virtù e del loro zelo apostolico.

Il pensiero e la preghiera di intercessione si rivolgono, in primo luogo, a san Casimiro, che già nel 1636 Papa Urbano VIII dichiarò patrono della Lituania. Tre anni fa, voi ne avete solennemente commemorato il cinquecentesimo anniversario della morte e quelle celebrazioni giubilari, alle quali volli intensamente associarmi, insieme con tutta la Chiesa, furono un grande momento di grazia per la vostra comunità ecclesiale.

Discendente della gloriosa stirpe degli Jagelloni, il principe Casimiro fu singolarmente adorno di virtù e raggiunse in breve tempo la perfezione (cfr. Sap 4,13). A distanza di meno di un secolo, egli fu il frutto maturo del «battesimo» del suo popolo. Fu sepolto a Vilnius, nel cuore della nazione, che da cinque secoli ne venera con immutata devozione le reliquie e, significativamente, presso la sua tomba avranno culmine le celebrazioni giubilari.

Luminoso esempio di purezza e di carità, di umiltà e di servizio ai fratelli, Casimiro nulla antepose all'amore di Cristo e meritò dai suoi contemporanei l'eloquente titolo di «difensore dei poveri». Papa Pio XII volle proclamarlo patrono speciale della gioventù lituana e ne additò il «nobile e sicuro esempio» alle generazioni che crescono fra tante avversità ed insidie (cfr. Pio XII, Lettera apostolica con cui san Casimiro, confessore, viene proclamato patrono celeste di tutta la gioventù lituana: AAS 42 [1950] 380-382).

9. Ricordo, poi, il Vescovo della Samogizia, Merkelis Giedraitis, vero apostolo della riforma tridentina, che nel 350· anniversario della morte il mio venerato predecessore Giovanni XXIII volle riproporre a modello soprattutto dei pastori della Chiesa lituana. Uomo eccelso per pietà e virtù sacerdotali, forte e saggio, il Vescovo Giedraitis mostrò nel suo intenso apostolato «che cosa significhi lottare per la fede cattolica e difenderla con tutte le forze» (cfr. Giovanni XXIII, Lettera ai Vascovi della Lituania nel 350· anniversario della morte del pio Merkelis Giedraitis, Vescovo: AAS 52 [1960] 40-43).

Secondo l'insegnamento dell'apostolo Paolo a Timoteo, egli ha combattuto «la buona battaglia con fede e con buona coscienza, mentre alcuni che l'hanno ripudiata hanno fatto naufragio nella fede» (cfr. 1Tm 1,18-19): di fronte al dilagare dell'eresia ed alla persistenza, in certe regioni, di usanze dell'antico paganesimo, il Vescovo Giedraitis si fece promotore di un'autentica rinascita spirituale, ponendo cura alla formazione del clero, edificando chiese e prodigandosi anche di persona nella catechesi al popolo, svolta nella sua lingua nativa.

Sulle sue stesse orme si pose, nel secolo scorso, il suo successore nella diocesi della Samogizia, Monsignor Motiejus Valancius. Il suo governo pastorale coincise con tempi tristi ed oscuri per la nazione che vedeva minacciata la sua stessa identità civile e religiosa. In tali difficili frangenti, il Vescovo Valancius non fu soltanto pastore solerte e provvido del gregge di Dio, ma divenne vera guida morale del suo popolo. Sono rimasti celebri i suoi vigorosi appelli ai sacerdoti ed ai genitori cristiani, affinché prendessero consapevolezza della loro responsabilità di trasmettere alle giovani generazioni, insieme con la fede dei padri, tutta la ricchezza della tradizione culturale e religiosa della nazione.

Al contempo, Monsignor Valancius si impegnò in una difficoltosa quanto benemerita ricomposizione del tessuto religioso del popolo, attraverso la catechesi e la istruzione, organizzate clandestinamente e con grave rischio. Accanto alle loro madri, i bambini imparavano allora a leggere e scrivere sui testi del catechismo. La saggezza ed il grande cuore di Monsignor Valancius, che trovarono generosa e coraggiosa corrispondenza da parte dei vostri padri, permisero che anche in quei tempi difficili non andasse perduto il seme della parola di Dio, attorno alla quale la nazione si componeva nella sua unità.

10. Il 28 giugno prossimo, avrò la gioia di elevare agli onori degli altari un altro degnissimo figlio della Chiesa e della nazione lituana, il servo di Dio Monsignor Jurgis Matulaitis, scomparso appena sessanta anni fa. Vero «servo e apostolo di Gesù Cristo» (2Pt 1,1), egli a Vilnius fu pastore lungimirante e sollecito verso tutti i suoi figli, anche i più lontani. Fedele al proprio motto episcopale: «Vinci il male con il bene», affrontò nel suo ministero numerose e gravi difficoltà, facendosi «servo di tutti per guadagnarne il maggior numero» (crf. 1Cor 9,19) e preoccupandosi esclusivamente del bene della Chiesa e della salvezza delle anime.

Al suo fecondo servizio ecclesiale restano legate molteplici iniziative pastorali, fra le quali desidero ricordare le opere di apostolato laicale la divulgazione della dottrina sociale della Chiesa, con le quali egli intendeva stimolare i suoi fedeli alla responsabilità di instaurare ogni cosa in Cristo. A lui si debbono, inoltre, la riforma della sua Congregazione dei Chierici Mariani e la fondazione di quelle delle Suore della Immacolata Concezione, e delle Ancelle di Gesù in Eucaristia.

Nominato da Papa Pio XI Visitatore Apostolico della Lituania, il servo di Dio operò con prudenza e con zelo, così da consentire al Pontefice di erigere la provincia ecclesiastica lituana, con la costituzione apostolica «Lituanorum Gente» (4 aprile 1926). La vita cattolica conobbe una rifioritura notevole nei diversi settori della catechesi, delle vocazioni sacerdotali e religiose, delle attività di azione cattolica, delle varie espressioni culturali ispirate al Vangelo.

Il buon seme, sparso con tanta generosità da Monsignor Matulaitis, produsse il centuplo e la Chiesa conobbe una nuova primavera. Ma egli stesso volle farsi seme, che muore nella terra per non rimanere solo e portare molto frutto (cfr. Gv 12,24), come testimonia questa toccante invocazione, ch'egli ci lasciò quasi come un testamento nel diario spirituale, e che io desidero oggi ripetere con voi: «Fa', o Gesù, che io mi immoli per la salvezza delle anime redente dal Tuo Sangue, per vivere con Te, per lavorare con Te, per patire con Te e, come spero, anche per morire e regnare con Te» (Diario, 17 agosto 1911).

11. Non vorrei, infine, lasciare senza menzione la numerosa schiera di figli e figlie della vostra terra, che nel corso di questi sei secoli hanno confessato con aperto coraggio la fede ricevuta nel «battesimo» e che nessuna prova, anche la più dura, ha mai potuto separare dall'amore di Cristo (cfr. Rm 8,35). Sono Vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, catechisti, semplici fedeli, che hanno affrontato umiliazioni, discriminazioni, patimenti, talora la perscuzione e persino l'esilio, la prigionia, la deportazione e la morte, «lieti di essere oltraggiati per amore del nome di Gesù» (At 5,51).

Essi testimoniano la grazia che il Signore ha promesso alla sua Chiesa «affinché, tra le tentazioni e le tribolazioni del cammino, per la umana debolezza non venga meno alla sua perfetta fedeltà, ma permanga degna sposa del suo Signore e non cessi, con l'aiuto dello Spirito Santo, di rinnovare se stessa, finché, attraverso la croce, giunga alla luce che non conosce tramonto» («Lumen Gentium», 9). Attraverso di essi, lo Spirito ha parlato e parla alla vostra comunità ed a tutta la santa Chiesa cattolica. La loro croce, abbracciata in unione alle sofferenze redentrici di Gesù, è divenuta strumento di grazia e di santificazione.

E' questa una eletta schiera di confessori e martiri, per la quale oggi voi ringraziate il Signore, sentendovene giustamente lieti e fieri. Io vi esorto a raccoglierne, insieme con i vostri fedeli, il luminoso esempio: per una vita di fede sempre più convinta e coerente, per un apostolato sempre più zelante e fecondo di opere di carità, per una adesione pronta e consapevole alla volontà di Dio, che si manifesta nella vocazione di ciascuno.

Vorrei rivolgermi soprattutto ai vostri giovani: essi portano nelle mani il destino della nazione, che introdurranno nel nuovo millennio dell'età cristiana. Giovani della Lituania fedele e generosa! Sappiate raccogliere con gioia e con fiducia l'eredità dei vostri padri! Accogliete nel vostro cuore la testimonianza, talora eroica, che essi vi hanno lasciato, di amore a Cristo e dalla Chiesa! fate vostro questo inestimabile tesoro, e siatene degni! Esso diventi in voi germe di una grande speranza.

12. Carissimi confratelli nell'episcopato e nel sacerdozio, religiosi e religiose, e voi tutti fratelli e sorelle di una Chiesa lontana, eppure a me vicina e particolarmente amata, figli e figlie di una nazione nobilissima! Io, Vescovo di Roma e pastore della Chiesa universale, mi inginocchio con voi presso le reliquie di san Casimiro, con voi ringrazio Iddio, datore di ogni bene, per il dono del vostro «Battesimo», e per voi imploro ch'egli «vi renda degni della sua chiamata e porti a compimento, con la sua potenza, ogni vostra volontà di bene e l'opera della vostra fede; perché sia glorificato il nome del Signore nostro Gesù in voi e voi in lui» (2Ts 1,11-12).

A nome di tutta la Chiesa, io affido a Dio il retaggio della fede della vostra nazione e lo supplico: conserva e benedici l'opera che hai compiuto durante questi sei secoli!

Sii propizio, Padre onnipotente verso questi tuoi figli che hai tratto dalle tenebre allo splendore della tua verità. Effondi nei loro cuori il tuo Santo Spirito, Spirito di verità e Consolatore, affinché possano rendere presente nella loro nazione la fecondità della Pasqua del tuo Figlio.

Dona ai pastori di questo popolo, che è tuo, pietà saggezza, perché possano condurre il gregge verso i pascoli della vita. Fa', o Dio onnipotente, che essi possano esercitare serenamente e con piena libertà il loro sacro ministero.

Infondi la tua luce e la tua forza nei cuori di coloro che hai chiamato a consacrarsi a te, affinché siano perseveranti e sappiano donarsi senza riserve. Moltiplica il numero di coloro che accolgono la vocazione al sacerdozio ed alla vita religiosa, rafforza il loro generoso proposito e fa', ch'essi possano camminare senza ostacoli sulla via del tuo divino servizio.

Rivolgi il tuo sguardo, o Signore, alle famiglie che vivono unite nel tuo amore. Fa' che accolgano con gioia e con responsabilità il dono della vita. Possano, con la tua grazia, crescere nel reciproco amore. I genitori sappiano offrire ai loro figli il dono della fede, insieme con la testimonianza concreta di una vita autenticamente cristiana.

Rivolgi il tuo sguardo di predilezione, o Dio, ai giovani della Lituania. Essi portano nel cuore una grande speranza: rendili forti e puri, affinché possano costruire con fiducia il loro domani. Fa' che possano ricevere con libertà il dono della fede dei padri, fa' che lo accolgano con gratitudine, fa' che lo sviluppino con generosità.

Tu sei il Signore dei popoli ed il Padre dell'umanità. Io invoco la tua benedizione su questa tua famiglia della Lituania: possa seguire, in conformità con la sua coscienza, la voce della tua chiamata lungo le vie indicate per la prima volta sei secoli or sono. La sua appartenenza al tuo regno di santità e di vita non sia considerata da nessuno in contrasto con il bene della patria terrena. Possa renderti sempre ed ovunque la lode che ti è dovuta, e testimoniare liberamente e serenamente la verità, la giustizia e la carità.

Signore, benedici questa nazione, manifesta su di essa il tuo volto e donale la tua pace!

Ed ora, in spirito di affidamento, mi rivolgo a te, dolcissima Madre di Cristo e Madre nostra, unendo la mia voce a quella dei tuoi figli lituani che ti implorano fiduciosi nella tua intercessione. Madre della misericordia, a te accorre questo popolo, ponendosi sotto il tuo presidio: non respingere le sue suppliche nella necessità, salvalo dai pericoli, conducilo il tuo Figlio.

Tu sei, o Madre, la memoria della Chiesa. Tu serbi nel tuo cuore le vicende degli uomini e dei popoli. A te affido il ricordo dei seicento anni di vita cristiana dei fratelli e delle sorelle della Lituania e ti chiedo di aiutarli ad essere ancora e sempre fedeli a Cristo ed alla Chiesa.

A voi, venerati e cari fratelli, ai vostri fedeli, a tutti i Lituani sparsi nel mondo, imparto, con effusione d'affetto la mia benedizione apostolica.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 5 giugno dell'anno 1987, nono di Pontificato.

 

 

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